INFERNO - CANTO XIII
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco
che da neun sentiero era segnato. 3
Non fronda verde, ma
di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco. 6
Nesso non e` ancora
arrivato
all’altra
riva che Viandante
e Guida, procedendo
nel cammino,
si ritrovano in un
bosco
senza sentieri,
oscuro, pieno di arbusti contorti,
senza
frutti, ma ricchi
di spine velenose. Non han sì
aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. 9
Quivi le brutte
Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno. 12
Non abitano un ambiente
cosi` selvaggio
ed aspro neppure
le fiere che vivono
in Maremma,
la zona paludosa
vicino al mare, tra
Cecina
(focaccia di ceci,
cibo dei poveri)
e Corneto
(terra del
corniolo, delle
bacche
senza polpa). Qui
nidificano
le
Arpie
(= rapitrici)
orridi mostri che i
figli di Borea cacciarono fino alle
isole Strofadi (
strefo= rivolgo) e poi tornarono
indietro.
Quando
Enea
ed i suoi sbarcarono
in queste
isole le Arpie li
scacciarono dopo aver loro predetto
che avrebbero
sofferto la fame. (v. ns/ copione
‘Eneide’
in
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). Tutto questo ambiente
e i nomi ad esso
relativi
denotano
inedia, carestia,
poverta`, miseria.
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani. 15
La descrizione
del bosco di arbusti
selvaggi, con il suo colore, le spine e il veleno, con la presenza
sui rami delle
‘rapitrici’
con gli artigli,
il corpo
d’uccello , il collo
e il viso di donna,
mostri che
ad altri ‘pellegrini’
predissero
futuro danno,
cioe` ‘fame’, serve solo a preparare
la scena del nuovo
spaventoso
sogno. Infatti il
bosco intricato, senza sentiero,
nel sogno
simboleggia
l’incoscio,
la zona
oscura, pericolosa,
malnutrita,
paurosa, sperduta,
che
qui e` governata
dalle Arpie, appunto le ‘rapitrici’. Nella mitologia
greca
questi
avvoltoi
infernali
emettevano un fetore
insopportabile
e
rappresentavano
le tempeste
o le trombe d’aria
(elemento
del modo mentale
Briah in rivoluzione,
quindi capovolto)
che
‘rapivano’
le anime
dei morti.
E ’l buon maestro "Prima che più entre,
sappi che se’ nel secondo girone",
mi cominciò a dire, "e sarai mentre 18
che tu verrai ne
l’orribil sabbione.
Però riguarda ben; sì vederai
cose che torrien fede al mio sermone". 21
Il Maestro spiega
al Discepolo
che sono entrati
nel secondo
girone
del settimo
cerchio,
che terminera` poi
con una distesa di sabbia. Preannuncia
quindi
la visione di cose
inconsuete
e terribili, tali da
non poter essere credute
se narrate
solo con le parole
(sermone
= discorso).
Io sentia
d’ogne parte trarre guai
e non vedea persona che ’l facesse;
per ch’io tutto smarrito m’arrestai. 24
Cred’ïo ch’ei
credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
da gente che per noi si nascondesse. 27
Il Viandante,
sente
emettere
lamenti , ma non vede
nessuno, percio` rimane
interdetto,
pensando che forse
qualcuno
possa
celarsi
dietro quegli
orridi
arbusti.
Però disse ’l maestro: "Se tu tronchi
qualche fraschetta d’una d’este piante,
li pensier c’ hai si faran tutti monchi". 30
E la Guida lo spinge a
spezzare
un rametto
di una di quelle
piante
per
chiarirsi
le idee.
Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ’l tronco suo gridò: "Perché mi
schiante?". 33
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: "Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno? 36
Uomini fummo, e or
siam fatti sterpi:
ben dovrebb’esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi". 39
Il Discepolo ubbidisce
al Maestro
e spezza un
ramoscello, subito ne esce sangue
e
si ode dal tronco una
voce: “Perché
mi squarci?” e
dopo che
il sangue
si e` fatto nero:
“Perché
mi laceri?
Non hai un poco
di pieta`?
Noi eravamo uomini
e siamo diventati
sterpi, ma se anche
fossimo solo piante,
la tua mano dovrebbe
essere
piu`
compassionevole.”
Come d’un
stizzo verde ch’arso sia
da l’un de’ capi, che da l’altro geme
e cigola per vento che va via, 42
sì de la scheggia
rotta usciva insieme
parole e sangue; ond’io lasciai la cima
cadere, e stetti come l’uom che teme. 45
Il timore
e` la giustificata
reazione
del Viandante
alle
parole
e al sangue
che escono
dalla ferita della
‘pianta’
come
il vapore
esce
‘cigolando’
da uno ramo verde
arso…
"S’elli avesse potuto creder prima",
rispuose ’l savio mio, "anima lesa,
ciò c’ ha veduto pur con la mia rima, 48
non averebbe in te
la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa. 51
Il Maestro
si scusa con l’anima
lesa
per aver permesso
quell’offesa,
ma
era l’unico
modo
per
far comprendere
la
cosa
incredibile
al Discepolo.
Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece
d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi
nel mondo sù, dove tornar li lece". 54
Quindi
esorta
il dannato
a palesarsi, cosi`
quando
chi lo ha ferito
tornera`
sulla
superficie
della terra potra`
ricordarlo
nel mondo
dei vivi.
E ’l tronco:
"Sì col dolce dir m’adeschi,
ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
perch’ïo un poco a ragionar m’inveschi. 57
Io son colui che
tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi, 60
che dal secreto suo
quasi ogn’uom tolsi;
fede portai al glorïoso offizio,
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi. 63
La proposta
di Virgilio
e` gradita
al
tronco
: parlera` un poco,
se le sue parole
non saranno
‘gravi’, di peso, ai
visitatori. Egli e` stato
il consigliere
di Federigo
(= che domina in
pace) II, del cui cuore
aveva
lui solo
le chiavi,
gli fu sempre fedele
e per questo perse il
sonno e la vita.
La meretrice che mai da l’ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio, 66
infiammò contra me
li animi tutti;
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti. 69
Ma ad un certo momento,
l’invidia, vizio di
tutte le corti, si e` annidata
come
una prostituta
nella casa di
Cesare
(= capo)
ed ha infiammato
l’animo di tutti i
cortigiani, contagiando
anche
l’Augusto
(il sacro
imperatore)
cosicche` gli onori
si tramutarono
in
tristi
lutti,
cioe` in sospetti e persecuzioni.
L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto. 72
E poi seguita: “ L’anima
mia,
non volendo
sopravvivere all’onta
delle
accuse,
fece di me, un
innocente,
un colpevole
contro me stesso…” Per le nove
radici d’esto legno
vi giuro che già mai non ruppi fede
al mio segnor, che fu d’onor sì degno. 75
E se di voi alcun
nel mondo riede,
conforti la memoria mia, che giace
ancor del colpo che ’nvidia le diede". 78
E
ancora
aggiunge:
“ Per le
nove
(= singolari) radici
di questa
pianta, giuro di non
aver mai tradito
il mio ‘signore’ e se
tornate
nel mondo dei vivi,
vi prego di rivendicare
li` la mia fama,
ancora
oltraggiata
dall’invidia ”.
Un poco attese, e poi "Da ch’el si tace",
disse ’l poeta a me, "non perder l’ora;
ma parla, e chiedi a lui, se più ti
piace". 81
Ond’ïo a lui: "Domandal tu ancora
di quel che credi ch’a me satisfaccia;
ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora". 84
Il dannato,
il cui nome
e` Pier (= roccia)
della Vigna (= terreno coltivato
a viti, che produce
vino) ora tace e La
Guida esorta
il Pellegrino
a
interrogarlo
ancora,
ma
il Discepolo
e` cosi` commosso
che
non sa cosa chiedere
e si rimette
al Maestro. Notiamo
che il significato
del nome
di questo suicida
e` ‘pietra
del terreno
che dovrebbe
dare
vino’,
il vino nella
tradizione
ebraico-cristiana
e` omologato
al ‘sangue’, alla
Vita
(Mt. 26, 27-29)
sarebbe stato compito
di questa
personalita` cosi` ricca (Pier fu giurista e poeta) produrre
il vino della Vita e
invece
per ‘sdegno’
(orgoglio) egli
ha
fatto violenza a se
stesso, dandosi la morte. Perciò
ricominciò: "Se l’om ti faccia
liberamente ciò che ’l tuo dir priega,
spirito incarcerato, ancor ti piaccia 87
di dirne come
l’anima si lega
in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
s’alcuna mai di tai membra si spiega". 90
Virgilio allora
riprende la parola :
“Possa essere
esaudito
il tuo desiderio, ma
spiegaci
come
l’anima
si congiunge
a questi
arbusti e dicci
se mai qualcuno
ne
puo` uscire”.
Allor soffiò il tronco forte, e poi
si convertì quel vento in cotal voce:
"Brievemente sarà risposto a voi. 93
Quando si parte
l’anima feroce
dal corpo ond’ella stessa s’è disvelta,
Minòs la manda a la settima foce. 96
Cade in la selva, e
non l’è parte scelta;
ma là dove fortuna la balestra,
quivi germoglia come gran di spelta. 99
Allora il ‘tronco’,
soffiando forte cosi` risponde:
“ Quando l’anima
di chi si e` ucciso
si stacca dal corpo,
giunge
davanti
a Minosse
e viene inviata
al settimo
cerchio;
qui dove cade,
germoglia
come
seme di spelta
(= biada)…”. Surge in
vermena e in pianta silvestra:
l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
fanno dolore, e al dolor fenestra. 102
Come l’altre verrem
per nostre spoglie,
ma non però ch’alcuna sen rivesta,
ché non è giusto aver ciò ch’om si
toglie. 105
Qui le strascineremo, e per la mesta
selva saranno i nostri corpi appesi,
ciascuno al prun de l’ombra sua molesta". 108
“…Spunta come
virgulto e poi
cresce
come
pianta selvatica,
le Arpie, cibandosi
delle
(nostre)
foglie, spezzano i
rami,
il che
provoca il dolore
e l’emissione
dei lamenti.
Alla fine dei tempi
riavremo i nostri
corpi
ma non per
rivestircene, che non sarebbe giusto, visto che li abbiamo
rifiutati,
li dovremo appendere
a questi
rami…”.
Noi eravamo ancora al tronco attesi,
credendo ch’altro ne volesse dire,
quando noi fummo d’un romor sorpresi, 111
similemente a colui
che venire
sente ’l porco e la caccia a la sua posta,
ch’ode le bestie, e le frasche stormire. 114
I due
Viandanti
sono
ancora
in attesa
della conclusione
del discorso
quando
odono un strano
rumore, simile a quello
che ode il cacciatore
quando sente
venire il cinghiale
spinto
dai cani tra i
cespugli. Ed ecco due
da la sinistra costa,
nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
che de la selva rompieno ogne rosta. 117
Quel dinanzi: "Or
accorri, accorri, morte!".
E l’altro, cui pareva tardar troppo,
gridava: "Lano, sì non furo accorte 120
le gambe tue a le
giostre dal Toppo!".
E poi che forse li fallia la lena,
di sé e d’un cespuglio fece un groppo. 123
Ed ecco comparire
a sinistra due anime
nude
e graffiate che, in
fuga, spezzano
ogni
ramo che incontrano.
Il primo grida: “
Vieni, vieni, o morte” chiedendo di morire per la seconda volta,
pur
di non subire il nuovo strazio,
e
l’altro, piu` lento
grida:
“ Non fosti cosi`
veloce, Lano (= Ercolano
= protetto da Era al
bianco, avversato da Era al nero), nella
battaglia (di Pieve)
al Toppo
(dove si ‘toppa’ =
dove si sbaglia)” e poiche` forse gli manca
il respiro, si
nasconde
in un cespuglio.
Lano
e` uno
scialacquatore,
cioe` un violento
contro
i propri beni, morto
in battaglia ;
l’altro, viene detto
al v. 133,
e` Iacopo (= protetto
dal Signore al
bianco,
avversato dal Signore
al nero)
di Sant’Andrea
(= forte al bianco,
debole
al nero), e` un altro
scialacquatore,
morto
assassinato.
Di rietro a loro era la selva piena
di nere cagne, bramose e correnti
come veltri ch’uscisser di catena. 126
In quel che
s’appiattò miser li denti,
e quel dilaceraro a brano a brano;
poi sen portar quelle membra dolenti. 129
Corrono dietro
a loro
numerose
cagne
nere
come
appena sciolte
da catena,
affondano i denti
in quello
nascosto nel
cespuglio
e lo fanno a pezzi,
portandoselo
via.
Il cane
nero in quasi tutte
le tradizioni e` simbolo di morte, a servizio del diavolo,
o diavolo lui stesso.
Qui le cagne
nere hanno la stessa
funzione delle
Arpie: tormentano
divorando. In un
linguaggio
interiorizzato
cagne
nere
e Arpie rappresentano
i ri-morsi di
coscienza
che smembrano
i violenti e se ne
nutrono dopo averli spezzettati.
Questi
ri-morsi ( dal
sanscrito mard=
tritare),
sono per aver
vanificato
nella
propria
esistenza
la Vita donata
dal
Signore
alla personalita`
per la Reintegrazione
‘violentandoLa’
(= da violare,
forzare), forzandoLa
razionalmente,
scientemente,
nella
direzione
opposta,
per la
disintegrazione.
Presemi allor la mia scorta per mano,
e menommi al cespuglio che piangea
per le rotture sanguinenti in vano. 132
"O Iacopo", dicea,
"da Santo Andrea,
che t’è giovato di me fare schermo?
che colpa ho io de la tua vita rea?". 135
Il Maestro ,
amorevolmente
e in segno di
incoraggiamento,
prende
per mano
il Discepolo
e lo conduce
presso il cespuglio
oltraggiato
dalla
furia delle
cagne
nere , che, piangendo
cosi` si
lamenta:
“O Iacopo
da Sant’Andrea a che
ti e` servito farti schermo
di me? Che colpa ho
io della tua vita di peccati?”
Quando ’l maestro fu sovr’esso fermo,
disse: "Chi fosti, che per tante punte
soffi con sangue doloroso sermo?". 138
Virgilio
si avvicina al
cespuglio
piangente e
lo interroga:
“Chi
fosti tu, che
attraverso
tante
cime
spezzate soffi parole
dolorose e sangue?” Ed elli a
noi: "O anime che giunte
siete a veder lo strazio disonesto
c’ ha le mie fronde sì da me disgiunte, 141
raccoglietele al piè
del tristo cesto.
I’ fui de la città che nel Batista
mutò ’l primo padrone; ond’ei per questo 144
sempre con l’arte
sua la farà trista;
e se non fosse che ’n sul passo d’Arno
rimane ancor di lui alcuna vista, 147
que’ cittadin che
poi la rifondarno
sovra ’l cener che d’Attila rimase,
avrebber fatto lavorare indarno. 150
Io fei gibetto a me
de le mie case".
Il suicida
che abita il
cespuglio
e` di Firenze, della
citta` che, avendo rinnegato
il dio della guerra
(Marte e quindi
il paganesimo) per il
Batista
(per il
cristianesimo)
ne subisce la
vendetta con contese e guerre
continue… lo
sventurato
chiede
per pieta` di
riavvicinare
al piede
della pianta
le sue fronde sparse
dalla furia delle
cagne, e confessa di
aver fatto delle
sue ‘case’
gibetto
(dal
francese gibet = patibolo), cioe` di essersi impiccato
in casa sua.
Per la legge del contrappasso i
suicidi, che
sprezzarono
la
vita umana, la forma
piu` alta di vita della terra , vengono
retrocessi
a ‘vegetali’ e
radicati
in quella terra che vollero abbandonare prematuramente;
in una ottica di
rinascite dovranno ripercorrere tutta la scala evolutiva prima di
potersi riguadagnare un corpo umano….Da
un punto di vista interiorizzato invece , ‘uccide se stesso’ chiunque
non riconosce in sé l’Io Sono, Daath, la Coscienza, perché vanifica lo
scopo dell’incarnazione,
e purtroppo da questo
punto di vista quasi tutta l’umanità è suicida!
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