INFERNO - CANTO XVIII
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
www.taote.it
www.taozen.it
www.teatrometafisico.it
Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno,
come la cerchia che dintorno il volge. 3
Nel dritto mezzo del
campo maligno
vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
di cui suo loco dicerò l’ordigno. 6
Quel
cinghio che rimane adunque è tondo
tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura,
e ha distinto in dieci valli il fondo. 9
Nell’inferno
c’e` un luogo
chiamato
Malebolge
, cioe`
‘fosse del peccato’ (
male -dall’armeno
melk = peccato;
bolge - dal latino
bulgea= sacca ), e`
tutto
di pietra,
di color e
grigio-ferro, come
il cerchio
intorno;
nel mezzo
si apre un gran
pozzo , di cui il
Viandante
ci parlera` in
seguito. La fascia (ottavo cerchio)
che
sta tra il settimo
cerchio
e il pozzo
(nono cerchio)
e` divisa in
dieci
valli
(appunto le
Malebolge).
Nelle dieci Malebolge
ritroviamo
ancora
una volta
all’interno
della struttura
infernale
la suddivisione
cabalistica
dell’Albero.
Nel
dieci
si apre a ventaglio
la gamma
della
diversita`
Archetipale
dei
‘numeri’
e
nel percorso
da uno
a dieci
si svolge
quell’iter
(sull’Albero)
che permette
di
conoscere
quel
‘sistema’
in tutte
le sue ‘colorazioni’.
Qui, nell’ottavo
cerchio,
e` la ‘frode umana’
che
viene sviscerata
nei suoi
dieci
aspetti
peculiari
e Dante
ci da` la
possibilita`
studiarli
e ad approfondirli
(in questo
e nei prossimi canti)
per
meglio
mostrarci
“i frutti
di quel
‘male’
che
all’inizio
sembra
‘nettare’
e alla
fine e` come
il ‘veleno’”
(B. Gita canto XVIII,
v. 38)
Quale, dove per
guardia de le mura
più e più fossi cingon li castelli,
la parte dove son rende figura, 12
tale imagine quivi
facean quelli;
e come a tai fortezze da’ lor sogli
a la ripa di fuor son ponticelli, 15
così da imo de la
roccia scogli
movien che ricidien li argini e ’ fossi
infino al pozzo che i tronca e raccogli. 18
Le
valli,
cioe` le bolge , sono simili ai
fossi concentrici
che
proteggono
i castelli
e, come quelli
sono messi in
comunicazione
tra loro
da ponticelli,
cosi` queste sono
collegate
da
scogli
, cioe`da rocce, che
le uniscono
fino al pozzo
centrale.
Come gia` detto in precedenza
i vari peccati,
come
le virtu`, rimandano
gli uni
agli
altri:
qui, nella
rappresentazione
dantesca
delle bolge
della ‘frode’ ci sono
degli
scogli
che
collegano
le bolge
tra loro; certo
gli
scogli
sono utili per il
passaggio
di visitatori come
il Viandante
e la sua Guida, ma
soprattutto
collegano
tra loro
i
fossi
con il
pozzo
centrale
(il male centrale),
da cui dipendono.
In questo luogo, de la schiena scossi
di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta
tenne a sinistra, e io dietro mi mossi. 21
A la man destra vidi
nova pieta,
novo tormento e novi frustatori,
di che la prima bolgia era repleta. 24
Il gigante
Gerione ha lasciato
qui l’insolito
carico
(Dante e Virgilio);
la Guida ora procede
verso sinistra e il
Viandante
gli va dietro. Ed
ecco
a destra
il nuovo spettacolo
che suscita nuova
pieta`:
nuovi tormentati
e nuovi tormentatori
riempiono
la
prima
bolgia. Nel fondo
erano ignudi i peccatori;
dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto,
di là con noi, ma con passi maggiori, 27
come i Roman per
l’essercito molto,
l’anno del giubileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo colto, 30
che da l’un lato
tutti hanno la fronte
verso ’l castello e vanno a Santo Pietro,
da l’altra sponda vanno verso ’l monte. 33
Nel fondo della prima
valle
si vedono i peccatori
tutti
nudi: una parte
viene verso i
Viandanti, l’altra va nel loro stesso verso, ma piu` in fretta. Il loro
andare
ricorda
il doppio
senso
istituito
a Roma durante
il Giubileo
sul ponte
presso
il Castel
S. Angelo, per
recarsi
alla
tomba
di S. Pietro: per
andare
tutti in un verso, e
per tornare
il verso opposto.
Di qua, di là, su
per lo sasso tetro
vidi demon cornuti con gran ferze,
che li battien crudelmente di retro. 36
Ahi come facean lor
levar le berze
a le prime percosse! già nessuno
le seconde aspettava né le terze. 39
Ed ecco la descrizione
particolare ggiata
della
pena:
da ambo le parti
sulla roccia
tetra
(=dal latino taeter ,
noiosa, ma anche
triste
e oscura) demoni
cornuti
(il demonio
cornuto,
meta` uomo
e meta` capro,
e` un’immagine
del diavolo
caratteristica
della
religione
cristiana, che lo
omologa
al satiro, spirito
maschile
dalla
natura
lussuriosa, sfrenata
e sboccata)
colpiscono
con crudelta` sulle
spalle
i dannati. Questi
vanno molto in fretta fin dai primi colpi
e certo
non aspettano i
secondi
o i terzi. Sono qui
puniti allo stesso modo, frustati in continuazione,
sia i lenoni
(sfruttatori della
prostituzione)
sia i seduttori ,
l’unica
differenza
e`che
vanno in direzioni
opposte.
Da un punto
di vista
interiorizzato
si diviene ‘lenoni’
di se stessi quando
si permette
all’ ego
di arricchirsi
vendendo
la propria
integrita` ed energia
per vantaggi
materiali:
quattrini,
fama, onori ecc.. Si
diviene
seduttori
di se stessi quando
si lascia che l’ego
si convinca
di essere
lui il padrone
delle
sue
energie
o dei suoi talenti
e li sottomette
e li sfrutta per le
proprie
egoistiche
ambizioni,
bruciando li
per scopi
viziosi. Nell’Albero
cabalistico
Geburah, la sephirah
che
occupa
il posto centrale
sulla
colonna
della severita` ha
come
simbolo
la ‘frusta’ che
punisce
la personalita`
quando
c’e` la necessita`
di estirpare
ogni prostituzione
o disonesta` attiva
o passiva:
la ‘frustata’ diventa
un atto di coraggio
che, come
un chirurgo, asporta
il marcio
di una situazione
malata.
Mentr’io andava, li
occhi miei in uno
furo scontrati; e io sì tosto dissi:
"Già di veder costui non son digiuno". 42
Per ch’ïo a
figurarlo i piedi affissi;
e ’l dolce duca meco si ristette,
e assentio ch’alquanto in dietro gissi. 45
Mentre
il Viandante
va, i suoi
occhi
incontrano
quelli
di un dannato,
cosi` dice: “ Non e`
la prima volta che vedo costui”.
Allora
la sua Guida
gli concede
di tornare
un po` indietro:
egli si ferma per
riconoscerlo.
E quel frustato celar si credette
bassando ’l viso; ma poco li valse,
ch’io dissi: "O tu che l’occhio a terra
gette, 48
se le fazion che porti non son false,
Venedico se’ tu Caccianemico.
Ma che ti mena a sì pungenti salse?". 51
Il frustato crede di
potersi nascondere
abbassando
il viso, ma Dante,
inesorabile,
lo interpella:
“Tu, che ora guardi a
terra, se le tue fattezze non mi ingannano, tu sei
Venedico Caccianemico
.
Perché sei qui, a che
e` dovuta la tua
pena?”
Ed elli a me: "Mal volontier lo dico;
ma sforzami
la tua chiara favella,
che mi fa sovvenir del mondo antico. 54
I’ fui colui che la
Ghisolabella
condussi a far la voglia del marchese,
come che suoni la sconcia novella. 57
Ed ecco la risposta di
Venedico Caccianemico
(= dico
al nemico
di venire a caccia
–nella
mia casa): “Lo
confesso
malvolentieri,
ma mi costringe
alla risposta il tuo
accento fiorentino
che mi ricorda la
vita passata:
io forzai,
per denaro,
mia sorella
Gh-isola (= forte)
-bella a prostituirsi
al marchese (Obizzo =
fionda, lanciapietre ), questa
e` la verita`,
comunque
venga
poi
raccontata…”
E non pur io qui piango bolognese;
anzi n’è questo loco tanto pieno,
che tante lingue non son ora apprese 60
a dicer ’sipa’ tra
Sàvena e Reno;
e se di ciò vuoi fede o testimonio,
rècati a mente il nostro avaro seno". 63
“…Ma qui non sono
l’unico
bolognese
che
soffre;
qui e` pieno
di miei
concittadini,
piu` di quanti
ce ne siano
tra il Savena (= vena
d’acqua)
e il Reno (= che
scorre)
del comprensorio
bolognese ;
a prova
di
cio`, ricordati
la nostra avidita` di
denaro…”.
Così parlando il
percosse un demonio
de la sua scurïada, e disse: "Via,
ruffian! qui non son femmine da conio". 66
Il dannato
non ha finito il suo
dire che
un demonio
lo frusta dicendo: “
Via ruffiano, qui non ci sono
donne
da commerciare”. I’ mi
raggiunsi con la scorta mia;
poscia con pochi passi divenimmo
là ’v’uno scoglio de la ripa uscia. 69
Assai leggeramente
quel salimmo;
e vòlti a destra su per la sua scheggia,
da quelle cerchie etterne ci partimmo. 72
Dante si riunisce
al Maestro, in pochi
passi giungono
allo scoglio
della roccia,
(che fa da ponte)
vi salgono
e preso a destra, si
allontanano
dal cerchio. Quando noi
fummo là dov’el vaneggia
di sotto per dar passo a li sferzati,
lo duca disse: "Attienti, e fa che feggia 75
lo viso in te di
quest’altri mal nati,
ai quali ancor non vedesti la faccia
però che son con noi insieme andati". 78
Giunti al punto in cui
lo scoglio
diventa
ponte
per far passare sotto
i dannati, la Guida dice
al Discepolo:
“Sta attento
e fa in modo di
guardar e i visi di quelli che
non hai ancora
visti perché
camminavano
nella stessa nostra
direzione”.
Del vecchio ponte guardavam la traccia
che venìa verso noi da l’altra banda,
e che la ferza similmente scaccia. 81
E ’l buon maestro,
sanza mia dimanda,
mi disse: "Guarda quel grande che vene,
e per dolor non par lagrime spanda: 84
quanto aspetto reale
ancor ritene!
Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
li Colchi del monton privati féne. 87
I due
ora dal vecchio
ponte
guardano
venire
la schiera
della direzione
opposta a quella
di
Venedico,
schiera
che
parimenti all’altra
avanza
a suon di frustate;
ed ecco Virgilio
a Dante: “Guarda quel
grande
che
procede
e non sembra
piangere
per
il dolore, guarda
che
aspetto
regale!
Quello e`
Iason
(Giasone = guaritore
al bianco, che causa
malattia
al nero)
che privo` i Colchi
del vello d’oro con il coraggio
e con l’astuzia .
Ello passò per l’isola di Lenno
poi che l’ardite femmine spietate
tutti li maschi loro a morte dienno. 90
Ivi con segni e con
parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta
che prima avea tutte l’altre ingannate. 93
Lasciolla quivi,
gravida, soletta;
tal colpa a tal martiro lui condanna;
e anche di Medea si fa vendetta. 96
“…Giasone passo` per l’isola di
Lenno
(=
da lenos = lana)
dove le donne
(che, trascurate
dai
consorti
perché
punite
da Afrodite,
emanavano
cattivi
odore),
avevano
con coraggio
ma senza
pieta` ucciso
i loro mariti;
Giasone vi sedusse
la giovane
Issifile (= Ipsifile
= amata dall’alto,
regina
di Lemno ) che aveva
ingannato
le altre
donne
(lasciando in vita il
padre), e, dopo averla
messa
incinta,
l’abbandono`… per
questo
ora si trova qui e
anche
per
avere sedotto
e abbandonato
Medea
(= la guaritrice,
che
l’aveva aiutato
a conquistare
il Vello d’oro)…”
Per
l'interpretazione
cabalistica
del
mito
di 'Giasone e Medea'
v.
www.taote.it
miti.
Con lui sen va chi da tal parte
inganna; e
questo basti de la prima valle
sapere e di color che ’n sé assanna". 99
“…Con Giasone
si trovano coloro
che ingannarono
con la seduzione… ma
basta sapere
questo
della prima bolgia e
dei suoi dannati…”. Già eravam
là ’ve lo stretto calle
con l’argine secondo s’incrocicchia,
e fa di quello ad un altr’arco spalle. 102
Quindi sentimmo
gente che si nicchia
ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
e sé medesma con le palme picchia. 105
Dante
e Virgilio
sono arrivati la`
dove lo stretto sentiero
incrocia
un altro argine
e ne fa un altro
ponte, quando
sentono
altri malvagi
che, nella seconda
bolgia , gemono
e
grufolano
e si picchiano
con le proprie
mani.
Le ripe eran grommate d’una muffa,
per l’alito di giù che vi s’appasta,
che con li occhi e col naso facea zuffa. 108
Lo fondo è cupo sì,
che non ci basta
loco a veder sanza montare al dosso
de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta. 111
Qui le pareti sono
incrostate di muffa, dovuta alle esalazioni
che salgono su dal
basso, puzzolenti
e sgradevoli
agli occhi. E` tanto
il buio che per vedere
qualcosa bisogna
salire
proprio sulla
sommita` del ponte.
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi parea mosso. 114
E mentre ch’io là
giù con l’occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parëa s’era laico o cherco. 117
Giunti li`, il Viandante
vede
nella bolgia
i dannati
immersi
in uno sterco
che
pare umano. Mentre
cerca
con lo sguardo
in quella
fossa, ad un certo
punto
fissa una testa
talmente
lurida
da non essere
riconoscibile
se di
laico
(
= da greco
laikos
= del popolo,
profano) o di
chierco
(dal greco
klericos
= erede
-delle
conoscenze
dello Spirito- ).
Quei mi sgridò:
"Perché se’ tu sì gordo
di riguardar più me che li altri brutti?".
E io a lui: "Perché, se ben ricordo, 120
già t’ ho veduto coi
capelli asciutti,
e se’ Alessio Interminei da Lucca:
però t’adocchio più che li altri tutti". 123
Ed
elli allor, battendosi la zucca:
"Qua giù m’ hanno sommerso le lusinghe
ond’io non ebbi mai la lingua stucca". 126
E quel
dannato
lo rimprovera:
“Perché
fissi me piu` degli
altri, (tutti)
ugualmente
luridi?”
E Dante
a lui: “Perché
ti ricordo
quando
avevi i capelli
puliti: tu sei
Alessio
(= Alessandro
= che
si salva al bianco,
che si perde
al nero) Interminei
(= Interminelli
= fra quelli
che passano ; da
term=
passare)
da Lucca
(= dal celtico
luk = luogo
palustre ), per
questo
ti osservo”.
E quello
(vergognoso),
battendosi
il il capo:
“Le
lusinghe
di cui
non ebbi mai sazieta`
mi hanno
costretto
quaggiu` …”
Appresso ciò lo duca
"Fa che pinghe",
mi disse, "il viso un poco più avante,
sì che la faccia ben con l’occhio
attinghe 129
di quella sozza e scapigliata fante
che là si graffia con l’unghie merdose,
e or s’accoscia e ora è in piedi stante. 132
Taïde è, la puttana
che rispuose
al drudo suo quando disse "Ho io grazie
grandi apo te?": "Anzi maravigliose!". 135
E quinci sian le
nostre viste sazie".
La Guida
intanto
richiama
il Discepolo:
“ Fa` in modo
di guardare
la` davanti:
vedrai il volto
della prostituta
lurida
e spettinata
che si graffia con le
unghie
schifose ora in
piedi, ora accucciata:
e`
Taide
(=
della terra del sole, al bianco, della terra dell’ombra
al nero)
che
adulava
il suo amante
assicurandolo
di ‘meravigliose
grazie’
cioe` di essere il
suo favorito tra tutti gli altri amanti…. Ma ora (andiamo), qui
abbiamo
visto abbastanza!”.
Nel
linguaggio
cabalisico
possiamo
dire
che
il nostro
Alessio
e la nostra
Taide
interiori , cioe` gli
‘adulatori’ si producono’
in noi
quando,
mancando
di sincerita`,
ci
aduliamo,
ci incensiamo,
illudendoci
di essere superiori
agli altri,
alimentando
quindi
la nostra ‘egoita`’.
L’egoismo
e` difetto della
quelipah
(scoria) relativa
alla sephirah
Tiphereth;
e` escremento
della personalita`
e come
tale puo` essere
riutilizzato
solo
come
‘concime’,
come
tutto
cio` che
e` avariato…
|