INFERNO - CANTO XXII
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Io vidi già cavalier muover campo,
e cominciare stormo e far lor mostra,
e talvolta partir per loro scampo; 3
corridor vidi per la
terra vostra,
o Aretini, e vidi gir gualdane,
fedir torneamenti e correr giostra; 6
quando con trombe, e
quando con campane,
con tamburi e con cenni di castella,
e con cose nostrali e con istrane; 9
né già con sì
diversa cennamella
cavalier vidi muover né pedoni,
né nave a segno di terra o di stella. 12
Il Nostro si rivolge agli Aretini (=
che accaparrano, dal greco arrabon = caparra),
e racconta loro di
aver visto
cavalieri togliere
l’accampamento, iniziare un attacco, fare la parata, e anche ritirarsi
per sopravvivere; di aver visto gruppi a cavallo andare per campi e fare
incursioni,scontrarsi per tornei e gareggiare in giostre; muoversi con
trombe, campane, tamburi, segnali vari, noti o stranieri; ma non ha mai
visto muoversi ne` militari ne` navi in una qualche direzione al suono
di simile
cianamella
(=
strumento a fiato con cannula, la
trombetta
del canto XXI, v. 139).
Notiamo che questo e` il 22esimo
canto dell’inferno. Bene, che vuol dire? Nella Kabbalah il numero 22 e`
legato alla cinerah (sentiero) del ‘Folle’ o ‘Matto’, Archetipo
relativo a
all’Incomprensibile, a cio` che sfugge alla razionalita` e alla logica,
che vanifica il risultato della cinerah legata al numero 21, quella
realizzativa del ‘Mondo’, (v. in
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teatro “Archetipi”). Il ‘Folle’, dal
variopinto costume, rimette tutto in gioco, dando inizio ad un nuovo
ciclo di esperienze. Il Nostro, arrivato al termine del 21esimo canto,
con il versetto 139 ha introdotto per l’appunto questo Archetipo e qui
l’ha sviluppato.
Noi andavam
con li diece demoni.
Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa
coi santi, e in taverna coi ghiottoni. 15
Pur a la pegola era
la mia ’ntesa,
per veder de la bolgia ogne contegno
e de la gente ch’entro v’era incesa. 18
I due Pellegrini
continuano il Viaggio, scortati dai dieci demoni: proprio una bestiale
compagnia! (Ma il luogo fa la brigata): in chiesa con i santi e
all’osteria con i beoni. Tutta la cura del Discepolo e` pero` rivolta
alla
pegola,
alla pece, per vedere ogni caratteristica della bolgia
e degli ospiti li`
arrostiti
Come i dalfini,
quando fanno segno
a’ marinar con l’arco de la schiena
che s’argomentin di campar lor legno, 21
talor così, ad
alleggiar la pena,
mostrav’alcun de’ peccatori ’l dosso
e nascondea in men che non balena. 24
Come i delfini (quando
sta per scoppiare la tempesta) mostrano i dorsi ai marinai affinche` si
affrettino a mettere in salvo la nave, cosi` certi dannati mostrano a
tratti la schiena
e subito la
nascondono, per soffrire un po` meno.
E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso
stanno i ranocchi pur col muso fuori,
sì che celano i piedi e l’altro grosso, 27
sì stavan d’ogne
parte i peccatori;
ma come s’appressava Barbariccia,
così si ritraén sotto i bollori. 30
E come sull’orlo del
fosso stanno i ranocchi, mostrando i musi, mentre il resto e`
sott’acqua, cosi` li` stanno i peccatori; ma all’avvicinarsi di
Barbariccia
(= barba arruffata) si ritirano nella pece bollente.
I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia,
uno aspettar così, com’elli ’ncontra
ch’una rana rimane e l’altra spiccia; 33
e Graffiacan, che li
era più di contra,
li arruncigliò le ’mpegolate chiome
e trassel sù, che mi parve una lontra. 36
E Dante vede, e ancora
ne
accapriccia(gli
si rizzano i capelli in testa), un dannato che resta (imprudentemente)
fuori, come capita alle rane, quando una sta e l’altra va; allora
Graffiacane
(= uncinatore prostituto), il diavolo piu` vicino, (subito) lo arraffa e
lo tira su per i capelli impeciati, come se fosse una lontra. I tre
paragoni con gli animali
delfini,
ranocchi
e
lontra
hanno
gia` trasformato l’atmosfera prima cupa e tetra in un ambiente
ironico-comico grazie anche ai nomi fantastico-popolari dei diavoli non
piu` legati alla mitologia come nei cerchi precedenti.
I’ sapea già di tutti quanti ’l nome,
sì li notai quando fuorono eletti,
e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come. 39
"O Rubicante, fa che
tu li metti li
unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!",
gridavan tutti insieme i maladetti. 42
Dante conosce gia` i
nomi di tutti (i dieci diavoli di scorta)
perché li ha notati
quando sono stati scelti e inoltre ascolta attentamente mentre si
chiamano. Quei maledetti
gridano tutti insieme: “O
Rubicante
(= rossiccio) trafiggilo con i tuoi artigli e scuoialo!”
E io: "Maestro mio, fa, se tu puoi,
che tu sappi chi è lo sciagurato
venuto a man de li avversari suoi". 45
Lo duca mio li
s’accostò allato;
domandollo ond’ei fosse, e quei rispuose:
"I’ fui del regno di Navarra nato. 48
Allora chiede: “Maestro,
cerca, se puoi, di sapere chi e` il disgraziato caduto nelle mani dei
suoi nemici”. La Guida gli si accosta, gli domanda chi e`, e quello
risponde: “Sono nato nel regno di Navarra (= da nabar = grifone, rapace
con la testa di aquila e il corpo di leone)…” Mia madre a
servo d’un segnor mi puose,
che m’avea generato d’un ribaldo,
distruggitor di sé e di sue cose. 51
Poi fui famiglia del
buon re Tebaldo;
quivi mi misi a far baratteria,
di ch’io rendo ragione in questo caldo". 54
“…Mia madre, che mi ha
generato con un
ribaldo
(= dissoluto) scialacquatore e suicida, mi ha poi messo a servizio di un
signore. Piu` tardi sono entrato al seguito del buon re Tebaldo
(= ardito capo di popolo) ed ho iniziato a diventare barattiere, la
ragione per cui mi trovo qui”.
Le ribalderie vengono da Ciampolo
narrate come nobili e ammirevoli avventure, e le punizioni diventano con
lui onori e
meriti. E` costui
Ciampolo (= Gianpaolo = Giovanni = che dona al bianco, che prende al
nero; Paolo = piccolo), uno che (ironicamente) ‘prende’ poco, ma e`
anche uno ‘scampolo’ da escamp, che ‘fugge dal campo’ (per i numerosi
significati della parola ‘Campo’ v. commento alla Bhagavad Gita canto
XIII in
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testi sacri);
‘scampolo’ ricorda il
vestito multicolore della maschera di Arlecchino…e
quindi arriviamo
direttamente al nostro ‘Folle’, e
alla sua
risata che
sdrammatizza la ‘tragedia’ e la risolve in ‘commedia’. Ma non e` “La
Divina Commedia” il titolo del Poema dantesco? Esaminiamo per un momento
l’etimologia della parola ‘divino’: e` inerente al Dio, ‘deus’ in
latino, che deriva dal sanscrito ‘deva’ che vuol dire luminoso,
splendente, quindi relativo al Se`; ‘commedia’ deriva dal greco
‘komodia’: e` un
componimento teatrale
dal soggetto brillante a lieto fine. La Divina Commedia viene ad essere
una ‘Recita del Se` per il (Suo) divertimento con un finale
ottimistico...
per la verita` c’e`
parso proprio uno strano titolo; soprattutto per la prima cantica quella
infernale, dell’etterno dolore.
Il titolo avrebbe
potuto forse essere “La Divina Tragedia” a meno che… a meno che a
quell’etterno dolore
il Nostro non ci crede e vorrebbe metterci, in qualche modo, un limite,
ma non puo` ragionevolmente farlo, per non finire sul rogo per eresia, e
quindi…alla fine, ci ride sopra!
E Cirïatto, a cui di bocca uscia
d’ogne parte una sanna come a porco,
li fé sentir come l’una sdruscia. 57
Tra male gatte era
venuto ’l sorco;
ma Barbariccia il chiuse con le braccia
e disse: "State in là, mentr’io lo
’nforco". 60
E al maestro mio volse la faccia;
"Domanda", disse, "ancor, se più disii
saper da lui, prima ch’altri ’l
disfaccia". 63
Ciriatto(anguilla-squalo),
il diavolo con le zanne da porco, intanto da` una bella lacerata a
Ciampolo: il sorcio e` finito proprio tra gattacce. Ma
Barbariccia
(il capo, dalla barba arruffata) lo protegge con le braccia e (difende
la sua preda): “State lontani, mentre lo tengo”. Poi si rivolge a
Virgilio: “Se vuoi fargli altre domande, fallo ora, prima che
altri
(io stesso) lo faccia a pezzi!”.
Lo duca dunque: "Or dì: de li altri rii
conosci tu alcun che sia latino
sotto la pece?". E quelli: "I’ mi partii, 66
poco è, da un che fu
di là vicino.
Così foss’io ancor con lui coperto,
ch’i’ non temerei unghia né uncino!". 69
La Guida al dannato:
“Dimmi, conosci qualcuno, tra gli altri malvagi che stanno sotto la
pece, che sia
latino
(= italiano)?” E quello: Poco fa ne ho lasciato uno di quelle parti. O
fossi anch’io ancora la` sotto, non dovrei temere ora di esser
dilaniato!”
E Libicocco
"Troppo avem sofferto",
disse; e preseli ’l braccio col runciglio,
sì che, stracciando, ne portò un lacerto. 72
Draghignazzo
anco i volle dar di piglio
giuso a le gambe; onde ’l decurio loro
si volse intorno intorno con mal piglio. 75
Libicocco
(= frutto della libidine) dice: “ Abbiamo indugiato troppo” e gli
artiglia il braccio con l’uncino, strappandogli un brano di carne. Anche
Draghignazzo
(= ghigno di drago) cerca di colpirlo alle gambe; allora il il capo
della decina li
fulmina tutti con gli occhi. Quand’elli
un poco rappaciati fuoro,
a lui, ch’ancor mirava sua ferita,
domandò ’l duca mio sanza dimoro: 78
"Chi fu colui da cui
mala partita
di’ che facesti per venire a proda?".
Ed ei rispuose: "Fu frate Gomita, 81
quel di Gallura,
vasel d’ogne froda,
ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,
e fé sì lor, che ciascun se ne loda. 84
Come (i diavoli) si sono
un po` calmati, la Guida domanda subito al dannato che ancora si fissa
la ferita: “Chi e` quello a cui stavi vicino prima di venire per
disgrazia fuori (dalla pece)?” E quello:
“E` frate Gomita (=
da gomito, di manica larga) di Gallura (= dal fenicio gallal = altura,
ma anche ‘gallesco’), ricettacolo di ogni frode, che ebbe i nemici del
suo donno
(signore, Nino Visconti) in mano e li fece
contenti….”
Danar si tolse e lasciolli di piano,
sì com’e’ dice; e ne li altri offici anche
barattier fu non picciol, ma sovrano. 87
Usa con esso donno
Michel Zanche
di Logodoro; e a dir di Sardigna
le lingue lor non si sentono stanche. 90
Omè, vedete l’altro
che digrigna;
i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello
non s’apparecchi a grattarmi la tigna". 93
“…Ha preso da loro i
denari e li ha lasciati liberi (dopo un finto processo);
e negli uffici
pubblici e` stato davvero un ‘re’ barattiere. Vicino a lui (sotto la
pece) c’e` padron
Michel
(forza del Signore al bianco, forza dell’Avversario al nero)
Zanche
(dal tedesco scancho = gamba, zampa che ghermisce) di
Logodoro (= nel
luogo d’oro); costoro parlano sempre della loro Sardegna (= terra a
forma di sandalo, ma anche degli ‘aggiunti’) e non si stancano mai.
Ahime`, vorrei dire altro, ma gia` vedo (il diavolo) che digrigna i
denti, pronto a scorticarmi”.
Come gia` notato altre volte, nei
significati dei nomi di ogni canto possiamo ritrovare numerosi
riferimenti al vizio che vi e` descritto, in questo caso alla
‘baratteria’, al ‘prendere con cupidigia’ approfittando della carica
pubblica; perché, non lo ripeteremo mai abbastanza, ‘nomen omen’, nel
nome il destino; nel ‘nome’, nella ‘parola’ che indica una cosa o un
animale o
una persona vi ‘e`’
l’essenza della cosa, dell’animale, della persona. La ‘Parola’ e`
creativa, il pronunciare ‘la Parola’ la realizza, ed e` per questo che
bisogna sempre
riflettere bene prima di parlare.
E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello
che stralunava li occhi per fedire,
disse: "Fatti ’n costà, malvagio
uccello!". 96
E il gran capo (Barbariccia) rivolgendosi a
Farfarello
(insetto parassita) che fa gli occhiacci perché vuol uncinare il
dannato: “Levati di torno, uccellaccio maligno!”.
"Se voi volete vedere o udire",
ricominciò lo spaürato appresso,
"Toschi o Lombardi, io ne farò venire; 99
ma stieno i
Malebranche un poco in cesso,
sì ch’ei non teman de le lor vendette;
e io, seggendo in questo loco stesso, 102
per un ch’io son, ne
farò venir sette
quand’io suffolerò, com’è nostro uso
di fare allor che fori alcun si mette". 105
Quello che sembrava
impaurito (ma non tanto, visto che sa giudicare assai furbescamente la
situazione) continua il discorso: “Se volete vedere e ascoltare Toscani
e Lombardi, io ve li faccio venire qui; ma i diavoli uncinanti (e
malintenzionati) si facciano da parte un poco,
cosi` che essi non
debbano temerne gli assalti; io aspettero` proprio qui, fischiando li
faro` uscire dalla pece, come facciamo di solito quando qualcuno viene
fuori (eludendo la sorveglianza dei demoni)...”
La situazione e` assolutamente
comica: questo dannato non solo fa intendere che sotto la pece lui e i
suoi compagni fanno ‘la bella vita’ e si distraggono ricordando i bei
tempi andati, ma che spesso vengono ‘fuori’ a prendere aria, in barba ai
vari ‘Barbariccia
di turno…e tanta
e` la sua furba sfacciataggine che alla fine riesce nel suo intento di
evitare ‘gli uncini’.
Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,
crollando ’l capo, e disse: "Odi malizia
ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!". 108
Ond’ei, ch’avea
lacciuoli a gran divizia,
rispuose: "Malizioso son io troppo,
quand’io procuro a’ mia maggior
trestizia". 111
Cagnazzo
(=prostituto spregevole) a quelle parole alza il muso e scrollando la
testa dice: “Senti che furbizia si e` inventato questo per buttarsi
nella pece (e sfuggirci)!” E quello, sempre ricco di tanti inganni
risponde: “ La mia malizia procurera` ai miei (compagni) grande
sofferenza (e a voi gran divertimento)!”
Alichin non si tenne e, di rintoppo
a li altri, disse a lui: "Se tu ti cali,
io non ti verrò dietro di gualoppo, 114
ma batterò sovra la
pece l’ali.
Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,
a veder se tu sol più di noi vali". 117
Alichino
(= dalle ali deformi) non si trattiene e, contro gli altri, accetta la
sfida: i diavoli si nasconderanno ma, se tenta la fuga, lui gli
volera` sopra, e si
vedra` chi vale di piu`.
O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
ciascun da l’altra costa li occhi volse,
quel prima, ch’a ciò fare era più crudo. 120
Lo Navarrese ben suo
tempo colse;
fermò le piante a terra, e in un punto
saltò e dal proposto lor si sciolse. 123
Chi legge udra` di una
nuova gara: i diavoli non fanno in tempo a girare gli occhi verso
l’altra riva, primo fra tutti quello contrario alla sfida (Cagnazzo),
che gia` Ciampolo, svincolatosi dal gran capo (Barbariccia) messe le
piante a terra, salta nella bolgia.
Di che ciascun di colpa fu compunto,
ma quei più che cagion fu del difetto;
però si mosse e gridò: "Tu se’ giunto!". 126
Ma poco i valse: ché
l’ali al sospetto
non potero avanzar; quelli andò sotto,
e quei drizzò volando suso il petto: 129
non altrimenti
l’anitra di botto,
quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa,
ed ei ritorna sù crucciato e rotto. 132
Tutti i diavoli si
dispiacciono dell’errore, e piu` di tutti
Alichino
che ha accettato la sfida, quindi si precipita dietro al dannato
dicendo: “Ti prendo!”, ma invano, che quello, rapidissimo per la paura,
e` gia` sotto; poi il diavolo torna su, come fa il falcone che insegue
l’anitra e rientra arrabbiato e stanco, perché quella si e` tuffata
nell’acqua e lui l’ha perduta.
Irato
Calcabrina de la buffa,
volando dietro li tenne, invaghito
che quei campasse per aver la zuffa; 135
e come ’l barattier
fu disparito,
così volse li artigli al suo compagno,
e fu con lui sopra ’l fosso ghermito. 138
Calcabrina
(= che cammina come se pestasse il ghiaccio = dai piedi deformi) irato
per la sconfitta, gli va dietro, contento che Ciampolo sia ‘scampato’,
per potersi azzuffare con
Alichino,
e appena quello e`
sparito, artiglia il suo compare, abbrancandolo proprio sul fosso.
Ma l’altro fu bene sparvier grifagno
ad artigliar ben lui, e amendue
cadder nel mezzo del bogliente stagno. 141
Lo caldo sghermitor
sùbito fue; ma
però di levarsi era neente,
sì avieno inviscate l’ali sue. 144
Ma l’altro diavolo e`
pure feroce
sparviero,
e lo artiglia anche lui: insieme cadono nello stagno bollente. Il calore
li separa subito, ma (i due) non possono uscire, hanno le ali
invischiate nella pece.
Barbariccia, con li altri suoi dolente,
quattro ne fé volar da l’altra costa
con tutt’i raffi, e assai prestamente 147
di qua, di là
discesero a la posta;
porser li uncini verso li ’mpaniati,
ch’eran già cotti dentro da la crosta. 150
E noi lasciammo lor
così ’mpacciati.
Barbariccia
dispiaciuto come tutti gli altri diavoli (per come sono andate le cose),
dalla costa opposta, ne fa scendere quattro con gli uncini, cosi`
questi, disponendosi ai lati, porgono i rostri ai due invischiati, gia`
cotti nella pece. Nella confusione intanto, i due Viandanti si
allontanano…
Se dovessimo interpretare un sogno in
cui sono descritte le avventure narrate in questo canto, per prima cosa
gli daremmo come titolo il versetto 15: “…In taverna coi ghiottoni”, che
riassume ‘l’operazione’ che si svolge nel canto 22esimo. Ovviamente
consideriamo
‘parola-chiave’,
utile per penetrare il significato nascosto del sogno, il nome del
protagonista del canto (Ciampolo)
di Navarra
(= scampolo di grifone) e i nomi dei diavoli, suoi nemici, con i loro
significati, eccoli in ordine di entrata in azione: 1
Barbariccia
(dalla barba
arruffata: la barba dovrebbe ornare il mento, simbolo di volonta`;
arruffata, indica confusione e disordine), 2
Graffiacane
(uncinatore
prostituto, il termine cane, indica chi fa traffico del proprio corpo),
3 Rubicante pazzo
(rossiccio
matto, rosso e` il
colore dell’ira), 4
Cirïatto
sannuto
(anguilla con le
zanne, l’anguilla e`viscida e infida), 5
Libicocco
(frutto della
libidine, coccola di brama sessuale sfrenata),
6
Draghignazzo
(sghignazzo
di drago, spregevole
insolenza della forza), 7
Farfarello
(farfaro e` un
insetto parassita dell’uva, e per estensione, nemico del vino, simbolo
di redenzione), 8
Cagnazzo
(prostituto cattivo,
spregevole), 9
Alichino
(dalle ali deformi,
che vola male), 10
Calcabrina
(che cammina come se
pestasse il ghiaccio, dai piedi deformi, che cammina male). Per le
attribuzioni cabalistiche v. commento al canto
XXI, vv. 118-123. Il
sognatore (Dante con la sua Guida, la Ragione) ci
racconta il sogno,
testimone che
accapriccia
quando vede il ‘dannato’
arrucigliato.
Abbiamo attribuito a questo canto l’Archetipo del ‘Folle’, del Matto,
perché in esso, per la prima volta, un peccatore sfida i suoi aguzzini e
li vince, sovvertendo l’infernale ordine
consueto. E` questa
la trasgressione alla norma, l’eccezione che conferma la regola, che si
snoda in
dieci tappe,
ogni tappa la
disfatta di una qelipah, che diverte e ‘libera’ il sognatore-testimone.
Alcuni commentatori dicono che egli non partecipi emotivamente
alla riuscita della
beffa, ma l’arguzia e la vivacita` di Ciampolo ce ne fanno dubitare, a
noi sembra proprio che Dante goda molto sottilmente della sconfitta dei
diavoli. E poiche` nel sogno (e nei poemi) noi siamo tutti, ma proprio
tutti
i personaggi sognati,
ed anche tutti i nostri problemi, in Ciampolo vittima, come dicono i
commentatori, certamente il sognatore proietta il Dante condannato
ingiustamente per ‘baratteria’ e nei dieci diavoli i giudici che l’hanno
condannato (nel 1303, i Priori di parte Nera) e li mette alla berlina,
ma poiche` egli e` anche tutti i i suoi giudici, allora i significati di
quei nomi vengono a caratterizzare le qelipoth del suo albero nero che
egli ‘punisce’ o meglio purifica con la ‘risata’ ad uno ad uno, e, man
mano che li sogna, se ne libera, fino alla loro dissoluzione nell’ultima
parola del canto:
imp(a)ecciati
che li confonde per sempre con la
pece
della bolgia. Poi passa oltre.
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