INFERNO - CANTO XXIII


Dall’Edizione integrale a cura di
Pietro Cataldi e Romano Luperini ed. Le Monnier Scuola
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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Taciti, soli, sanza compagnia
n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
come frati minor vanno per via. 3

Vòlt’era in su la favola d’Isopo
lo mio pensier per la presente rissa,
dov’el parlò de la rana e del topo; 6

ché più non si pareggia ’mo’ e ’issa’
che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia
principio e fine con la mente fissa. 9
Silenti, in solitudine, senza scorta, i Pellegrini si allontanano, l’uno dietro l’altro, come fanno i frati minori in cammino. La rissa a cui ha appena assistito ricorda al Nostro la favola di Esopo della rana e del topo: (una rana finge di aiutare un topo a guadare uno stagno legandolo a se` per una zampa, in realta` vuole affogarlo, ma a meta` strada, un falco li afferra e li divora entrambi). La favola e la rissa sono simili come le parole ‘adesso’ e ‘ora’ se si guarda bene all’inizio e alla fine della vicenda: (Calcabrina ha finto di aiutare Alichino, ma voleva solo azzuffarsi con lui, poi entrambi sono finiti nella pece bollente).
E come l’un pensier de l’altro scoppia,
così nacque di quello un altro poi,
che la prima paura mi fé doppia. 12

Io pensava così: ’Questi per noi
sono scherniti con danno e con beffa
sì fatta, ch’assai credo che lor nòi. 15
 

Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa,
ei ne verranno dietro più crudeli
che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’. 18
Come da un pensiero ne scaturisce un altro, cosi` da quel paragone nella mente del Discepolo
nasce un’altra idea che ne raddoppia la paura: “Questi diavoli sono stati, a causa nostra, assai beffati, il che sicuramente li ha molto indispettiti. Se la rabbia si aggiunge alla cattiveria, ci inseguiranno piu` crudeli  del cane che insegue la lepre per azzannarla”.
Già mi sentia tutti arricciar li peli
de la paura e stava in dietro intento,
quand’io dissi: "Maestro, se non celi 21

te e me tostamente, i’ ho pavento
d’i Malebranche. Noi li avem già dietro;
io li ’magino sì, che già li sento". 24
Il Pellegrino gia` si sente tutti i peli ritti per il timore e, mentre si guarda le spalle, dice: “ Maestro, nascondiamoci presto: temo i Malebranche. Li abbiamo dietro; io li immagino e gia` li avverto”.
E quei: "S’i’ fossi di piombato vetro,
l’imagine di fuor tua non trarrei
più tosto a me, che quella dentro ’mpetro. 27

Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei,
con simile atto e con simile faccia,
sì che d’intrambi un sol consiglio fei. 30

S’elli è che sì la destra costa giaccia,
che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,
noi fuggirem l’imaginata caccia". 33
 
Già non compié di tal consiglio rendere,
ch’io li vidi venir con l’ali tese
non molto lungi, per volerne prendere. 36
E la Guida a lui: “Se io fossi uno specchio non rifletterei la tua immagine esteriore cosi` in fretta come penetro quella interiore. Il tuo pensiero e` entrato nel mio e sono cosi` simili che ne ho ricavato un’unica decisione. Ma se  e` vero che la costa qui e` spaccata, possiamo scendere nell’altra bolgia ed evitare l’imaginata caccia, (cioe` di fare da preda ai diavoli)”. La Guida ha appena detto questo che subito il Viandante vede poco lontano i demoni, venire ad ali spiegate, pronti alla cattura.
Lo duca mio di sùbito mi prese,
come la madre ch’al romore è desta
e vede presso a sé le fiamme accese, 39

che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
avendo più di lui che di sé cura,
tanto che solo una camiscia vesta; 42

e giù dal collo de la ripa dura
supin si diede a la pendente roccia,
che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura. 45
A quella vista il Maestro afferra il Discepolo  e scende supino, (giacendo sulla schiena)  con lui giu`, lungo l’argine che chiude la (sesta bolgia),  come fa una madre che, svegliatasi per il rumore delle fiamme, vestita solo della camicia, prende su il figlio e fugge e non si ferma, avendo piu` cura di lui che di se`.
Non corse mai sì tosto acqua per doccia
a volger ruota di molin terragno,
quand’ella più verso le pale approccia, 48

come ’l maestro mio per quel vivagno,
portandosene me sovra ’l suo petto,
come suo figlio, non come compagno. 51
L’acqua che si usa per far girare le pale di un mulino di terraferma, non scese mai cosi` rapida come il Maestro su quell’orlo di costone, portandosi il Discepolo stretto al petto come un figlio e non come un compagno. 
A pena fuoro i piè suoi giunti al letto
del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle
sovresso noi; ma non lì era sospetto: 54

ché l’alta provedenza che lor volle
porre ministri de la fossa quinta,
poder di partirs’indi a tutti tolle. 57
Appena i due sono arrivati giu`, ecco sull’altura apparire il gruppo dei diavoli, ma ormai senza pericolo: la Provvidenza che li volle custodi della quinta bolgia vieta loro di uscirne.
Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta. 60

Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
che in Clugnì per li monaci fassi. 63
In fondo alla sesta bolgia ci sono dannati dipinti (color oro), che vanno in giro a passi lenti, e piangono stanchi e abbattuti. Hanno mantelli (assai grandi) con il cappuccio basso davanti agli occhi  come quelli che usano i monaci di Cluny  (abbazia benedettina di clausura).
Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
che Federigo le mettea di paglia. 66

Oh in etterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
con loro insieme, intenti al tristo pianto; 69

ma per lo peso quella gente stanca
venìa sì pian, che noi eravam nuovi
di compagnia ad ogne mover d’anca. 72
I mantelli sono dorati fuori, abbaglianti, e dentro di pesantissimo piombo, come quelli usati da Federico II ( di Svevia, per suoi nemici, prima di dar loro fuoco - leggenda ritenuta falsa-). O terribile manto origine di fatica per l’eternita`! I Pellegrini si accompagnano sulla sinistra ai peccatori piangenti, ma questi sono cosi` lenti, a causa del peso che portano, che rimangono sempre indietro e i due ad ogni passo hanno sempre nuovi compagni.

Sono puniti nella sesta bolgia dell’ottavo cerchio gli ipocriti, in particolare vengono qui condannati uomini di chiesa, sacerdoti e frati, che in vita sono stati ‘falsi dottori’; essi sono  costretti per contrappasso a portare una maschera di finzione, dorata all’esterno e oscura e pesante all’interno, la stessa che nella vita ha coperto il loro vero comportamento interessato e peccaminoso, ammantato ‘fuori’ di falsa saggezza e bonomia. Nella Kabbalah il vizio dell’ipocrisia compete la qelipah che e` scoria e inversione della sephirah Chesed (Giustizia) relativa al Potere, alla Maesta`, all’Ordine, alla Responsabilita`. Noi diventiamo ‘ipocriti’(= dal greco hupokrites, attore)  con noi stessi quando ci recitiamo la parte, quando ci sentiamo belli e buoni e ci nascondiamo i nostri difetti, quando ‘puliamo il nostro bicchiere e il nostro piatto all’esterno e non badiamo a quello che c’e` dentro’ (cfr.. Commento al Vangelo di Matteo cap. 23 in www.taozen.it  testi sacri); e quando ‘vediamo la pagliuzza nell’occhio del fratello e non vogliamo vedere il trave che e` nel nostro’ (Mt. 7, 3-5).   Nel sogno ‘il mantello’ o ‘la cappa’ sono simboli di dissimulazione: coprono cio` che si vuol nascondere agli altri o a se stessi: un ‘abito’ (= un’ abitudine) non in ordine o una deformita` vergognosa (una distorsione) sul piano mentale; oppure un impellente necessita` di protezione o calore, quindi una carenza, sul piano astrale. Se il ‘mantello’ che protegge e` oro solo fuori e piombo dentro, e` falso, e prima o poi diventera` assai pesante da portare, percio` deve essere senza’altro dismesso. Tradire se stessi o gli altri non conviene mai, e se apparentemente all’inizio ci sembra vantaggioso, in breve le conseguenze saranno disastrose.
Per ch’io al duca mio: "Fa che tu trovi
alcun ch’al fatto o al nome si conosca,
e li occhi, sì andando, intorno movi". 75

E un che ’ntese la parola tosca,
di retro a noi gridò: "Tenete i piedi,
voi che correte sì per l’aura fosca! 78

Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi".
Onde ’l duca si volse e disse: "Aspetta,
e poi secondo il suo passo procedi". 81
Il Discepolo chiede alla sua Guida: “Cerca di trovare  (tra questi) uno che conosciamo e che, con gli occhi, dia segno di volerci parlare” Ed ecco che uno, udita la lingua fiorentina, da dietro grida:  “Fermatevi, voi che andate cosi` in fretta per questo luogo oscuro (triste), io forse potro` accontentarvi”. Il Maestro si volta e dice: “Aspettalo, e accorda poi il tuo passo al suo”.
Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
de l’animo, col viso, d’esser meco;
ma tardavali ’l carco e la via stretta. 84

Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco
mi rimiraron sanza far parola;
poi si volsero in sé, e dicean seco: 87

"Costui par vivo a l’atto de la gola;
e s’e’ son morti, per qual privilegio
vanno scoperti de la grave stola?". 90
Il Discepolo allora si ferma e vede due mostrar gran desiderio di raggiungerlo, ma andar piano per il peso e la via stretta, disagevole. Appena giunti, lo guardano, ammirati e biechi (bieco = storto) e intanto dicono fra di loro: “Costui par vivo dal movimento della gola (dal respiro): ma se (entrambi) sono morti, per quale privilegio non hanno la ‘cappa’ (come noi)?”
Poi disser me: "O Tosco, ch’al collegio
de l’ipocriti tristi se’ venuto,
dir chi tu se’ non avere in dispregio". 93

E io a loro: "I’ fui nato e cresciuto
sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,
e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto. 96

Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
quant’i’ veggio dolor giù per le guance?
e che pena è in voi che sì sfavilla?". 99
Poi rivolti al Pellegrino: “ O Toscano, che sei arrivato nella compagnia degli infelici ipocriti, dicci chi sei, se non ti reca dispiacere. E Dante a loro: “Sono nato e cresciuto nella grande citta` (Firenze = che fiorisce) del bel fiume chiamato Arno  e sono (ancora vivo) nel mio corpo fisico. Ma voi chi siete, che piangete tanto? E qual’e` la condanna che vi fa cosi` splendenti?”
E l’un rispuose a me: "Le cappe rance
son di piombo sì grosse, che li pesi
fan così cigolar le lor bilance. 102

Frati godenti fummo, e bolognesi;
io Catalano e questi Loderingo
nomati, e da tua terra insieme presi 105

come suole esser tolto un uom solingo,
per conservar sua pace; e fummo tali,
ch’ancor si pare intorno dal Gardingo". 108


 Io cominciai: "O frati, i vostri mali...";
ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse
un, crucifisso in terra con tre pali. 111
E uno dei due risponde: “ (Piangiamo) per le cappe color oro, rese pesantissime dal piombo, come le bilance sono rese cigolanti dai pesi. Noi fummo frati, (detti per scherno) gaudenti, bolognesi (di Bologna, ma anche termine usato per chi non fa il suo dovere, ed e`falso); io mi chiamo Catalano (= cata, dal greco katalogos, scegliere; e  lano da una radice wele, strappare, percio` che ha scelto la rottura, la lacerazione); questi (accanto a me) si chiama Loderingo (= che loda la rissa; ringo, dallo spagnolo reganar, ghignare, rissare); fummo eletti nella tua citta` come pacieri (tra Guelfi e Ghibellini ma favorimmo i primi e fecemmo distruggere la casa degli Uberti) fummo cosi` ingiusti  che ancora se ne parla nella localita` del Gardingo (= guardingo, rocca, ma anche gar, zampa; dingo, denaro, della zampa che prende il denaro)”.  Dante sta per risponder ai frati, quando scorge uno crocifisso a terra con tre pali allora si interrompe.
Quando mi vide, tutto si distorse,
soffiando ne la barba con sospiri;
e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse, 114

mi disse: "Quel confitto che tu miri,
consigliò i Farisei che convenia
porre un uom per lo popolo a’ martìri. 117

Attraversato è, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed è mestier ch’el senta
qualunque passa, come pesa, pria. 120
Il dannato crocifisso, sentendosi osservato dal Pellegrino, soffiando e sospirando si storce tutto. Intanto il frate Catalano che se ne e` accorto, spiega: “Quel dannato crocifisso che guardi e`il sacerdote (Caifa = vero profeta al bianco, falso profeta al nero) che suggeri` (per politica) ai Farisei (= i separati, i puri) di far condannare per il bene del popolo un uomo al martirio (Gesu`, il Cristo). E` messo nudo di traverso sul (nostro) cammino, e quindi chiunque passa, gli grava sopra…”

E a tal modo il socero si stenta
in questa fossa, e li altri dal concilio
che fu per li Giudei mala sementa". 123

Allor vid’io maravigliar 
Virgilio
sovra colui ch’era disteso in croce
tanto vilmente ne l’etterno essilio. 126
“…Allo stesso modo (nella sesta bolgia) sono puniti il suocero di Caifa, (Anna = benefico al bianco, malefico al nero) e gli altri sacerdoti componenti il concilio (assemblea, sinedrio) che fu causa (della morte di Gesu`), origine di tanti mali per i Giudei”. Dante nota intanto la meraviglia di Virgilio (che non aveva potuto scorgere quel dannato nella precedente discesa all’inferno - canto IX vv. 22-27) alla vista di quel crocifisso (calpestato da tutti gli ipocriti)…
Poscia drizzò al frate cotal voce:
"Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
s’a la man destra giace alcuna foce 129

onde noi amendue possiamo uscirci,
sanza costrigner de li angeli neri
che vegnan d’esto fondo a dipartirci". 132
La Guida poi chiede a Catalano: “Se vi e` permesso, potreste dirci se a destra c’e` un passaggio per uscire di qui senza chiedere aiuto ai diavoli?”
Rispuose adunque: "Più che tu non speri
s’appressa un sasso che da la gran cerchia
si move e varca tutt’i vallon feri, 135

salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;
montar potrete su per la ruina,
che giace in costa e nel fondo soperchia". 138
E quello: “ Qui vicino c’e` un ponte di roccia che unisce tutte le bolge, solo in questa e` rotto, ma potete risalire per la frana che e` accumulata sul fondo”.
Lo duca stette un poco a testa china;
poi disse: "Mal contava la bisogna
colui che i peccator di qua uncina". 141

E ’l frate: "Io udi’ già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’
ch’elli è bugiardo e padre di menzogna". 144
La Guida rimane un po` col capo chino, poi dice: “Il diavolo (Barbariccia) che uncina i peccatori nella quinta bolgia (allora)  ha mentito”. E il frate: “A Bologna (= citta` di ipocriti) ho udito dire che il diavolo e` pieno di vizi, soprattutto che e` bugiardo e padre di menzogna”.  (Possibile che la Ragione non capisca questo?)
Appresso il duca a gran passi sen gì,
turbato un poco d’ira nel sembiante;
ond’io da li ’ncarcati mi parti’ 147

dietro a le poste de le care piante.

Subito dopo Virgilio, all’aspetto alquanto irato,  si allontana, e  il Discepolo, lasciati i dannati dalle pesanti cappe, lo segue.

In questo canto sono caratterizzati due tipi di ‘ipocriti’: quelli che nuocciono alla patria fingendo di favorire il bene pubblico (i frati gaudenti), e quelli che sacrificano la Spiritualita`  per la difesa di una finta fede (i Caifa-Anna). Interiorizzare queste particolari ipocriti vuol dire riconoscere i nostri ‘frati gaudenti’ e i nostri ‘Caifa-Anna’. I primi  sono quelle componenti energetiche astrali (sentimentali, del piano yetziratico) che ci spingono in un momento di conflitto a favorire la guerra interna piuttosto che la pace, il disordine piuttosto che l’ordine, proprio per il gusto della lacerazione (v. Catalano) e della rissa (v. Loderingo); i secondi sono quelle componenti energetiche mentali (del piano briatico) che, per paura di perdere le loro sicurezze e i loro privilegi difendono  vecchie  e superate conoscenze,  rifiutando di aprire la porta alla Verita` che si offre loro e che, una volta accettata, potrebbe permettere la discesa dello Spirito (della Divina Shekinah). La cosa piu` riprovevole e` che sia le prime che le seconde, come i ‘frati gaudenti’ e come i ‘Caifa-Anna’,  ‘sanno’ perfettamente quello che fanno e continuano a farlo.



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