INFERNO - CANTO XXIV
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
www.taote.it
www.taozen.it
www.teatrometafisico.it
In quella parte del giovanetto anno
che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra
e già le notti al mezzo dì sen vanno, 3
quando la brina in
su la terra assempra
l’imagine di sua sorella bianca,
ma poco dura a la sua penna tempra, 6
lo villanello a cui
la roba manca,
si leva, e guarda, e vede la campagna
biancheggiar tutta; ond’ei si batte l’anca, 9
ritorna in casa, e
qua e là si lagna,
come ’l tapin che non sa che si faccia;
poi riede, e la speranza ringavagna, 12
veggendo ’l mondo
aver cangiata faccia
in poco d’ora, e prende suo vincastro
e fuor le pecorelle a pascer caccia. 15
Quando il sole e` nel segno zodiacale
dell’Acquario (21 genn.-21 febb.) in cui le notti cominciano ad essere
piu` brevi, la brina, che dura poco, (imbiancando il terreno, spesso)
imita la sorella neve; allora il contadinello povero, appena alzato,
vedendo la campagna tutta bianca, si batte l’anca,
rientra in casa e si lamenta e non sa che fare, ma poi ritorna fuori e
vede che in meno di un’ora il paesaggio e` tutto cambiato, cosi`
speranzoso, prende il suo bastone e porta le pecore al pascolo.
Così mi fece sbigottir lo mastro
quand’io li vidi sì turbar la fronte,
e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro; 18
ché, come noi
venimmo al guasto ponte,
lo duca a me si volse con quel piglio
dolce ch’io vidi prima a piè del monte. 21
Allo stesso modo
stupisce il Discepolo, vedendo il Maestro tanto turbato; ma altrettanto
presto si tranquillizza, quando, giunti al ponte rovinato, lo vede
tornato sereno, come lo era prima, ai piedi del colle (all’inizio del
Viaggio).
Da un punto di vista
interiorizzato come possiamo considerare l’ira di Virgilio, della
Ragione? Virgilio si e` arrabbiato con se stesso perché ha creduto alle
parole di Barbariccia. Malgrado la sua esperienza, si e` lasciato
ingannare da un ‘diavolo’. Che sarebbe accaduto se, senza la sceneggiata
di Ciampolo, i dieci diavoli avessero davvero scortato i due Pellegrini
nel passaggio dalla quinta alla sesta bolgia? Sicuramente qualche tiro
mancino da parte loro…Quello che la Ragione deve imparare e` che ai
‘diavoli’, alle componenti dell’albero nero, non bisogna
mai
credere; qualunque loro offerta, sia pure la piu` innocente e
apparentemente generosa, deve essere rifiutata. Compito della Ragione e`
quello di guidare la personalita` nella Ricerca sul Sentiero, ma
soprattutto vigilare (= virgiliare) che la vigilanza non venga meno;
credendo al ‘diavolo’ Virgilio ha disatteso il suo compito, dimostrando
che anche la miglior Ragione umana e` fragile e soggetta all’errore.
Tuttavia prenderne coscienza significa anche imparare l’umilta`. Le braccia
aperse, dopo alcun consiglio
eletto seco riguardando prima
ben la ruina, e diedemi di piglio. 24
E come quei
ch’adopera ed estima,
che sempre par che ’nnanzi si proveggia,
così, levando me sù ver’ la cima 27
d’un ronchione,
avvisava un’altra scheggia
dicendo: "Sovra quella poi t’aggrappa;
ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia". 30
Virgilio apre le
braccia, guarda bene la frana, e poi afferra Dante. E come quello che
agisce e riflette, prevedendo ogni cosa, cosi`, gia` guardando un'altra
scheggia,
lo alza dicendo: “Aggrappati a quella roccia, ma prima assicurati che
regga”.
Non era via da
vestito di cappa,
ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,
potavam sù montar di chiappa in chiappa. 33
E se non fosse che
da quel precinto
più che da l’altro era la costa corta,
non so di lui, ma io sarei ben vinto. 36
Non e` certo percorso da
abiti di gala, i due a fatica salgono: uno, (il Maestro) assai lieve,
l’altro, (il Discepolo) da lui spinto. E questo pensa di avercela fatta,
a salire, solo perché l’argine (che devono raggiungere) e` piu` basso di
quello (della bolgia) precedente.
Ma perché Malebolge inver’ la porta
del bassissimo pozzo tutta pende,
lo sito di ciascuna valle porta 39
che l’una costa
surge e l’altra scende;
noi pur venimmo al fine in su la punta
onde l’ultima pietra si scoscende. 42
La
lena m’era del polmon sì munta
quand’io fui sù, ch’i’ non potea più oltre,
anzi m’assisi ne la prima giunta. 45
Ma poiche` le
Malebolge
pendono tutte verso il centro del pozzo infernale, avviene che (per ogni
fossa) una costa e` piu` alta e l’altra piu` bassa. I due arrivano cosi`
all’argine dove inizia la successiva discesa. Il Pellegrino, arrivato
su, rimasto semza fiato, non potendone piu`, si siede.
"Omai convien che tu
così ti spoltre",
disse ’l maestro; "ché, seggendo in piuma,
in fama non si vien, né sotto coltre; 48
sanza la qual chi
sua vita consuma,
cotal vestigio in terra di sé lascia,
qual fummo in aere e in acqua la schiuma. 51
“Conviene che tu ti
liberi della pigrizia” dice il Maestro, “non si giunge alla
fama
(dal
sanscrito bha-mi = splendo) cioe` allo splendore e alla grandezza,
poltrendo; e chi non l’ottiene e` simile al fumo o alla schiuma che si
disperdono nell’aria e nell’acqua…” E però leva
sù; vinci l’ambascia
con l’animo che vince ogne battaglia,
se col suo grave corpo non s’accascia. 54
Più lunga scala
convien che si saglia;
non basta da costoro esser partito.
Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia". 57
“Percio` tirati su;
vinci la fatica con la forza dell’animo che supera ogni ostacolo, se non
si fa prostrare
col
(= dal)
corpo.
Dovremo salire ancora molto (ascendere il colle del purgatorio), non
basta essersi allontanati da
quelli (gli
ipocriti); se comprendi, fa tesoro (delle mie parole)”.
La ponderatezza e` la
qualita` peculiare della Ragione. Nelle difficolta` del Sentiero
iniziatico tutto va calcolato con oculatezza e precisione, anche un
‘attardarsi’, un riposo fuori luogo (come gia`detto nel canto I,
vv.27-30) puo` divenire ostacolo insormontabile, ma se la personalita`
obbedisce in tutto alla sua maestra, la Ragione, il Viaggio
puo`continuare senza gravi impedimenti.
Leva’ mi allor, mostrandomi fornito
meglio di lena ch’i’ non mi sentia,
e dissi: "Va, ch’i’ son forte e ardito". 60
Su per lo scoglio
prendemmo la via,
ch’era ronchioso, stretto e malagevole,
ed erto più assai che quel di pria. 63
Alla sollecitazione del
Maestro il Nostro risponde con le parole e con i fatti: si alza subito,
mostrando piu`
lena,
piu` vigore di quanto realmente non abbia, e intanto dice: “Andiamo
avanti, sono forte e coraggioso”. Si incamminano dunque per la salita,
rocciosa, stretta, faticosa e assai piu` ripida della precedente. Parlando
andava per non parer fievole;
onde una voce uscì de l’altro fosso,
a parole formar disconvenevole. 66
Non so che disse,
ancor che sovra ’l dosso
fossi de l’arco già che varca quivi;
ma chi parlava ad ire parea mosso. 69
Il Nostro, per non
sembrare
fievole
(fiacco), mentre cammina, continua a discorrere; ed ecco che dalla nuova
bolgia, la settima, si ode un vocìo incomprensibile. Dante non riesce a
a capire (le parole), benche` sia gia`giunto in cima al ponte che
sovrasta quel fosso: chi parla sembra in movimento.
Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi
non poteano ire al fondo per lo scuro;
per ch’io: "Maestro, fa che tu arrivi 72
da l’altro cinghio e
dismontiam lo muro;
ché, com’i’ odo quinci e non intendo,
così giù veggio e neente affiguro". 75
Il Discepolo guarda
nella fossa, ma non vede nulla per l’oscurita`, percio` chiede al
Maestro di arrivare fino all’altro ponte e di scendere poi da quella
parte, perché da dove si trovano sente (qualcosa) ma non capisce,
guarda, ma non scorge niente.
"Altra risposta", disse, "non ti rendo
se non lo far; ché la dimanda onesta
si de’ seguir con l’opera tacendo". 78
Noi discendemmo il
ponte da la testa
dove s’aggiugne con l’ottava ripa,
e poi mi fu la bolgia manifesta: 81
e vidivi entro
terribile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa. 84
E il Maestro: “La mia
risposta e` agire; perché una richiesta giusta deve essere favorita col
silenzio”. I due scendono il ponte dalla parte che lo collega all’ottava
bolgia, ed ecco apparire
il nuovo spettacolo:
una terribile ammucchiata di serpenti di tanti generi diversi, il cui
solo pensiero sconvolge il sangue. Più non si
vanti Libia con sua rena;
ché se chelidri, iaculi e faree
produce, e cencri con anfisibena, 87
né tante pestilenzie
né sì ree
mostrò già mai con tutta l’Etïopia
né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. 90
Non si vanti della sua
sabbia la
Libia
(=
terra del deserto),
che produce tanti assortiti serpenti (chelidri
= testuggini d’acqua;
iaculi
= serpenti saettatori;
faree
= serpenti che si ergono e lasciano il solco;
cencri
= serpenti maculati;
anfisibeni
= serpenti a due teste), perché ne` insieme all’Etiopia
(= terra di quelli che hanno i volti di fuoco), ne` insieme alla terra
del
Mar Rosso
(= dall’ebraico yam-suf = del mare di canne), ha mai generato tante
bestie cosi` pestifere e velenose.
Tra questa cruda e tristissima copia
corrëan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia: 93
con serpi le man
dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate. 96
In mezzo ai tanti
rettili crudeli e portatori di indicibili sofferenze, correvano i
dannati nudi e spaventati, senza speranza di rifugio o di rimedio
(elitropia
= pietra magica, che rende
invisibili). I serpenti tengono loro legate le mani dietro la schiena, e
riescono con la coda e la testa sul davanti, annodandosi sull’addome.
Sono puniti in questa settima
bolgia i ladri. Il
serpente e` il simbolo del loro vizio. Esso colpisce a tradimento, come
il ladro nuoce di nascosto; la sua astuzia e` caratteristica di chi
agisce insidiosamente. Ai ladri vengono qui legate le mani che furono
usate per rubare.
Nella Kabbalah
corrisponde al vizio del furto la qelipah che e` buccia, scoria, della
sephirah Hod (Splendore), le cui virtu` sono l’Intelligenza, l’Onesta`,
la Veridicita`, la Scienza, la Ragione, che fanno parte della
sfera di competenza
di Ermes-Mercurio, messaggero degli dei, protettore dei commerci e dei
viaggi.
Ed ecco a un ch’era
da nostra proda,
s’avventò un serpente che ’l trafisse
là dove ’l collo a le spalle s’annoda. 99
Né O sì tosto mai né
I si scrisse,
com’el s’accese e arse, e cener tutto
convenne che cascando divenisse; 102
e poi che fu a terra
sì distrutto,
la polver si raccolse per sé stessa
e ’n quel medesmo ritornò di butto. 105
Ecco la descrizione
della parte piu` orrenda della pena: un serpente si avventa su un
dannato vicino ai due Pellegrini, lo morde sull’occipite, tra il collo e
la testa. Mai vocali come la ‘O’
o la ‘I’
sono state scritte in tanta fretta come cio` che
avviene al peccatore:
(subito) si incendia, brucia, diventa cenere, poi una volta incenerito,
la polvere si raccoglie e lo riforma di
butto
(= di getto, di botto).
Così per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa; 108
erba né biado in sua
vita non pasce,
ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce. 111
Viene raccontato da
antichi saggi (Plinio, Ovidio) che
cosi`(allo
stesso modo) la
Fenice
muore dopo cinquecento anni di vita e rinasce dalle sue ceneri; questo
mitico uccello non si ciba di erbe, si nutre solo di gocce d’incenso e
di
amomo
(= cardamomo, pianta usata per profumi e medicine) e costruisce la sua
ultima dimora con nardo e mirra.
La
Fenice,
definito “l’uccello d’Arabia” sembra di origine egizia, e` un uccello
fantastico, muore immolandosi volontariemente e, dopo tre giorni,
risorge dalle proprie ceneri. La Fenice rappresenta ‘la mitezza
assoluta’: non uccide, si nutre di rugiada e non schiaccia nulla di cio`
che tocca. Ne esiste una sola per volta. Il Talmud dice che ogni mille
anni si riduce alla dimensione di un uovo e poi risorge. La ritroviamo
in tutte le tradizioni, sempre con lo stesso significato: in Cina, come
il Drago, ha la capacita` di armonizzare le forze Yin e Yang,
simboleggia il cosmo, ed e` la summa di tutte le buone qualita` e
virtu`; in Giappone e` detta Ho-Ho, rappresenta il Sole, la Giustizia,
la Fedelta` e l’Obbedienza; per i Greci e i Romani rappresentava la
Rinascita. Giobbe si paragona a lei e di lei parla quando (in Gb. 29,
18) dice “…Spirero` nel mio nido e moltiplichero` come sabbia i miei
giorni”. Per il cristianesimo la Fenice e` il Cristo che, consumato
dalle fiamme della passione, risorge il terzo giorno, signore della
morte; ed essa rappresenta anche la Vergine Maria, perché
e` l’unica, tra tutti
gli animali, esente dalla contaminazione del peccato originale.
E qual è quel che
cade, e non sa como,
per forza di demon ch’a terra il tira,
o d’altra oppilazion che lega l’omo, 114
quando si leva, che
’ntorno si mira
tutto smarrito de la grande angoscia
ch’elli ha sofferta, e guardando sospira: 117
tal era ’l peccator
levato poscia.
Oh potenza di Dio, quant’è severa,
che cotai colpi per vendetta croscia! 120
E come succede a chi si
guarda intorno trasognato per la grande sofferenza provata, cadendo in
terra, spinto da un demone o da un attacco di epilessia, cosi` stava il
peccatore dopo essere ‘risorto’. O quanto e`
severa la potenza Divina, quando punisce cosi`!
Ci siamo chiesti come mai Dante abbia potuto
accostare, sia pure per un paragone, la penosa ‘resurrezione’ del
dannato alla Resurrezione della Fenice, simbolo del Se`. Il dannato,
arso, divenuto cenere, ‘ritorna
di butto’ e
si ritrova ad essere
ancora dannato, con le mani legate, alla merce` del prossimo serpente,
oppure diventa serpente lui stesso per aggredire a sua volta un
dannato…che cosa ha a che fare tutto cio` con la Fenice? Beh, proprio
niente. A meno che il Nostro non volesse illustrare proprio due modi
differenti di rubare. Il ‘rubare’ egoico, che prende agli altri per se`,
dalle conseguenze infernali e quello impersonale che
‘ruba’ la Vita per
donarla
agli altri. I dannati
hanno rubato nel primo modo, la Fenice ha rubato nel secondo. Ha
‘rubato’ nel
secondo modo Prometeo, l'eroe della mitologia greca, che prende il Fuoco
sacro degli dei per darlo agli uomini, e che per questo viene
severamente punito da Zeus (v. ns/ int. cab. in Prometeo
www.taote.it
miti); come pure ha
‘rubato’ nel secondo modo Bhisma eroe del Mahabharata, uno degli otto
ladri della mucca sacra del saggio Vasistha, che viene per cio`
condannato a vivere sulla terra (v. ns/ int. cab. in Mahabharata
www.taote.it
cineforum). Questi
ladri ‘benefattori’ dell’umanita` possono essere omologati alla Fenice,
a Krisna, al Cristo, alla Sephirah Daath, questi Ladri ‘prendono’ dal
Piano Atziluthico, delle Cause, la Coscienza e ne fanno dono agli
uomini, sacrificando ripetutamente, ciclicamente, Loro Stessi, per la
crescita spirituale del genere umano.
Lo duca il domandò poi chi ello era;
per ch’ei rispuose: "Io piovvi di Toscana,
poco tempo è, in questa gola fiera. 123
Vita bestial mi
piacque e non umana,
sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana". 126
La Guida domanda al
dannato appena risorto chi sia. E quello: “Sono caduto in questa valle
da poco; toscano di origine, bastardo (figlio illegittimo di Ferruccio
dei Lazzari) ho vissuto da bestia,
Vanni
(= diminutivo di Giovanni, ma anche ‘venti’, soffi)
Fucci (di
Ferruccio, di ferro) e` il mio nome,
Pistoia
(citta`nido di peste) la mia tana”.
E ïo al duca: "Dilli che non mucci,
e domanda che colpa qua giù ’l pinse;
ch’io ’l vidi omo di sangue e di crucci". 129
E ’l peccator, che
’ntese, non s’infinse,
ma drizzò verso me l’animo e ’l volto,
e di trista vergogna si dipinse; 132
poi disse: "Più mi
duol che tu m’ hai colto
ne la miseria dove tu mi vedi,
che quando fui de l’altra vita tolto. 135
Il Discepolo cosi` si
rivolge alla Guida: “Digli di non fuggire e chiedigli qual’e` stato il
peccato che l’ha portato qui. Io l’ho riconosciuto come uomo omicida e
causa di
crucci
(disgrazie).”
Allora quel
peccatore, che ha sentito, non si nasconde, ma col volto pieno di
cattiva vergogna dice: “Mi addolora il tuo riconoscermi qui piu` della
morte stessa…” Io non posso
negar quel che tu chiedi;
in giù son messo tanto perch’io fui
ladro a la sagrestia d’i belli arredi, 138
e falsamente già fu
apposto altrui.
Ma perché di tal vista tu non godi,
se mai sarai di fuor da’ luoghi bui, 141
apri li orecchi al
mio annunzio, e odi.
Pistoia in pria d’i Neri si dimagra;
poi Fiorenza rinova gente e modi. 144
Tragge Marte vapor
di Val di Magra
ch’è di torbidi nuvoli involuto;
e con tempesta impetüosa e agra 147
sovra Campo Picen
fia combattuto;
ond’ei repente spezzerà la nebbia,
sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto. 150
E detto l’ ho perché
doler ti debbia!".
“…Ma non posso rifiutare di rispondere.
Sono quaggiu` perché fui ladro dei sacri arredi (nel Duomo di Pistoia) e
il furto fu imputato ad un altro. Ma perché tu non goda della mia
disgrazia, se mai tornerai sulla terra, ascolta bene cio` che sto per
dire. Prima Pistoia sara` svuotata dai Neri, poi Fiorenza mutera`
governo e governanti. Poi Marte, per mezzo del signore (Morello
Malaspina) della Valle Magra, fara` scoppiare la guerra nel Campo Piceno
(= dei picchi) e tutti
i Bianchi verranno sconfitti. Ti racconto tutto
cio` solo per il gusto di farti soffrire”.
I nomi riportati negli ultimi versi
sono tutti relativi al vizio della bolgia. Da Pistoia ricaviamo la
peste, che ruba la vita, dalla Valle Magra la carestia, che ruba il
cibo, dal Campo Piceno la distruttivita` de picchi che rubano la linfa
agli alberi…
Non era necessario
che Vanni Fucci (= che agita come vento il suo ferro, che usa la sua
parola come spada) infierisse con l’ultima frase, ma e` ladro e il suo
vizio e` rubare, qui il suo e` solo un tentativo di rubare
la serenita` al
Discepolo...
|