INFERNO - CANTO XXV
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Al fine de le sue parole il ladro
le mani alzò con amendue le fiche,
gridando: "Togli, Dio, ch’a te le
squadro!". 3
Da indi in qua mi fuor le serpi amiche,
perch’una li s’avvolse allora al collo,
come dicesse ’Non vo’ che più diche’; 6
e un’altra a le
braccia, e rilegollo,
ribadendo sé stessa sì dinanzi,
che non potea con esse dare un crollo. 9
Appena il ladro ha terminato la sua
profezia, alzando entrambe le mani in gesto sconcio, dice (rivolgendosi
al cielo): “Ecco, questo e` per Te”. Il Nostro da quel momento considera
le serpi
amiche
perché una lo avvolge al collo, come per dire: “Ti impedisco di
parlare”, un’altra gli lega le braccia stringendolo davanti tanto da
precludergli qualsiasi movimento.
Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi
d'incenerarti sì che più non duri,
poi che 'n mal fare il seme tuo avanzi? 12
Per tutt’i cerchi de
lo ’nferno scuri
non vidi spirto in Dio tanto superbo,
non quel che cadde a Tebe giù da’ muri. 15
Il Discepolo lancia
un’invettiva contro la citta` del dannato: “Oh,
Pistoia
(terra di pestilenze) perché non ti autodistruggi, visto che superi il
tuo
seme
(gli avi) nel compiere il male? In tutti i cerchi oscuri dell’inferno
non ho mai visto tanta superbia, neppure in quello (Capaneo) che
precipito` dai muri di
Tebe
(cfr. Inf. XIV, vv. 63 ss)”.
El si fuggì
che non parlò più verbo;
e io vidi un centauro pien di rabbia
venir chiamando: "Ov’è, ov’è l’acerbo?". 18
Maremma non cred’io
che tante n’abbia,
quante bisce elli avea su per la groppa
infin ove comincia nostra labbia. 21
Sovra le spalle,
dietro da la coppa,
con l’ali aperte li giacea un draco;
e quello affuoca qualunque s’intoppa. 24
(Vanni, il ladro
sacrilego) fugge via senza piu` parlare, intanto Dante vede arrivare un
centauro (mezzo cavallo e mezzo uomo ) pieno di rabbia che grida:
“Dov’e`
l’acerbo
(dal sanscrito acanith = spada, che ferisce),
il crudele?”
Il Nostro non crede
che la
Maremma
(= marisma, stagno formato dal mare) abbia tanti serpenti quanti ne ha
costui sulla groppa di cavallo, fin la` dove comincia l’uomo; sulle sue
spalle, poi, dietro la nuca, ha un drago con le ali aperte, pronto ad
incendiare chiunque gli si faccia incontro.
Lo mio maestro disse: "Questi è Caco,
che, sotto ’l sasso di monte Aventino,
di sangue fece spesse volte laco. 27
Non va co’ suoi
fratei per un cammino,
per lo furto che frodolente fece
del grande armento ch’elli ebbe a vicino; 30
onde cessar le sue
opere biece
sotto la mazza d’Ercule, che forse
gliene diè cento, e non sentì le diece". 33
Il Maestro dice: “Questo
e`
Caco
(dal greco cacos = malvagio, gigante, bestiale ladrone, figlio di
Vulcano), omicida, aveva la sua tana sotto l’Aventino
(da una radice av = avido; tino = vaso: vaso di avidita`); non sta con
gli altri centauri (inf. XII, settimo cerchio, dei violenti) ma qui, per
il furto degli armenti di
Ercule
(Ercole, sacro ad Era) che lo puni` con cento
mazzate, uccidendolo con le prime dieci”.
E` descritta in questo canto XXV la settima bolgia: la ‘fossa
dei serpenti’, dove i dannati vengono aggrediti da rettili mostruosi il
cui morso li trasforma in serpenti, mentre a loro volta i rettili si
trasformano uomini. Caco, il malvagio, e` il custode di questa bolgia.
Nella mitologia e` un gigante, Virgilio nell’Eneide lo descrive come un
brigante dall’aspetto bestiale, Dante ne fa un centauro sulla cui groppa
prosperano numerosi serpenti e, sul suo collo, c’e` un drago
incendiario. Come gia` detto nel canto precedente la simbologia del
serpente ( dal greco herpo = che striscia) e` vastissima: il movimento
sinuoso, la rapidita` con cui puo` infliggere un colpo mortale, il suo
stare nell’ombra, il suo mutar pelle ne hanno fatto da sempre il simbolo
del tradimento e dell’insidia. Nella mitologia sumero-semitica
rappresenta il caos, l’indifferenziato, il male; in Egitto e` l’aspetto
oscuro di Set, il demone dei temporali, dei fulmini, che tenta di
impedire il sorgere del Sole; nello Zoroastrismo e` il simbolo di
Ahriman, il nemico di ogni ordine morale; nella Bibbia viene maledetto
dal Signore perché nemico dell’uomo, avendone causato la caduta (Gn. 3,
1-24); nel Cristianesimo e` il ‘tentatore’ e la Vergine Maria gli
schiaccia il capo col tallone, ecc.. Nel. ns/ Commento alla Genesi in
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testi sacri, l’abbiamo omologato alla
mente, il Briah egoico che spinge la personalita` alla conoscenza
dell’Albero del Bene e del male. Nel linguaggio moderno il termine
‘fossa dei serpenti’ dal bel film (del regista Anatole Litvak con la O.
de Havilland) del 1948 cosi` intitolato, ha assunto il significato di
‘luogo dell’orrore’ dove, nel manicomio, vengono ammucchiati i malati di
mente piu` pericolosi e incontrollabili. La ‘fossa dei serpenti’. nel
nostro discorso interiorizzato, e` il ‘luogo’ delle idee capovolte,
pazze, che si divorano e si trasmutano tra loro per il piacere della
sofferenza dilaniante ed il gusto della blasfemia e della ribellione
alla Legge. Ovviamente per la simbologia il ‘serpente’, cioe` la mente,
ha anche connotati molto positivi: e` l’Ouroboros (il serpente che si
morde la coda, nella conciliazione dei contrari); e` (di bronzo) il
guaritore omeopatico di Mose` (Nm. 21, 4-9), del Ricercatore; e` figura
del Redentore crocifisso, dell’Io Sono, il Se`, Daath, la Coscienza (Gv.
3, 14 ss); e, avviluppato intorno all’Albero della Vita e` la Saggezza
dell’Iniziato ecc. ecc.. Ma qui, nella ‘fossa’, bolgia infernale,
questi serpenti hanno
tutti il significato peggiore e piu` spregiativo e il Nostro li ha
caricati di un’incredibile drammaticita` rappresentativa, degna dei
‘migliori’(si fa per
dire) film dell’horror.
Mentre che sì parlava, ed el trascorse,
e tre spiriti venner sotto noi,
de’ quai né io né ’l duca mio s’accorse, 36
se non quando
gridar: "Chi siete voi?";
per che nostra novella si ristette,
e intendemmo pur ad essi poi. 39
Mentre la Guida parla,
Caco si allontana; i due Viandanti intanto si accorgono che tre dannati
sotto al ponte si sono avvicinati perché si sentono chiedere: “ Chi
siete?”, cosi` interrompono il discorso per occuparsi di loro…
Io non li conoscea; ma ei seguette,
come suol seguitar per alcun caso,
che l’un nomar un altro convenette, 42
dicendo: "Cianfa
dove fia rimaso?";
per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento,
mi puosi ’l dito su dal mento al naso. 45
Dante non li riconosce.
Ma ascoltando i loro discorsi coglie una domanda: “Dov’e` finito
Cianfa
(= zampa)?”, e per richiamare l’attenzione del Maestro
si pone il dito sulla
bocca in segno di silenzio.
I tre sono
Agnolo
Brunelleschi,
Buoso
degli Abati e
Puccio Sciancato,
fiorentini.
Se tu se’ or, lettore, a creder lento
ciò ch’io dirò, non sarà maraviglia,
ché io che ’l vidi, a pena il mi consento. 48
Com’io tenea levate
in lor le ciglia,
e un serpente con sei piè si lancia
dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia. 51
Poi si rivolge al
lettore:
“E` giusto che tu esiti a credere alle mie parole, perché, io stesso,
che vedo, quasi non credo a cio` che vedo. Mentre sto fissando i tre,
ecco che un serpente a sei zampe si lancia su uno di loro (Agnolo)
e lo avvolge..”
Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia
e con li anterïor le braccia prese;
poi li addentò e l’una e l’altra guancia; 54
li diretani a le
cosce distese,
e miseli la coda tra ’mbedue
e dietro per le ren sù la ritese. 57
“Con le zampe centrali
gli si abbarbica alla pancia, con le anteriori gli afferra le braccia e
lo addenta alle guance, protende poi le zampe posteriori sulle sue
cosce, gli ci mette in mezzo la coda e lo afferra alle reni…”
Ellera abbarbicata
mai non fue ad
alber sì, come l’orribil fiera
per l’altrui membra avviticchiò le sue. 60
Poi s’appiccar, come
di calda cera
fossero stati, e mischiar lor colore,
né l’un né l’altro già parea quel ch’era: 63
come procede innanzi
da l’ardore,
per lo papiro suso, un color bruno
che non è nero ancora e ’l bianco more. 66
Mai un’edera si e`
avvinghiata ad un albero come quell’orrida bestia si
attorciglia a quel
dannato; poi i due si fondono come cera calda, e mescolano i loro
colori, sembrando altro da quello che erano prima, come fa il
papiro,
la carta, quando brucia e diventa scura, e non e` ancora nera, mentre
il bianco scompare… Li altri due
’l riguardavano, e ciascuno
gridava: "Omè, Agnel, come ti muti!
Vedi che già non se’ né due né uno". 69
Già eran li due capi
un divenuti,
quando n’apparver due figure miste
in una faccia, ov’eran due perduti. 72
…Gli altri due lo
guardano e ciascuno grida: “Ahime`,
Agnolo
(= angelo, ma anche banderuola al vento) come cambi! Ora non sei ne`
uno, ne` due”. (Intanto) le due teste son diventate una, e in un solo
viso sono le sembianze miste di entrambe…
Fersi le braccia due di quattro liste;
le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso
divenner membra che non fuor mai viste. 75
Ogne primaio aspetto
ivi era casso:
due e nessun l’imagine perversa
parea; e tal sen gio con lento passo. 78
Da quattro arti si
formano due braccia; coscie, gambe, ventre e torace producono membra mai
viste. Ogni aspetto di prima e` cancellato, sembra due e niente quella
forma degradata e, cosi`com’e`, si allontana lentamente.
Come 'l ramarro sotto la gran fersa
dei dì canicular, cangiando sepe,
folgore par se la via attraversa, 81
sì pareva, venendo
verso l’epe de
li altri due, un serpentello acceso,
livido e nero come gran di pepe; 84
e quella parte onde
prima è preso
nostro alimento, a l’un di lor trafisse;
poi cadde giuso innanzi lui disteso. 87
Come il
ramarro
(grossa lucertola verde) sotto la frusta del caldo estivo, cambiando
siepe, sembra una saetta quando attraversa la strada, cosi` appare un
serpentello acceso
(infuriato), livido e nero come il pepe, che viene verso il ventre dei
due dannati e ne morde uno nell’ombelico (Buoso
= burroso, da bus, vacca) poi gli cade davanti, steso…
Lo trafitto ’l mirò, ma nulla disse;
anzi, co’ piè fermati, sbadigliava
pur come sonno o febbre l’assalisse. 90
Elli ’l serpente e
quei lui riguardava;
l’un per la piaga e l’altro per la bocca
fummavan forte, e ’l fummo si scontrava. 93
L’uomo morso, lo
mira
e non fiata, anzi, sbadiglia in piedi, come per sonno o febbre; guarda
il serpente, e il serpente guarda lui: dalla ferita e dalla bocca (che
l’ha provocata) escono due fumi, che si scontrano…
Taccia Lucano omai là dov’e’ tocca
del misero Sabello e di Nasidio,
e attenda a udir quel ch’or si scocca. 96
Taccia di Cadmo e
d’Aretusa Ovidio,
ché se quello in serpente e quella in fonte
converte poetando, io non lo ’nvidio; 99
ché due nature mai a
fronte a fronte
non trasmutò sì ch’amendue le forme
a cambiar lor matera fosser pronte. 102
Taccia
Lucano
(= lucente) che ci ha narrato (nella Farsalia) la morte per morso di
serpenti velenosissimi di
Sabello
(da sabasios = bacchico, che si disfece in cenere) e di
Nasidio
(dal naso notevole, che si gonfio` sino a scoppiare),
e ascolti cio` che
sto per svelare. Taccia
Ovidio
(= ricco di pecore) che (nelle Metamorfosi) ci ha narrato di
Cadmo
(= adorno) e di
Aretusa
( =che irriga); io non lo invidio; perché se nei suoi versi ha
trasformato il primo in serpente e la seconda in fonte, mai pero` ha
messo di fronte due nature diverse pronte a mutarsi insieme.
Insieme si rispuosero a tai norme,
che ’l serpente la coda in forca fesse,
e ’l feruto ristrinse insieme l’orme. 105
Le gambe con le
cosce seco stesse
s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura
non facea segno alcun che si paresse. 108
Ecco la regola a cui si
attengono (le due nature): il serpente biforca la coda, il ferito unisce
i piedi e poi le sue gambe e cosce si fondono
e non c’e` piu`
separazione (tra le due).
Togliea la coda fessa la figura
che si perdeva là, e la sua pelle
si facea molle, e quella di là dura. 111
Io vidi intrar le
braccia per l’ascelle,
e i due piè de la fiera, ch’eran corti,
tanto allungar quanto accorciavan quelle. 114
Spaccandosi la coda (del
serpente) prende la forma (delle gambe) che l’uomo sta perdendo,
la pelle (del
serpente) diviene morbida, (quella dell’uomo) diviene dura;
le sue braccia si
ritirarano nelle ascelle, e le zampe della bestia, che son corte, si
allungano, mentre quelle (dell’uomo) si accorciano…
Poscia li piè di rietro, insieme attorti,
diventaron lo membro che l’uom cela,
e ’l misero del suo n’avea due porti. 117
Mentre che ’l fummo
l’uno e l’altro vela
di color novo, e genera ’l pel suso
per l’una parte e da l’altra il dipela, 120
l’un si levò e
l’altro cadde giuso,
non torcendo però le lucerne empie,
sotto le quai ciascun cambiava muso. 123
Poi le zampe posteriori
(della bestia), unite, diventano un menbro maschile mentre da quello
(dell’uomo) spuntano due zampe. Poi il fumo li nasconde entrambi, uno
viene ricoperto di pelo, l’altro lo perde; l’uno si alza in piedi,
l’altro va giu`, non distogliendo pero` gli occhi
empi
(malvagi) l’uno dall’altro, mentre si compie la terrificante
metamorfosi.
Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie,
e di troppa matera ch’in là venne
uscir li orecchi de le gote scempie; 126
ciò che non corse in
dietro e si ritenne
di quel soverchio, fé naso a la faccia
e le labbra ingrossò quanto convenne. 129
Quello che (ora) sta in
piedi
ritrae il muso dentro
le tempie, e per l’eccesso di carne, gli escono le orecchie dalla
guance, con il resto del materiale si costruisce un naso e labbra
adeguate…
Quel che giacëa, il muso innanzi caccia,
e li orecchi ritira per la testa
come face le corna la lumaccia; 132
e la lingua, ch’avëa
unita e presta
prima a parlar, si fende, e la forcuta
ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta. 135
Quello che ora giace,
allunga il muso, ritira le orecchie nella testa, come fa la lumaca con
le corna e la sua lingua, che prima parlava, ora diventa biforcuta, e
quella dell’altro, biforcuta si riunisce; e il fumo cessa.
L’anima ch’era fiera divenuta,
suffolando si fugge per la valle,
e l’altro dietro a lui parlando sputa. 138
Poscia li volse le
novelle spalle,
e disse a l’altro: "I’ vo’ che Buoso corra,
com’ ho fatt’io, carpon per questo
calle". 141
Il dannato divenuto bestia fugge per la
bolgia inseguito dall’altro che parla e sputa. Questo poi si volge
indietro e dice (al dannato rimasto): “Voglio che
Buoso
corra carponi su questo suolo come ha fatto io (prima)”.
Così vid’io la settima zavorra
mutare e trasmutare; e qui mi scusi
la novità se fior la penna abborra. 144
E avvegna che li
occhi miei confusi
fossero alquanto e l’animo smagato,
non poter quei fuggirsi tanto chiusi, 147
ch’i’ non scorgessi
ben Puccio Sciancato;
ed era quel che sol, di tre compagni
che venner prima, non era mutato; 150
l’altr’era quel che
tu, Gaville, piagni.
Dante conclude il canto dicendo che
ha visto nella settima bolgia mutamenti e trasformazioni, e chiede scusa
se la sua penna aborra,
ha ripugnanza
per la
novita` dell’argomento. In effetti ha (egli stessso) gli occhi
disorientati e l’animo smarrito, ma non tanto da non riconoscere in
quell’unico dannato che non si e` trasformato
Puccio
(da Giacomo, Giacobbe = che ha soppiantato)
Sciancato (=
zoppo)
e in quello che
sta correndo dietro a
Buoso,
Francesco dei
Cavalcanti, causa di grande dolore per la citta` di
Gaville
(dei cavilli). (Francesco fu ucciso da alcuni
abitanti di Gaville e i parenti ne fecero massacro).
Cinque
sono i ladri fraudolenti fiorentini che il Pellegrino ha riconosciuto in
questa bolgia:
Cianfa
(zampa) serpente-drago a sei piedi;
Agnolo
(bandieruola), sua preda che si fonde con
lui; Francesco Cavalcanti, pianto di
Gaville
(citta` dei cavilli), il serpentello nero che
diventa uomo;
Buoso
(il burroso), da lui assalito che diventa
a sua volta serpente e infine
Puccio Sciancato
(zoppo soppiantatore) che non subisce trasformazioni. Questi cinque
personaggi rappresentano, con le loro caratteristiche, le cinque punte
di un pentagramma onirico capovolto; in ogni punta si coagula l’energia
di un
dannato: quattro
punte si scambiano dolorosamente e inutilmente i ruoli, una sta a
guardare impotente e terrorizzata.
Nel Pentagramma
diritto in cui si puo` inscrivere il Ricercatore c’e` tutto l’Albero
cabalistico in azione. Nel Pentagramma diritto, simbolo della potenza
magica benefica di cui l’uomo puo` disporre quando vi si immette nel
modo giusto, le braccia (Chesed- Geburah) e le gambe
(Netzach- Hod), sono le 4 punte che svolgono
la funzione di scambio tra le due colonne destra e sinistra, mentre la
testa, nella quinta punta, rappresenta la colonna centrale (Yesod-
Tiphereth) che governa l’energia a servizio del Se`(Daath).Qui, in
questo pentagramma capovolto, la testa (Puccio
Sciancato)
essendo lui ‘uno zoppo soppiantatore’, non agisce, ma rimane
passivamente inerme mentre le punte
Cianfa-Agnolo
(‘zampa’, arto di bestia, e ‘bandieruola’, inaffidabile), sono le scorie
di Netzach-Hod
e le punte
pianto
di Gaville -
Buoso (distillato
di ‘cavilli’ e ‘burroso’, untuoso, viscido) sono le scorie di Chesed-
Geburah. Le punte del pentagramma capovolto, ladre, si rubano ‘il corpo’
l’una con l’altra: il pentagramma capovolto distrugge la personalita`
che lo costruisce
arrecando solo
sofferenza e producendo solo spreco di energie, mentre
invece la funzione
del Pentagramma sarebbe proprio
quella di formare i
corretti sentieri per la Reintegrazione…
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