INFERNO - CANTO XXVII
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Già era dritta in sù la fiamma e
queta per non
dir più, e già da noi sen gia
con la licenza del dolce poeta, 3
quand’un’altra, che
dietro a lei venìa,
ne fece volger li occhi a la sua cima
per un confuso suon che fuor n’uscia. 6
Gia` la fiamma (di Ulisse e Diomede)
e` tornata diritta e silenziosa e se ne sta andando col permesso della
Guida, che un’altra, che sta dietro di lei, attrae l’attenzione dei due
Pellegrini con il confuso brontolio che ne esce.
Come ’l bue cicilian che mugghiò prima
col pianto di colui, e ciò fu dritto,
che l’avea temperato con sua lima, 9
mugghiava con la
voce de l’afflitto,
sì che, con tutto che fosse di rame,
pur el pareva dal dolor trafitto; 12
così, per non aver
via né forame
dal principio nel foco, in suo linguaggio
si convertïan le parole grame. 15
Come il bue
ciciliano
(bue di bronzo del tiranno di Agrigento Falaride (565-549 a. C.), nel
quale venivano rinchiusi e arsi i suoi nemici, le cui grida di dolore
sembravano muggiti) mugghio` per la prima volta col suo inventore
(Perillo di Atene) tanto da sembrare trafitto dal dolore, benche` di
rame, e cio` fu giusto; cosi` per non avere il fuoco un’apertura, le
dolorose
parole (del dannato)
divengono il linguaggio del fuoco.
Questo
‘bue di bronzo’ ricorda in qualche modo il ‘vitello d’oro’
(Es. 32), costruito e
adorato dal popolo ebreo mentre Mose` stava sul monte Sinai; quello
causo` la perdita delle Tavole della Legge originarie e quarant’anni di
esilio nel deserto, questo la morte dell’inventore e dei nemici di un
tiranno. La sacralita` del toro o del bue, animale dal simbolismo
solare-lunare, e` racchiusa nella sua forza, nella sua utilita`, nella
sua fertilita`, ma quando le sue energie vengono usate per scopi
negativi, disobbedienza e superbia nel caso del ‘vitello d’oro’,
crudelta`e vendetta, nel caso del ‘bue di bronzo’,
conducono a
sofferenza e distruzione. Il muggito del toro, simbolo del tuono che
porta la pioggia fecondatrice diventa nell’inferno dantesco urlo di
annientamento e strazio di dannato…
Ma poscia ch’ebber colto lor vïaggio
su per la punta, dandole quel guizzo
che dato avea la lingua in lor passaggio, 18
udimmo dire: "O tu a
cu’ io drizzo
la voce e che parlavi mo lombardo,
dicendo "Istra ten va, più non t’adizzo", 21
perch’io sia giunto
forse alquanto tardo,
non t’incresca restare a parlar meco;
vedi che non incresce a me, e ardo! 24
Ma poiche` le parole si
fanno strada sulla cima della fiamma, facendola guizzare passando, si
ode una voce: “O tu che poco fa hai detto in lingua lombarda: ‘Ora va,
che piu` non ti attizzo’, anche se io giungo in ritardo, non ti
dispiaccia restare a parlare con me, che lo desidero, pure se brucio …”
Se tu pur mo in questo mondo cieco
caduto se’ di quella dolce terra
latina ond’io mia colpa tutta reco, 27
dimmi se Romagnuoli
han pace o guerra;
ch’io fui d’i monti là intra Orbino
e ’l giogo di che Tever si diserra". 30
Io era in giuso ancora attento e
chino, quando
il mio duca mi tentò di costa,
dicendo: "Parla tu; questi è latino". 33
“…Se sei arrivato solo ora dalla
dolce terra
latina
(italiana, del Lazio, ma anche nascosta, latente) da cui ho tratto la
mia colpa, dimmi se i
Romagnuoli
(della terra dei Romani)
sono in pace o in
guerra, perché io sono nato tra
Orbino
(=Urbino, citta` piccola, ma anche dei ciechi) e i monti da cui nasce il
Tevere
(= dove annego` Tiberio)”. Il Discepolo sta ancora guardando in basso
quando il Maestro lo tocca al fianco dicendo: “Parla tu, perché questo
e`
latino
(= nascosto, ma vuole mostrarsi)”.
E io, ch’avea già
pronta la risposta,
sanza indugio a parlare incominciai:
"O anima che se’ là giù nascosta, 36
Romagna tua non è, e
non fu mai,
sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni;
ma ’n palese nessuna or vi lasciai. 39
E lui, che ha gia`
pronta la risposta (per il dannato) senza indugiare: “O anima che sei
li` celata, la tua
Romagna
(terra di Roma) non e` mai priva di guerre e mai lo sara` nel cuore dei
suoi (signori)
tiranni,
ma al momento non ce n’e` di
palesi
(= evidenti, ma solo di nascoste)…”
Ravenna sta come stata è molt’anni:
l’aguglia da Polenta la si cova,
sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni. 42
La terra che fé già
la lunga prova
e di Franceschi sanguinoso mucchio,
sotto le branche verdi si ritrova. 45
Ravenna
(da rava, dirupo, = citta`impervia) e
Cervia
( citta` del cervo, simbolo anche
dell’oltretomba) sono dominate dai
Polenta
(dal greco poltos, alimento della plebe); Forli` che (a lungo) ha
sopportato i
Franceschi
(= Francesi) e` dominata dagli artigli
verdi
(= vigorosi del leone, simbolo degli Ordelaffi).
E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio,
che fecer di Montagna il mal governo,
là dove soglion fan d’i denti succhio. 48
Le città di Lamone e
di Santerno
conduce il lïoncel dal nido bianco,
che muta parte da la state al verno. 51
“…I (Malatesta = che
hanno la testa malata) da
Verrucchio
(=vero-occhio, occhio acuto; = ma dall’occhio rapace) il vecchio e il
giovane, che uccisero
Montagna
(il ghibellino),
fan d’i denti succhio
(divorano) come al solito (la citta` di Rimini). Le citta` sul (fiume)
Lamone
(Faenza) e sul
Santerno
(Imola) sono governate dal simbolo del leone sullo sfondo bianco (da
Maghinardo Pagani), che cambia continuamente le alleanze…”
E quella cu' il Savio bagna il fianco,
così com'ella sie' tra 'l piano e 'l monte,
tra tirannia si vive e stato franco. 54
Ora chi se’, ti
priego che ne conte;
non esser duro più ch’altri sia stato,
se ’l nome tuo nel mondo tegna fronte". 57
“…E la citta` bagnata
dal
Savio
(Cesena), vive tra signoria e liberta` cosi` come sta tra il monte e il
piano. Ma ora dimmi chi sei, ti prego: non essere piu` di altri
duro
(impenetrabile), se vuoi che il tuo nome divenga famoso”.
La
Romagna (= terra di Roma) ha le sue citta` tutte sotto il dominio dei
tiranni: Ravenna e Cervia sotto i Polenta (= che alimentano
miseramente), Forli` sotto gli Ordelaffi (= lacci di orde), Rimini sotto
i Malatesta (teste bacate), Faenza e Imola sotto i Pagani (= adoratori
di idoli); solo la citta` bagnata dal
Savio
(Cesena) conserva una parziale liberta`… L’Albero cabalistico della
‘Romagna’ (da cui proviene il dannato) ha ancora un centro parzialmente
bianco, per questo non e` ancora
in guerra manifesta,
ma quando anche quello diventera` nero, allora avra` completato il
significato del suo nome: terra di Roma; roma = ‘amor’ capovolto, cioe`
‘terra dell’odio’. Poscia che
’l foco alquanto ebbe rugghiato
al modo suo, l’aguta punta mosse
di qua, di là, e poi diè cotal fiato: 60
"S’i’ credesse che
mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria sanza più scosse; 63
ma però che già mai
di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
sanza tema d’infamia ti rispondo. 66
Dopo aver alquanto
brontolato a modo suo, quel fuoco scuote la punta di qua e di la` e
dice: “Se fossi certo di parlare ad un vivo tacerei, ma poiche` da
questa voragine mai nessuno e` risalito, se e` vero quello che ho udito,
ti rispondo senza temere il disonore…”
Questo dannato dice
che con un vivo non parlerebbe, non vuole far conoscere l’infamia
di essere finito all’inferno, ma con un altro dannato si puo` confidare
e sfogare… Eppure gli e` stato appena detto che parlare lo rendera`
famoso (sulla terra)! Sicuramente, giudicando il prossimo da se stesso,
e` convinto che l’interlocutore
menta, quindi si
decide a parlare.
Io fui uom d'arme, e poi fui
cordigliero,
credendomi, sì cinto, fare ammenda;
e certo il creder mio venìa intero, 69
se non fosse il gran
prete, a cui mal prenda!,
che mi rimise ne le prime colpe;
e come e quare, voglio che m’intenda. 72
“…Sono stato uomo
d’arme
(un guerriero, Guido da Montefeltro, capo dei ghibellini romagnoli), poi
mi cinsi col cordone (francescano), credendo di espiare cosi` i miei
peccati; e lo avrei fatto, se, il
gran prete
(papa Bonifacio VIII), che sia
maledetto, non mi
avesse ricondotto al peccato; voglio raccontare come e perché…” Mentre ch’io
forma fui d’ossa e di polpe
che la madre mi diè, l’opere mie
non furon leonine, ma di volpe. 75
Li accorgimenti e le
coperte vie io
seppi tutte, e sì menai lor arte,
ch’al fine de la terra il suono uscie. 78
“…(Da giovane) nel corpo
ricevuto da mia madre, operai non da leone, ma da volpe. Conobbi tutti
gli inganni ed i sotterfugi, e per essi divenni famoso…”
Quando mi
vidi giunto in quella parte
di mia etade ove ciascun dovrebbe
calar le vele e raccoglier le sarte, 81
ciò che pria mi
piacëa, allor m’increbbe,
e pentuto e confesso mi rendei;
ahi miser lasso! e giovato sarebbe. 84
“…Giunto alla vecchiaia,
quando si dovrebbero tirare le somme del proprio operato, odiai
cio` di cui
prima avevo goduto e,
pentito, mi feci frate; povero me! Avrebbe dovuto giovarmi …”
Lo principe d’i novi Farisei,
avendo guerra presso a Laterano,
e non con Saracin né con Giudei, 87
ché ciascun suo
nimico era cristiano,
e nessun era stato a vincer Acri
né mercatante in terra di Soldano, 90
né sommo officio né
ordini sacri
guardò in sé, né in me quel capestro
che solea fare i suoi cinti più macri. 93
“…Il principe dei nuovi
farisei
(degli ipocriti, Bonifacio VIII), non rispetto` ne` la sua dignita` di
Papa, ne` il mio cordone che rende penitenti: era in guerra, ma non coi
musulmani o gli ebrei per la conquista di
Acri
(= dal greco akros, pungente: San Giovanni d’Acri, in Terrasanta) o con
chi commerciava coi pagani (cosa vietata ai cristiani), ma (proprio)
dentro il
Laterano
(in Roma, con i
Colonna)…”
Ma come
Costantin chiese Silvestro
d’entro Siratti a guerir de la lebbre,
così mi chiese questi per maestro 96
a guerir de la sua
superba febbre;
domandommi consiglio, e io tacetti
perché le sue parole parver ebbre. 99
E’ poi ridisse: "Tuo
cuor non sospetti;
finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
sì come Penestrino in terra getti. 102
Lo ciel poss’io serrare e diserrare,
come tu sai; però son due le chiavi
che ’l mio antecessor non ebbe care". 105
“…E come l’imperatore Costantino
chiamo` Papa Silvestro I dal monte
Siratti
(Soratte, luogo di culto del dio infero Dis; i ‘lupi sorani’, a lui
sacri, si dice che
camminassero sui
carboni ardenti) per guarire dalla lebbra, cosi` (Bonifacio) mi chiese
consiglio per guarire dalla sua febbre di superbia: io tacqui per
timore. Ma quello mi promise l’assoluzione se gli avessi insegnato come
far cadere il
Penestrino
(la fortezza dei Colonna di
Palestrina = dal greco pale, lotta), dicendomi che egli poteva aprire e
chiudere le porte del cielo, essendo due le chiavi (del Paradiso)
rifiutate dal suo predecessore (CelestinoV)…”
Allor mi pinser li
argomenti gravi
là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,
e dissi: "Padre, da che tu mi lavi 108
di quel peccato
ov’io mo cader deggio,
lunga promessa con l’attender corto
ti farà trïunfar ne l’alto seggio". 111
“…Allora le sue
argomentazioni mi spinsero a pensare che tacere (disobbedire) sarebbe
stato peccato piu` grave e dissi: ‘Padre, se tu mi assolvi dal peccato
che ora commetto, allora ecco il consiglio: prometti molto e mantieni
poco; il tuo trono trionfera`.’….” Francesco
venne poi, com’io fu’ morto,
per me; ma un d’i neri cherubini
li disse: "Non portar; non mi far torto. 114
Venir se ne dee giù
tra ’ miei meschini
perché diede ’l consiglio frodolente,
dal quale in qua stato li sono a’ crini; 117
ch'assolver non si
può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente". 120
“…Appena morto venne S.
Francesco
(= libero, per prendermi), ma un nero diavolo gli disse: ‘Non lo puoi
portare con te, mi faresti torto. Deve scendere giu` dai miei
disgraziati (dannati): ha dato quel consiglio fraudolento e d’allora e`
stato mio; non si puo` assolvere chi non si pente e, per il principio di
non contraddizione, non c’e` pentimento se c’e` ancora volonta` di
peccare’…”
Essendo il Papa Bonifacio VIII ancora
vivo nell’anno in cui sono collocati gli avvenimenti descritti da Dante,
Guido da Monte-feltro ha il compito di fare da ‘filtro’ tra la Giustizia
divina dantesca e l’odio dantesco per il nemico politico-religioso
intrigante e senza scrupoli.
Per Bonifacio (faccio
bene al bianco, faccio male al nero),
egli ha gia`
approntata nella terza bolgia dell’ottavo cerchio la buca dei simoniaci
v. canto XIX), ma non gli basta; percio` qui al ‘filtro’ tocca, per
procura, un’infernale condanna proprio non meritata…Ma forse l’errore
del povero Guido e` stato quello di diventare frate ‘francescano’;
avrebbe dovuto magari farsi ‘benedettino’ (detto bene)…! Perché poi, che
tipo di santo e` quel
Francesco
(= libero) che non riesce a ‘liberare’ dalle grinfie di un ‘nero’
diavolaccio un suo
cordigliero?
Oh me dolente! come
mi riscossi
quando mi prese dicendomi: "Forse
tu non pensavi ch’io löico fossi!". 123
A Minòs mi portò; e
quelli attorse
otto volte la coda al dosso duro;
e poi che per gran rabbia la si morse, 126
disse: "Questi è d’i
rei del foco furo";
per ch’io là dove vedi son perduto,
e sì vestito, andando, mi rancuro". 129
“…Oh, misero me, quando
mi svegliai e quello mi prese dicendo: ‘Non pensavi ch’io fossi un
löico!’ Mi porto`
poi da
Minosse
(= re tiranno, canto V, vv.1-24) che arrotolo` per otto volte la coda e
per la rabbia, se la morse, dicendo: ‘Costui va tra i dannati nascosti
dalle fiamme’; ecco perché mi trovi qui, e vado girando vestito di
fuoco”.
Da sempre il Diavolo e` il ‘loico’
per eccellenza, da quando ha convinto la prima coppia, Adamo-Eva alla
trasgressione: “E` vero che il Signore ha detto: non dovete mangiare di
nessun albero del giardino..? (Gn. 3,1)” Quella sua prima domanda
insidiosa invita alla prima ‘logica discussione sulla proibizione’,
inizio della prima ‘logica ribellione’: v. ns. Commento alla Genesi in
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testi sacri. Ma d’altronde egli fa il
suo mestiere
di tentatore
(cfr.
Gb. 1, 6-12 e Gb. 2,
1-10,
in “Giobbe”
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appuntamenti v. ns/ interprtazione
cabalistica) perché
e` il terrestre
differenziatore, il nemico dell’Unita`, colui che oppone al Mondo i
mondi, e mette gli esseri in lotta fra loro. E` il signore del ‘regno’
materiale (Malkuth), che pero` ci permette di vivere per mezzo dello
spirito di conservazione e il desiderio di esistere; dobbiamo solo
metterlo a servizio e imparare a dosare i due ingredienti magici che gli
sono propri, racchiusi nella formula ‘Coagula, Solve ’. Nella Kabbalah
il Diavolo corrisponde all’Archetipo n. 15, relativo alla cinerah
(sentiero) del ‘Contrasto’
v. “Archetipi”,
Lezione Spettacolo n. 15 sugli Arcani Maggiori in
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teatro.
Quand’elli ebbe ’l suo dir così compiuto,
la fiamma dolorando si partio,
torcendo e dibattendo ’l corno aguto. 132
Noi passamm’oltre, e
io e ’l duca mio,
su per lo scoglio infino in su l’altr’arco
che cuopre ’l fosso in che si paga il fio 135
a quei che
scommettendo acquistan carco.
Detto questo, la fiamma si allontana
gemendo e scuotendo la sua cima aguzza. I due Pellegrini passano oltre,
risalendo la roccia fino al successivo ponte che copre la nona bolgia,
dove scontano la pena i ‘seminatori di discordia’.
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