INFERNO - CANTO XXXI
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Una medesma lingua pria mi morse,
sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
e poi la medicina mi riporse; 3
così od’io che solea
far la lancia
d’Achille e del suo padre esser cagione
prima di trista e poi di buona mancia. 6
La lingua (del Maestro) che prima ha
morso
(rimproverato) il Discepolo tanto da farlo arrossire, poi gli ha porto
il farmaco della guarigione (il perdono); come la lancia donata ad
Achille
(= che non e` stato allattato) dal padre Peleo, che miracolosamente
poteva anche risanare le ferite inflitte (Ovidio Met. XIII).
Il Nostro mette in evidenza la
duplice natura della
lingua
, cioe` della ‘parola’
che puo` recare
sofferenza o guarigione
a seconda dell’uso
che
ne fa chi la
pronuncia, paragonandola alla
lancia
di chi non e` stato nutrito col latte (ma col midollo osseo di leoni),
per ricordarci che quanto piu` si e` potenti, e quindi responsabili
verso gli altri (v. insegnanti, capigruppi, artisti, ecc.), tanto piu`
ci si deve controllare
nei discorsi, ed
elargire rimproveri e lodi nel momento e nel luogo opportuno.
Noi demmo il dosso
al misero vallone
su per la ripa che ’l cinge dintorno,
attraversando sanza alcun sermone. 9
Quiv’era men che
notte e men che giorno,
sì che ’l viso m’andava innanzi poco;
ma io senti’ sonare un alto corno, 12
tanto ch’avrebbe
ogne tuon fatto fioco,
che, contra sé la sua via seguitando,
dirizzò li occhi miei tutti ad un loco. 15
I due Pellegrini, senza
parlare, volgono le spalle alla disgraziata fossa (decima bolgia),
salendo sull’argine che la circonda. La luce e` debole, come quando non
e` ne` giorno ne` notte, ed ecco che il Viandante ode il suono di un
corno, piu` forte di un tuono, che lo costringe a guardare nel punto di
provenienza.
Dopo la
dolorosa rotta, quando
Carlo Magno perdé la santa gesta,
non sonò sì terribilmente Orlando. 18
Poco portäi in là
volta la testa,
che me parve veder molte alte torri;
ond’io: "Maestro, dì, che terra è
questa?". 21
Quando, dopo la sconfitta (di Roncisvalle da
parte dei Mori)
Carlo Magno
(= forte, grande) perdette l’esercito, il corno del (paladino)
Orlando
(= ardito) non suono` cosi` terribilmente. Al Discepolo sembra di vedere
delle torri in lontananza, cosi` chiede al Maestro: “Dimmi, che terra e`
questa?”
Ed elli a me: "Però che tu trascorri
per le tenebre troppo da la lungi,
avvien che poi nel maginare abborri. 24
Tu vedrai ben, se tu
là ti congiungi,
quanto ’l senso s’inganna di lontano;
però alquanto più te stesso pungi". 27
E quello a lui: “Poiche`
stiamo nelle tenebre da tanto tempo, succede che commetti errori nel
supporre. Ma, se giungi fin la`, vedrai quanto la vista ti abbia
ingannato. Percio` affrettati”.
Poi caramente mi prese per mano
e disse: "Pria che noi siam più avanti,
acciò che ’l fatto men ti paia strano, 30
sappi che non son
torri, ma giganti,
e son nel pozzo intorno da la ripa
da l’umbilico in giuso tutti quanti". 33
Poi affettuosamente lo
prende per mano e continua: “ Affinche` non ti meravigli troppo, sappi
prima di proseguire, che quelli che vedi non sono torri, ma giganti,
tutti infilati, dall’ombelico in giu`, nel pozzo intorno alla riva”.
Come quando la nebbia si dissipa,
lo sguardo a poco a poco raffigura
ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa, 36
così forando l’aura
grossa e scura,
più e più appressando ver’ la sponda,
fuggiemi errore e cresciemi paura; 39
però che, come su la
cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,
così la proda che ’l pozzo circonda 42
torreggiavan di
mezza la persona
li orribili giganti, cui minaccia
Giove del cielo ancora quando tuona. 45
Come quando la nebbia
svanisce e lo sguardo piano piano scorge quello che e` nascosto dal
vapore che riempie l’aria, cosi` penetrando l’atmosfera pesante e scura
e avvicinandosi all’argine, nel Discepolo si dissolve l’errore e aumenta
la paura; perché, come
Montereggion
(castello vicino a Siena) ha una corona di torri intorno alle mura,
cosi` gli orribili giganti, che Giove ancora minaccia tuonando dal
cielo, superano con meta` della persona la riva del pozzo.
E io scorgeva già d’alcun la faccia,
le spalle e ’l petto e del ventre gran parte,
e per le coste giù ambo le braccia. 48
Natura certo, quando
lasciò l’arte
di sì fatti animali, assai fé bene
per tòrre tali essecutori a Marte. 51
Il Nostro vede gia` di
uno di loro la faccia, le spalle, il petto, parte del ventre e
le braccia lungo i
fianchi. Di certo la Natura ha agito bene quando ha smesso di produrre
tali mostri, togliendo a
Marte
(dio della guerra) tali esecutori (di violenza).
E s’ella d’elefanti e di balene
non si pente, chi guarda sottilmente,
più giusta e più discreta la ne tene; 54
ché dove l'argomento
de la mente
s'aggiugne al mal volere e a la possa,
nessun riparo vi può far la gente. 57
E se essa non si pente
di produrre elefanti e balene, a ben vedere, e` giusta e discreta;
perché dove alla cattiveria e alla potenza si aggiunge anche
l’intelligenza, non c’e` speranza per gli uomini.
I
‘giganti’ secondo il mito esiodeo erano i figli di Gea (la terra)
fecondata dal sangue della ferita di Urano (il cielo), mutilato da
Cronos (il tempo); erano mortali, si ribellarono agli dei ma furono
sconfitti; la maggior parte venne schiacciata da isole e montagne, per
es. uno di essi, Encelado fu colpito dalla Sicilia, scagliata da Atena,
e il ‘gigante’ ora sarebbe l’Etna. Secondo la Bibbia (Gn. 6,4) i
‘giganti’
nacquero
dall’unione dei figli di Dio (gli angeli ribelli o i discendenti di
Set?) con le figlie degli uomini (le discendenti di Caino?) ed erano
considerati una razza ‘proterva’.
I ‘giganti’
sono dunque quelle potenze terrestri, che, nate dall’unione di Terra e
Cielo
potrebbero tentare la
scalata del Cielo, e quindi la loro essenza dovrebbe essere: ‘la Terra
che aspira al Cielo’; ma dovrebbero essere mossi dalla volonta` di
Reintegrazione per ricostituire l’Unita` Originaria. Purtroppo i giganti
mitologici (e quindi i danteschi) sono invece tutti caratterizzati dalla
ribellione egoico-luciferina, sono infernali, e vanno percio` incatenati
e vanificati.
La faccia sua mi parea lunga e grossa
come la pina di San Pietro a Roma,
e a sua proporzione eran l’altre ossa; 60
sì che la ripa,
ch’era perizoma
dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
di sovra, che di giugnere a la chioma 63
tre Frison s’averien
dato mal vanto;
però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi
dal loco in giù dov’omo affibbia ’l manto. 66
La faccia del gigante appare al
Viandante lunga e grande come la ‘pigna’ di S. Pietro in Roma (pigna di
bronzo che si trova nei Musei Vaticani alta
circa m. 4) e il
resto del corpo e` in proporzione, cosi` che l’argine, che gli fa da
perizoma dalla cintola in giu`, ne lascia vedere tanto quanto, senza
toccare i suoi capelli, tre
Frisoni
(Olandesi molto alti), uno su l’altro, invano spererebbero di
raggiungere; perché Dante riesce a vedere (del corpo del gigante) 30
grandi palmi, dalla clavicola in giu`(cioe` piu` di 7 metri).
"Raphèl maì amècche zabì almi",
cominciò a gridar la fiera bocca,
cui non si convenia più dolci salmi. 69
E ’l duca mio ver’
lui: "Anima sciocca,
tienti col corno, e con quel ti disfoga
quand’ira o altra passïon ti tocca! 72
Cércati al collo, e
troverai la soga
che ’l tien legato, o anima confusa,
e vedi lui che ’l gran petto ti doga". 75
L’animalesca bocca del
gigante a cui non sono consentite parole complete, comincia a
farfugliare qualcosa (che potrebbe essere interpretata cosi`): “"Raphèl
maì
(= l‘Angelo Raffaele
ha maledetto)
amècche zabì
almi ( me, che ho
sabotato l’anima). E
la Guida a lui:
“Anima sciocca, sfogati col corno quando sei colpito dall’ira o da
altro! Ti orna il petto. Cercalo al collo e troverai la corda che lo
tiene legato, o anima confusa”.
Dell’Arcangelo Raffaele (= il Signore
guarisce) si parla
ampiamente nella
Bibbia (v. Tb. 12, 12-20
e ns/ int. cab. del
libro ‘Tobia’ in
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appuntamenti). Per la Kabbalah egli
e` lo ‘Spirito che sta nel sole’, relativo alla sephirah Tiphereth, e`
l’Angelo
che, quando
bene-dice, dona la
guarigione, se
male-dice , ‘confonde’ l’anima orgogliosa, perché l’orgoglio e` il vizio
relativo alla qelipah scoria di Tiphereth.
Il corno dell’ariete (shofar in
ebraico), e` il simbolo della vittoria sul nemico ed e` citato nella
Bibbia in Gs. 6, 1-5: “Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli
Israeliti….Disse il Signore a Giosue`…Quando si suonera` il corno
dell’ariete, appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo
prorompera` in un grande grido di guerra; allora le mura della citta`
crolleranno e il popolo entrera`, ciascuno diritto avanti a se`”
Qui invece, dove
tutto e` capovolto, nel pozzo che punisce la superbia, Virgilio
esorta il gigante (Nembrotto
= Nembrot o Nimrod = che si ribella - v. Gn. 10, 8-10
e
Gn. 11, 1-9), che ha
osato erigere la torre di Babele, a suonare il corno che ha sul petto
per sfogare l’ira o la rabbia e per accrescere la sua confusione.
Poi disse a me: "Elli stessi
s’accusa;
questi è Nembrotto per lo cui mal coto
pur un linguaggio nel mondo non s’usa. 78
Lasciànlo stare e
non parliamo a vòto;
ché così è a lui ciascun linguaggio
come ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto". 81
Poi la Guida si rivolge al Discepolo:
“ Egli stesso si accusa da se`; questo e`
Nembrotto:
a causa del suo orgoglio, ci fu sulla terra la confusione delle lingue.
Lasciamolo stare, non parliamo invano, ogni linguaggio per lui e`
incomprensibile, come il suo per gli altri”.
Facemmo adunque più lungo vïaggio,
vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro
trovammo l’altro assai più fero e maggio. 84
A cigner lui qual
che fosse ’l maestro,
non so io dir, ma el tenea soccinto
dinanzi l’altro e dietro il braccio destro 87
d’una catena che ’l
tenea avvinto
dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto
si ravvolgëa infino al giro quinto. 90
I due proseguono dunque il cammino
verso sinistra e, alla distanza di un tiro di balestra, scorgono un
altro gigante
assai piu` grande e
feroce. Il Nostro confessa di non saper dire chi lo abbia incatenato:
(il mastodonte) ha il braccio sinistro davanti e il destro dietro,
legati da una catena che lo tiene stretto dal collo in giu`, in modo
tale che nella parte scoperta si vedono cinque giri. "Questo
superbo volle esser esperto
di sua potenza contra ’l sommo Giove",
disse ’l mio duca, "ond’elli ha cotal
merto. 93
Fïalte ha nome, e fece le gran prove
quando i giganti fer paura a’ dèi;
le braccia ch’el menò, già mai non move". 96
Il Maestro spiega:
“Questo superbo volle sperimentare la sua potenza contro il sommo Giove,
per questo e` punito cosi`. Il suo nome e`
Fialte
(= Efialte = incubo o ‘colui che balza sopra’) e si esibi` quando i
giganti tentarono di intimorire gli dèi; ma ormai non puo` piu` muovere
le braccia che allora uso`.
E io a lui: "S’esser puote, io vorrei
che de lo smisurato Brïareo
esperïenza avesser li occhi mei". 99
Ond’ei rispuose: "Tu
vedrai Anteo
presso di qui che parla ed è disciolto,
che ne porrà nel fondo d’ogne reo. 102
Quel che tu vuo’
veder, più là è molto
ed è legato e fatto come questo,
salvo che più feroce par nel volto". 105
E il Discepolo a lui: “Se
e` possibile, vorrei
vedere con i miei occhi lo smisurato
Briareo
(= il grande Ares, il forzutissimo)” E Virgilio a lui: “Tra poco vedrai
Anteo
(= l’avversario) che si trova qui vicino, slegato, capace di parlare, e
che ci deporra` sul fondo del nono cerchio. Quello che vorresti vedere
sta piu` in la`, legato come
Fialte,
con lo stesso aspetto, ma e` assai piu` feroce nel volto”.
Non fu tremoto già tanto rubesto,
che scotesse una torre così forte,
come Fïalte a scuotersi fu presto. 108
Allor temett’io più
che mai la morte,
e non v’era mestier più che la dotta,
s’io non avessi viste le ritorte. 111
Noi procedemmo più
avante allotta,
e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
sanza la testa, uscia fuor de la grotta. 114
Mai ci fu terremoto
capace di scuotere una torre con tanta forza come subito si scosse
Fialte.
Il Viandante teme di morire, se non altro, di paura, ma e` rassicurato
dai giri della catena che trattengono (il bestione). I due procedono e
vedono Anteo
che esce dal pozzo, testa esclusa, per ben
5 alle
(circa 7 metri).
"O tu che ne la fortunata valle
che fece Scipïon di gloria reda,
quand’Anibàl co’ suoi diede le spalle, 117
recasti già mille
leon per preda,
e che, se fossi stato a l’alta guerra
de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda 120
ch’avrebber vinto i
figli de la terra:
mettine giù, e non ten vegna schifo,
dove Cocito la freddura serra. 123
“O tu, che una volta
catturasti mille leoni nella fortunata valle che
Scipione
( e` la battaglia di Zama) rese celebre quando
Annibale
(= dono di Baal) fuggi` con i suoi; tu che, se avessi partecipato alla
guerra (contro gli dèi) dei tuoi fratelli, avrebbero vinto loro (i
giganti): portaci giu` dove
Cocito
(= fiume del lutto) e` ghiacciato e non ti dispiaccia farlo...”
Non ci fare ire a Tizio né a Tifo:
questi può dar di quel che qui si brama;
però ti china e non torcer lo grifo. 126
Ancor ti può nel
mondo render fama,
ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta
se ’nnanzi tempo grazia a sé nol chiama". 129
“…Non farci andare da
Tizio
(gigante, figlio di Zeus, tento` di violentare Latona e fu ucciso da
Apollo) ne` da
Tifo
(Tifeo o Tifone= che vomita fuoco, gigante, figlio di Tartaro e di Gea,
riusci` dapprima a catturare Zeus, ma poi ne fu sconfitto e ucciso);
questi puo` darti quello che qui si desidera di piu`, la fama nel mondo,
perché e` vivo e vivra` ancora a lungo, se la Grazia divina non lo
chiama anzitempo; percio` chinati e non storcere il muso”.
Così disse ’l maestro; e quelli in fretta
le man distese, e prese ’l duca mio,
ond’Ercule sentì già grande stretta. 132
Virgilio,
quando prender si sentio,
disse a me: "Fatti qua, sì ch’io ti prenda";
poi fece sì ch’un fascio era elli e io. 135
Cosi` parla il Maestro, e quello
subito lo prende con la mano distesa, quella stessa mano di cui Ercole
(che poi lo uccise) sperimento` la terribile stretta.
Sentendosi raccolto,
la Guida intanto dice al Discepolo: “Avvicinati, che io ti possa
afferrare” E subito lo abbraccia, divenendo con lui una sola cosa.
Qual pare a riguardar la Carisenda
sotto 'l chinato, quando un nuvol vada
sovr'essa sì, ched ella incontro penda: 138
tal parve Antëo a me
che stava a bada
di vederlo chinare, e fu tal ora
ch’i’ avrei voluto ir per altra strada. 141
Ma lievemente al
fondo che divora
Lucifero con Giuda, ci sposò;
né, sì chinato, lì fece dimora, 144
e come albero in
nave si levò.
Come dalla parte inclinata appare la
torre Carisenda
(Garisenda, in Bologna) quando il cielo e` nuvoloso a uno che ci sta
sotto e gli sembra di vedersela cadere addosso, cosi`
Anteo,
nel momento in cui lo vede chinarsi, appare al Nostro, che avrebbe
voluto un diverso percorso. Ma quello
depone dolcemente i
due sul fondo che imprigiona Lucifero e Giuda e subito si rialza come un
albero di nave.
Sei sono i giganti
nominati in questo canto, 6
e` il numero relativo
alla sephirah Tiphereth (Bellezza) di cui essi hanno capovolto l’energia
con il loro
vizio della superbia;
essi sono insieme custodi del cerchio nono e peccatori qui puniti.
Essendosi ribellati
alla divinita` sono sprofondati nel pozzo infernale e incatenati
(eccetto Anteo, il meno colpevole); per la legge del contrappasso
vollero innalzarsi e ora sono abbassati. Nel nostro discorso
interiorizzato essi possono essere omologati alle
‘grandi possibilita`’
(doti fisiche, artistiche o intellettuali) della personalita` che,
potenzialmente, potrebbero svilupparsi in
Coscienza e che
invece vengono usate per la ribellione al Se`, diventando cosi` un
incredibile spreco di energie.
Nel sogno ‘i giganti’
rappresentano nostre aspirazioni ad intraprendere grandi progetti,
magari sublimi, ma spesso
sono solo dei
probabili distruttori di regole e leggi; dobbiamo pertanto soppesare le
nostre reali capacita` di controllo su di essi ed esaminare se la nostra
volonta` e` davvero
a servizio del Bene
nella costruzione dell’Albero bianco: un ‘gigante’ nella nostra
interiorita` ci permette di fare grandi cose, pero` rischia anche di
farci commettere grandi ingiustizie o errori; ma fare dei nostri
‘giganti’ interiori dei giganti ‘buoni’ o dei ribelli e percio`
‘cattivi’, dipende solo dalla nostra libera scelta!
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