INFERNO - CANTO XXXII
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
www.taote.it
www.taozen.it
www.teatrometafisico.it
S’ïo avessi le rime aspre
e chiocce, come si converrebbe al tristo buco sovra ’l qual pontan
tutte l’altre rocce, 3
io premerei di mio concetto il suco più
pienamente; ma perch’io non l’abbo, non sanza tema a dicer mi
conduco; 6
ché non è impresa da pigliare a gabbo discriver
fondo a tutto l’universo, né da lingua che chiami mamma o babbo. 9
Il Poeta ci confida di non avere rime
aspre e chiocce
cioe` dure e stridenti, adatte a descrivere pienamente, secondo il suo
pensiero, il pozzo crudele sovrastato da tutti gli altri (il nono
cerchio),
ed e` quindi costretto a parlarne con un certo timore,
perché
non e` sicuramente impresa da poco narrare del fondo
dell’universo nella lingua natale.
Ma quelle donne
aiutino il mio verso ch’aiutaro Anfïone a chiuder Tebe, sì che dal
fatto il dir non sia diverso. 12
Oh sovra tutte mal creata plebe
che stai nel loco onde parlare è duro, mei foste state qui pecore o
zebe! 15 Chiede quindi il sostegno delle Muse (=
dee della montagna, figlie di Zeus e Mnemosine, divinita` delle arti e
delle scienze), le dee che aiutarono
Anfione
(=
figlio di Zeus e di Antiope, che, col suono della cetra
donatagli da Ermes, fece muovere le pietre del monte
Citerone) a costruire le mura di
Tebe,
affinche` le sue parole non siano lontane dalla verita`. Poi si rivolge
alle anime dannate di quel cerchio infame dicendo loro che avrebbero
fatto meglio a nascere pecore o capre.
Affrontare il fondo dell’inferno, cioe`
il fondo del fondo della propria interiorita` e` certamente impresa
titanica e il Nostro ne e` ben consapevole, ma avendo invocato l’aiuto
delle Muse (potenze spirituali), ci riesce benissimo. Vengono puniti
nell’ultimo
cerchio i ‘traditori’ dei parenti, della patria,
degli amici, dei benefattori, e infine della Suprema Maesta` (il
Signore), cioe` quelli che invece dell’amore e della
gratitudine hanno sviluppato l’odio e
l’ingratitudine proprio contro coloro verso i quali avrebbero dovuto
essere maggiormente riconoscenti e profondamente grati. In un discorso
interiorizzato i ‘traditori’ sono coloro che uccidono in se` i ‘talenti’
(v. Mt. 25, 14 e ss.) quelle energie parentali, di origine, favorevoli,
e sopratutto spirituali, che hanno favorito la personalita` e l’hanno
fatta essere quello che e`; in altre parole sono ‘traditori’ coloro che
distruggono tutto il proprio ‘Albero bianco’ costruito in passato, nel
piu` completo disprezzo del lavoro delle precedenti incarnazioni
e delle Potenze che lo hanno guidato. Il Poeta
dicendo ai traditori che avrebbero fatto meglio a nascere
pecore o zebe
sta, in un certo qual modo, accettando la teoria della metempsicosi
(trasmigrazione delle anime), che ammette la rinascita anche nelle forme
di vita piu` basse
(animali, vegetali e minerali) per punire chi
non ha saputo apprezzare abbastanza l’umanita` e l’ha svilita,
trasformandola in bestialita` o addirittura in roccia (fredda e
ghiacciata) ed e` appunto a questa ‘cosificazione’ dell’anima a cui il
Nostro condanna i ‘traditori’.
Come noi fummo giù nel pozzo scuro sotto i piè del gigante assai più
bassi, e io mirava ancora a l’alto muro, 18
dicere udi’ mi:
"Guarda come passi: va sì, che tu non calchi con le piante le
teste de’ fratei miseri lassi". 21 I due
Viandanti sono giunti ancora piu` in basso dei piedi dei giganti quando
il Nostro, mentre ancora sta riguardando l’alto muro, sente una voce
dire: “ Sta attento quando cammini; vedi di non calpestare le teste dei
fratelli disgraziati”.
Per ch’io mi volsi, e vidimi davante e sotto i piedi un lago che per
gelo avea di vetro e non d’acqua sembiante. 24
Non fece al
corso suo sì grosso velo di verno la Danoia in Osterlicchi, né
Tanaï là sotto ’l freddo cielo, 27
com’era quivi; che se
Tambernicchi vi fosse sù caduto, o Pietrapana, non avria pur da
l’orlo fatto cricchi. 30 Per cui il Poeta si
volge e vede dinanzi e sotto i piedi un lago ghiacciato che sembra vetro
e non acqua. In
Osterlicchi (= nell’impero dell’est, in Austria) la
Danoia
(= da danu = fiume, il Danubio) d’inverno non ha mai avuto una lastra di
ghiaccio cosi` spessa, ne` il
Tanai
(= da danu, fiume, il Don) nelle regioni fredde (in Russia), come c’e`
qui; che se il monte
Tambernicchi (monte del subappennino
toscano, monte Tambura delle Alpi Apuane) o il monte
Pietrapana
(Pietra Apuana, delle Alpi Apuane; questi monti sono chiamati Alpi per
il loro profilo irto e scabro) ci cadessero sopra non scricchiolerebbe
neanche un po`. E come a gracidar si sta la rana col muso fuor de
l’acqua, quando sogna di spigolar sovente la villana, 33
livide, insin là dove appar vergogna eran l’ombre dolenti ne la
ghiaccia, mettendo i denti in nota di cicogna. 36
Ognuna in
giù tenea volta la faccia; da bocca il freddo, e da li occhi il cor
tristo tra lor testimonianza si procaccia. 39
E come la rana sta a gracidare col muso fuori dell’acqua quando
la contadina pensa di mietere (d’estate), cosi` quei dannati, lividi,
stanno nel ghiaccio fino dove appare la vergogna (le guance) battendo i
denti come battono il becco le cicogne. Ognuno ha la faccia volta in
giu`: la bocca testimonia l’intensita`del freddo e gli occhi il dolore
del cuore. Quand’io m’ebbi dintorno alquanto visto, volsimi a’
piedi, e vidi due sì stretti, che ’l pel del capo avieno insieme
misto. 42
"Ditemi, voi che sì strignete i petti", diss’io,
"chi siete?". E quei piegaro i colli; e poi ch’ebber li visi a me
eretti, 45
li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli,
gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse le lagrime tra essi e
riserrolli. 48
Con legno legno spranga mai non cinse forte così; ond’ei come due
becchi cozzaro insieme, tanta ira li vinse. 51
Dopo essersi guardato intorno, il Pellegrino scruta in basso e
ai suoi piedi vede due tanto avvinghiati che i loro capelli si
mescolano, e cosi` dice loro: “ Chi siete voi che avete i petti cosi`
uniti?” E quelli piegano il collo, poi, una volta girati (verso
l’interlocutore), cominciano a piangere, e le lacrime si gelano,
serrando loro gli occhi, mentre scendono sulle labbra. Una spranga non
ha mai sbarrato due legni con tanta forza, come quelli, come montoni,
cozzano tra loro, per l’ira che li
avvince.
E un ch’avea perduti ambo li orecchi per la freddura, pur col
viso in giùe, disse: "Perché cotanto in noi ti specchi? 54
Se
vuoi saper chi son cotesti due, la valle onde Bisenzo si dichina
del padre loro Alberto e di lor fue. 57 E uno
che ha perso le orecchie per il gelo, e pur stando con il viso in giu`
chiede: “ Perché tanto ti
specchi
(cioe ` ti preoccupi) per noi? Vuoi sapere chi sono? La terra dove
scorre il Bisenzo
(= doppio senso, dalla doppia corrente, Bisenzio, affluente dell’Arno)
fu loro e del loro padre
Alberto (= illustre)…”
Abbiamo qui
un ‘doppio senso’ della parola
specchi-o:
la lastra di ghiaccio fa da ‘specchio’ a chi la guarda da sopra, ma i
dannati fanno da ‘specchio’ a chi ci guarda dentro e poiche` ognuno di
loro e`una specchiatura del suo ideatore: Dante si
specchi-a
in loro. D’un
corpo usciro; e tutta la Caina potrai cercare, e non troverai ombra
degna più d’esser fitta in gelatina: 60
non quelli a cui fu rotto
il petto e l’ombra con esso un colpo per la man d’Artù; non
Focaccia; non questi che m’ingombra 63
col capo sì, ch’i’ non
veggio oltre più, e fu nomato Sassol Mascheroni; se tosco se’, ben
sai omai chi fu. 66 “…Sono nati dalla stessa
madre, e in tutta la
Caina
(la prima zona del nono cerchio, quella dei traditori dei parenti;
deriva il nome da Caino che tradi` e uccise il fratello Abele
–
Gn. 4, 1-16
v. in
www.taozen.it
Testi sacri
‘Genesi’), nessuno e` piu` degno di loro di stare nel ghiaccio: non
quello a cui
Artu` (= pietra) squarcio` il petto e l’ombra (il
figlio adulterino Mordred che lo voleva spodestare
–
v. in
www.teatrometafisico.it
‘Excalibur’ e
relativa interpretaz. cabalistica), ne`
Focaccia
(= cio` che e` cotto al fuoco,Vanni dei Cancellieri che uccise il
cugino), ne` questo che con la testa mi impedisce la vista,
Sassol
(= sasso, pietra)
Mascheroni (= da masca =
strega, degli Stregoni, che uccise a tradimento
il nipote);
ma, se sei toscano, ne conosci la storia...”
E perché non mi metti in più sermoni, sappi ch’i’ fu’ il
Camiscion de’ Pazzi; e aspetto Carlin che mi scagioni". 69
Poscia vid’io mille visi cagnazzi fatti per freddo; onde mi vien
riprezzo, e verrà sempre, de’ gelati guazzi. 72
“…E perché
tu non mi faccia parlare ancora, ti confesso di
essere Camiscion
(= il camicione, la tunica)
de’ Pazzi (= dei
folli) e aspetto che giunga qui
Carlin (dei Pazzi) che, commettendo un
delitto piu` grave del mio (costui, Guelfo Bianco tradira` la patria),
faccia sembrare minore la mia colpa”. Poi il Poeta vede li` nel ghiaccio
mille visi, lividi per il freddo, il che gli suscita un ribrezzo senza
fine per quell’acqua gelata.
Il ghiaccio indica totale mancanza di
calore, e percio` di attivita`, di entusiasmo, di generosita`, di
preghiera, di spiritualita`. Ma nella
Caina
i dannati possono ancora piangere, c’e` in loro ancora una
manifestazione di sentimento, piu` in basso nemmeno quella.
E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo al quale ogne gravezza si rauna,
e io tremava ne l’etterno rezzo; 75
se voler fu o destino o
fortuna, non so; ma, passeggiando tra le teste, forte percossi ’l
piè nel viso ad una. 78 E mentre i due Viandanti
si dirigono verso il fondo dell’inferno (e della terra), centro di
gravita` per ogni cosa, il Nostro, tutto tremante per l’eterno freddo,
per volere del destino o della fortuna, passeggiando tra le teste dei
dannati, col piede ne percuote una sul viso. Piangendo mi sgridò: "Perché mi peste? se tu non vieni a
crescer la vendetta di Montaperti, perché mi moleste?". 81
E
io: "Maestro mio, or qui m’aspetta, sì ch’io esca d’un dubbio per
costui; poi mi farai, quantunque vorrai, fretta". 84
Il dannato colpito, piangendo, si lamenta: “ Perché mi colpisci?
Vuoi forse aumentare la mia pena per aver tradito i miei nella battaglia
di Montaperti
(e` Bocca degli Abati, nel 1260 - taglio` la mano al portabandiera dei
Fiorentini e ne causo` lo scompiglio e la sconfitta)?” E Dante alla
Guida: “Maestro mio, aspettami qui, debbo togliermi un dubbio su costui,
poi, se vorrai mi farai fretta”.
Lo duca stette, e io dissi a colui che bestemmiava duramente ancora:
"Qual se’ tu che così rampogni altrui?". 87
"Or tu chi se’ che
vai per l’Antenora, percotendo", rispuose, "altrui le gote, sì
che, se fossi vivo, troppo fora?". 90 La Guida
si ferma e il Discepolo rivolgendosi al dannato che ancora bestemmia: “
Chi sei tu che
sgridi gli altri?” E quello: “ E chi sei tu che
vai per l’Antenora ( la seconda zona del nono
cerchio, dei traditori della patria; deriva il nome da Antenore, troiano
che consegno` ai Greci il Palladio, simulacro in legno di Atena, la cui
perdita significava la distruzione di Troia) calciando il viso agli
altri, cosicche`, se fossi vivo, la pagheresti cara?”
La
differenza tra i dannati della
Caina
e quelli dell’Antenora e` che i primi stanno a testa in
giu` e i secondi a testa in su; a prima vista sembrerebbe che i primi
siano piu` puniti dei secondi, ma non e` cosi`: le lacrime di dolore che
sgorgano dagli occhi dei primi sono liquide, quindi fluiscono, quelle
dei secondi sono ghiacciate, pietrificate, e quindi impedite, percio`
provocano maggior dolore.
"Vivo son io, e caro esser ti puote", fu mia risposta,
"se dimandi fama, ch’io metta il nome tuo tra l’altre note". 93
Ed elli a me: "Del contrario ho io brama. Lèvati quinci e non mi
dar più lagna, ché mal sai lusingar per questa lama!". 96
E Dante a lui: “Ma io sono vivo e, se gradisci
essere famoso, puo` farti piacere che io metta anche il tuo nome tra i
ricordi del viaggio” E quello in risposta: “ Desidero il contrario.
Vattene e non darmi piu` noia, le tue lusinghe non servono in questa
landa!” Allor
lo presi per la cuticagna e dissi: "El converrà che tu ti nomi, o
che capel qui sù non ti rimagna". 99
Ond’elli a me: "Perché tu mi
dischiomi, né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti se mille fiate in
sul capo mi tomi". 102 Allora il Viandante lo
afferra per la cotenna della nuca e lo minaccia: “Faresti bene a dire il
tuo nome, o qui non ti restera` neanche un capello”. E quello: “Anche se
mi scotenni, non ti diro` chi sono ne` te lo mostrero`, neanche se
dovessi cadermi sulla testa mille volte”.
Io avea già i capelli in mano avvolti, e tratti glien’avea
più d’una ciocca, latrando lui con li occhi in giù raccolti, 105
quando un altro gridò: "Che hai tu, Bocca? non ti basta sonar con
le mascelle, se tu non latri? qual diavol ti tocca?". 108
"Omai", diss’io, "non vo’ che più favelle, malvagio traditor; ch’a la
tua onta io porterò di te vere novelle". 111
Il Pellegrino ha gia` avvolto i capelli del dannato nella mano e gliene
ha strappato piu` d’una ciocca mentre quello urla con gli occhi rivolti
in giu`, quando un altro dannato grida: “Che cosa hai, tu
Bocca, non ti basta battere i denti se non
urli? Quale diavolo ti tormenta?”
E Dante: “Ormai non mi interessa piu` che parli,
crudele traditore, ma riportero` notizie vere di te, per tua vergogna”.
Questa
prepotenza del Nostro su una misera e dannatissima ombra lascia
perplessi, ma ricorda
l’episodio, tutto opposto e costruttivo
dell’Albero bianco, di Genesi: ‘Giacobbe al guado dello Iabbok’ (Gn. 32,
23 e ss. v.
www.taozen.it
Testi sacri) in cui
il Viandante Giacobbe incontra una Potenza, ci lotta e vorrebbe
conoscerne il Nome, e La trattiene finche` non ottiene il cambiamento
del suo nome da ‘Giacobbe’ (colui che ha soppiantato), in ‘Israele’
(colui che ha combattuto con gli uomini e con il Signore ed ha vinto).
Qui siamo nella situazione contraria: si vuole conoscere i ‘nomi’ per
‘liberarsene’; anche per il nostro Viandante all’inferno i ‘nomi’ dei
dannati sono essenziali
ed egli e` disposto anche a lottare per poterli
poi ricordare nelle sue note di Viaggio. Qui nella penetrazione dei nomi
dei ‘suoi’ personaggi neri, egli sviscera il male da loro commesso, lo
pesa e, sapendo di non poterlo recuperare perché totalmente ‘infero’, se
ne libera, pietrificandolo e lasciandolo la`, sotto terra, dove il suo
‘Minos’ infernale lo ha condannato a restare.
"Va via", rispuose, "e ciò che tu vuoi conta; ma non tacer, se tu
di qua entro eschi, di quel ch’ebbe or così la lingua pronta. 114
El piange qui l’argento de’ Franceschi: "Io vidi", potrai dir,
"quel da Duera là dove i peccatori stanno freschi". 117
Allora Bocca a lui: “Vattene, e racconta quello che ti pare
ma, se esci da qui, non tacere di quello che ora ha avuta la lingua
tanto pronta. Egli sconta qui il denaro preso dai Francesi, potrai dire
d’aver visto (Buoso) da
Duera (signore di Cremona, corrotto da
Carlo I d’Angio`, che tradi`Manfredi di Svevia nel 1265) nell’inferno di
ghiaccio…” Se
fossi domandato "Altri chi v’era?", tu hai dallato quel di Beccheria
di cui segò Fiorenza la gorgiera. 120
Gianni de’ Soldanier credo
che sia più là con Ganellone e Tebaldello, ch’aprì Faenza quando
si dormia". 123 “… Se poi ti chiederanno chi
altro c’era, dirai che c’era (Tesauro) di
Beccheria
(= macelleria, legato pontificio in Toscana, favori` nel 1258 il ritorno
dei Ghibellini in Firenze) e vi fu decapitato. Credo che piu` in la` ci
siano anche Gianni (dono divino al bianco, punizione
divina al nero)
de’ Soldanier (= degli assoldati), che contribui`
alla sconfitta dei Ghibellini di Firenze nel 1266) con
Ganellone
(= lupone, che tradi` i paladini di Carlo Magno a Roncisvalle)
e
Tebaldello
(= valoroso al bianco, vile al nero) che apri` le porte di
Faenza (la
consegno` ai Guelfi Bolognesi nel
1280) mentre tutti dormivano”.
Quello che non ha voluto parlare di se`
e dire il suo nome (Bocca
degli Abati)
ora e` disposto a sciorinare con la sua ‘bocca’
i nomi di tanti altri dannati, traditori della patria come lui, e lo fa
con dovizia di perticolari, per dispetto, per accrescere l’atmosfera di
conflitto propria del luogo, e anche i loro nomi (macelleria, punizione,
assoldati, lupo, vile ecc.) narrano tutte storie di tradimenti senza
fine … Noi
eravam partiti già da ello, ch’io vidi due ghiacciati in una buca,
sì che l’un capo a l’altro era cappello; 126
e come ’l pan per
fame si manduca, così ’l sovran li denti a l’altro pose là ’ve ’l
cervel s’aggiugne con la nuca: 129
non altrimenti Tidëo si rose
le tempie a Menalippo per disdegno, che quei faceva il teschio e
l’altre cose. 132 I Pellegrini si sono appena
allontanati da Bocca che il Nostro scorge due dannati
immersi nella buca di ghiaccio con la testa di uno sopra quella
dell’altro e, come si mangia il pane per la fame, cosi` il primo dannato
azzanna l’altro alla base della nuca, come (nella guerra dei sette re
contro Tebe) fece Tideo con
Menalippo
per rabbia.
"O tu che mostri per sì bestial segno odio sovra colui che tu ti
mangi, dimmi ’l perché", diss’io, "per tal convegno, 135
che
se tu a ragion di lui ti piangi, sappiendo chi voi siete e la sua
pecca, nel mondo suso ancora io te ne cangi, 138
se quella con
ch’io parlo non si secca".
Dante gli si rivolge cosi`: “O tu che
mostri un odio tanto bestiale verso quello a cui divori il capo, dimmi
perché lo fai, a questo patto: se hai ragione di lamentarti, io, sapendo
chi voi siete e il suo peccato, te ne daro` riconoscimento nel mondo di
lassu`, se la lingua non mi si secca”.
|