INFERNO - CANTO XXXIII
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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La bocca sollevò dal fiero
pasto quel peccator, forbendola a' capelli del capo ch'elli avea
di retro guasto. 3
Poi cominciò: "Tu vuo’ ch’io rinovelli
disperato dolor che ’l cor mi preme già pur pensando, pria ch’io ne
favelli. 6 Il peccatore interpellato da Dante
solleva dal pasto bestiale la sua bocca, nettandola con i capelli della
testa azzannata e inizia a dire: “Tu vuoi chi io rinnovi il dolore senza
conforto che mi stringe il cuore ancor prima che ne parli…”
Ma se le mie parole esser dien seme che frutti infamia al traditor
ch’i’ rodo, parlare e lagrimar vedrai insieme. 9
Io non so chi
tu se’ né per che modo venuto se’ qua giù; ma fiorentino mi sembri
veramente quand’io t’odo. 12
Tu dei saper ch’i’ fui conte
Ugolino, e questi è l’arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i
son tal vicino. 15 “…Ma se le mie parole saranno
causa d’infamia per il traditore che sto divorando, allora parlero` e
piangero`.
Non so chi tu sia, ne` in che modo sei finito
quaggiu`, ma da quel che sento, mi sembri fiorentino. Devi sapere che io
sono stato il conte
Ugolino (= dall’ingegno acuto al bianco,
ottuso d’ingegno al nero) e costui e` l’arcivescovo
Ruggeri (= dalla ‘lancia gloriosa’ al
bianco, dalla ‘lancia infame’ al nero): ed ora diro` perché lo azzanno…”
Ugolino
conte della Gherardesca (= dei valorosi con la
lancia) di tradizione ghibellina, nel 1275 si accordo` col genero
Giovanni Visconte di parte guelfa e nel 1284
divenne signore di Pisa; nel 1288 la parte
ghibellina insorse contro di lui, l’arcivescovo Ruggeri che ne era il
capo, apparentemente disposto a trattare, lo fece invece catturare a
tradimento e imprigionare con i due figli e i due nipoti nella torre dei
Gualandi; dopo alcuni mesi, nel marzo dell’89 fece inchiodare la porta
e li` i prigionieri morirono di fame. Questi
fatti, noti a tutti in Firenze, sono gia` conosciuti da Dante, ma non
cio` che accadde nella torre.
La descrizione della feroce atto di
cannibalismo raggiunge nella sua cruda descrizione il massimo del’incubo
e dell’orrore, ma cerchiamo di interiorizzare queste immagini. La bocca
nel linguaggio onirico rappresenta la porta attraverso cui si riceve il
‘cibo’
astrale o mentale e i denti sono il mezzo che lo rendono
assimilabile; se
il cibo e` la ‘testa’ del nemico e il nemico e`
una specchiatura del sognatore, addentargli la testa vuol dire essere in
uno stato di patologica fame psichica e aver la necessita` di
riassorbire una propria potenza mentale distruttiva, che e` stata
‘nemica’ in quanto ha procurato gravi sofferenze e la morte dei ‘figli e
nipoti’, cioe` dei ‘nuovi’ getti dell’albero, vale a dire del desiderio
di rinnovamento della personalita`. Nel sogno vedere ‘uno che divora la
testa ad un altro che gli e` stato nemico’ indica che non si e` in grado
di nutrire adeguatamente le proprie aspirazioni, e che lo si fa nel modo
sbagliato, continuando ad alimentarsi degli errori passati e
manifestando quindi un inconscio desiderio di autodistruzione, con la
tendenza a cedere alla disperazione (suicidio) o
a
vizi tipo alcool o droghe, (altro tipo di suicidio, ma
piu` lento) ecc…
Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri, fidandomi di lui, io fossi
preso e poscia morto, dir non è mestieri; 18
però quel che non
puoi avere inteso, cioè come la morte mia fu cruda, udirai, e
saprai s’e’ m’ ha offeso. 21 “…Non e` necessario
dire che a causa della sua malizia, fidandomi di lui, io fui fatto
prigioniero e condannato a morte; ma quello che non si sa, e che sto per
raccontare, e` la crudelta` della morte e come ne sono stato offeso…”
Breve pertugio dentro da la Muda, la qual per me ha ’l titol de la
fame, e che conviene ancor ch’altrui si chiuda, 24
m’avea
mostrato per lo suo forame più lune già, quand’io feci ’l mal sonno
che del futuro mi squarciò ’l velame. 27 “…Un
piccolo foro nella
Muda (= torre, dove venivano rinchiusi i
rapaci usati per la caccia nel periodo della muta delle penne), che per
me ha il nome ‘della Fame’ e che altri ne fara` morire cosi`, mi aveva
gia` mostrato il passare dei mesi, quando, sognando, ebbi l’incubo che
mi svelava il futuro:…”
Questi pareva a me maestro e donno, cacciando il lupo e ’
lupicini al monte per che i Pisan veder Lucca non ponno. 30
Con cagne magre, studïose e conte Gualandi con Sismondi e con
Lanfranchi s’avea messi dinanzi da la fronte. 33
“…Il Ruggeri mi appariva nel sogno signore e guida (di
cacciatori) mentre, andando verso il monte che impedisce ai
Pisani di vedere
Lucca (monte S. Giuliano), dava la caccia ad un
lupo ed ai suoi lupicini. Dinanzi a lui c’erano le famiglie
dei Gualandi
(= illustri per possedimenti)
Sismondi (= i vittoriosi) e dei
Lanfranchi
(= i liberatori) con cagne affamate, bramose ed esperte…” In picciol corso mi parieno stanchi lo padre e ’ figli, e
con l’agute scane mi parea lor veder fender li fianchi. 36
Quando fui desto innanzi la dimane, pianger senti’ fra ’l sonno i
miei figliuoli ch’eran con meco, e dimandar del pane. 39
“…Dopo una breve corsa, il lupo e i lupacchiotti, stanchi,
venivano azzannati dalle feroci cagne. Quando mi sono destato, prima del
mattino, ho udito piangere nel sonno i figlioli che erano con me e
domandare pane…”
Il sogno-incubo comune a Ugolino e ai
suoi figli e nipoti, cosi` come descritto, e`, ovviamente, una
premonizione collettiva dovuta allo stato di
particolare sensibilita`in cui si trovano i prigionieri e deve essere
interpretato letteralmente come l’intende il personaggio
Ugolino, il conte della Gerardesca, cioe`come
preannuncio della crudele morte sua (lupo) e dei suoi cari
(lupacchiotti) e della schiacciante vittoria dei suoi nemici (del
ghibellino Ruggeri e delle famiglie alleate, quasi omologate a cagne
feroci). Ma potremmo anche
vederlo come sogno nel sogno dello stesso Dante:
allora
fotograferebbe la sua necessita` di catturare il
‘suo lupo interiore con i suoi lupacchiotti’; ricordiamo che la
simbologia del ‘lupo’ e` negativa, e che e` sempre associato al male,
alla distruzione, all’ingordigia (cfr. inf. canto I vv. 49-54). Allora
andare a caccia del lupo diventerebbe per lui una operazione necessaria
per il raggiungimento del monte S. Giuliano (dedicato a Giove, relativo
al centro Chesed, Giustizia)
per mezzo dell’arcivescovo Ruggeri (dalla lancia
gloriosa relativo al centro Gheburah, Forza) e delle famiglie sue
alleate Gualandi
(= illustri, relativi al centro Hod, Splendore),
Sismondi
(=
vittoriosi, relativi al centro Netzach,
Vittoria) e
Lanfranchi (= liberatori, relativi al centro Yesod,
Fondamento) con cagne affamate, bramose ed esperte (relative al centro
Malkuth, Regno): tutti ‘alleati’necessari per catturare il ‘lupo ed i
suoi lupicini’…
Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che ’l mio cor
s’annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli? 42
Già
eran desti, e l’ora s’appressava che ’l cibo ne solëa essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava; 45
e io senti’ chiavar l’uscio
di sotto a l’orribile torre; ond’io guardai nel viso a’ mie’
figliuoi sanza far motto. 48 “…Sei ben crudele
se non soffri gia` al pensiero di cio` che prevedevo; e se non piangi
per questo, per che cosa sei solito piangere? I miei erano gia` svegli e
si avvicinava l’ora del pasto, ma ciascuno ne dubitava per l’incubo
avuto (in comune); e poi io sentii inchiodare da basso l’uscio
all’orribile torre e guardai in viso i miei figlioli senza parlare.
Io non piangëa, sì dentro impetrai: piangevan elli; e
Anselmuccio mio disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?". 51
Perciò non lagrimai né rispuos’io tutto quel giorno né la notte
appresso, infin che l’altro sol nel mondo uscìo. 54
“…Io non piangevo, ma
diventavo di pietra dentro; loro piangevano e il mio
Anselmuccio
(= che e`difeso al bianco, che e` abbandonato al nero, uno dei nipoti)
disse: ‘Tu guardi cosi`, padre! Che hai?’ Allora io non piansi e non
risposi fino al giorno dopo…”
Come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso, 57
ambo le man per lo
dolor mi morsi; ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia di
manicar, di sùbito levorsi 60
e disser: "Padre, assai ci fia men
doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e
tu le spoglia". 63 “…Come un po` di luce fu
penetrata nella dolorosa prigione, io scorsi nei loro quattro visi il
mio stesso aspetto e mi morsi (disperato) entrambe le mani;
essi, pensando che lo facessi per (rabbiosa)
fame, dissero: ‘Padre, soffriremmo meno se tu mangiassi noi: tu ci hai
dato queste carni, e tu ce le puoi togliere’…”
Queta’ mi allor per non farli più tristi; lo dì e l’altro
stemmo tutti muti; ahi dura terra, perché non t’apristi? 66
Poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gittò disteso a’
piedi, dicendo: "Padre mio, ché non m’aiuti?". 69
“…Allora mi quietai per non rattristarli di piu`; tacemmo per
due giorni…la terra avrebbe dovuto inghiottirci. Poi il quarto giorno
Gaddo (= felice al bianco, infelice al
nero, uno dei figli) mi si getto` ai piedi dicendo: ‘Padre mio, perché
non mi aiuti?’ …”
Quivi morì; e come tu mi vedi, vid’io cascar li tre ad uno ad uno
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi, 72
già cieco, a
brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno". 75
Quand’ebbe detto
ciò, con li occhi torti riprese ’l teschio misero co’ denti, che
furo a l’osso, come d’un can, forti. 78 “…E li`
mori`. E come tu vedi me, io li vidi crollare ad uno ad uno tra il
quinto e il sesto giorno; cosicche` dopo morti, gia` cieco, per due
giorni brancolai su di loro chiamandoli (invano), dopo, piu` che il
dolore, mi stronco` il digiuno”. Cio` detto, con lo sguardo bieco,
torno` ad azzannare lo sciagurato teschio, con i denti robusti, come
quelli di un cane su un osso.
Ahi
Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove 'l sì suona, poi
che i vicini a te punir son lenti, 81
muovasi la Capraia e la
Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch’elli
annieghi in te ogne persona! 84 Il Poeta rivolge
ora un’invettiva contro la citta` di
Pisa e la chiama
vituperio,
oltraggio delle genti d’Italia, e poiche` i vicini sono lenti a
punirla, chiede che le isolette di
Capraia
e di
Gorgona
formino una diga alla foce dell’Arno
cosicche` in esso annighino tutti i Pisani!
Che se ’l conte Ugolino aveva voce d’aver tradita te de le castella,
non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. 87
Innocenti facea
l’età novella, novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata e li altri
due che ’l canto suso appella. 90 Pisa e` come
una novella Tebe, citta` di atroci vendette; ma se anche il conte
Ugolino l’ha tradita per i suoi castelli, non dovevano essere
giustiziati insieme a lui i figli e i nipoti. La loro giovane eta` li
rendeva innocenti:
Uguiccione (= assennato al bianco, senza
senso al nero)
e Brigata (= che ha tentato) e gli altri due
nominati prima (Anselmuccio
e Gaddo).
Nella
Kabbalah la Torre corrisponde all’Archetipo n. 16 (v. in
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teatro
Archetipi) e simboleggia la ‘Caduta’,
conseguenza del peccato d’orgoglio e di disobbedienza, tuttavia qui non
ci sono un principe e un architetto
precipitati giu` dal Fulmine come nella lamina,
ne` popoli dispersi come nella Torre di Babele, ma un lupo (Ugolino
= la dissennatezza) e
4 lupacchiotti, sue qualita` in divenire,
‘affamati’ fino alla morte:
Anselmuccio
(= abbandono - della Via-),
Gaddo
(= disgrazia),
Uguiccione (= mancanza di coerenza)
e Brigata (= tentazione). Nel nostro discorso
interiorizzato Dante, la personalita` accetta la cattura del ‘lupo
cattivo’ ma si rammarica (e molto) della dolorosa fine dei ‘suoi’
lupacchiotti. Dimenticando per ‘affezione’ che
i ‘lupi piccoli’ di oggi sono il ‘lupi grandi’
di domani e che, se non vengono ‘affamati’ per tempo, (al piu` presto)
creeranno tanti, ma tanti problemi…cfr. in
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Testi sacri ‘Commento
al Tao te Ching
cap. LXIV: “…Cio` che non e` ancora apparso si
previene facilmente. Cio` che e` minuto si disperde facilmente. Agisci
prima che qualcosa sia; crea l’ordine prima che ci sia disordine…”
Noi passammo oltre, là ’ve la gelata ruvidamente un’altra gente
fascia, non volta in giù, ma tutta riversata. 93
Lo pianto
stesso lì pianger non lascia, e ’l duol che truova in su li occhi
rintoppo, si volge in entro a far crescer l’ambascia; 96
ché
le lagrime prime fanno groppo, e sì come visiere di cristallo,
rïempion sotto ’l ciglio tutto il coppo. 99 I
due Pellegrini proseguono il viaggio verso quella zona (la terza del
nono cerchio) dove i dannati sono tutti avvolti dal duro ghiaccio e
stanno non bocconi, ma supini. Il pianto non scorre dai loro occhi e il
dolore, che trova ostacolo, torna indietro ad accrescere la sofferenza,
perché le lacrime fanno grumo e riempiono tutta l’orbita come una
visiera di cristallo.
Le lacrime (il pianto) nel sogno
rappresentano la partecipazione al dolore (nostro e degli altri) se sono
impedite, anche il sentimento che dovrebbero esprimere e` represso e
conculcato: il sogno indica che inconsciamente si vuole impedire
la fecondazione del terreno su cui dovrebbero
cadere (la personalita`, che corrisponde al Malkuth) e che invece le
dovrebbe accogliere per purificarsi e rinnovarsi. Sognare di avere le
lacrime tramutate in tappi di giaccio, che riempiono le orbite degli
occhi e impediscono anche la vista, denota una situazione di cecita` da
‘gelo’, cioe` da mancanza di entusiasmo, di amore, di spiritualita`.
E avvegna che, sì come d’un callo, per la freddura ciascun sentimento
cessato avesse del mio viso stallo, 102
già mi parea sentire
alquanto vento; per ch’io: "Maestro mio, questo chi move? non è
qua giù ogne vapore spento?". 105
Ond’elli
a me: "Avaccio sarai dove di ciò ti farà l’occhio la risposta,
veggendo la cagion che ’l fiato piove". 108
E, quantunque, come avviene per una
callosita`, per il freddo il viso del Discepolo sia tutto insensibile,
pure egli avverte una brezza, per cui chiede al Maestro: “Chi produce
questo vento? Non c’e` qui assenza totale di vapore?” E la Guida a lui:
“Presto arriveremo dove avrai la risposta dai tuoi occhi, vedendo la
causa di questa brezza”.
Visto che la Guida rifiuta al Discepolo l’immediata
risposta con la spiegazione del ‘vento’ da lui avvertito, anche noi
dovremo aspettare, come lui,
di ‘vederla’ con i nostri occhi; certo che,
essendo ormai giunti al fondo dell’inferno, nel fondo del mentale nero,
il ‘vento’ come congrua attribuzione del Briah nero, e` assai
appropriato, ma ovviamente sara` un vento tutto ‘nero’, che piu` nero
non si puo`, e
ci attende nel canto successivo.
E un de’ tristi de la fredda crosta gridò a noi: "O anime crudeli
tanto che data v’è l’ultima posta, 111
levatemi dal viso i duri
veli, sì ch’ïo sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna, un poco, pria
che ’l pianto si raggeli". 114 . Allora un
dannato immerso nel ghiaccio grida loro: “O anime spietate, che avete
meritato il fondo dell’inferno, toglietemi dal viso i ghiaccioli,
cosicche` io possa sfogare un poco il mio dolore prima che si riformino”
Per ch’io a lui: "Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna, dimmi chi se’, e
s’io non ti disbrigo, al fondo de la ghiaccia ir mi convegna". 117
Rispuose adunque: "I’ son frate Alberigo; i’ son quel da le
frutta del mal orto, che qui riprendo dattero per figo". 120
E Dante a lui: “Se vuoi che t’aiuti, dimmi chi sei,
e se non t’aiuto, che io possa
arrivare proprio sul fondo del ghiacciaio” E
quello: “Sono frate
Alberigo (= re degli elementali al bianco,
dominato dagli elementali al nero, dei Manfredi di Faenza; nel maggio
1285 invito` ad un banchetto due parenti con cui era in disaccordo e,
‘alla frutta’, li fece uccidere), il mio orto (albero) ha dato frutti
guasti (cfr. Mt. 7, 17-20) e qui riceve ‘dattero per figo, cioe` piu` (sofferenza)
di quella che ha procurato…”
"Oh", diss’io lui, "or se’ tu ancor morto?". Ed elli a me: "Come ’l
mio corpo stea nel mondo sù, nulla scïenza porto. 123
Cotal
vantaggio ha questa Tolomea, che spesse volte l’anima ci cade
innanzi ch’Atropòs mossa le dea. 126 E Dante a
lui: “Oh, dunque sei gia` morto?” E il dannato: “A che punto stia il mio
corpo sulla terra non lo so. La
Tolomea
(terza zona del nono cerchio, da Tolomeo = il bellicoso, che
fece uccidere a tradimento il suocero e i suoi figli in un convito:
1Mac. 16, 11-16), ha un
vantaggio: puo` accogliere le anime dei
traditori degli ospiti prima che
Atropos
(la Parca che recide il filo della vita)
agisca…”
E perché tu più volontier mi rade le ’nvetrïate lagrime dal volto,
sappie che, tosto che l’anima trade 129
come fec’ïo, il corpo suo
l’è tolto da un demonio, che poscia il governa mentre che ’l tempo
suo tutto sia vòlto. 132 “…E affinche` ti possa
piu` volentieri togliermi le lacrime di ghiaccio dal viso, sappi che,
dopo il tradimento, il corpo viene sottratto all’anima da un demonio che
lo governa per il tempo che gli resta da vivere…”
Ella ruina in sì fatta cisterna; e forse pare ancor lo corpo suso
de l’ombra che di qua dietro mi verna. 135
Tu ’l dei saper, se tu
vien pur mo giuso: elli è ser Branca Doria, e son più anni poscia
passati ch’el fu sì racchiuso". 138 “…Intanto
l’anima precipita in questa fossa; forse il corpo dell’anima che mi sta
dietro
al gelo e` ancora visibile sulla terra. Tu lo devi
sapere,
se sei arrivato adesso qui: egli e` messer
Branca
(= artiglio)
Doria (= prezioso al bianco, volgare al
nero, genovese) e sono gia` parecchi anni che sta ficcato nel ghiaccio”.
"Io
credo", diss’io lui, "che tu m’inganni; ché Branca Doria non morì
unquanche, e mangia e bee e dorme e veste panni". 141
"Nel
fosso sù", diss’el, "de’ Malebranche, là dove bolle la tenace pece,
non era ancora giunto Michel Zanche, 144
che questi lasciò il
diavolo in sua vece nel corpo suo, ed un suo prossimano che ’l
tradimento insieme con lui fece. 147 E Dante a
lui: “Io credo che tu m’inganni;
Branca Doria non e` ancora morto e mangia e
beve e dorme e va in giro vestito” E frate Alberigo a lui: “Su nella
bolgia delle
Malebranche (inf. XXII, v. 18) dove la pece
ribolle, non era ancora giunto
Michele Zanche
che questi aveva gia` lasciato un diavolo al suo posto
e con lui era un parente che l’aveva aiutato al
tradimento (probabilmente nel 1275, Branca, volendo impossessarsi della
signoria di Logodoro del suocero Michele Zanche, lo invito` ad un
banchetto e, aiutato da un nipote, lo assassino`)…”
Tra i dannati della
Tolomea
(= bellicosa, violenta), la terza zona del nono cerchio, che ha il
vantaggio
( = il vanto) di accogliere i ‘traditori degli ospiti’, i cui corpi
prosperano ancora in terra ma sono posseduti da demoni, il Nostro
ricorda Alberigo
(= dominato dagli elementali al nero) e
Branca Doria
(artiglio infimo al nero): due personaggi che possiamo far corrispondere
a vizi legati alle perdite nei piaceri, alle afflizioni mondane, e
quindi
alla qelipah, scoria delle sephirah Geburah, il centro
del Potere, della Spada, della Lancia, della Frusta, della Catena; e
anche gli altri nomi qui ricordati
Malebranche
(artigli malvagi)
e Zanche
(uncini) riportano alla stessa qelipah. Ma distendi oggimai in qua la mano; aprimi li occhi". E
io non gliel’apersi; e cortesia fu lui esser villano. 150
Ahi
Genovesi, uomini diversi d'ogne costume e pien d'ogne magagna,
perché non siete voi del mondo spersi? 153
Ché col peggiore
spirto di Romagna trovai di voi un tal, che per sua opra in anima
in Cocito già si bagna, 156
e in corpo par vivo ancor di sopra.
“… Ma allunga ora la mano e aprimi
gli occhi”. Dante non lo fa; e spiega che essere villano con un simile
dannato e` cortesia (verso le sue vittime) e rispetto (verso la
Giustizia). Poi inveisce contro i
Genovesi:
ahivoi, uomini ricolmi di vizi e lontani dal bene, perché non siete
eliminati dal mondo? Poiché col peggior dannato di
Romagna
(
Alberigo)
ho trovato uno di voi (Branca
Doria) cosi`
malvagio che sta gia` nell’inferno ghiacciato (nel
Cocito
= fiume del lutto) ed e` ancora vivo sulla terra.
Il Discepolo che nei vv. 85-90 si era
lasciato trascinare dall’affezione per i quattro
lupicini,
ora con
Alberigo
si comporta assai duramente e in un certo senso diviene ‘spergiuro’ non
mantenendo la promessa fattagli con la frase ambigua e maliziosa
dei vv. 115-117. E
perché? Sembra proprio che stavolta voglia evitare il possibile
rimprovero del Maestro (v. canto XXX, vv 131-132), anticipandone le
direttive; difatti Virgilio (= la verga) soddisfatto, non fiata.
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