INFERNO - CANTO XXXIV
Dall’Edizione integrale a cura di Pietro Cataldi e Romano
Luperini ed. Le Monnier Scuola Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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"Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira",
disse ’l maestro mio, "se tu ’l discerni". 3
Come quando una
grossa nebbia spira,
o quando l’emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che ’l vento gira, 6
veder mi parve un
tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio, ché non lì era altra grotta. 9
“Gli ‘stendardi del re dell’inferno
cominciano ad apparire’. Guarda dinanzi a te per vederli” (Cosi`
Virgilio, servendosi del primo verso dell’Inno alla Croce di Venanzio
Fortunato, VI sec., annuncia al Discepolo che sono giunti nella quarta
zona del nono
cerchio: la
‘Giudecca’). A Dante sembra di vedere una costruzione simile ad un
mulino mosso dal vento, come lo si puo` vedere di sera o quando c’e`
nebbia, ma (subito) per la violenza della corrente, si ripara dietro la
Guida, perché li` non
c’e` altro rifugio. Già era, e
con paura il metto in metro,
là dove l’ombre tutte eran coperte,
e trasparien come festuca in vetro. 12
Altre sono a
giacere; altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte. 15
Il Viandante si trova
ormai, e lo dice in versi con timore, la` dove tutti i dannati sono
coperti interamente di ghiaccio (nella Giudecca, da Giuda il traditore
di Cristo) e appaiono come pagliuzze nel vetro; alcuni stanno sdraiati,
altri in piedi, ritti o capovolti, altri curvi come l’arco.
Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch’ebbe il bel sembiante, 18
d’innanzi mi si
tolse e fé restarmi,
"Ecco Dite", dicendo, "ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t’armi". 21
Quando i due si sono inoltrati
abbastanza, il Maestro decide di mostrare al Discepolo l’angelo caduto,
quello che e` stato ‘il bellissimo’ ; si scosta, lo fa
fermare
e gli dice: “Ecco
Dite
(Lucifero); qui devi armarti di coraggio”.
Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
però ch’ogne parlar sarebbe poco. 24
Io non mori’ e non
rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s’ hai fior d’ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo. 27
Il Poeta non puo` descrivere, perché
non ci sono parole, il suo stato; il lettore deve immaginarlo da se`:
alla vista tremenda egli non e` piu` ne` vivo, ne` morto; puo ` solo
dire che e`
gelato e fioco.
Lo ’mperador del doloroso regno
da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno, 30
che i giganti non
fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’esser dee quel tutto
ch’a così fatta parte si confaccia. 33
S’el fu sì bel
com’elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto. 36
L’imperatore del
doloroso regno esce a meta` petto dal ghiaccio, ed e` tanto alto che un
gigante starebbe ad un suo braccio come Dante ad un gigante. C’e` solo
da immaginarne l’enorme statura. Se egli e` stato tanto bello come ora
e` tanto orrendo, poiche` oso` ribellarsi contro il suo Creatore
certamente ogni male proviene da lui.
Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand’io vidi tre facce a la sua testa!
L’una dinanzi, e quella era vermiglia; 39
l’altr’eran due, che
s’aggiugnieno a questa
sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta: 42
e la destra parea
tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla. 45
Il Poeta si meraviglia
molto nel vedergli tra facce nella testa; quella centrale e` rossa, le
altre due si congiungono a quella in basso sulle spalle e in alto sulla
cima del capo, la` dove gli animali hanno la cresta; la faccia destra e`
giallastra, la sinistra nera, come la pelle degli abitanti delle terre
del
Nilo. Sotto
ciascuna uscivan due grand’ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid’io mai cotali. 48
Non avean penne, ma
di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello: 51
quindi Cocito tutto
s’aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
gocciava ’l pianto e sanguinosa bava. 54
Sotto ogni testa escono
due ali, grandi in proporzione; il Poeta confessa di non aver mai visto
vele tanto enormi. Le ali non hanno penne, ma sembrano ali di
pipistrello e svolazzano formando tre venti. E` per questa ragione che
il Cocito (= fiume del lutto) e` tutto gelato. La bestia piange con sei
occhi ed i tre menti gocciolano pianto e sanguinosa bava.
Sei ali, sei occhi, tre bocche, tre
menti, da questi elementi ricaviamo ancora il 666 e come gia` visto in
precedenza (inf. canto VII, v.68) 666 e` il numero della Bestia e la
Kabbalah ci dice che aldila` del 666, numero
dell’Avversario
(Dite, Lucifero), qelipah, (scoria) della sephirah n. 6, Tiphereth
sui tre piani(
fisico-astrale-mentale
nero), c’e` il nulla,
ovvero la disintegrazione totale.
Da ogne bocca
dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti. 57
A quel dinanzi il
mordere era nulla
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla. 60
Con ogni bocca il mostro
stritola con i denti un peccatore, quindi ne tormenta tre. Ma per quello
davanti il morso e` niente in confronto ai graffi che gli vengono fatti
sulla schiena, e che lo lasciano a tratti senza pelle.
"Quell’anima là sù c’ ha maggior pena",
disse ’l maestro, "è Giuda Scarïotto,
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe
mena. 63
De li altri due c’ hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!; 66
e l’altro è Cassio,
che par sì membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
è da partir, ché tutto avem veduto". 69
Il Maestro dice: “Quel
dannato lassu` che soffre di piu` e`
Giuda
(= lode al bianco, vituperio al nero)
Scarïotto
(Iscariota), il traditore del Cristo, la Maesta` religiosa,
che ha la testa
dentro la bocca e agita le gambe; degli altri due, che hanno la testa
fuori delle bocche, quello che esce dalla testa nera e`
Bruto
(= pesante, violento) che si torce e non
parla; l’altro e`
Cassio
(= elmo, che protegge al bianco, che espone
al nero) che sembra tanto nerboruto. (Bruto e Cassio, traditori della
maesta` politica,
congiurarono nel 44
a. C. contro Giulio
Cesare e lo pugnalarono). Ma sta per scendere la notte, e` tempo di
andare; abbiamo visto tutto”.
Il tradimento di Giuda e` narrato in
Mt. 26, 47 -50 e il suo suicidio in Mt. 27, 1-5 e
li` al v. 3 viene
detto: “…Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesu` era stato
condannato, si penti` e riporto` le trenta monete d’argento ai sommi
sacedoti ecc..” Il Nostro sembra non tener conto del ‘pentimento’ del
Giuda personaggio storico, probabilmente perché non crede al pentimento
del ‘suo’ Giuda interiore e rifiuta nel modo piu` categorico il perdono
a chi tradisce il Cristo, l’Io Sono, Daath, la Coscienza; ma ogni
personalita` qui sulla terra perpetra il tradimento verso la sua
componente spirituale in continuazione, e se non fosse ‘perdonata’ ogni
volta, dovrebbe venire precipitata nell’inferno in continuazione ( e
forse e` proprio cosi`).
Da un altro punto di vista l’immagine del super gigantesco
Lucifero-Dite (=
l’altro signore, l’Avversario, dal nome dell’oppositore per eccellenza)
con le sue orride tre facce (la vermiglia simbolo di violenza, la
giallastra simbolo di invidia, e la nera simbolo di distruzione) con le
sue sei ali ed i mostruosi artigli richiama in un certo qual modo
l’immagine descritta da Arjuna nella Bhagavad Gita (canto XI, vv.
23-31), allorche` la sua Guida, Krisna, il Signore del mistico potere,
gli mostra su sua richiesta la
‘Forma Divina’:
l’Essere, il Non–essere e Cio` che trascende entrambi: “…Nel vedere la
tua immensa Forma d’innumerevoli bocche ed occhi, d’infinite braccia,
cosce e piedi… nel mirare le Tue bocche spaventose, irte di zanne…io
sono turbato nell’intimo del cuore e coraggio e pace non trovo… E tutti
questi figli di re, insieme ai nostri sommi guerrieri, entrano in fretta
nelle tue bocche spaventose, irte di zanne orribili, con la testa
sfracellata, alcuni nelle zanne se ne vedono impigliati… e come le
farfalle con crescente rapidita` si precipitano nella fiamma ardente a
trovare la loro distruzione, cosi` i viventi con crescente velocita`
nelle Tue bocche a trovar la loro distruzione si precipitano…Da ogni
parte divorando tutti gli esseri viventi con le affocate bocche di
continuo li sorbisci; i Tuoi terribili splendori, del loro fulgore
empiendo l’universo, v’infondono il calore … Dimmi, in questo forma
terribile, chi sei? Salve! O sommo tra gli Dei, sii propizio! Tu, il
primordiale, io bramo di conoscere, poiche` la Tua manifestazione io non
intendo…” Alla domanda del guerriero Arjuna, Krisna, il Maestro,
risponde ( canto XI, v. 32 e ss.): “ Io sono
il Tempo appieno
manifesto, distruttore dei mondi, a dissolvere i mondi quivi occupato.
Anche senza il tuo intervento, i guerrieri schierati nelle opposte file
cesseranno tutti di vivere. Sorgi quindi e gloria ti acquista; vinci i
nemici e prospero regno godi, tutti questi gia` uccisi son da me. Sii tu
solo l’istrumento, o ambidestro arciero! … Senza timore combatti dunque,
i tuoi nemici vincerai in battaglia”. (Per l’interpretazione
interiorizzata di questi versetti v. in
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Testi sacri il ns/ “Commento alla Bhagavad Gita”)
Le due ‘rappresentazioni’
del ‘Male’, quella di Dante che ne privilegia l’eterna ripetitiva
staticita` e quella di Arjuna che ne privilegia l’eterno irripetibile
divenire, sembrano cogliere due aspetti opposti di una stessa realta` e
sono quindi
inconciliabili. Se pero` partiamo dal presupposto che il male sia solo
mancanza di bene, che
“…il male
e`, in generale, in
se` vuoto e senza contenuto, perché da esso non viene nient’altro che lo
stesso negativo, distruzione ed infelicita` “(Hegel, ‘Lezioni di
estetica’ B. Mondadori pag. 145), allora, essendo esso un
‘nulla filosofico’,
una ‘illusione’, allora le due rappresentazioni diventano inconciliabili
solo ‘apparentemente’, in quanto
relative
all’illusione
effimera
dell’esperienza umana, che si basa sulla soggettivita`: ognuno parla di
cio` che ha sperimentato su se stesso e ognuno
crede in quello in
cui puo` credere: opposte fedi in opposte illusioni, si completano e si
arricchiscono l’una con l’altra…
Com’a lui piacque, il collo li
avvinghiai; ed
el prese di tempo e loco poste,
e quando l’ali fuoro aperte assai, 72
appigliò sé a le
vellute coste;
di vello in vello giù discese poscia
tra ’l folto pelo e le gelate croste. 75
Come la Guida decide, Dante si
avvinghia al collo del Maestro che, al momento giusto, abbrancato alle
pelose costole della bestia, mentre le sue ali sono ben aperte, comincia
a scendere di ciuffo
in ciuffo fra i peli e le croste gelate.
Quando noi fummo là dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l’anche,
lo duca, con fatica e con angoscia, 78
volse la testa
ov’elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com’om che sale,
sì che ’n inferno i’ credea tornar anche. 81
Quando i due Pellegrini
arrivano al punto in cui la coscia si attacca al fianco, il Maestro con
fatica e sforzo si capovolge portando la testa dove erano le gambe,
aggrappandosi come uno che sale,
in modo tale che il
Discepolo crede di ritornare nell’inferno.
"Attienti ben, ché per cotali scale",
disse ’l maestro, ansando com’uom lasso,
"conviensi dipartir da tanto male". 84
Poi uscì fuor per lo
fóro d’un sasso
e puose me in su l’orlo a sedere;
appresso porse a me l’accorto passo. 87
Ansimando come uno che
e` molto affaticato il Maestro dice: “Tienti forte, perché ci si puo`
allontanare da questo luogo crudele solo con questo tipo di scala”. Poi
esce fuori per un foro di una roccia e depone il Discepolo sull’orlo.
Quindi gli si avvicina.
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com’io l’avea lasciato,
e vidili le gambe in sù tenere; 90
e s’io divenni
allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual è quel punto ch’io avea passato. 93
Dante alza gli occhi
credendo di vedere Lucifero come prima, ma lo vede con le gambe
all’insu`: e rimane confuso, come la gente ignorante che non conosce il
punto attraversato (il punto dove Virgilio si e` capovolto e` il centro
della terra); i Pellegrini che, percorrendo l’inferno, scendevano giu`,
ora salgono per
riuscire nell’altro
emisfero (dove si trova la montagna del purgatorio dantesco). "Lèvati sù",
disse ’l maestro, "in piede:
la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
e già il sole a mezza terza riede". 96
Non era camminata di
palagio là
’v’eravam, ma natural burella
ch’avea mal suolo e di lume disagio. 99
E il Maestro al
Discepolo: “Alzati in piedi: la via e` lunga e il cammino difficile, ed
il sole e` gia` tra la
prima e la terza ora
(sono le 7,30 del mattino)” Il sentiero non e` una passeggiata di
palazzo, ma una corridoio sotterraneo naturale, disagevole e senza luce.
"Prima ch’io de l’abisso mi divella,
maestro mio", diss’io quando fui dritto,
"a trarmi d’erro un poco mi favella: 102
ov’è la ghiaccia? e
questi com’è fitto
sì sottosopra? e come, in sì poc’ora,
da sera a mane ha fatto il sol
tragitto?". 105
“Maestro mio”, chiede il Discepolo subito
rizzatosi, “prima di allontanarci dall’abisso, aiutami ad uscire
dall’errore: dov’e` il ghiacciaio, e com’e` che Lucifero e` sottosopra?
E come mai il sole e` passato da notte a mattina in cosi` poco tempo?”
Ed elli a me: "Tu imagini ancora
d’esser di là dal centro, ov’io mi presi
al pel del vermo reo che ’l mondo fóra. 108
Di là fosti cotanto
quant’io scesi;
quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto
al qual si traggon d’ogne parte i pesi. 111
E Virgilio a lui: “Tu
credi di essere ancora al di la` del centro, la`dove io mi sono
aggrappato al pelo della bestia crudele che ha forato il mondo. Ci sei
rimasto fino a che sono sceso. Ma quando io mi sono capovolto, hai
passato il punto che e` il centro della forza di gravita`…”
Virgilio (= il favorevole alla
navigazione) in poche parole spiega come si fa a lasciare l’inferno:
bisogna ‘capovolgersi’ e ricominciare a salire verso l’alto. La strada
e` lunga e difficile, ma con la sua guida e` possibile, basta passare il
punto ‘centro di gravita`’.
E se’ or sotto l’emisperio giunto
ch’è contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto 114
fu l’uom che nacque
e visse sanza pecca;
tu haï i piedi in su picciola spera
che l’altra faccia fa de la Giudecca. 117
“…Ora sei giunto
nell’emisfero opposto a quello che ha le terra emersa, al culmine della
quale si trova il luogo (Gerusalemme) dove
fu
consunto
cioe`sacrificato, Colui che nacque e visse senza peccato (Gesu` Cristo);
ora ti trovi su una piccola sfera che dall’altro lato e` la
Giudecca…”
Qui è da man, quando di là è sera;
e questi, che ne fé scala col pelo,
fitto è ancora sì come prim’era. 120
Da questa parte
cadde giù dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
per paura di lui fé del mar velo, 123
e venne a
l’emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui loco vòto
quella ch’appar di qua, e sù ricorse". 126
“… Qui e` mattino, quando li` e` sera e Lucifero, che ci e`
servito come scala, e` confitto la` dove era prima. Da questa parte
cadde giu` dal cielo e la terra, che prima si trovava qui, per paura di
lui si e` ritirata sotto al mare e radunata nel nostro emisfero e, forse
per allontanarsi da lui, ha formato li` sotto una cavita`(l’inferno) e
si e` innalzata dall’altra parte a formare una montagna (il purgatorio).
Dove c’e` una Gerusalemme (= citta`
santa , il Malkuth) in cui si e` sacrificato l’Agnello (= Tiphereth) la
risalita dell’Albero e` sempre possibile, anche se gli inizi sono
difficili e richiedono un grande sforzo e volonta`. Inoltre
la personalita` che
ha in se` gia` un Malkuth
‘santo’ e un
Tiphereth ‘sacro’ si puo` servire
del ‘pelo’
dell’Avversario
per uscire
dall’albero nero; e puo` anche servirsi della ‘terra’ che da lui si e`
ritirata per edificare
ilsuo ‘purgatorio’,
cioe` i piani piu` bassi dell’Albero stesso.
Luogo è là giù da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si distende,
che non per vista, ma per suono è noto 129
d’un ruscelletto che
quivi discende
per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,
col corso ch’elli avvolge, e poco pende. 132
Lontano da
Belzebu`(=
dio filisteo delle mosche) la
natural burella
si estende dal centro della terra fino alla superficie dell’emisfero
australe; essa e` lunga quanto tutto il baratro infernale, la si
riconosce non per la vista, ma per il suono di un
ruscelletto
di poca pendenza che la percorre attraverso la roccia che si e` scavato.
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo, 135
salimmo sù, el primo
e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. 138
E quindi uscimmo a
riveder le stelle.
Il corridoio sotterrane che permette
di tornare alla luce, lontano dal’Avversario, e ` caratterizzato da un
ruscelletto
(piccolo corso d’acqua) simbolo di purezza e fecondita` che non e`
visto, ma ‘udito’: nella risalita dall’infera interiorita` il ‘suono’,
la Voce interiore della Coscienza, guida il Pellegrino verso la luce non
ancora visibile, ma e` un suono molto delicato a cui bisogna prestare
particolare sensibilita`e attenzione, senza concedersi tregua.Maestro e
Discepolo seguono quella via nascosta per tornare al mondo della luce;
la Guida avanti e il Viandante dietro, finche questo riesce a vedere la
fine della notte
attraverso un
pertugio tondo
e da li` escono
a riveder le stelle.
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