INFERNO - CANTO VI


Dall’Edizione integrale a cura di
Pietro Cataldi e Romano Luperini ed. Le Monnier Scuola
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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www.teatrometafisico.it

 

Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d’i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse, 3

novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch’io mi mova
e ch’io mi volga, e come che io guati. 6
Lo svenimento del Pellegrino oltre a porre fine alla sofferenza suscitata in lui da Paolo e Francesca, la coppia degli infelici amante del canto V, e` anche necessario per ‘passare’ da un sogno ad un altro. E anche questo nuovo sogno e` piu` un incubo che un sogno, in esso avvertiamo tutto il ‘peso’ della colpa che circonda il Discepolo da tutti i lati.
Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova. 9
E` qui descritto il terzo girone dell’inferno, quello della piova etterna, maledetta, immutabile.
Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve. 12

Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa. 15
La grandine, l’acqua sporca, la neve e la terra puzzolente coprono i dannati di questo cerchio e su di loro Cerbero il demone  con tre teste, caninamente latra.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra. 18
La descrizione del terzo guardiano Cerbero (=  divoratore di cuori) e` accurata; il suo sembiante e` una  specchiatura del vizio relativo a questo girone, il vizio della gola: occhi rossi, barba unta e nera, ventre largo, unghie rapaci; egli tormenta e  mangia, in tutti i sensi, i dannati che custodisce.  La qelipah che compete questo vizio e`il capovolgimento della sephirah Chesed (Giustizia), che dovrebbe far fiorire la sobrieta`, l’equilibrio, il retto comando su di se`, invece al nero conduce all’intemperanza su tutti e tre i livelli di coscienza inferiori: sul fisico con gli eccessi nell’assunzione di cibo, sull’astrale con la cupidigia di emozioni, sul mentale  con l’ingordigia di conoscenze.
Urlar li fa la pioggia come cani;
de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani. 21
I dannati inutilmente si rivoltano nel fango puzzolente per evitare la grandine e le torture del demone e urlano come cani. Il cane, la cui simbologia in molte tradizioni e` ambivalente, e` qui inteso in senso dispregiativo, come animale noto per la sua ingordigia e per non saper resistere al suo insaziabile appetito.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo. 24
Anche il terzo guardiano, il gran vermo (= parassita, ripugnante),  che appare nel suo orrendo aspetto tutto in movimento, sta per ostacolare il Pellegrino e la sua Guida e mostra i denti, ovviamente i canini…

 E ’l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne. 27
Ma la Guida lo blocca riempiendogli le fauci di fedita terra. E` qui suggerita una tecnica di protezione nella tentazione: la ragione fa tacere il demone che vorrebbe distogliere la personalita` dal suo proposito di Ricerca tappandogli la bocca con la ‘terra’ della sua stessa natura, del suo ambiente, ‘prima ancora che possa tentare’ (cfr. Taote Te ching cap. LXIV: “Cio` che non e` ancora apparso si previene facilmente….Agisci prima che qualcosa sia, crea l’ordine prima che ci sia disordine ecc.”).
Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna, 30

cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde. 33
Non solo i dannati sono paragonati a cani, non solo Cerbero viene descritto con tre teste di cane, ma anche quando viene messo a tacere e` ancora assimilato ad un cane.  Nella tradizione ebraico-cristiana il cane e` associato alla prostituzione (Dt. 23, 18-19), ai porci (Mt. 7,6), agli immorali, agli omicidi ed ai bugiardi (Ap. 22, 15).
Noi passavam su per l’ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona. 36
Oltrepassato il guardiano ecco che i due, per poter avanzare nel cammino, debbono passare sopra le vanita` (i niente, i fantasmi) dei dannati coperti di fango, e sentiamo un po`  il disprezzo che accompagna il loro andare verso questo vizio che probabilmente e` gia` stato superato dal Discepolo sul Sentiero.
Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d’una ch’a seder si levò, ratto
ch’ella ci vide passarsi davante. 39

"O tu che se’ per questo ’nferno tratto",
mi disse, "riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto". 42
Ma un’anima di quelle tutte immerse nel fango ora si leva, si siede e domanda di essere riconosciuta.
E io a lui: "L’angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
sì che non par ch’i’ ti vedessi mai. 45

Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente
loco se’ messo, e hai sì fatta pena,
che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente". 48
Al Pellegrino non sembra di conoscere colui che l’ha interpellato e gli chiede di palesarsi.
Ed elli a me: "La tua città, ch’è piena
d’invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena. 51

Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco. 54
 
E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa". E più non fé parola. 57
Il dannato che vuole essere riconosciuto, il cui soprannome  era Ciacco (= porco, parassita), proprio per  il suo vizio della gola a tutti noto, era di Firenze (=  che fiorisce), citta` fiorente si`, ma d’invidia. Egli giace li` in quel tormento con tutti i golosi par suoi.
Io li rispuosi: "Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno 60

li cittadin de la città partita;
s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione
per che l’ha tanta discordia assalita". 63
Il Pellegrino, prima si commuove per la sofferenza del dannato, poi gli chiede di Firenze e dei fiorentini. Pare strano che il Discepolo chieda ad un suo concittadino morto e che sta all’inferno una profezia sul futuro della sua citta`, eppure la spiegazione puo` essere semplice: nel sogno, nel mondo  astrale si e` ‘lontani’ dal fisico non essendovi piu` immersi; e come quando si sale su una collina si vede un orizzonte piu` vasto, cosi` l’astrale, anche se negativo, nella sua sfera di competenza, permette un punto di vista piu` ampio che abbraccia anche un po` del futuro. Tre sono le domande poste a Ciacco: a che portera` la divisione dei cittadini, se ci sono dei giusti tra loro, quale la causa della discordia.
E quelli a me: "Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l’altra con molta offensione. 66

Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l’altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia. 69

Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l’altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n’aonti. 72

Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c’ hanno i cuori accesi". 75
Firenze, come ogni citta`, puo` essere omologata ad un Malkuth in guerra, in cui le forze interne invece di collaborare per il benessere di tutti, si combattono tra loro; la lotta avviene perché i vizi hanno invaso la sephirah di base. Superbia, invidia, avarizia, sono fiorite in essa al posto dell’umilta`, dell’amore, della generosita` e l’hanno ghermita al cuore. In un primo momento, dopo aspra lotta la parte selvaggia (= proveniente dalla selva)  vincera`, ma dopo tre anni, saranno gli altri a sottometterla per lungo tempo. Quanto ai giusti nella citta` ce ne sono solo due, ma nessuno li ascolta. Ricordiamo l’episodio narrato in Gn. 18, 22-33 in cui Abramo viene rassicurato dal Signore: non distruggera` la citta` di Sodoma se vi trovera` in essa almeno dieci giusti, ma poiche` ce n’e` uno solo, Lot, la citta` viene distrutta. Qui di giusti ce ne sono due, tanto basta perché ‘questa citta`’, pur nei suoi contrasti sanguinosi, possa sopravvivere….  
Qui puose fine al lagrimabil suono.
E io a lui: "Ancor vo’ che mi ’nsegni
e che di più parlar mi facci dono. 78

Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca
e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni, 81

dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;
ché gran disio mi stringe di savere
se ’l ciel li addolcia o lo ’nferno li attosca". 84
Ora il Pellegrino vuol conoscere la sorte di alcuni personaggi della generazione a lui precedente e ne nomina cinque, esaminiamo il significati di questi nomi. Farinata (= focaccia a base di ceci o altro), Tegghiaio (= che fa tegami), Iacopo (= seguace) Rusticucci (piccoli di campagna, ma anche salatini farciti), Arrigo (= possente) Mosca (= insetto che si nutre di tutto). Stranamente, ma non tanto, tutti questi nomi possono essere ricondotti a qualcosa che richiama il cibo e quindi al peccato di gola.
E quelli: "Ei son tra l’anime più nere;
diverse colpe giù li grava al fondo:
se tanto scendi, là i potrai vedere. 87
Ma subito veniamo a sapere che nessuno di quei personaggi si trova li`, ma tutti ancora piu` in giu`, nell’inferno piu` basso, puniti per peccati ben piu` gravi che non sia la golosita`.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:
più non ti dico e più non ti rispondo". 90

Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco e poi chinò la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi. 93
Ciacco ha recitato la sua parte ed ora lascia il palcoscenico e ritorna alla sua pena, chiede solo di essere ricordato nel dolce (ancora un riferimento alla gola) mondo; il Discepolo lo ha accontentato, visto che ancora parliamo e scriviamo di lui.
E ’l duca disse a me: "Più non si desta
di qua dal suon de l’angelica tromba,
quando verrà la nimica podesta: 96

ciascun rivederà la trista tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,
udirà quel ch’in etterno rimbomba". 99
 Abbiamo qui una fotografia dell’Archetipo del ‘Giudizio’ in cui ‘alla fine dei tempi’ (una giornata, una vita, un ciclo di vite, un eone, un Kalpa ecc.) salvato il salvabile, cioe` reintegrato tutto cio` che sara` possibile reintegrare, tutto il resto dovra` sottostare alla sentenza finale...(cfr.Bhagavad Gita canto IX, 7 “ Alla fine di un Kalpa tutti gli esseri entrano nella Mia natura, o figlio di Kunti, ed al principio di un Kalpa Io di nuovo li produco…” v.  ns/  relativo commento in
www.taozen.it   testi sacri)

Sì trapassammo per sozza mistura
de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,
toccando un poco la vita futura; 102

per ch’io dissi: "Maestro, esti tormenti
crescerann’ei dopo la gran sentenza,
o fier minori, o saran sì cocenti?". 105

Ed elli a me: "Ritorna a tua scïenza,
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
più senta il bene, e così la doglienza. 108

Tutto che questa gente maladetta
in vera perfezion già mai non vada,
di là più che di qua essere aspetta". 111
Ora il Discepolo vuol sapere dalla sua Guida se alla fine dei tempi, dopo la sentenza finale, i tormenti dei dannati saranno maggiori, minori, o come sono ora. E la Guida risponde che le loro pene cresceranno, essendo essi dopo la resurrezione della carne piu` completi. Come possiamo intendere in un linguaggio interiorizzato queste frasi della ‘ragione’?   Semplicemente esaminando la sua natura. La ragione e` limitata alla conoscenza dei tre piani inferiori, fisico, astrale e mentale essa deve ragionevolmente pensare che ad una infinita offesa ( del peccato capitale contro la Legge Divina) non puo` che corrispondere una infinita punizione…ma la ragione, (perché non Lo puo` con-prendere in se`, in quanto e` solo possibile  all’intuizione  intu-ire nel Piano Divino)  non tiene conto dell’infinito Amore che fa incarnare l’Io Sono, il Cristo, il Salvatore, nella creatura, offrendosi per la sua Redenzione, e riparando cosi` l’offesa infinita con infinito Sacrificio. (cfr. in www.teatrometafisico .it   la ns/ riduzione dell’ Autosacramental di Calderon della Barca e ns/ relativa interpretazione cabalistica).
Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando più assai ch’i’ non ridico;
venimmo al punto dove si digrada: 114

quivi trovammo Pluto, il gran nemico.

Il Pellegrino e la sua Guida scendono ora nel girone successivo, il quarto, custodito da Pluto, il demone della ricchezza, dove si trovano i prodighi e gli avari.



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