PARADISO - CANTO X
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Guardando nel suo Figlio con l’Amore
che l’uno e l’altro
etternalmente spira,
lo primo e ineffabile
Valore 3
quanto per mente e per loco si gira
con tant’ ordine fé,
ch’esser non puote
sanza gustar di lui chi ciò
rimira. 6
L’ineffabile Valore,
il Padre, guardando nel Figlio (il Verbo v. in
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Testi sacri
il vangelo di
Giovanni 1, 3: ‘…tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui
niente è stato fatto di ciò che esiste…’) con quell’Amore (lo Spirito
Santo) che procede da entrambi, creò i (vari) mondi (Spirituale,
Atzilutico; mentale, briatico; astrale, yetziratico; e fisico,
assianico) con tale ordine che non si possono mirare senza gustare (in
parte) la Sua Magnificenza.
Il Nostro ci sta ricordando che basta
guardare la creazione e la sua ordinata perfezione per rendersi conto
dell’esistenza del Creatore e quindi sapere di poterLo conoscere in
qualche modo e anche di poter partecipare della sua Divinità; eppure i
materialisti insistono col dire che tutto si è fatto da sé per
caso…Chiamare il Signore ‘Casualità’ è forse un suo nuovo Nome divino,
magari un po’ stravagante, ma contenti loro!
Leva dunque, lettore, a
l’alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l’un moto e l’altro si
percuote; 9
e
lì comincia a vagheggiar ne l’arte
di quel maestro che dentro a
sé l’ama,
tanto che mai da lei l’occhio non
parte. 12
Che dunque il lettore innalzi lo sguardo al cielo là dove si
incontrano i due movimenti (quello dell’equatore e quello dello zodiaco,
nel punto dell’equinozio di primavera) ed inizi a contemplare l’opera di
quell’Artista che ama tanto la sua creazione da non distoglierle mai lo
sguardo.
Dovrebbe essere sufficiente alzare
gli occhi al cielo stellato in una notte serena per immaginare la
Potenza di Quello da cui tutto ha origine. Nel canto X, vv. 39-41 della
Bhagavad
Gita, Krisna, il
Maestro, il Signore, così dice ad Arjuna, il Discepolo: ‘Ciò che è il
seme di tutte le cose, quello sono Io, Arjuna! Né vi è cosa mobile o
immobile che esister possa senza di Me. Non v’ha fine alle mie
manifestazioni…Tutto ciò che vi è di splendido, di glorioso, di
possente, ritieni ch’esso ha origine in un’infima parte della mia
gloria’.
Vedi come da indi si dirama
l’oblico cerchio che i
pianeti porta,
per sodisfare al mondo che li
chiama. 15
Che
se la strada lor non fosse torta,
molta virtù nel ciel sarebbe
in vano,
e quasi ogne potenza qua giù morta; 18
e
se dal dritto più o men lontano
fosse ’l partire, assai
sarebbe manco
e giù e sù de l’ordine mondano. 21
Che il lettore noti come da quel
punto si diparta l’orbita obliqua (dello zodiaco) per far sì che gli
astri possano esercitare gli influssi loro, richiesti dalla terra. Se il
loro percorso non fosse obliquo (non ci sarebbero le stagioni e), molta
della loro influenza e potenza andrebbe perduta; e se l’inclinazione
fosse diversa, l’ordine in alto e in basso sarebbe sovvertito.
Or
ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco,
dietro pensando a ciò che si
preliba,
s’esser vuoi lieto assai prima che
stanco. 24
Messo t’ho innanzi: omai per te ti
ciba;
ché a sé torce tutta la mia cura
quella materia ond’ io son
fatto scriba. 27
Che dunque il lettore rimanga a
meditare al suo tavolino su ciò che è stato detto, come uno che si
prepari a gustare un cibo prelibato. Il Nostro glielo ha preparato, ma
ora deve occuparsi d’altro, e precisamente della materia del suo poema.
Lo ministro maggior de la
natura,
che del valor del ciel lo mondo
imprenta
e col suo lume il tempo ne misura, 30
con
quella parte che sù si rammenta
congiunto, si girava per le
spire
in che più tosto ognora
s’appresenta; 33
e
io era con lui; ma del salire
non m’accors’ io, se non
com’ uom s’accorge,
anzi ’l primo pensier, del
suo venire. 36
Lo ministro maggior della
natura,
il Sole che influenza il mondo col suo potere celeste e con la sua luce
ne misura il tempo, congiunto con il punto equinoziale, sta ora
allungando le giornate e Dante è entrato nella sua sfera senza
accorgersene, come un uomo non si avvede di un pensiero che gli
sopraggiunge se non quando ne prende coscienza.
Il Nostro è dunque giunto nel cielo
del Sole, nella sfera che nella Kabbalah è definita di Thiphereth, la
Sephirah della Bellezza, situata al centro della colonna
dell’equilibrio, sotto Daath, sopra Yesod. Essa è chiamata
‘l’Intelligenza Mediatrice’ perché essendo al centro dell’Albero, regola
tra loro gli influssi di tutte le Sephiroth (v.
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racconti ‘Esagramma
n. 27 l’Alimentazione’). L’esperienza spirituale che le corrisponde è
‘la visione dell’armonia delle cose’.
Il
Nome Divino a lei attribuito è: Tetragrammatron Eloah Va Daath (= il
Signore della Conoscenza).
È Bëatrice quella che sì
scorge
di bene in meglio, sì subitamente
che l’atto suo per tempo non
si sporge. 39
Quant’ esser convenia da sé lucente
quel ch’era dentro al sol
dov’ io entra’mi,
non per color, ma per lume
parvente! 42
Beatrice
(= colei che dà beatitudine) guida il Discepolo di perfezione in
perfezione così istantaneamente che l’azione sua è fuori del tempo. In
questo cielo del Sole la luce è tale che egli non riesce a descrivere la
luminosità delle anime che vi risplendono, distinte non per il colore ma
per l’intensità della luce.
Perch’ io lo ’ngegno e
l’arte e l’uso chiami,
sì nol direi che mai
s’imaginasse;
ma creder puossi e di veder si
brami. 45
E
se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non è
maraviglia;
ché sopra 'l sol non fu occhio
ch'andasse. 48
Egli invoca l’ingegno, l’esperienza e l’arte, ma non riesce ad
esprimersi in modo tale da far almeno immaginare quel divino splendore;
ma gli si può credere e desiderare di vederlo. Tuttavia se l’umana
fantasia non arriva a tanta altezza, non ci si deve meravigliare:
l’occhio umano non è mai andato oltre la luce del sole.
Solamente chi ha
conosciuto la sua
Beatrice
interiore
può intuire (=dal
latino ‘in-tueri’ = guardare dentro) lo splendore delle sfere celesti,
ma già credere
e
bramare
di
vederlo,
permette di immaginarlo. Se poi ciò che si è immaginato viene meditato,
può in un successivo approfondimento essere contemplato. Ricordiamo che
l’immaginazione è relativa al piano astrale, la meditazione al piano
mentale e la contemplazione al piano spirituale.
Tal era quivi la quarta
famiglia
de l’alto Padre, che sempre la sazia,
mostrando come spira e come
figlia. 51
E
Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
ringrazia il Sol de li
angeli, ch’a questo
sensibil t’ha levato per sua
grazia». 54
Il Nostro è
giunto nel quarto cielo, dove ci sono gli spiriti (sapienti) appagati
dal Signore che a loro si mostra continuamente nel Figlio e nello
Spirito Santo (come Uno e Trino). E
Bëatrice a Dante:
“Ringrazia, ringrazia il Sole degli angeli (il Signore) che per bontà ti
ha innalzato a questa esperienza”.
Il ringraziamento quando è sentito
parte dal cuore. Il cuore fisico della personalità è in relazione alla
Sephirah Tiphereth; la gratitudine sincera è quella virtù che,
coltivata, fiorisce nel cuore e ne sviluppa il centro corrispondente. La
virtù propria di Tiphereth è: la devozione alla Grande Opera, cioè alla
Reintegrazione, alla Riparazione o Tikkun. Il mistico cabalista non è
solo un ‘devoto del Signore’ ma assume su di sé l’onere di recuperare
l’intera umanità caduta e quindi opera attivamente per la sua salvezza.
Egli assume in Tiphereth il ruolo di Redentore e attira sul mondo umano
imperfetto la Perfezione divina. L’esperienza spirituale legata alla
conoscenza di Tiphereth è anche quella della comprensione dei ‘Misteri
della Crocifissione’.
Cor di mortal non fu mai sì
digesto
a divozione e a rendersi a Dio
con tutto ’l suo gradir
cotanto presto, 57
come a quelle parole mi fec’ io;
e sì tutto ’l mio amore in
lui si mise,
che Bëatrice eclissò ne l’oblio. 60
Un cuore di
mortale non è mai stato tanto disposto alla devozione e alla gratitudine
verso il Signore come quello del Discepolo a queste parole; ora il suo
amore è tutto per Lui e dimentica anche
Beatrice, la sua Guida.
Nella Bhagavad
Gita canto VI, vv.
46-47 Krisna dice: ‘Il devoto è superiore agli asceti; è ritenuto
superiore anche ai saggi; superiore agli uomini che agiscono è il
devoto: perciò sii un devoto, o Arjuna!
E fra tutti i devoti
colui che, pieno di fede, Mi adora e col suo più profondo essere è
intento in Me, Io lo stimo il più devoto’.
Non le dispiacque; ma sì se
ne rise,
che lo splendor de li occhi suoi
ridenti
mia mente unita in più cose divise. 63
Io
vidi più folgór vivi e vincenti
far di noi centro e di sé
far corona,
più dolci in voce che in vista
lucenti: 66
così cinger la figlia di Latona
vedem talvolta, quando
l’aere è pregno,
sì che ritenga il fil che fa
la zona. 69
Beatrice di
questo non si dispiace, anzi lo splendore dei suoi occhi ridenti di
beatitudine riesce a far concentrare il suo Fedele oltre che sulla
Divinità anche su di lei. Intanto il Nostro vede le luci degli spiriti
(del Sole) che, cantando con voce dolcissima, fanno corona intorno a
loro come a volte si vede fare alla figlia di
Latona (=dal greco
‘latin’= essere nascosto; Diana, la Luna) quando l’aria è umida: essa
trattiene (nasconde) la sua luce e si mostra come corona luminosa
(alone).
Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno,
si trovan molte gioie care e
belle
tanto che non si posson trar del
regno; 72
e
’l canto di quei lumi era di quelle;
chi non s’impenna sì che là
sù voli,
dal muto aspetti quindi le novelle. 75
Nella corte del Cielo si trovano
gioielli preziosi che non si possono calare qui sulla terra; il canto di
questi spiriti è uno di essi. Chi non è in grado di volare lassù (non
può intendere ciò che qui viene detto) è come se aspettasse notizie da
uno che non può parlare.
Poi, sì cantando, quelli
ardenti soli
si fuor girati intorno a noi tre
volte,
come stelle vicine a’ fermi poli, 78
donne mi parver, non da ballo sciolte,
ma che s’arrestin tacite,
ascoltando
fin che le nove note hanno ricolte. 81
Quei soli ardenti, cantando girano intorno a Dante e Beatrice
per tre volte come fanno le stelle intorno ai poli, appaiono come donne
che si arrestino per poi riprendere la danza a tempo.
Dodici sono gli spiriti beati
nominati in questo canto che fanno parte della corona danzante intorno a
Dante e a Beatrice e compiono intorno a loro tre giri. Per la
numerologia 12 è il numero relativo all’Archetipo del Sacrificio;
12x3 = 36:
il 30 è il valore numerico dello stesso Archetipo del Sacrificio, e il 6
il valore numerico dell’Archetipo del Bivio (v. in
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le relative
Lezioni-spettacolo).
E dentro a l’un senti’
cominciar: «Quando
lo raggio de la grazia, onde
s’accende
verace amore e che poi cresce
amando, 84
multiplicato in te tanto resplende,
che ti conduce su per quella
scala
u’ sanza risalir nessun discende; 87
qual ti negasse il vin de la sua fiala
per la tua sete, in libertà
non fora
se non com’ acqua ch’al mar non si
cala. 90
Ed ecco che una
di quelle luci inizia a parlare: “Poiché il raggio della Grazia
risplende in te tanto che ti ha concesso di salire la scala (del
Paradiso) da cui nessuno scende senza risalirvi, chi negasse il vino
della sua fiala
(=dal greco ‘phiale’ = tazza, coppa, ma anche ‘favo’, contenitore del
miele) alla tua sete, non sarebbe un beato (che è liberamente generoso
per natura), come non sarebbe acqua quella che non scorre verso il
mare…”
La
fiala
(coppa) di vino
che qui viene offerta al Nostro per estinguere la sua sete di Conoscenza
ci riporta ancora al ‘cuore’ dell’Albero cabalistico; infatti il cuore è
il ‘vaso’ per eccellenza, ed il travaso del ‘vino’ o del ‘miele’ da
fiala
a fiala
unifica il cuore del donatore e del donato in un’unica grande ‘coppa’. A
questo proposito ci viene in mente la leggenda del Santo Graal. (v. in
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copioni ‘Excalibur’ e
relativa interpretazione cabalistica).
Tu vuo’ saper di quai piante
s’infiora
questa ghirlanda che ’ntorno
vagheggia
la bella donna ch’al ciel
t’avvalora. 93
Io
fui de li agni de la santa greggia
che Domenico mena per
cammino
u’ ben s’impingua se non si
vaneggia. 96
“…Tu vuoi sapere
di quali fiori si adorna la ghirlanda che circonda la bella donna che ti
ha permesso di venire qui. Io sono stato un agnello del gregge di S.
Domenico
(=
del Signore; da
Guzman 1170-1221) da lui guidato sul sentiero che conduce alla santità
se non si devia…”
Questi che m’è a destra più
vicino,
frate e maestro fummi, ed esso
Alberto
è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. 99
Se
sì di tutti li altri esser vuo’ certo,
di retro al mio parlar ten
vien col viso
girando su per lo beato serto. 102
“…Questo che mi
sta vicino a destra fu mio fratello (entrambi furono frati domenicani) e
maestro, è
Alberto
(=illustrissimo) di
Cologna (=Colonia =
terra da coltivare; filosofo; 1193-1280: Chesed). Io sono
Tommaso
(= gemello) d’Aquino
(= ricco di acque; filosofo, massimo esponente della Scolastica;
1221-1274: Hod), Se vuoi conoscere gli altri, seguimi con lo sguardo,
mentre li nomino nella corona dei beati…”
Quell’ altro fiammeggiare
esce del riso
di Grazïan, che l’uno e l’altro foro
aiutò sì che piace in
paradiso. 105
L’altro ch’appresso addorna il nostro coro,
quel Pietro fu che con la
poverella
offerse a Santa Chiesa suo tesoro. 108
“…La luce
successiva è
Graziano
(= il bello; giurista del sec. XII: Tiphereth) studiò e spiegò sia il
diritto canonico che quello civile in modo perfetto (che
piace in paradiso). Il
seguente nella corona è
Pietro (= la roccia;
Lombardo, teologo del sec. XII: Malkuth) che come la povera del vangelo
(Luca 21, 1-4) offrì
alla Chiesa tutto ciò che aveva…”
La quinta luce, ch’è tra noi
più bella,
spira di tale amor, che tutto ’l
mondo
là giù ne gola di saper novella: 111
entro v’è l’alta mente u’ sì profondo
saver fu messo, che, se ’l
vero è vero,
a veder tanto non surse il secondo. 114
“…La quinta luce, la più splendente,
emana tanto amore che nel mondo tutti desiderano averne notizia;
racchiude lo spirito di quel saggio (re d’Israele dal 970 al 930 a. C.
Salomone: Chockmah)
la cui sapienza non
fu mai superata da nessuno…”
Appresso vedi il lume di
quel cero
che giù in carne più a dentro vide
l’angelica natura e ’l
ministero. 117
Ne
l’altra piccioletta luce ride
quello avvocato de’ tempi
cristiani
del cui latino Augustin si provide. 120
“…Il seguente
splendore è di colui (Dionigi = ‘sacro a Dioniso’ Areopagita = giudice
del tribunale di Atene, sito sul monte ‘pagos’ di Marte ‘Areios’;
martire del I sec.: Geburah) che sulla terra studiò la natura e la
funzione degli angeli (notizia falsa, il trattato sugli angeli a lui
attribuito non può essere suo perché scritto 4 secoli più tardi). Nella
luce più piccola è beato l’avvocato dei tempi cristiani (= Paolo =
piccolo, Orosio, storico del V sec.: Yesod) al cui latino attinse
Augustin
(=Agostino = il venerabile; filosofo, vescovo e
teologo; 354-430: Tiphereth)…”
Or se tu l’occhio de la
mente trani
di luce in luce dietro a le mie lode,
già de l’ottava con sete
rimani. 123
Per
vedere ogne ben dentro vi gode
l’anima santa che ’l mondo
fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode. 126
Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace
giuso in Cieldauro; ed essa
da martiro
e da essilio venne a questa pace. 129
“…Ora, se poni l’attenzione da una
luce all’altra, seguendo i miei elogi, già vorrai
conoscere chi è
l’ottavo splendore. In esso gioisce per il bene quell’anima santa che
mostra la caducità del mondo a chi lo segue con diligenza, il suo corpo
giace (a Pavia, nella basilica di s. Pietro) in Ciel d’Oro e dopo il
martirio e l’esilio (in terra)
è giunto a questa
pace (è il filosofo Severino = austero, Boezio 480-526: Geburah) …”
Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro
d’Isidoro, di Beda e di
Riccardo,
che a considerar fu più che viro. 13
Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
è ’l lume d’uno spirto che
’n pensieri
gravi a morir li parve venir tardo: 135
essa è la luce etterna di Sigieri,
che, leggendo nel Vico de li
Strami,
silogizzò
invidïosi
veri». 138
“…Più in là puoi
vedere risplendere gli spiriti di
Isidoro (= dono di
Iside, dono della terra; di Siviglia; vescovo, dottore della Chiesa del
sec. VII: Binah), di
Beda
(= orante; il Venerabile, sacerdote e storico inglese; 674-735:
Tiphereth) e di
Riccardo
(= audace; di San Vittore, mistico del sec. XII: Geburah)
che nella
contemplazione fu più di un semplice mistico; infine questo per cui il
tuo sguardo torna a me (che completa il cerchio) è la luce di uno a cui
la morte parve giungere in ritardo, essendo tutto preso da pensieri
profondi; si tratta di
Sigieri
(=
il vittorioso ; di Brabante, 1226-1283; filosofo averroista: Netzach)
insegnante a Parigi in via degli Strami, sostenne verità che gli
procurarono odio”.
Indi, come orologio che ne
chiami
ne l’ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché
l’ami, 141
che
l’una parte e l’altra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce
nota,
che ’l ben disposto spirto d’amor
turge; 144
così vid’ ïo la gloriosa rota
muoversi e render voce a
voce in tempra
e in dolcezza ch’esser non pò nota 147
se
non colà dove gioir s’insempra.
S.
Tommaso ha parlato, poi, come l’orologio nell’ora in cui la Chiesa si
alza per le preghiere del mattino muove le sue ruote con tanta dolcezza
che gli spiriti per la devozione si riempiono d’amore, così la gloriosa
corona di beati ricomincia a danzare cantando con tanta soavità che non
può essere udita se non là dove c’è eterna gioia.
I dodici beati che fanno corona
attorno a Beatrice e Dante per i significati dei nomi loro possono
essere collocati sull’Albero di Tiphereth e omologati alle 12 tribù
di Israele (v. la relativa loro collocazione sull’Albero in
‘Commento alla Genesi’ cap. 30); oppure ai dodici apostoli di Gesù
(v. la loro collocazione sull’Albero nel ‘Commento al vangelo di
Matteo’ cap. 10, in
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Testi sacri);
oppure ai 12 mesi dell’anno, o ai 12 segni dello zodiaco , o alle 7
note musicali con le 5 alterazioni (7+5 = 12) ecc.. in ogni caso
essi formano un cerchio completo di tipologie, raccolte un’unità,
che arricchiscono con la loro ‘Sapienza’ il Tiphereth del Discepolo
Dante e della sua Coscienza, Beatrice: canto e danza esprimono in
modo superlativo il significato proprio di questa Sephirah, cioè: la
Bellezza celeste nella sua
cosmica Armonia.
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