PARADISO - CANTO XII
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Sì tosto come l’ultima parola
la benedetta fiamma per dir tolse,
a rotar cominciò la santa mola;
3
e nel suo giro tutta
non si volse
prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,
e moto a moto e canto a canto colse; 6
canto che tanto
vince nostre muse,
nostre serene in quelle dolci tube,
quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.
9
S. Tommaso ha appena finito di parlare che il
santo cerchio dei beati sapienti ricomincia a danzare; non ha terminato
neanche un giro che un altro cerchio di beati inizia pure a danzare
accordando movimento a movimento e canto a canto; la bellezza della loro
armonia supera in dolcezza quella terrestre quanto la
luce
diretta supera in splendore quella riflessa.
Come si volgon per tenera nube
due archi paralelli e concolori,
quando Iunone a sua ancella iube, 12
nascendo di quel d’entro quel di fori,
a guisa del parlar di quella vaga
ch’amor consunse come sol vapori,
15
e fanno qui la gente
esser presaga,
per lo patto che Dio con Noè puose,
del mondo che già mai più non s’allaga:
18
così di quelle
sempiterne rose
volgiensi circa noi le due ghirlande,
e sì l’estrema a l’intima rispuose.
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Come in una tenue nube si formano
due arcobaleni paralleli quando
Iunone (= giovinezza, forza vitale) lo comanda alla sua ancella
(Iride) e quello esterno si produce da quello interno come le parole (di
Eco, la ninfa che perdutamente innamorata di Narciso) fu consumata dal
suo amore come nebbia sciolta dal sole, e sulla terra fanno sperare che
non ci sarà un altro Diluvio universale, così girano intorno al Nostro
le ghirlande di quegli spiriti, l’esterna rispondendo all’interna.
Essendo stati nel canto precedente
nominati due prìncipi ed
essendo la loro opera concorde e complementare, la descrizione delle due
ghirlande di luce che danzano e cantano (l’estrema
rispondente a l’intima),
fotografa l’ammirazione senza riserve di Dante per il pensiero e l’opera
dei due grandi riformatori della Chiesa. Ognuno dei due perviene ad un
grado di perfezione totale: Francesco consegue il Kether (= Corona)
dell’Albero della Carità serafica, Domenico il Kether (= Corona)
dell’Albero della Sapienza cherubica; e le ‘corone’ di luce danzanti
attestano i loro raggiungimenti.
Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
luce con luce gaudïose e blande,
24
insieme a punto e a
voler quetarsi,
pur come li occhi ch’al piacer che i move
conviene insieme chiudere e levarsi;
27
del cor de l’una de
le luci nove
si mosse voce, che l’ago a la stella
parer mi fece in volgermi al suo dove;
30
e cominciò: «L’amor
che mi fa bella
mi tragge a ragionar de l’altro duca
per cui del mio sì ben ci si favella.
33
Appena la danza e la grande gioia
del canto e dello splendore, guidate dalla stessa volontà si quietano
insieme, come fanno gli occhi che si muovono in sintonia, dall’interno
del nuovo cerchio di luci esce una voce che attira l’attenzione di
Dante, come la stella polare fa con l’ago (della bussola), e dice:
“L’amore che mi rende luminosa m’invita a parlare dell’altro
prìncipe (canto XI v. 35,
Domenico di Guzman, 1170-1221), grazie al quale si loda il mio (a
parlare è s. Bonaventura da Bagnoregio, francescano; 1221-1274) …”
Dalla prima corona di sapienti la luce di
s. Tommaso, domenicano, ha elogiato s. Francesco, ora dalla seconda
corona di sapienti, una seconda luce, s. Bonaventura, francescano,
elogia s. Domenico, calamitando il Nostro sull’amor
che la fa bella: l’altruistica lode incrociata dei due sapienti fa
fiorire con due ghirlande il centro dell’amore, Tiphereth del cielo del
Sole di Dante.
Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca:
sì che, com’ elli ad una militaro,
così la gloria loro insieme luca.
36
L’essercito di
Cristo, che sì caro
costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna
si movea tardo, sospeccioso e raro,
39
quando lo ’mperador
che sempre regna
provide a la milizia, ch’era in forse,
per sola grazia, non per esser degna;
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e, come è detto, a
sua sposa soccorse
con due campioni, al cui fare, al cui dire
lo popol disvïato si raccorse.
45
“…E’ bene che parlando di uno
(Francesco), si ricordi l’altro (Domenico); insieme combatterono,
insieme vanno glorificati. I soldati di
Cristo (=dell’unto, del
Messia, del Salvatore) acquistati a così caro prezzo (col sacrificio
della Croce), seguivano l’insegna (della Chiesa) lentamente, insicuri e
radi, quando giunse in loro soccorso, solo per Sua grazia e senza loro
merito, il Signore, per aiutare la sposa (la Chiesa) inviando i due
prìncipi, sotto i quali si
radunò il popolo sviato…”
In quella parte ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde
di che si vede Europa rivestire,
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non molto lungi al
percuoter de l’onde
dietro a le quali, per la lunga foga,
lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
51
siede la fortunata
Calaroga sotto
la protezion del grande scudo
in che soggiace il leone e soggioga:
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dentro vi nacque l’amoroso drudo
de la fede cristiana, il santo atleta
benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;
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e come fu creata, fu
repleta sì la
sua mente di viva vertute,
che, ne la madre, lei fece profeta.
60
“…In quella regione (la Spagna) da
cui proviene lo Zefiro (=dal sanscrito ‘ksipra’ = rapido, vento primaverile di
ponente) che fa schiudere le gemme in
Europa (= dal semitico ‘ereb’
= occidentale)
non lontano (dal golfo di
Guascogna) dove si infrangono le onde dietro le quali a volte si
nasconde il sole ai mortali dopo la lunga corsa (nel solstizio
d’estate), sorge la città di
Calaroga (= Calaruega, città dominata dai signori di Castiglia), il
cui simbolo araldico è il leone;
lì nacque questo amoroso drudo
(dal celtico ‘drud’= fedele) della fede cristiana, il santo
atleta
(dal
greco ‘athleté’ = che combatte), benevolo con i suoi, duro con gli
avversari. Talmente pieno di virtù, che concepito, rese la madre
veggente (la madre prima di partorire sognò il grande destino del
figlio)…”
Nel canto precedente (vv. 49-54) avevamo
avuto la descrizione del ‘luogo’ di nascita di Francesco, identificato
con la Carità serafica, che deve guidare la personalità (Malkah, la
Sposa) alle Nozze mistiche con lo Sposo Daath, l’Io Sono; qui ci viene
data la descrizione del ‘luogo’ di nascita di Domenico, l’altro
prìncipe, identificato con la
Sapienza cherubica, che ha lo stesso compito: essa germoglia (nella
personalità) a causa del vento primaverile (pensiero nuovo:
Zefiro) che schiude le menti
occidentali, in chi ha dominio sul suo ‘castello interiore’ con la
potenza del leone (simbolo di
regalità, forza e potenza), ed è pieno di fede (drudo) e coraggio (atleta).
Poi che le sponsalizie fuor compiute
al sacro fonte intra lui e la Fede,
u’ si dotar di mutüa salute,
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la donna che per lui
l’assenso diede,
vide nel sonno il mirabile frutto
ch’uscir dovea di lui e de le rede;
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e perché fosse qual
era in costrutto,
quinci si mosse spirito a nomarlo
del possessivo di cui era tutto.
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Domenico fu detto; e
io ne parlo sì
come de l’agricola che Cristo
elesse a l’orto suo per aiutarlo.
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“…Quando fu battezzato, divenuto
sposo della Fede, (anche) la madrina ebbe un sogno: vide il meraviglioso
frutto che sarebbe nato da lui e dai suoi eredi e, affinché il nome
fosse ‘giusto’ per il suo compito, lo chiamò col nome del suo Signore.
Infatti fu chiamato Domenico
(che vuol dire ‘che appartiene al Signore’). Ed io ne parlo come del
‘contadino’ che Cristo scelse per aiutarlo nel suo orto…”
La ‘donna’ di Francesco fu la Povertà; la ‘donna’ di Domenico fu la
Fede; come Povertà e Umiltà sono gli ornamenti della Carità serafica,
così Fede e Appartenenza al Signore sono gli ornamenti della Sapienza
cherubica della personalità destinata alle Nozze mistiche.
La personalità scelta dal Cristo (l’Io Sono,
Daath, la Coscienza) per aiutarLo a coltivare l’orto
(il Campo) è proprio quella destinata a tali Nozze (cfr. in
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Testi sacri ‘Commento alla Bhagavad Gita’ canto XIII: ‘Lo Yoga per mezzo
della distinzione tra il Campo e il Conoscitore del Campo’)
Ben parve messo e famigliar di Cristo:
ché ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,
fu al primo consiglio che diè Cristo.
75
Spesse fïate fu
tacito e desto
trovato in terra da la sua nutrice,
come dicesse: ’Io son venuto a questo’.
78
“…Apparve subito come servo e inviato
del Cristo: la prima tendenza che si manifestò in lui fu secondo il
primo comando del Signore (l’umiltà). Infatti spesso silenzioso e
sveglio fu trovato in terra dalla nutrice come a dire: ‘Sono venuto per
questo’…”
Oh padre suo
veramente Felice!
oh madre sua veramente Giovanna,
se, interpretata, val come si dice!
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Non per lo mondo,
per cui mo s’affanna
di retro ad Ostïense e a Taddeo,
ma per amor de la verace manna
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in picciol tempo
gran dottor si feo;
tal che si mise a circüir la vigna
che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo.
87
Oh, veramente Felice suo padre! Oh
veramente Giovanna (= grazia del Signore) sua madre! Se è vero che il
significato del nome è l’augurio e il destino. In poco tempo egli
divenne maestro, non per la gloria mondana, per la quale ci si affanna
dietro ai famosi giuristi come il vescovo di Ostia (Enrico di Susa) o ai
medici come Taddeo (= che
loda; d’Alderotto), ma per la vera saggezza; così presto si mise a
curare la vigna (la Chiesa) che si secca se il coltivatore (il papa) è
ozioso…”
Dante, come gli antichi romani, sembra
convinto del ‘nomen omen’(= nel nome il presagio), frase attribuita a
Plauto (250-184 a. C.) e così pure ne sembra convinto Shakespeare
(1564-1616), che definisce la protagonista femminile della Tempesta:
‘Ammirevole Miranda, davvero il massimo dell’ammirazione’;
noi
ci siamo spesso serviti dei significati dei nomi dei personaggi dei
films, delle commedie, dei miti, dei sogni, ecc., per interpretare il
loro ‘ruolo’ sull’Albero cabalistico e, dal nostro punto di vista, ne
abbiamo tratto degli spunti validi. La domanda che ci siamo sempre posti
è questa: perché proprio ‘quei nomi’ e non altri? E negli anni ci siamo
così risposti: perché nel significato di quei nomi attribuiti ai vari
personaggi, ci sono nascosti i ‘mondi sottili’ del regista, dello
scrittore, del poeta, del mistico, del sognatore, ecc…
E a la sedia che fu già benigna
più a’ poveri giusti, non per lei,
ma per colui che siede, che traligna,
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non dispensare o due
o tre per sei,
non la fortuna di prima vacante,
non decimas, quae sunt pauperum Dei,
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addimandò, ma contro
al mondo errante
licenza di combatter per lo seme
del qual ti fascian ventiquattro piante.
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“…E al santo trono che in passato
fu più generoso con i poveri giusti, non per colpa sua, ma di quello che
vi è seduto (il papa, che ha deviato dal bene), non chiese di dare solo
due o tre per sei (un terzo o
la metà di quanto raccolto in elemosine); non chiese la rendita del
primo posto libero, non le decime (che appartengono ai poveri), ma
domandò il permesso di combattere contro il pensiero errato (l’eresia)
in difesa di quella sapienza (ortodossa) con la quale ti circondano i 24
saggi che formano le due corone luminose…”
I ‘sapienti’ solari che formano i due
cerchi luminosi, ora accomunati dal paragone con le
24
piante
(dal sanscrito ‘prthu’ = terra) possono essere anche omologati ai 24
Vegliardi dell’Apocalisse di Giovanni, assisi sui 24 seggi (v. ns/
interpretazione in
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Testi sacri) che fanno corona attorno al trono del Signore e che possono
essere interiorizzati come le 24 possibilità concesse alla personalità
(Malkuth, terra) nelle 24 ore del
giorno per adornare il Trono dell’ ‘Io Sono’ in 24 modi diversi (12
diurni e 12 notturni) ecc.. La Sapienza cherubica ‘ortodossa’(= dritta
opinione) che combatte l’eresia (dal greco ‘aireo’ = scelgo -ciò che
devia-) e la Carità serafica insieme
hanno
tutte le 24 ore per raddrizzare e scaldare la personalità e portarla
alla conoscenza della Bellezza solare.
Poi, con dottrina e con volere insieme,
con l’officio appostolico si mosse
quasi torrente ch’alta vena preme;
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e ne li sterpi
eretici percosse
l’impeto suo, più vivamente quivi
dove le resistenze eran più grosse.
102
“…Poi con la volontà e la dottrina e
con l’autorizzazione apostolica iniziò la sua opera e come un torrente
impetuoso sferrò il suo assalto contro gli alberi eretici, più energico
contro i più forti…” Di lui si fecer
poi diversi rivi
onde l’orto catolico si riga,
sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
105
Se tal fu l’una rota
de la biga in
che la Santa Chiesa si difese
e vinse in campo la sua civil briga,
108
ben ti dovrebbe
assai esser palese
l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
dinanzi al mio venir fu sì cortese.
111
“…Da lui si formarono poi altri
ruscelli per irrigare l’orto cattolico, per cui le pianticelle son più
vive. Se tale fu una delle due ruote della biga (Domenico)
con
cui la Chiesa si difese e vinse nella sua guerra civile, ti dovrebbe
essere chiara la grandezza dell’altra (Francesco), lodata da
Tommaso prima che arrivassi
io…”
Qui i due
prìncipi (Francesco e
Domenico) vengono identificati con le due ‘ruote della
biga’ (per l’Archetipo della
‘Ruota’ v. in
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copioni la relativa
Lezione-spettacolo), ed in questa accezione essi possono essere anche
omologati alle due colonne dell’Albero: la ‘ruota’ Francesco (la
Carità), alla colonna di destra, della Grazia, e la ‘ruota’ Domenico
(l’Ortodossia), alla colonna di sinistra, della Severità.
Ma
l’orbita che fé la parte somma
di sua circunferenza, è derelitta,
sì ch’è la muffa dov’ era la gromma.
114
La sua famiglia, che si mosse dritta
coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
che quel dinanzi a quel di retro gitta; 117
e tosto si vedrà de
la ricolta de
la mala coltura, quando il loglio
si lagnerà che l’arca li sia tolta.
120
“…Ma la traccia lasciata dalla
parte superiore della ruota (Francesco) è trascurata, cosicché ora c’è
muffa (putrefazione) dove
dovrebbe esserci gromma
(fioritura di vino). I suoi (i francescani) che seguirono le sue orme,
sono tanto sviati che camminano all’indietro; presto si vedrà il
risultato di una coltivazione tanto errata, quando il
loglio (la zizzania, i frati
corrotti) si lamenterà di essere lasciato fuori del granaio (dal
Paradiso; v. in
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Testi sacri Matteo 13, 24-30)…”
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
nostro volume, ancor troveria carta
u’ leggerebbe "I’ mi son quel ch’i’ soglio";
123
ma non fia da Casal
né d’Acquasparta,
là onde vegnon tali a la scrittura,
ch’uno la fugge e altro la coarta.
126
“… Certamente se si guardasse
attentamente nel libro (della confraternita dei francescani) se ne
troverebbero ancora di veri, che potrebbero dire: ‘I’
mi son quel ch’i’ soglio’, ma non saranno certo né i seguaci di
(Ubertino) da Casal, né di
(Matteo) d’Acquasparta; il
primo (rigorista) che irrigidisce la regola, il secondo (lassista) che
la dimentica…”
Io son la vita di Bonaventura
da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
sempre pospuosi la sinistra cura.
129
Illuminato e
Augustin son quici,
che fuor de’ primi scalzi poverelli
che nel capestro a Dio si fero amici.
132
“…Io sono lo spirito di
Bonaventura (= il buon
accadimento) da Bagnoregio (=
bagno del re, aureo, che guarisce; attribuzione: Chockmah) che negli
incarichi importanti misi sempre in secondo piano i beni materiali. Qui
si trovano (con me) Illuminato
(che si è illuminato: Daath) e
Augustin (onorabile: Hod) tra i primi che seguirono Francesco e
divennero amici del Signore per il cordone (del saio)…”
Ugo da San Vittore è qui con elli,
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
lo qual giù luce in dodici libelli;
135
Natàn profeta e ’l
metropolitano
Crisostomo e Anselmo e quel Donato
ch’a la prim’ arte degnò porre mano.
138
“…Con
loro ci sono Ugo (= pensiero)
da San Vittore (= vincitore;
mistico, morto nel 1141: Netzach) e
Pietro (= la roccia)
Mangiadore (da radice
sanscrita ‘mand’ = che s’inebria: teologo francese morto nel 1179:
Tiphereth) e Pietro
(la
roccia) Spano (da lingua semita ‘i-spa-nya’ = che forgia il ‘metallo’; fu
papa col nome di Giovanni XXI: Malkuth) celebre pe 12 libri sulla
logica; il profeta biblico Natan
(dato dal Signore; 2 Samuele, 12, 1-12 v. in
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copioni
‘Davide 2’ e relativa
interpretazione cabalistica: Yesod); l’arcivescovo (S. Giovanni)
Crisostomo (=dalla bocca
d’oro; 347-407: Chesed) Anselmo
(= che difende; d’Aosta, vescovo di Canterbury 1033-1109: Binah) e
Donato (= dono del Signore; IV sec.: Tiphereth) studiò la
grammatica, la prima delle arti liberali…”
Rabano è qui, e lucemi dallato
il calavrese abate Giovacchino
di spirito profetico dotato.
141
Ad inveggiar cotanto
paladino mi
mosse l’infiammata cortesia
di fra Tommaso e ’l discreto latino;
144
e mosse meco questa
compagnia».
“… C’è poi ancora qui
Rabano (= corvo sacro, simbolo
di profezia; Mauro, teologo, 776-856: Yesod) e accanto a me fa luce lo
spirito profetico del calabrese
Giovacchino (il Signore rende forti; da Fiore, morto nel 1202,
teologo: Geburah). La gentilezza ardente d’amore di
Tommaso e le sue belle parole
mi hanno indotto ad elogiare tale paladino e costoro son venuti con me.”
Come già visto nel canto X per la prima,
anche questa seconda ghirlanda formata da 12 solari spiriti sapienti,
per i significati dei nomi e le caratteristiche delle anime può essere
collocata sull’Albero di Tiphereth
nel
cielo del Sole di Dante… Ma il tutto può essere visto anche come
un’ulteriore ascesa da parte del Nostro nelle sale del suo Castello (v.
in
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copioni la riduzione del ‘Castello
interiore’ di S. Teresa d’Avila).
A
proposito di castelli, palazzi e di ‘sale’(hekhalot)
celesti
ecco che cosa dice Rabi Akiva (martirizzato dai romani nel II sec. d.
C):
‘Quando ascesi al primo palazzo fui ‘hasid’ (devoto), nel secondo
palazzo fui ‘tahor’ (puro), nel terzo ‘yashar’ (sincero), nel quarto fui
interamente ‘tamin’ (con D*o), nel quinto mostrai la santità dinanzi a
D*o, nel sesto pronunziai la ‘kedushah’ (santificazione), dinanzi a Lui
che parlò e creò, affinché gli angeli guardiani non mi recassero danno;
nel settimo mi tenni in piedi con tutte le forze, tremando in tutte le
membra e pronunziai la seguente preghiera: Sia lode a Te che sei
esaltato, sia lode al Sublime nelle sale dello Splendore’ (da ‘Le vie
della Kabbalah’ di Perle Epstein ed. Mediterranee).
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