PARADISO - CANTO XIII
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Imagini, chi bene intender cupe
quel ch’i’ or vidi - e
ritegna l’image,
mentre ch’io dico, come
ferma rupe -, 3
quindici stelle che ’n diverse plage
lo ciel avvivan di tanto
sereno
che soperchia de l’aere ogne compage;
6
imagini quel carro a cu’ il seno
basta del nostro cielo e
notte e giorno,
sì ch’al volger del temo non
vien meno; 9
Chi vuole comprendere bene ciò che il
Nostro vede, visualizzi le 15 stelle, le più luminose che brillano in
cielo e che vincono la nebulosità dell’aria, e trattenga la loro
immagine nella mente; e visualizzi il carro (le 7 stelle dell’Orsa
maggiore), che non scompare (alla nostra vista) neanche quando ruota il
timone (perché gira intorno al polo celeste).
imagini la bocca di quel corno
che si comincia in punta de
lo stelo
a cui la prima rota va dintorno, 12
aver fatto di sé due segni in cielo,
qual fece la figliuola di
Minoi
allora che sentì di morte il gelo; 15
e
l’un ne l’altro aver li raggi suoi,
e amendue girarsi per
maniera
che l’uno andasse al primo e l’altro
al poi; 18
Visualizzi il lettore (anche) le 2
stelle all’estremità (dell’Orsa minore, la cui punta è la stella polare)
attorno a cui ruota il Primo Mobile, e immagini che queste 24 stelle
abbiano formato in cielo due costellazioni come quelle in cui fu
trasformata, la figlia di
Minoi
(= Minosse, Arianna, che aiutò Teseo ad uccidere il Minotauro, e
poi fu da lui abbandonata); alla sua morte Arianna fu mutata in una
ghirlanda di stelle, composta da due cerchi concentrici, ruotanti in
senso inverso (il mito classico dice che solo la corona di fiori di
Arianna, donatale da Dioniso, fu trasformata in stelle).
A proposito delle 24 stelle ruotanti
che ci chiede di immaginare
per comprendere lo
spettacolo celeste dei beati visti nel cielo del Sole, Dante ci offre
una somma: 15 + 7 + 2 = 24 (stelle); ma perché mai proprio questi tre
numeri? Il 15 corrisponde al numero dell’Archetipo dell’Avversario e qui
nel Paradiso pare fuori luogo, però è formato dal 3 (numero
dell’Archetipo dell’Intelligenza creatrice, Madre delle forme, delle
immagini e delle idee) e dal 5 (numero dell’Archetipo dell’Iniziato o
Discepolo sul Sentiero), e
lo
si può visualizzare come un triplice pentagramma o tre stelle a 5 punte
concentriche; il 7 è il numero dell’Archetipo del ‘Carro’ che
rappresenta l’Anima intellettuale in cui si sintetizza il principio
pensante, la volontà e l’affetto; il 2 è il numero dell’Archetipo della
‘Porta del Santuario’ chiusa dal ‘velo’ che unisce le colonne del Tempio
di Salomone, velo che si scosta solo per il Sapiente che ha la qualifica
per entrare (v. in
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Archetipi
le relative
Lezioni-spettacolo). Da questi tre numeri potremmo ricavare che: chi
riesce a conoscere se stesso come ‘Iniziato’ sui 3 livelli di coscienza
(fisico, astrale, mentale) e sa guidare il suo ‘Carro’ oltre la ‘Porta’
del Tempio, può vedere oltre il ‘velo’ e quindi conoscere il ‘Senso’
della duplice corona dei sapienti di questo cielo.
e avrà quasi l’ombra de la
vera
costellazione e de la doppia danza
che circulava il punto dov’
io era: 21
poi
ch’è tanto di là da nostra usanza,
quanto di là dal mover de la
Chiana
si move il ciel che tutti li altri
avanza. 24
Lì
si cantò non Bacco, non Peana,
ma tre persone in divina
natura,
e in una persona essa e l’umana. 27
Allora il lettore avrà
almeno una parvenza di quell’insieme di luci (gli spiriti) che ruotano
in doppia danza intorno a Dante, poiché la loro magnificenza è tanto
superiore a ciò a cui siamo abituati, quanto il Cielo più veloce (il
Primo Mobile) è superiore al movimento del
Chiana (=fiume
toscano che scorre
assai piano). In tali vortici non si
canta
Bacco (= dal greco ‘bazo’ = parlo da ebbro)
né Peana
( dal greco ‘pean’ = ferisco, riferito ai raggi del sole, Apollo) ma Tre
Persone nella Natura divina, e la natura umana e quella divina in Una
Persona (Cristo).
Viene messo in evidenza che nelle due
corone di luce dei sapienti di questo cielo non si
canta
(non si loda) né la parola esaltata né quella che ferisce (la conoscenza
e l’arte egoica), ma la Sapienza
che riguarda la
Natura divina Una e Trina (misteri della fede cristiana e Verità
fondamentali) che il Nostro riesce a vestire di sublime poesia.
Compié ’l cantare e ’l
volger sua misura;
e attesersi a noi quei santi
lumi,
felicitando sé di cura in cura. 30
Ruppe il silenzio ne’ concordi numi
poscia la luce in che
mirabil vita
del poverel di Dio narrata fumi, 33
e
disse: «Quando l’una paglia è trita,
quando la sua semenza è già
riposta,
a batter l’altra dolce amor m’invita.
36
Terminato il canto e il giro di
danza, gli spiriti sapienti rivolgono la loro attenzione al Nostro,
felici della nuova
cura (= compito). Poi la luce (s. Tommaso)
che ha narrato a Dante la vita del
poverel
di Dio
(s. Francesco, lo sposo di
Povertà) ora gli
dice: “Quando la
paglia è stata triturata e il seme riposto (il tuo primo dubbio è stato
chiarito, Par. X, 96), l’amore mi fa passare all’altro (quello sulla
somma sapienza di Salomone, Par. X, 114)… ”
Il dubbio è qui paragonato alla
pianta del grano in cui il superfluo, la paglia, viene triturata e
la verità, il seme,
viene riposto nel granaio (nella mente); quindi nel dubbio, nella
domanda vera e sentita di chi chiede, c’è già la risposta, e basta
separare e triturare la ‘paglia’ per trovare il ‘seme’ prezioso da
conservare.
Tu credi che nel petto onde la costa
si trasse per formar la
bella guancia
il cui palato a tutto ’l mondo costa,
39
e
in quel che, forato da la lancia,
e prima e poscia tanto
sodisfece,
che d’ogne colpa vince la bilancia,
42
quantunque a la natura umana lece
aver di lume, tutto fosse
infuso
da quel valor che l’uno e l’altro
fece; 45
“…Tu credi che tutta la sapienza
consentita alla natura umana sia stata racchiusa nel petto di quello
(Adamo) a cui fu tolta la costola per farne colei di cui tutto il mondo
paga il peccato di gola (Eva) e nell’altro petto di Quello (Cristo) che,
trafitto dalla lancia, riscattò quella colpa per il passato e per il
futuro, e che vi sia stata infusa da Chi li creò entrambi…”
Dato per scontato che quando Dante fa
dire a s. Tommaso riferendosi a
quel cui fu tratta la
costa ecc. sta parlando dell’Adamo dei
primi capitoli della
Genesi e non dell’ ‘Adam Qadmon’ della Kabbalah
(espressione
usata dai cabalisti per indicare il corpo di D*o, metafora dell’Uomo
Archetipo e dei suoi attributi divini, cioè delle dieci Sephiroth, parti
del Suo Corpo), allora dobbiamo confessare che un’interpretazione così
letterale da parte sua del cap. 3 del primo libro della Bibbia ci lascia
molto perplessi, specialmente rileggendo il v. 6 che dice: ‘Allora la
donna (Eva) vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi
e desiderabile per acquistare la saggezza, prese del suo frutto e ne
mangiò, poi ne diede anche al marito che era con lei e anch’egli ne
mangiò’. Ecco la perplessità: dove è andata a finire la ‘somma saggezza’
di Adamo che, pur sapendo del divieto divino (Gn. 3,3 : ‘Non ne dovete
mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete’), mangia
supinamente il frutto proibito senza opporsi e senza nemmeno protestare
quando, se fosse stato solo un tantino saggio, avrebbe potuto e dovuto
impedire la disastrosa disobbedienza? Eva, secondo quello che dice il v.
6 voleva solo acquistare saggezza! Ma non l’aveva accanto a sé, in
Adamo, di cui era ‘carne della sua carne, ossa delle sue ossa’ (Gn. 2,
v. 23)?
Noi
nel nostro ‘Commento alla Genesi’ abbiamo dato una interpretazione
interiorizzata della ‘Caduta’ e rimandiamo pertanto a quella (v. in
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Testi sacri), ma non ce la sentiamo proprio di considerare il
progenitore Adamo come lo scrigno della saggezza… e sull’Albero
cabalistico l’abbiamo collocato in Malkuth (= il Regno), la Terra
dell’Albero (Adamo = fatto di terra). Per quanto riguarda il Cristo
invece siamo pienamente d’accordo: nell’Albero cabalistico l’abbiamo
sempre collocato in Daath, il ‘luogo’ della Coscienza, il Figlio di
Chockmah (la Saggezza) e di Binah (la Comprensione): in Lui, che è la
Sapienza del piano Atzilutico, è stata racchiusa tutta la Sapienza che
era possibile calare nel mondo assianico.
e però miri a ciò ch’io
dissi suso,
quando narrai che non ebbe ’l secondo
lo ben che ne la quinta luce
è chiuso. 48
Or
apri li occhi a quel ch’io ti rispondo,
e vedräi il tuo credere e ’l
mio dire
nel vero farsi come centro in tondo.
51
“…perciò ti interroghi su ciò che ho
detto prima circa quel sapiente (Salomone)
che non ebbe il secondo.
Ora sta attento alla mia risposta e vedrai come
il tuo credere (riguardo alla sapienza di
Adamo e di Cristo)
ed il mio dire coincidano…”
Ciò che non more e ciò che
può morire
non è se non splendor di quella idea
che partorisce, amando, il
nostro Sire; 54
ché
quella viva luce che sì mea
dal suo lucente, che non si
disuna
da lui né da l’amor ch’a lor
s’intrea, 57
per
sua bontate il suo raggiare aduna,
quasi specchiato, in nove
sussistenze,
etternalmente rimanendosi una. 60
“…le creature mortali e
quelle immortali non sono altro che il
riflesso di quella
Idea (il Figlio) che il nostro Re (il Padre) genera con l’Amore (lo
Spirito Santo), perché quella Luce (la Sapienza) che emana dalla Fonte
(il Potere) in tal modo che non si separa né da Lui né da Quello che è
Terzo con loro, per la Sua bontà raduna i suoi raggi, come in una
specchiatura di Sé in nove essenze (i nove Cori angelici) restando
eternamente Uno (e Trino; v. in
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Testi sacri ‘Commento
al vangelo di Giovanni’ 1, 1-3)…”
Quindi discende a l’ultime
potenze
giù d’atto in atto, tanto divenendo,
che più non fa che brevi
contingenze; 63
e
queste contingenze essere intendo
le cose generate, che
produce
con seme e sanza seme il ciel
movendo. 66
La
cera di costoro e chi la duce
non sta d’un modo; e però
sotto ’l segno
idëale poi più e men traluce. 69
“…Attraverso i Cori
angelici la Luce del Verbo discende di cielo in cielo fino al mondo
sublunare, calando di potenza fino a produrre cose corruttibili; intendo
dire le cose generate dal movimento del cielo con vita (animali e
piante) o senza vita (minerali). La materia di tali cose è varia, e così
pure chi la manipola (le potenze celesti), quindi riluce in modo
variabile sotto il segno dell’Idea divina…”
Come detto altre volte, nella discesa
della divina energia (shekinah), essendosi la ‘caduta’ (o rottura dei
vasi, shevirah) verificata in Geburah, ‘luogo’ del mentale razionale, è
dal mentale in giù che la luce delle Sephiroth può essere capovolta e
venir ‘corrotta’ e quindi la materia dei piani mentale, astrale e fisico
usata per alimentare le qelipoth (scorie o bucce); ma è proprio questo
il compito dell’essere umano: correggere i tre mondi inferiori e
riportarli all’unità e alla Divinità; tale ‘correzione’ si chiama Tikkun
(riparazione).
Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno,
secondo specie, meglio e
peggio frutta;
e voi nascete con diverso ingegno. 72
Se
fosse a punto la cera dedutta
e fosse il cielo in sua
virtù supprema,
la luce del suggel parrebbe
tutta; 75
ma
la natura la dà sempre scema,
similemente operando a
l’artista
ch’a l’abito de l’arte ha man che
trema. 78
“…Per questo accade che alberi simili
diano frutti migliori o peggiori, e voi uomini abbiate diverse qualità.
Se la materia fosse docile e l’influsso celeste perfetto, apparirebbe
tutta la luce del sigillo (divino), ma la natura riflette la luce solo
in parte, come un artista a cui trema la mano nel suo lavoro…”
Però se ’l caldo amor la
chiara vista
de la prima virtù dispone e segna,
tutta la perfezion quivi
s’acquista. 81
Così fu fatta già la terra degna
di tutta l’animal
perfezïone;
così fu fatta la Vergine pregna; 84
sì
ch’io commendo tua oppinïone,
che l’umana natura mai non
fue
né fia qual fu in quelle due persone.
87
“…Però se l’Amore (lo Spirito Santo)
trova la primitiva virtù e la sigilla, viene raggiunta la perfezione.
Così in passato la Terra (con Adamo) divenne perfetta, così la Vergine
concepì; quindi io approvo il tuo pensiero: la natura umana non fu e non
sarà mai (sapiente) come quei due (Adamo e Cristo; per Adamo v. quanto
detto sopra)…”
Or s’i’ non procedesse
avanti piùe,
’Dunque, come costui fu sanza pare?’
comincerebber le parole tue.
90
Ma
perché paia ben ciò che non pare,
pensa chi era, e la cagion
che ’l mosse,
quando fu detto "Chiedi", a
dimandare. 93
“…Se ora tacessi, tu subito
diresti: ‘Allora in che senso Salomone non ebbe pari?’ Per comprenderlo
pensa a ciò che era (Salomone) e perché domandò la sapienza
quando gli fu detto:
‘Chiedi’ (1 Re 3, 4-12: …In Gabaon il Signore apparve in sogno a
Salomone durante la notte e gli disse: ‘Chiedimi ciò che io devo
concederti’… Salomone disse:… ‘Concedi al tuo servo un cuore docile
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo, il popolo che ti sei
scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare né contare;
concedi al tuo servo che sappia distinguere il bene dal male…’ Il
Signore gli disse: ‘…Ti concedo un cuore saggio ed intelligente; come te
non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te…’)…”
Non ho parlato sì, che tu
non posse
ben veder ch’el fu re, che chiese
senno
acciò che re sufficïente fosse; 96
non
per sapere il numero in che enno
li motor di qua sù, o se
necesse
99con contingente mai necesse fenno;
99
non
si est dare primum motum esse,
o se del mezzo cerchio far
si puote
trïangol sì ch’un retto non avesse.
102
“…Ho parlato chiaro, in modo che tu
possa comprendere che egli era un re e che chiese la sapienza per essere
un buon re e per poter compiere bene il suo dovere; non per sapere il
numero degli angeli in cielo; o per sapere se una premessa necessaria e
una contingente producano una conclusione necessaria; o se esiste un
primo moto, o se in un semicerchio si possano inscrivere triangoli che
non siano di 90°…”
Nella Bhagavad Gita canto XVIII, v.
47 è detto: ‘Meglio il proprio dovere, quantunque imperfettamente
compiuto che il dovere di un altro ben eseguito. Colui che compie il
dovere assegnato dalla propria natura non incorre in peccato’.
Salomone
(= che dona pace) venne unto re (il suo regno ebbe inizio verso il 970
a. C.), dal sacerdote Zadok per ordine del re Davide suo padre,
sollecitato dal profeta Natan (Primo libro dei Re 1, 11-40), egli sapeva
di dover governare il popolo del Signore, ‘popolo così numeroso che non
si può calcolare né contare’ perciò chiese di poter compiere il proprio
dovere e ottenne il discernimento nel giudicare, un cuore saggio e
intelligente. Anche ognuno di noi è stato unto re del suo Regno (del
Malkuth, della personalità) che è il ‘popolo’ del Signore, l’Io Sono, il
Sé, e dovrebbe chiedere a Lui di riuscire a governare il Suo ‘popolo’
con giustizia, e soprattutto chiedere di saper distinguere il bene dal
male…
Onde, se ciò ch’io dissi e questo note,
regal prudenza è quel vedere
impari
in che lo stral di mia intenzion
percuote; 105
e
se al "surse" drizzi li occhi chiari,
vedrai aver solamente
respetto
ai regi, che son molti, e ’ buon son
rari. 108
Con questa distinzion prendi ’l mio
detto;
e così puote star con quel che credi
del primo padre e del nostro
Diletto. 111
“…Perciò se ricordi ciò che ho detto
prima e ciò che ho detto ora, la sapienza regale (di Salomone) non fu
superata; e se sei attento al significato del verbo (della Bibbia)
‘sorgerà’, noterai che si riferisce solo ai re, che sono tanti, ma
raramente buoni.
Intendi
le mie parole in questo senso e così sarà vero ciò che credi sul primo
uomo (Adamo) e sul nostro Amato (Cristo) …”
E questo ti sia sempre
piombo a’ piedi,
per farti mover lento com’
uom lasso
e al sì e al no che tu non vedi: 114
ché
quelli è tra li stolti bene a basso,
che sanza distinzione
afferma e nega
ne l’un così come ne l’altro passo;
117
perch’ elli ’ncontra che più volte piega
l’oppinïon corrente in falsa
parte,
e poi l’affetto l’intelletto lega.
120
“…Che il dubbio sorto in te sia come
piombo al piede per farti andare lento come un uomo stanco
nell’affermare o negare ciò che non vedi; chi afferma o nega senza far
distinzioni è assai stolto; accade spesso che un giudizio avventato
porti all’errore e che poi l’attaccamento (alla propria opinione)
diventi un ostacolo alla comprensione…”
Ecco ancora una raccomandazione preziosa per il Discepolo sul
Sentiero: mai dare giudizi affrettati, perché è facile sbagliare
opinione e poi è anche più difficile correggersi.
Vie più che ’ndarno da riva si parte,
perché non torna tal qual e’
si move,
chi pesca per lo vero e non ha
l’arte. 123
E
di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso
e molti,
li quali andaro e non sapëan dove;
126
sì
fé Sabellio e Arrio e quelli stolti
che furon come spade a le
Scritture
in render torti li diritti volti. 129
“…Chi va in cerca della verità ma non
ha la qualifica per farlo, si allontana ancora di più dal vero
in quanto prima era
solo ignorante, dopo è carico di errori. Lo testimoniano
Parmenide (= che rimane),
Melisso
(= dolce) e
Brisso (= che fiorisce) e molti altri che son
partiti (per cercare la verità) senza sapere dove cercarla (i tre
filosofi del V sec. a. C. furono confutati da Aristotele per mancanza di
‘metodo’); così hanno fatto
Sabellio
(= devoto del dio guerresco Sabus) e
Arrio
(= Ario = lavoratore, ma anche eccellente) entrambi eretici, e tutti gli
altri sciocchi che hanno stravolto le Scritture come una spada sfregia
un bel volto.
Dante ci nomina tre filosofi e due
eretici della dottrina cristiana che, secondo lui, hanno deviato dalla
sapienza; sono cinque personaggi che ci ricordano quanto sia facile
cadere in errore quando ci si imbarca nella ricerca senza la dovuta
preparazione: se si manca di ‘metodo’ tutto si capovolge, allora ciò che
deve rimanere (Parmenide),
va; ciò che deve diventare dolce (Melisso),
diventa amaro e ciò che deve fiorire (Brisso),
appassisce; se ci si allontana dal vero significato delle Scritture
invece di combattere per la verità (Sabellio)
si combatte per la
menzogna, invece di eccellere nel lavorare il ‘campo’ (Arrio)
lo si trascura ecc..
Non sien le genti, ancor, troppo
sicure
a giudicar, sì come quei che stima
le biade in campo pria che
sien mature; 132
ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima
lo prun mostrarsi rigido e
feroce,
poscia portar la rosa in su la cima;
135
e
legno vidi già dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo
cammino,
perire al fine a l’intrar de la foce.
138
Non
creda donna Berta e ser Martino,
per vedere un furare, altro
offerere,
vederli dentro al consiglio divino;
141
ché
quel può surgere, e quel può cadere».
“…Che la gente non sia frettolosa nel
giudicare come colui che conta le spighe nel campo quando sono ancora
verdi: ho visto un pruno per tutto l’inverno mostrarsi secco e spinoso
per poi fiorire (inaspettatamente), ho visto una barca correre sul mare
dritta e rapida per tutto il percorso e poi affondare all’ingresso della
foce. E che donna
Berta (=chiara) e ser
Marino
(= di mare) non credano di leggere nella Giustizia vedendo uno rubare e
l’altro fare offerte: il primo può redimersi, l’altro dannarsi…”
Il Nostro ci raccomanda infine di non
sentenziare sul futuro del prossimo avventatamente: ma che la nostra
Berta
(= chiara) interiore usi la sua chiarezza per ben indirizzare la propria
azione e il nostro
Marino (uomo di mare) interiore usi la sua
esperienza per governare le sue acque profonde…
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