PARADISO - CANTO XIV
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Dal centro al cerchio, e sì dal
cerchio al centro
movesi l’acqua in un ritondo vaso,
secondo ch’è percosso fuori o dentro: 3
ne la mia mente fé
sùbito caso
questo ch’io dico, sì come si tacque
la glorïosa vita di Tommaso, 6
per la similitudine
che nacque del
suo parlare e di quel di Beatrice,
a cui sì cominciar, dopo lui, piacque: 9
«A costui fa
mestieri, e nol vi dice
né con la voce né pensando ancora,
d’un altro vero andare a la radice. 12
In un vaso
rotondo se percosso dall’esterno, l’acqua si muove dal centro al bordo,
se percosso dall’interno, al contrario; appena il beato s.
Tommaso
tace, nella mente del Nostro si presenta questa immagine per la
similitudine nata tra le parole sue (che parla all’esterno della corona
dei beati) e quelle di
Beatrice
che inizia a dire dopo di lui (dal centro della corona): “Costui
desidera
andare
alla radice di un’altra verità, ma non lo manifesta né con le parole, né
col pensiero…”
Le parole
di Tommaso
(da radice indoeuropea ‘yam’= frutto
doppio = il gemello celeste, doppio in senso mistico-esoterico, cioè il
vero Dante) e quelle di
Beatrice
(= che lo rende beato) che si ‘cor’-rispondono (col cuore, siamo nel
cielo del Sole, relativo a Thiphereth, cuore dell’Albero) ‘percuotono’
il Nostro che si paragona ad un vaso pieno d’acqua sollecitato da due
diverse forze, da dentro e da fuori; questa immagine ricorda l’esagramma
n. 51 ‘L’Eccitante’ dell’I King che recita: ‘Lo scuotimento reca
riuscita…Ed egli non lascia cadere spatola sacrificale e calice’ e
ancora: ‘…così il nobile temendo e tremando mette ordine nella sua vita
ed esplora se stesso’. E’ un chiaro invito a mantenere lo stato di
massima concentrazione ed allerta necessario ad affrontare la successiva
‘ascensione’ (tra poco il Discepolo conoscerà il cielo di Marte).
Diteli se la luce onde s’infiora
vostra sustanza, rimarrà con voi
etternalmente sì com’ ell’ è ora; 15
e se rimane, dite
come, poi che
sarete visibili rifatti,
esser porà ch’al veder non vi nòi». 18
“…Ditegli se la luce di
cui vi ornate resterà tale per l’eternità; e se è così, una volta che
sarete risuscitati (alla fine dei tempi), se tale splendore non impedirà
la vista (molestando gli occhi) del nuovo corpo ”.
Come, da più letizia pinti e tratti,
a la fïata quei che vanno a rota
levan la voce e rallegrano li atti, 21
così, a l’orazion
pronta e divota,
li santi cerchi mostrar nova gioia
nel torneare e ne la mira nota. 24
Come a volte nelle danze
circolari, mossi da una maggior allegria, i danzatori alzano la voce
cantando e si muovono più in fretta, così alla pia preghiera (di
Beatrice) le due corone di santi mostrano maggior gioia ruotando e
cantando.
Qual si lamenta perché qui si moia
per viver colà sù, non vide quive
lo refrigerio de l’etterna ploia. 27
Quell’ uno e due e
tre che sempre vive
e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,
non circunscritto, e tutto circunscrive, 30
tre volte era
cantato da ciascuno
di quelli spirti con tal melodia,
ch’ad ogne merto saria giusto muno. 33
Chi si lamenta per il fatto che sulla terra si deve morire per
andare in cielo, non conosce la gioia della pioggia eterna (della
Grazia). La Trinità che sempre vive e regna Una e Trina, che tutto
comprende senza limiti, è glorificata tre volte da quegli spiriti con
tale melodia che solo udirla sarebbe già giusto premio a qualsivoglia
merito.
Il quesito che Beatrice da parte di
Dante pone ai sapienti del cielo del Sole tende a chiarire la natura del
corpo di Resurrezione dopo il Giudizio Universale e implica proprio la
penetrazione di questo Archetipo (v. in
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Archetipi la
Lezione-spettacolo n. 20: ‘Il Giudizio’): l’Iniziato o Discepolo sul
Sentiero deve morire a se stesso più volte, giudicarsi e rinascere ogni
volta con un corpo di ‘luce’ nuovo.
Le caratteristiche
del corpo fisico dell’ultima rinascita, del corpo che risorgerà alla
fine dei tempi, ci vengono illustrate con riferimento al corpo del
Cristo risorto nei vangeli, in particolare nel vangelo di Giovanni e
negli Atti degli Apostoli: può avere l’aspetto di un corpo normale,
tanto da essere scambiato da Maria di Magdala
per quello del
‘custode del giardino’: Gv. 20, 15; passa attraverso le porte per
entrare nel ‘luogo dove si trovano i discepoli’: Gv. 20, 19; può essere
‘toccato’ e conservare le tracce di ferite: Gv.20, 26-28; infine al
momento giusto sale in cielo: At. 1,9. Ma si tratta di un corpo risorto
composto di vibrazioni altissime e spirituali che, per mostrarsi ai
discepoli, deve adattarsi alle basse vibrazioni del mondo fisico
(assianico), che quindi ‘vela’, nasconde il suo splendore Atzilutico.
E io udi’ ne la luce più dia
del minor cerchio una voce modesta,
forse qual fu da l’angelo a Maria, 36
risponder: «Quanto
fia lunga la festa
di paradiso, tanto il nostro amore
si raggerà dintorno cotal vesta. 39
Allora Dante ode dalla luce più splendente della corona interna
una voce soave (è di Salomone), forse simile a quella dell’angelo
(Gabriele) che parlò a
Maria
(= l’Amata), rispondere: “ Il nostro amore irradierà questo abito di
luce finché durerà il gaudio celeste del
paradiso
(= dal caldeo ‘pardes’ = giardino)…”.
Ed ecco
che la risposta alla domanda viene dalla
luce più dìa
(più fulgida), da chi è stato re Salomone (= che dona pace e benessere)
considerato l’autore del Cantico dei Cantici (v. in
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Appuntamenti ns/ interpretazione cabalistica) che nella sua allegoria
descrive le Nozze tra il Signore (lo Sposo) ed Israele (la Sposa) e
quindi profetizza le Nozze tra il Cristo (l’Io Sono, Daath, la
Coscienza) e la Natura Umana (Malkah, la personalità).
La sua chiarezza
séguita l’ardore;
l’ardor la visïone, e quella è tanta,
quant’ ha di grazia sovra suo valore. 42
Come la carne
glorïosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
più grata fia per esser tutta quanta; 45
per che s’accrescerà
ciò che ne dona
di gratüito lume il sommo bene,
lume ch’a lui veder ne condiziona; 48
onde la visïon
crescer convene,
crescer l’ardor che di quella s’accende,
crescer lo raggio che da esso vene. 51
“…Lo splendore (del corpo di luce) è proporzionato all’ardore
d’amore, e l’ardore d’amore dipende dalla visione (del Signore), e la
visione dipende dalla Grazia che corrisponde al merito. Alla
resurrezione del corpo fisico torneremo ‘interi’ e quindi si accrescerà
ancora di più la Grazia del
Sommo Bene
che ne permette la visione; perciò crescerà la visione, crescerà
l’ardore, e crescerà la luce…”
Ma
sì come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia,
sì che la sua parvenza si difende; 54
così questo folgór
che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
che tutto dì la terra ricoperchia; 57
né potrà tanta luce
affaticarne:
ché li organi del corpo saran forti
a tutto ciò che potrà dilettarne». 60
“…Ma come un carbone che
produce la fiamma la supera in fulgore e rimane incandescente, così la
nostra luce di ora sarà vinta dalla luce della carne che al momento è
coperta dalla terra; né tanta luminosità potrà darci noia, perché saremo
atti ad accogliere tutta la gioia che ci verrà donata”. Secondo
Salomone, il più sapiente dei re, dopo il Giudizio Universale, i beati
saranno ‘interi’, con lo spirito che si completerà col corpo fisico
divinizzato, e luminosi ancora più di prima perché avranno raggiunto, in
un crescendo di beatitudine spiralata senza fine, quell’unità e
completezza offerta all’umanità dalla redenzione del Cristo; il corpo di
resurrezione sarà ancora più radioso del corpo spirituale e i suoi
‘sensi’ potenziati adeguatamente.
Nella
Bibbia oltre a Gesù, ci sono altri due esempi di personaggi ascesi in
cielo con il corpo fisico: Enoch, di cui è detto: ‘Poi Enoch camminò con
Dio e non fu più perché Dio l’aveva preso’ (Gn. 5, 24); ed Elia, profeta
al tempo del re Acab (874-853 a. C.) che mentre camminava conversando
con Eliseo il suo discepolo: ‘…ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco
si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo.
Eliseo guardava e gridava: “Padre mio, padre mio, cocchio d’Israele e
suo cocchiere”. E non lo vide più’ (2 Re 2, 11-12). Che per la vista di
un terrestre il corpo di luce di un Maestro Asceso possa abbagliare
prima e scomparire poi ci sembra abbastanza ovvio, essi hanno corpi di
‘mondi’ diversi in cui l’essere del mondo più alto (Atzilutico), per sua
volontà, si rende visibile in quello più basso (assianico), e non può
avvenire il contrario. Facciamo un esempio pratico: un professore
universitario può parlare con un bambino e farsi capire, ma un bambino
certamente non può comprendere il ragionamento di una sua lezione
universitaria; oppure: una gazzella può andare piano come una tartaruga,
ma una tartaruga non potrà mai correre come una gazzella; e come il
professore capisce i suoi ragionamenti e la gazzella sa di poter contare
sulla sua velocità, così, mentre un umano non può sostenere la luce di
un beato, questi è sicuramente in grado di ‘vederla’ senza
affaticarsi,
altrimenti che ‘beato’ sarebbe? Tanto mi
parver sùbiti e accorti
e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!»,
che ben mostrar disio d’i corpi morti: 63
forse non pur per
lor, ma per le mamme,
per li padri e per li altri che fuor cari
anzi che fosser sempiterne fiamme. 66
Ed ecco intorno, di
chiarezza pari,
nascere un lustro sopra quel che v’era,
per guisa d’orizzonte che rischiari. 69
Entrambi i due cerchi di luce si affrettano a dire
Amme
(= Amen = dall’ebraico ‘aman’ = essere certo = così sia e così sarà)
mostrando il desiderio dei loro corpi di resurrezione, non per loro
(stessi) ma per coloro che in terra sono stati parenti e cari prima di
divenire luci splendenti. Ed ecco sorgere un altro splendore attorno a
quello (delle due corone) simile ad un orizzonte che si illumina.
E sì come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze,
sì che la vista pare e non par vera, 72
parvemi lì novelle
sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da l’altre due circunferenze. 75
Oh vero sfavillar
del Santo Spiro!
come si fece sùbito e candente
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! 78
Come quando giunge l’imbrunire e compaiono le prime stelle in
modo tale che ciò che si vede sembra e non sembra reale, così al Nostro
sembra di vedere nuove anime formare un altro cerchio di luce
all’esterno degli altri due. Oh, meraviglia dello Spirito Santo! (il
cerchio) diventa veloce e tanto luminoso che i suoi occhi non lo
sopportano!
L’Amme,
il ‘così sia e così sarà’, dei sapienti beati conferma le parole di
Salomone ed una terza corona di beati appare per glorificare e
suggellare con la sua luce l’acquisita conoscenza da parte del Nostro
del suo Sole. Ricordiamo che ‘tre’ è il numero perfetto e che quando si
vuole decretare una qualche realtà e dal mondo mentale precipitarla nel
mondo fisico, ripeterla per tre volte è una tecnica di magia pratica
molto efficace.
Ma Bëatrice sì bella
e ridente mi
si mostrò, che tra quelle vedute
si vuol lasciar che non seguir la mente. 81
Quindi ripreser li
occhi miei virtute
a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in più alta salute. 84
Ben m’accors’ io
ch’io era più levato,
per l’affocato riso de la stella,
che mi parea più roggio che l’usato. 87
Beatrice
intanto è divenuta talmente bella e luminosa da poter essere solo
immaginata. Poi Dante sente rinvigorire la sua capacità visiva e si
sente trasportare con Lei in un cielo ancora più beato. Egli si avvede
di trovarsi più in alto per la maggior felicità dell’astro (Marte) che
gli appare più rosseggiante.
Man mano
che il Nostro sale per i cieli del Paradiso, il suo ‘essere beato’
aumenta nella misura in cui si amplia la sua capacità di ricevere la
Luce e la Grazia divina, perché
Beatrice,
la cui bellezza e luminosità cresce di cielo in cielo, gli fa da
specchio. Ora egli è giunto nella sfera di Marte dove incontrerà gli
spiriti militanti e martiri per la fede. Nella Kabbalah la Sephirah
Geburah (la Forza) che corrisponde a Marte è detta Intelligenza
Radicale, nell’Albero è situata al centro del pilastro della severità; è
l’essenza del Giudizio (Din) e della limitazione e corrisponde al
timore; Essa accoglie la bontà di Chesed di cui è reciproca ed
interagente; l’esperienza spirituale che le compete è la Visione di
Potere; il Nome divino che le è attribuito è Elohim Gebor. I suoi
simboli sono: la rosa a cinque petali, il pentagono, la spada, la
lancia, la frusta, la catena.
Con tutto ’l core e
con quella favella
ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto,
qual conveniesi a la grazia novella. 90
E non er’ anco del
mio petto essausto
l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi
esso litare stato accetto e fausto; 93
ché con tanto lucore
e tanto robbi
m’apparvero splendor dentro a due raggi,
ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!». 96
Con tutto il cuore e con quella devozione che è una per tutti,
egli fa offerta di sé al Signore per la nuova Grazia ricevuta. Il fuoco
della gratitudine non è ancora svanito in lui quando comprende che il
suo
litare
(= sacrificare) è stato gradito e
accettato; infatti gli appaiono (alcuni spiriti disposti su) due rossi
raggi splendenti ed egli così prega: “O
Elïòs
(= dall’ebraico ‘Elì’ = Signore) quanto li adorni!”
Litare
(=sacrificare = rendere sacro con offerta al Signore) se stessi
vuol dire donarsi al Sé consacrandosi a Lui, rinunciando al ‘sé per il
sé’ (egoico), diventando Suo Sacerdote; in Tiphereth (nella sfera del
Sole) il Discepolo conosce i Misteri della Croce, in Geburah (sfera di
Marte) egli diventa ‘Sacerdote sacrificale dei Misteri’ cioè impara a
trasmutare col sacrificio una forza in un’altra di qualità superiore. Ma
il dono di sé per essere accettato dal Sé, come dice A. Manzoni nel
‘Fermo e Lucia’ (ed. Sansoni pag. 102) ‘deve essere un frutto di fuoco
(d’amore), deve essere posto sull’altare con mano monda e offerto col
cuore, allora lo sguardo del Cielo discende su di esso’. Dante ottempera
a queste condizioni e riceve come premio la visione e l’incontro con i
beati della quinta sfera.
Come
distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra ’ poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; 99
sì costellati facean
nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo. 102
Come la
Galassia
(= via Lattea) con luci maggiori e minori risplende tra i poli del cielo
tanto da stupire i saggi, così nella profondità di
Marte
(= il forte) quei raggi pieni di luce disegnano la Croce che divide il
cerchio in 4 quadranti. Una croce inscritta in un cerchio simboleggia la
perfezione (croce) nel tutto (cerchio) nella polarizzazione attiva
(braccio verticale) ed in quella
passiva (braccio
orizzontale) e corrisponde allo Spirito incarnato del Cristo. Qui vince la
memoria mia lo ’ngegno;
ché quella croce lampeggiava Cristo,
sì ch’io non so trovare essempro degno; 105
ma chi prende sua
croce e segue Cristo,
ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
vedendo in quell’ albor balenar Cristo. 108
A questo punto la memoria del Nostro supera il suo
ingegno
(= capacità di espressione), perché
in quella Croce di luce lampeggia il Cristo ed egli non trova il
linguaggio giusto per descriverLo; ma chi è seguace del Cristo,
comprende il suo silenzio, nel vederLo in quel lucore.
Di corno in corno e tra la cima e ’l
basso si
movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso: 111
così si veggion qui
diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, 114
moversi per lo
raggio onde si lista
talvolta l’ombra che, per sua difesa,
la gente con ingegno e arte acquista. 117
Da una punta all’altra
dei bracci della Croce si muovono gli spiriti che scintillano
maggiormente quando si incontrano e si sorpassano; proprio come sulla
terra si vedono (in una stanza) i corpuscoli (del pulviscolo) muoversi
variamente in tutte le direzioni, cambiando aspetto, in un raggio che
taglia l’ombra, procurata dalla gente per ripararsi.
Ed ecco
che a Dante è concessa un’ulteriore grazia: su quella Croce di luce gli
appare sfolgorante la figura del Cristo e non ci sono parole per
descriverne la magnificenza, solo il silenzio può accompagnare una
simile visione. Che cosa significa nel nostro discorso interiorizzato
vedere il ‘Cristo interiore’ in Geburah? Vuol dire conoscerne la
Sephirah Daath, la Coscienza.
Avevamo detto che
l’esperienza spirituale di questa Sephirah è ‘la Visione di Potere’;
prenderne Coscienza significa avere appreso l’uso del Potere
(astro-mentale) su di sé e sugli altri, e metterlo a Servizio del Piano
divino, rendendosi responsabile verso il Sé di quel Potere a livello
universale (adempiere la missione dell’Iniziato).
E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa, 120
così da’ lumi che lì
m’apparinno
s’accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l’inno. 123
E come la
giga
(strumento simile alla viola) e l’arpa, nell’armonica tensione delle
diverse corde, producono un suono dolce anche per chi non comprende la
musica, così da quelle luci che appaiono a forma di Croce si crea una
melodia che rapisce Dante, senza che ne distingua il canto.
Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte
lode, però
ch’a me venìa
come a colui che non intende e ode. 126
Ïo m’innamorava
tanto quinci,
che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
che mi legasse con sì dolci vinci. 129
Ma egli intende che quello è un canto di lode, perché, pur senza
capire tutto, sente le parole ‘Risorgi’ e ‘Vinci’. Egli viene preso
d’amore per quel canto come mai lo è stato prima.
Intanto
gli spiriti di luce di questa sfera, muovendosi sui quattro bracci della
Croce avanti e indietro e divenendo più luminosi incontrandosi, cantano
un canto di lode
(=celebrazione): lo scorrimento delle luci sui quattro bracci delle
Croce di Marte simboleggia l’attività degli spiriti militanti (soldati
di Cristo) nelle quattro direzioni dello spazio o nei quattro elementi:
alto (fuoco) basso (terra) destra (aria) sinistra (acqua) che si
incontrano nel tempo, punto centrale della Croce, che possiamo far
corrispondere all’eterno Presente. Le parole
«Resurgi» e
«Vinci»
celebrano l’Immortalità e la Vittoria di chi, come Dante, del Cristo (Io
Sono, Daath) dell’Albero di Geburah ha preso Coscienza.
Forse la mia parola
par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli,
ne’ quai mirando mio disio ha posa; 132
ma chi s’avvede che
i vivi suggelli
d’ogne bellezza più fanno più suso,
e ch’io non m’era lì rivolto a quelli, 135
escusar puommi di
quel ch’io m’accuso
per escusarmi, e vedermi dir vero:
ché ’l piacer santo non è qui dischiuso, 138
perché si fa,
montando, più sincero.
Dante poi si chiede se la sua
ammirazione per il canto di questi spiriti non sia eccessiva, quasi
temendo di sminuire con la sua lode la bellezza degli occhi di Beatrice
che sempre placano ogni suo desiderio, ma poi si giustifica dicendo che
gli occhi di Beatrice incrementano la loro bellezza e purezza man mano
che egli sale nei vari cieli del Paradiso e qui nel cielo di Marte non
li ha ancora incontrati.
Il
Nostro quasi si rimprovera di aver dimenticato gli occhi di Beatrice,
che è la sua Coscienza assianica, per quella
Cristica,
sfolgorante, del cielo di Marte… ma poi si rende conto che sono
tutt’Uno.
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