PARADISO - CANTO XVI

 
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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O poca nostra nobiltà di sangue,
se glorïar di te la gente fai
qua giù dove l’affetto nostro langue, 3

mirabil cosa non mi sarà mai:
ché là dove appetito non si torce,
 dico nel cielo, io me ne gloriai. 6
Dante non si stupisce del fatto che la nobiltà del sangue spinga la gente a gloriarsi sulla terra, dove la volontà si altera: egli (invece) se ne gloria in cielo, dove nulla si disvia.
Ben se’ tu manto che tosto raccorce:
sì che, se non s’appon di dì in die,
 lo tempo va dintorno con le force. 9

Dal ’voi’ che prima a Roma s’offerie,
in che la sua famiglia men persevra,
 ricominciaron le parole mie; 12

onde Beatrice, ch’era un poco scevra,
ridendo, parve quella che tossio
al primo fallo scritto di Ginevra. 15
La nobiltà delle origini è come un mantello a cui, se non si aggiunge stoffa (merito), il tempo fa da forbici (ne riduce il valore). Ora il Nostro (in segno di rispetto) si rivolge a Cacciaguida (= colui che guida nella caccia dell’Oro filosofico) col ‘Voi’, usato dai Romani (che allattano, nutrono) per primi, ma poi tralasciato dai discendenti; al che Beatrice (= che rende beati) che sta un po’ discosta, sorride sembrando la dama (di Malehaut) che tossì dell’imprudenza di Ginevra (= la splendente; avendo compreso il suo amore per Lancillotto; v. in  www.teatrometafisico.it  copioni ‘Excalibur’ e relativa interpretazione cabalistica).

Che cosa significa nel nostro discorso interiorizzato ‘gloriarsi della propria nobiltà di sangue’ in cielo piuttosto che in terra? Significa ri-conoscersi quali ‘Figli dell’Io Sono’ e quindi non correre il rischio di ritrovarsi figli del principe del mondo, cioè del diavolo: cfr. Gv. 8, 12-47 (e relativa interpretazione in www.taozen.it  Testi sacri ‘Commento al vangelo di Giovanni’). Ma per poter essere figli del Sé occorre che alla ‘nobiltà’ s’apponga merito di dì in die (giorno dopo giorno), altrimenti la luce della virtù invece di crescere, diminuisce. Dare del ‘Voi’ in segno di rispetto a quella componente spirituale che conserva per la personalità tutti i ‘talenti’ accumulati nel passato, può far sorridere con indulgenza l’intuizione (Beatrice), perché  ‘la Signora’ sa benissimo che l’Albero è tutt’Uno e se la personalità si trova in Paradiso (in contemplazione estatica), almeno per il momento, non c’è pericolo di cadute rovinose.
Io cominciai: «Voi siete il padre mio;
voi mi date a parlar tutta baldezza;
voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io. 18

Per tanti rivi s’empie d’allegrezza
la mente mia, che di sé fa letizia
perché può sostener che non si spezza. 21
Così Dante si rivolge al beato: “Voi siete il mio avo; voi mi date il coraggio di parlare; voi m’innalzate sopra di me. La mia mente si riempie di gioia da tutte le parti e si rallegra di sostenerne la pienezza…”
Ditemi dunque, cara mia primizia,
quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
che si segnaro in vostra püerizia; 24

ditemi de l’ovil di San Giovanni
quanto era allora, e chi eran le genti
tra esso degne di più alti scanni». 27
“…Ditemi dunque mia cara primizia (origine) quali furono i vostri antenati e quali gli anni che segnarono la vostra fanciullezza; parlatemi dell’ovile (= rifugio delle pecore) di s. Giovanni (= dono divino; Battista, protettore di Firenze), quanto era grande, e quali le persone lì degne di governare”.

Il Nostro è ben consapevole dell’alto privilegio di poter colloquiare con un suo avo ora beato (che potremmo anche far corrispondere ad una sua molto proficua incarnazione del passato) e chiede di poterne conoscere l’ambiente, cioè ‘l’habitat’ che lo ha reso quello che effettivamente è; vorrebbe anche conoscere le condizioni in cui si trovava ai quei tempi la sua ‘Firenze’ vale a dire ‘il fiore’, il centro del cuore (Tiphereth) del suo Albero. Notiamo che tale centro viene qui definito ovile di s. Giovanni (= rifugio per le pecore del ‘dono divino’), luogo che raccoglie le energie donate dal Signore, che dovrebbero essere governate solo da persone degne (meritevoli).
Come s’avviva a lo spirar d’i venti
carbone in fiamma, così vid’ io quella
luce risplendere a’ miei blandimenti; 30

e come a li occhi miei si fé più bella,
così con voce più dolce e soave,
ma non con questa moderna favella, 33

dissemi: «Da quel dì che fu detto ’Ave’
al parto in che mia madre, ch’è or santa,
s’allevïò di me ond’ era grave, 36

al suo Leon cinquecento cinquanta
e trenta fiate venne questo foco
a rinfiammarsi sotto la sua pianta. 39
Come, quando spira il vento, il carbone acceso ravviva la sua fiamma, così alle affettuosità di Dante s’illumina maggiormente la luce di quel beato che, divenuto più bello, risponde con voce soave ma con linguaggio antico: “Dal giorno del concepimento della Vergine Maria al giorno in cui mia madre, che ora è santa, mi partorì, questo pianeta (Marte) è tornato a scaldarsi sotto la zampa del segno del Leone, 550 +30 (=580) volte…( Marte compie una rivoluzione in 687 gg.: Cacciaguida è nato nel 1091)”

Già nel canto precedente (nei vv. 130-135) Cacciaguida ha nominato, quale dispensatrice di vita per lui, la (Vergine) Maria, invocata con alte grida (della madre) durante il parto; ora qui di nuovo La ricorda per far conoscere la data della sua nascita, offrendo spunti e simboli utili per illustrare il suo ‘ambiente’: invece di parlare ‘della nascita di Cristo’, mette piuttosto l’accento sul Suo concepimento, usando la parola ‘Ave’ (= dal sanscrito ‘avati’ = godi) che è il saluto rivolto dall’Angelo Gabriele a Maria (vangelo di Luca: 1, 26-38); infine per porre in rilievo l’essenzialità della componente femminile nella propria nascita, chiama di nuovo in causa la madre (santa) che l’ha partorito. Fa poi un accenno al pianeta (Marte, sacro al dio guerriero), e quindi al Cielo della sua beatitudine, che per 550 + 30 fiate venne a rinfiammarsi sotto la pianta del suo Leone: per la Kabbalah 500 è il numero relativo all’Archetipo della Forza; 50 il numero relativo all’Archetipo della Temperanza e 30 il numero relativo all’Archetipo del Sacrificio (per l’approfondimento di questi Archetipi v. in www.teatrometafisico.it copioni, le relative lezioni-spettacolo n. 11, 14 e 12); se poi al quadro aggiungiamo anche il ‘Leone’ quale animale sacro simbolo regale del Sole, della potenza del fuoco, della forza e del coraggio, abbiamo il ritratto di Cacciaguida, cioè del Chockmah del Geburah dantesco.
Li antichi miei e io nacqui nel loco
dove si truova pria l’ultimo sesto
da quei che corre il vostro annüal gioco. 42

Basti d’i miei maggiori udirne questo:
chi ei si fosser e onde venner quivi,
più è tacer che ragionare onesto. 45
“… La mia famiglia ed io siamo nati nella zona (di Firenze) dove, per quelli che corrono (per il palio), inizia l’ultimo sestiere (quello di Porta s. Pietro, il più nobile). E dei miei basti dir questo. E’ bene (per modestia) tacere chi fossero e da dove provenissero…”

Inoltre la famiglia dell’avo di Dante è nata nella zona più nobile di Firenze, (nel fiore del Fiore dell’Albero) nella zona di Porta s. Pietro; Pietro = pietra d’angolo, relativa al Cristo, Io Sono, Daath, Coscienza; (cfr. Vangelo di Matteo 21, 42: ‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri’ - citazione del Salmo 117, 22-23): Cacciaguida ci dice che proprio lì, nella ‘Coscienza di Tiphereth’, ha inizio l’ultima parte del percorso (dell’iter iniziatico) per chi vuole vincere il palio (= dal latino ‘pallium’, l’ornamento del Pontefice),  cioè per chi vuol farsi ‘ponte’ tra la natura umana e il Sé.
Tutti color ch’a quel tempo eran ivi
da poter arme tra Marte e ’l Batista,
eran il quinto di quei ch’or son vivi. 48

Ma la cittadinanza, ch’è or mista
di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
pura vediesi ne l’ultimo artista. 51
“…Tutti coloro che erano in grado di portare le armi tra la statua di Marte (= che abbatte) e il Batista (=Battistero, cioè da nord a sud) erano un quinto degli abitanti attuali. Ma i fiorentini che ora sono mescolati con i villani di Campi (Campi del Bisenzio = del doppio senso), Certaldo (= cerreto vecchio) e Fegghine (Figline = dove si producono figuline, lavori in argilla), erano puri fino all’ultimo artigiano…”

Inizia ora la comparazione tra la Firenze antica (dell’avo) e quella moderna del Nostro, è questo in pratica un paragone tra il centro Tiphereth di Cacciaguida e il centro Tiphereth di Dante. Il primo ha meritato il Paradiso e il secondo il Purgatorio, proprio quel Purgatorio che abbiamo conosciuto nella seconda cantica della Divina Commedia. Come numero di abitanti (come potenza) il primo ha avuto il valore solo di un quinto del secondo, ma è rimasto ‘puro’; mentre il secondo, molto più popolato, più potente, si è mescolato con energie ‘inferiori’, a ‘doppio senso’ (parte pure e parte impure); è quindi diventato vecchio, argilloso, terroso.
Oh quanto fora meglio esser vicine
quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo
e a Trespiano aver vostro confine, 54

che averle dentro e sostener lo puzzo
del villan d’Aguglion, di quel da Signa,
che già per barattare ha l’occhio aguzzo! 57
“…Quanto sarebbe meglio che quei cittadini di cui parlo fossero ancora solo confinanti e che Galluzzo (che ha l’insegna del gallo, animale connesso con l’oltretomba, che in relazione a s. Pietro simboleggia la debolezza umana) e Trespiano (= aldilà del piano) facessero ancora da confine, piuttosto che averli in città e sentire il puzzo del villano di Aguglione (dell’aquilone) e di Signa (= dal latino ‘signum’, che limita) già pronti a far baratterie!...”

La mescolanza di energie non compatibili ha creato disarmonia in tutto il centro; in particolare è stato dannoso per la Firenze moderna (Tiphereth dantesco) l’ingresso di elementi negativi (provenienti dal basso) come i villaggi di Galluzzo (debolezza umana) e di Trespiano (= che è aldilà del piano assianico, che quindi reca i vizi dell’albero nero), e il puzzo del villano d’Aguglione (dell’aquila invertita, quindi dei difetti della tirannia e vanagloria) e di Signa (che limita, che frena la risalita dell’albero), elementi formati da energie  sempre pronte a ‘vendersi’.

Se la gente ch’al mondo più traligna
non fosse stata a Cesare noverca,
ma come madre a suo figlio benigna, 60

tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
che si sarebbe vòlto a Simifonti,
là dove andava l’avolo a la cerca; 63

sariesi Montemurlo ancor de’ Conti;
sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone,
e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. 66
“…Se la gente che più pecca (i preti) non fosse stata come noverca (= matrigna) per Cesare (l’Imperatore) ma come una madre amorevole verso un figlio, qualcuno, diventato poi cittadino di Firenze cambiavalute e mercante, sarebbe tornato a Simifonti (= Semifonte = il fonte più alto; nella campagna di Val d’Elsa = pienezza), là dove il suo avo andava alla cerca, elemosinando; (il castello di) Montemurlo (= fortificazione con merlature) sarebbe ancora dei Conti (= compagni; Guidi = silvani); i Cerchi (che hanno i cerchi nello stemma) nella pieve di Acone (= sassosa) e i Buondelmonti (= buoni del monte) in Valdigrieve (Val di Greve = del fiume ghiaioso)

Se nel centro di Tiphereth l’Archetipo del Sacerdote (del Pontefice, relativo al centro di Geburah) amando veramente, fosse stato rispettoso dell’Archetipo dell’Imperatore (relativo al centro di Chesed), l’Albero sarebbe rimasto in equilibrio, e ogni energia sarebbe restata nel posto di sua competenza, là dove si era prodotta: l’energia dei ‘cambiavalute e mercanti’ (mercuriana) in Hod, dove si trova l’origine della ri-cerca, il posto più alto (Simifonti), allorché la ‘terra’ ha raggiunto la sua pienezza; la forza marziale dei ‘compagni silvani’ (Montemurlo) in Geburah; la forza terrestre ‘pietrosa’ (dei Cerchi d’Acone) e quella dei Buondelmonti (di Valdigrieve),  in Malkuth.
Sempre la confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che s’appone; 69

e cieco toro più avaccio cade
che cieco agnello; e molte volte taglia
più e meglio una che le cinque spade. 72
“…Da sempre la mescolanza delle persone (diverse per cultura e ceto) è stata l’inizio del male delle città, come lo è nel corpo il cibo che si aggiunge (a quello non digerito); e un toro cieco cade prima di un agnello cieco, e spesso una spada (affilata) taglia più e meglio di cinque (spuntate)…”

Cfr. Bhagavad Gita canto I, vv. 42-43 e relativa interpretazione cabalistica in www.taozen.it  Testi sacri: ‘La mescolanza (delle caste) trascina la famiglia e coloro che la rovinarono nell’inferno, poiché ivi cadono gli avi cui viene negato il rito ‘del riso e dell’acqua’. A causa dei misfatti di questi sterminatori di famiglie che producono la confusione delle caste, le perenni cerimonie della casta e della famiglia vengono distrutte’.
Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, 75

udir come le schiatte si disfanno
non ti parrà nova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno. 78
“...Se noti come sono ridotte le città di Luni ( = Lucente, relativa a Yesod) e Orbisaglia  (Urbisaglia = Urbs Salvia = città della salute; relativa a Hod) e come (nella rovina) le seguono Chiusi (= di Clusio, ma anche della chiusura; relativa a Geburah) e Sinigaglia (Senigallia = luogo dell’assemblea degli anziani Galli; relativa a Chesed), non ti sembrerà cosa nuova né strana sapere che le famiglie decadono come le città...”

La decadenza (il capovolgimento) di una sephirah causa, come già detto più volte, la decadenza delle altre sephiroth; perché, come ognuna delle 7 virtù (4 cardinali + 3 teologali) contiene in potenza le altre sei virtù, così ognuno dei sette vizi capitali contieni in sé in potenza gli altri sei; per questo occorre stare sempre in guardia e cercare di evitare in ogni modo il capovolgimento anche di uno solo dei centri dell’Albero...

Per l’alternanza di gloria e decadenza nelle umane vicende ricordiamo la terza variante dell’esagramma dell’I King n. 11 la Pace: ‘Nessun piano cui non segua un declivio,/ Nessun’andata cui non segua un ritorno,/ Senza macchia è chi rimane perseverante nel pericolo./ Non rammaricarti di questa verità./ Godi della felicità che ancor possiedi’. (v. in www.taozen.it I King e Kabbalah la relativa interpretazione).
Le vostre cose tutte hanno lor morte,
sì come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto, e le vite son corte. 81

E come 'l volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
così fa di Fiorenza la Fortuna: 84

per che non dee parer mirabil cosa
ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini
onde è la fama nel tempo nascosa. 87
“...Tutte le cose umane hanno un termine, come le vostre vite, ma alcune cose (come le città o le famiglie) durano più a lungo di esse. E come la rotazione della luna crea l’alta e la bassa marea, così fa la dea Fortuna (la Tiche greca) con Fiorenza (= Firenze): quindi non ci si deve meravigliare di ciò che dirò riguardo alla fama dei nobili fiorentini che si è oscurata nel tempo...”  

Il tempo limita la singola vita umana, ma in un Albero cabalistico i centri (sephiroth) e i sentieri (cineroth), città e famiglie, possono durare più vite nell’individuo (ed ecco l’origine delle varie inclinazioni virtuose o viziose delle persone). Quella che viene chiamata ‘Fortuna’, la dea della sorte favorevole o avversa, distribuisce il bene o il male, la gioia o il dolore, la ricchezza o la povertà, ma non lo fa a casaccio, lo fa secondo le regole della giusta distribuzione dei meriti e demeriti accumulati nel passato; e se le ‘energie nobili’ del centro del cuore Tiphereth (dei nobili fiorentini) vengono ‘oscurate’ dipende solo dalla loro errata qualificazione. 
Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
già nel calare, illustri cittadini; 90

e vidi così grandi come antichi,
con quel de la Sannella, quel de l’Arca,
e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. 93
 “...  Io ho visto gli Ughi (= gli uomini di pensiero; relativi all’Archetipo 4 dell’Imperatore), i Catellini (= i prudenti; relativi all’Archetipo 9 dell’Eremita) i Filippi (= gli amanti dei cavalli; relativi all’Archetipo 7 del Carro), i Greci (= gli antichi; relativi all’Archetipo 17 delle Stelle), gli Ormanni (= i guerrieri; relativi all’Archetipo 11 della Forza), gli Alberichi  (= i signori degli elfi, degli elementi; relativi all’Archetipo 1 del Mago) prima essere illustri, poi andare in declino; ed vidi (andare in rovina) altri grandi antichi come quelli della Sannella (del sandalo; relativi all’Archetipo 12 del Sacrificato), dell’Arca (che proteggono; relativi all’Archetipo 3 dell’Imperatrice), i Soldanieri (= i principi; relativi all’Archetipo 16 della Torre), gli Ardinghi (= i forti; relativi all’Archetipo 11 della Forza) e i Bostichi (dei contenitori; relativi all’Archetipo 2 della Porta del Santuario)...”

Cacciaguida nomina qui numerose ‘famiglie’ di Firenze, e tante altre ne nominerà più avanti, che prima erano illustri, e che poi sono andate in declino; in relazione alla loro attribuzione agli Archetipi o ‘sentieri’ della Kabbalah, possiamo considerarle come cineroth dell’Albero del suo Tiphereth la cui energia si è capovolta di valenza col passare del tempo, ed è arrivata a Dante corrotta e viziata. Per la comprensione dei citati Archetipi o ‘sentieri’ vedasi le relative Lezioni-spettacolo in www.teatrometafisico.it . 
Sovra la porta ch’al presente è carca
di nova fellonia di tanto peso
che tosto fia iattura de la barca, 96

erano i Ravignani, ond’ è disceso
il conte Guido e qualunque del nome
de l’alto Bellincione ha poscia preso. 99
“... Sopra la porta (s. Pietro), che al momento è piena di gentaglia tanto vigliacca che presto porterà tutti alla rovina, allora vivevano i Ravignani (= dalla voce bassa; relativi all’Archetipo 12 del Sacrificio) da cui è disceso il conte Guido (= uomo di selva; relativo all’Archetipo 1 del Mago) e quelli che hanno avuto il nome dal nobile Bellincione (= il bello dalla vista acuta; relativo all’Archetipo 6 del Bivio)...”
Quel de la Pressa sapeva già come
regger si vuole, e avea Galigaio
dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome. 102

Grand’ era già la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
e Galli e quei ch’arrossan per lo staio. 105
“... I Pressa (= stringenti; relativi all’Archetipo 8 della Giustizia) allora sapevano già governare, ed i Galigaio (= miti e sereni; relativi all’Archetipo 14 della Temperanza) erano già cavalieri. Importanti erano anche le famiglie dei Pigli dal simbolo Vaio (= grigio) e dei Sacchetti (= conservatori; relativi all’Archetipo 9 dell’Eremita), dei Giuochi (= lieti; relativi all’Archetipo 1 del Mago), dei Fifanti (= che fanno paura; relativi all’Archetipo 15 dell’Avversario), dei Barucci (= benedetti; relativi all’Archetipo 5 del Pontefice), dei Galli (= che gridano; relativi all’Archetipo 16 della Torre) e dei Chiaramontesi che si vergognano per le truffe (dell’avo sul peso; relativi all’Archetipo 8 della Giustizia)...”
Lo ceppo di che nacquero i Calfucci,
era già grande, e già eran tratti
a le curule Sizii e Arrigucci. 108

Oh quali io vidi quei che son disfatti
per lor superbia! e le palle de l’oro
fiorian Fiorenza in tutt’ i suoi gran fatti. 111
 “... Grande era la casata dei Calfucci (=calorosi; relativi all’Archetipo 19 del Sole) ed i Sizii (= vittoriosi; relativi all’Archetipo 7 del Carro) e gli Arrigucci (= forti; relativi all’Archetipo 11 della Forza) erano già chiamati alle curule (seggi dei magistrati). Io vidi potenti pure gli Uberti (= intelligenti; relativi all’Archetipo 3 dell’Imperatrice), rovinati poi dalla superbia; e lo stemma dei Lamberti (= gloriosi; relativi all’Archetipo 21 del Mondo), fioriva in Fiorenza (= Firenze, città del fiore) in tutte le imprese importanti...”
Così facieno i padri di coloro
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
si fanno grassi stando a consistoro. 114

L’oltracotata schiatta che s’indraca
dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente
o ver la borsa, com’ agnel si placa, 117

già venìa sù, ma di picciola gente;
sì che non piacque ad Ubertin Donato
che poï il suocero il fé lor parente. 120
“... Così pure erano importanti gli avi di coloro che ora, in assenza del vescovo, s’ingrassano nelle assemblee ecclesiastiche (Visdomini e Tosinghi). Già allora iniziava ad emergere, anche se di umili origini, la prepotente stirpe (degli Adimari), che inseguono come un drago chi fugge e diventano come agnelli con chi è forte o ricco; per questo a Ubertin (= dallo spirito brillante) Donato (= donato dal Signore; genero di Bellincione Berti) spiacque trovarsi imparentato con loro (la cognata sposò un Adimari)...”

Ancora viene messo in rilievo che la ‘mescolanza delle caste’ crea disordine: con questo discorso si vuole solo cercare di spiegare che ‘i matrimoni’ tra le sephiroth  delle colonne dell’Albero dovrebbero essere contratti tra centri dello stesso piano (fisico, astrale, mentale o causale), senza salti; così come nella vita di coppia le persone che si sposano dovrebbero avere lo stesso livello (economico, sentimentale, mentale e spirituale) perché due individui di diversa levatura o con interessi completamente diversi assai difficilmente, alla lunga, potranno andare d’accordo.
Già era ’l Caponsacco nel mercato
disceso giù da Fiesole, e già era
buon cittadino Giuda e Infangato. 123

Io dirò cosa incredibile e vera:
nel picciol cerchio s’entrava per porta
che si nomava da quei de la Pera. 126
“...Già erano i Caponsacchi (= ricchi di capponi) scesi da Fiesole (= fiat sola = l’unica) nella zona del mercato ed i Giudi (= gli ebrei) e gli Infangati (= i disonorati) erano diventati importanti. Poi dirò una cosa piccola ma vera: si entrava nella città vecchia attraverso la porta che prendeva nome dai Pera (= quelli degli alberi delle pere)...”
Ciascun che de la bella insegna porta
del gran barone il cui nome e ’l cui pregio
la festa di Tommaso riconforta, 129

da esso ebbe milizia e privilegio;
avvegna che con popol si rauni
oggi colui che la fascia col fregio. 132
“...Tutti quelli che nella festa di s. Tommaso adottavano l’insegna del barone (Ugo il Grande di Toscana) acquistavano da lui onori e privilegi; tuttavia uno di essi (Giano della Bella) oggi favorisce il popolo (escludendo i nobili dall’amministrazione: ancora un rimprovero al capovolgimento delle funzioni delle classi sociali).
Già eran Gualterotti e Importuni;
e ancor saria Borgo più quïeto,
se di novi vicin fosser digiuni. 135

La casa di che nacque il vostro fleto,
per lo giusto disdegno che v’ha morti
e puose fine al vostro viver lieto, 138

era onorata, essa e suoi consorti:
o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
le nozze süe per li altrui conforti! 141
“... Già c’erano i Gualterotti (= capoccetti) e gli Importuni (= seccatori); ma il (quartiere di) Borgo (ss. Apostoli) sarebbe più tranquillo se non ci fossero i nuovi arrivati (i Buondelmonti). La casata (degli Amidei) da cui nacque il vostro fleto (pianto) per il loro giusto sdegno, che ha messo fine alla vostra vita serena, era onorata con i suoi alleati; o Buondelmonte, hai commesso un grande errore ad evitare le nozze per un errato consiglio! (fu ucciso dagli Amidei per aver mancato alla promessa di matrimonio; alla sua uccisione si fa risalire la prima guerra civile in Firenze tra Guelfi e Ghibellini)...”
Molti sarebber lieti, che son tristi, 
se Dio t’avesse conceduto ad Ema
la prima volta ch’a città venisti. 144

Ma conveniesi, a quella pietra scema
che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse
vittima ne la sua pace postrema. 147
“...Molti, che sono invece tristi, sarebbero lieti se il Signore ti avesse precipitato nell’Ema (= sangue; affluente del Greve) la prima volta che sei venuto in città. Ma (forse) era giusto che Firenze, alla fine del suo periodo di pace, offrisse una vittima alla statua monca che guarda il ponte (la statua di Marte sul Ponte Vecchio, essendo il dio forse geloso di essere stato sostituito da Giovanni Battista, quale patrono della città).

Con queste genti, e con altre con esse,
vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse. 150

Con queste genti vid’ io glorïoso
e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio
non era ad asta mai posto a ritroso, 153

né per divisïon fatto vermiglio».
 

“... (Ecco): con queste genti e con altre io ho conosciuto Firenze in un periodo di tale serenità in cui non c’era mai motivo di pianto. Con queste genti io vidi il suo popolo vivere in giustizia e gloria, tanto che il giglio (= simbolo di Firenze, ma anche di purezza e integrità) della bandiera non veniva mai capovolto (per le sconfitte), né insanguinato dalle lotte intestine...”  

Dopo aver elencato i nomi delle numerose famiglie corrotte che a poco a poco sono penetrate nella città e hanno trasformato l’ovil di s. Giovanni in un luogo di lupi rapaci, pronti a sbranarsi, Dante con nostalgia fa ripetere all’avo Cacciaguida che la Firenze antica era giusta, gloriosa e in pace; ma la Firenze Antica (Tiphereth di Caccia-guida = che guida alla caccia dell’Oro filosofico) appartiene al piano Spirituale Atzilutico e non può che essere perfetta, mentre la Firenze moderna (Tiphereth dantesco) appartiene al piano assianico, dove Bene e male coesistono e sono sempre in lotta fra loro, e dove spesso, purtroppo, i gigli dell’asta vengono  fatti vermigli e posti a ritroso...



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