PARADISO - CANTO XVII
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Qual venne a Climenè, per accertarsi
di ciò ch’avëa incontro a sé
udito,
quei ch’ancor fa li padri ai figli
scarsi; 3
tal
era io, e tal era sentito
e da Beatrice e da la santa
lampa
che pria per me avea mutato sito. 6
Come
Fetonte (il mito è già ricordato in Inferno XVII, vv. 106-108: figlio
del Sole (Apollo) chiese al padre di guidare il suo carro, ma incapace
di governarlo fu fulminato da Zeus prima che bruciasse la terra) andò
dalla madre Climene (dal greco ‘clio’, = che ode) per
sapere per certo se era vero ciò che aveva udito (che Apollo non era suo
padre), e la sua triste storia ha reso i padri restii ad accontentare i
figli, allo stesso modo Dante è desideroso di conoscere la verità su di
sé, e così lo sentono sia
Beatrice
che lo splendente beato Cacciaguida, che gli si è fatto incontro.
Voler conoscere le proprie origini
(da dove si viene) è giusto, come è giusto sapere quale sia il proprio
compito (dove si va), ma poi occorre armarsi di modestia e buon senso
per agire correttamente. Fetonte (dal greco ‘faeto’ = splendo), benché
figlio del Sole e di chi ‘ascolta’, ha peccato di orgoglio e
inesperienza: avrebbe dovuto accontentarsi del suo splendore e non
cimentarsi in ciò che non gli competeva; Dante (= colui che persevera)
invece, seguendo i consigli della sua Guida alla caccia dell’Oro (di
Cacciaguida) saprà fare buon uso delle informazioni ricevute su ciò che
l’aspetta e su quello che le sue potenzialità gli permettono di
realizzare.
Per che mia donna «Manda
fuor la vampa
del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella
esca
segnata bene de la interna stampa: 9
non
perché nostra conoscenza cresca
per tuo parlare, ma perché
t’ausi
a dir la sete, sì che l’uom ti
mesca». 12
Per cui Beatrice gli dice: “Esprimi
il fuoco del tuo desiderio affinché si manifesti nella pienezza del tuo
sentimento: non perché noi possiamo comprenderti meglio, ma perché ti
abitui a mostrare la tua sete di conoscenza e così ti si possa
dissetare.”
In pratica l’intuizione, Beatrice,
sta dicendo alla personalità: domanda ciò che desideri sapere, cioè fai
chiarezza nelle tue idee e su ciò che vuoi veramente conoscere e le
risposte ti verranno dalla tua saggezza antica, dall’avo Cacciaguida,
(il Chockmah di Geburah, v. attribuzione cabalistica del personaggio nel
canto XV, vv. 142-148).
«O cara piota mia che sì t’insusi,
che, come veggion le terrene
menti
non capere in trïangol due ottusi,
15
così vedi le cose contingenti
anzi che sieno in sé,
mirando il punto
a cui tutti li tempi son
presenti;
18
E
Dante all’avo: “O mia cara radice, tu sei così elevato che, come la
mente umana sa che due angoli ottusi (che sommati danno più di 180°) non
possono stare in un triangolo (la cui somma degli angoli interni è
180°), conosci i fatti contingenti (che possono accadere oppure
no) prima che avvengano guardandoli nell’eterno presente...”
mentre ch’io era a
Virgilio
congiunto
su per lo monte che l’anime cura
e discendendo nel mondo
defunto, 21
dette mi fuor di mia vita futura
parole gravi, avvegna ch’io
mi senta
ben tetragono ai colpi di ventura; 24
per
che la voglia mia saria contenta
d’intender qual fortuna mi
s’appressa:
ché saetta previsa vien più lenta».
27
“...
mentre salivo con
Virgilio il monte che purifica le anime (il
Purgatorio) e mentre scendevo nel mondo dei morti (l’Inferno), mi furono
fatte pesanti profezie e, benché io mi senta solido (tetragono
= come un cubo) contro i colpi della sfortuna, pure vorrei conoscere ciò
che mi riserba la sorte: perché una freccia (che colpisce), se prevista
è meno dannosa”.
Dopo aver
riconosciuto all’avo suo (Chockmah di Geburah di Atziluth) la sua natura
divina e quindi la sua capacità di vedere nell’eterno presente gli
avvenimenti
contingenti del futuro, la personalità gli chiede
conferma di quello che, visitando i suoi mondi interiori (Inferno,
Purgatorio e Paradiso) ha già intravisto e che gli accadrà negli anni a
venire; seppure si tratta di un futuro doloroso, vuole conoscerlo per
essere pronto a viverlo nel modo migliore.
Così diss’ io a quella luce stessa
che pria m’avea parlato; e
come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
30
Né
per ambage, in che la gente folle
già s’inviscava pria che
fosse anciso
l’Agnel di Dio che le peccata tolle,
33
ma
per chiare parole e con preciso
latin rispuose quello amor
paterno,
chiuso e parvente del suo proprio
riso: 36
Questa,
secondo il volere di
Beatrice, la richiesta che il Nostro
rivolge all’avo beato che gli ha parlato. E quell’amore paterno,
nascosto e insieme mostrato dalla sua luce gioiosa, non risponde con
frasi oscure, quelle (degli oracoli) che facevano confondere i pagani
prima della venuta dell’Agnello Divino, che ha tolto il peccato, ma
risponde con parole chiare e precise:
Il Nostro
fa un’attenta distinzione tra quello che per oracolo si può conoscere
prima della ‘venuta del Cristo’ e quello che si può conoscere dopo. Il
Cristo, l’Agnel
di Dio, toglie il
peccato
(= inciampo, difetto del piede) dal mondo, toglie quindi ‘l’errore’;
quello che si può sapere dopo la sua venuta non è più svelato con
ambage (= oscuro giro di parole), che
irretisce e nasconde il vero significato, ma è chiaro e preciso; ciò
vuol dire che quando nella personalità si è sviluppato il centro
Cristico, l’Io Sono, Daath, la Coscienza, le intuizioni che giungono dal
Piano Spirituale (Atzilutico) non arrivano più oscurate, ma limpide ed
intellegibili.
«La contingenza, che fuor
del quaderno
de la vostra matera non si stende,
tutta è dipinta nel cospetto
etterno; 39
necessità però quindi non prende
se non come dal viso in che
si specchia
nave che per torrente giù discende.
42
“Gli avvenimenti contingenti, che
esistono solo nel mondo materiale, sono tutti scritti nella Mente
eterna; ma non sono da Essa necessitati, come non è influenzata la
navigazione di una nave da uno che la vede andare e nei cui occhi essa
si specchia...”
Ancora una volta Dante mette in
risalto il libero arbitrio umano (su tale argomento v. Purgatorio canto
XVI e ns/ relativo commento) per cui la Mente eterna, pur tutto
conoscendo, non influenza la libera scelta della sua creatura, ma la
lascia libera di agire secondo la sua volontà, perché questo è il Suo
dono divino per l’uomo...
Da indi, sì come viene ad orecchia
dolce armonia da organo, mi
viene
a vista il tempo che ti
s’apparecchia. 45
Qual si partio Ipolito d’Atene
per la spietata e perfida
noverca,
tal di Fiorenza partir ti convene. 48
“... Dalla Mente eterna, come una dolce musica da un organo, mi
giunge la visione del tuo futuro. Come
Ipolito
(= domatore di cavalli)
d’Atene,
fu costretto all’esilio (dal padre Teseo, re di Atene), perché
calunniato dalla matrigna da lui respinta, così tu dovrai partire da
Fiorenza...”
Siamo così
giunti alla profezia dell’esilio del Nostro, non più un accenno come nei
canti dell’Inferno X (Farinata degli Uberti, vv. 79-81) e XV (Brunetto
Latini, vv. 61-72) o nei canti del Purgatorio VIII (Corrado Malaspina,
vv. 133-139) e XI (Oderisi da Gubbio, vv. 139-141), ma un vaticinio
preciso: dovrai
di Fiorenza partir (= separarti dalla tua città),
per la spietata perfidia dei tuoi concittadini.
Dante
si trovava a Roma come ambasciatore quando fu condannato (con due
condanne, del 27 gennaio e del 10 marzo nel 1302) in contumacia, al rogo
e alla distruzione delle case; non tornò più in Firenze e morì esule a
Ravenna nel 1321.
Che cosa significa nel nostro
linguaggio interiorizzato lasciare la propria terra e andare in esilio?
Come già
detto in precedenza nel ns/ commento (v. Inf. canto X, vv. 73-84) andare
in esilio può essere il modo migliore per imparare quello che deve
essere imparato. Significa anche rinunciare ad un bene immediato
(sicurezza, abitudini, serenità) nella prospettiva di un maggiore bene
futuro.
Ecco
alcuni esempi di esilio narrati nella Bibbia: In Genesi cap. 12-13 è
detto: ‘Il Signore disse ad Abram: <Vattene dal tuo paese, dalla tua
patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò.
Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome, e
diventerai una benedizione>. Allora Abram partì come gli aveva ordinato
il Signore ... Venne una carestia nel paese e Abram scese in Egitto...
ecc... Dall’Egitto Abram ritornò nel Negheb con la moglie e tutti i suoi
averi... Abram era molto ricco in bestiame, argento e oro’.
E
nel cap. 26 è detto: ‘Venne una carestia nel paese...e Isacco andò a
Gerar presso Abimelech, re dei Filistei...Isacco fece una semina in quel
paese e raccolse quell’anno il centuplo. Il Signore infatti lo aveva
benedetto. E l’uomo divenne ricco e crebbe tanto in ricchezze fino a
diventare ricchissimo...intanto Abimelech da Gerar era andato da lui...
: <Abbiamo visto che il Signore è con te e abbiamo detto: vi sia un
giuramento tra noi, tra noi e te, e concludiamo un’alleanza con te ...>
Allora (Isacco) imbandì loro un convito e mangiarono e bevvero’. E
ancora nei cap. 27-28, dopo che Isacco ha dato la sua benedizione a
Giacobbe secondogenito, invece che ad Esaù, primogenito: ‘...Ma furono
riferite a Rebecca le parole di Esaù, suo figlio maggiore, ed essa mandò
a chiamare il figlio minore Giacobbe e gli disse: < Esaù tuo fratello
vuol vendicarsi di te uccidendoti...su, fuggi a Carran da mio fratello
Labano. Rimarrai con lui qualche tempo finché l’ira di tuo fratello si
sarà placata...Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran’. E
nel cap. 37, Giuseppe, figlio prediletto di Giacobbe, viene prima
gettato dai fratelli invidiosi in una cisterna e poi: ‘...passarono
alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla
cisterna e per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti.
Così Giuseppe fu condotto in Egitto.’ Abbiamo riportato qui questi 4
esempi di patriarchi esiliati (più o meno volontariamente) per ribadire
che l’esilio, anche se doloroso e sofferto, nella storia dell’Iniziato o
Discepolo sul Sentiero è pressoché d’obbligo, e per l’interpretazione
cabalistica di questi brani di Genesi rimandiamo al ns/ ‘Commento alla
Genesi’ in
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Testi sacri.
Questo si vuole e questo già si cerca,
e tosto verrà fatto a chi
ciò pensa
là dove Cristo tutto dì si merca. 51
La
colpa seguirà la parte offensa
in grido, come suol; ma la
vendetta
fia testimonio al ver che la
dispensa. 54
Tu
lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è
quello strale
che l’arco de lo essilio pria saetta.
57
“... Questa è la volontà di quelli
che fanno ‘mercato’ della religione (la Curia Romana) e tra breve il
loro desiderio sarà realizzato. La colpa poi, come al solito verrà data
alla parte sconfitta, ma la verità si paleserà con la punizione dei veri
colpevoli. Tu dovrai lasciare ogni cosa cara, e questa è la prima
sofferenza dell’esilio...”
Tu proverai sì come sa di
sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per
l'altrui scale. 60
E
quel che più ti graverà le spalle,
sarà la compagnia malvagia e
scempia
con la qual tu cadrai in questa
valle; 63
che
tutta ingrata, tutta matta ed empia
si farà contr’ a te; ma,
poco appresso,
ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.
66
“... Tu proverai quanto sia
sgradevole il pane elemosinato, e come sia faticoso salire e scendere
per le scale delle abitazioni altrui (cfr. Luca 9, 57-62: ‘... Le volpi
hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio
dell’uomo non ha dove posare il capo’). Ma quello che ti peserà di più
sarà la compagnia malvagia e stolta dei compagni d’esilio: pazzi e
ingrati li avrai tutti contro, ma loro, non tu, soffriranno per la
sconfitta (esiliato insieme ai Guelfi Bianchi che tentarono più volte
senza successo di fare azioni militari, Dante dapprima vi partecipò, ma
in seguito si rifiutò di partecipare alla ‘infausta battaglia di
Lastra’, e fu considerato da loro traditore)...”
Andare in ‘esilio’ comporta tre
genere di sacrifici; sul piano fisico: dover accettare il pane altrui e
l’alloggio altrui; sul piano astrale, dei sentimenti: doversi staccare
dai luoghi amati e dagli affetti di parenti e amici; sul piano mentale:
dover subire la compagnia cattiva e stupida di altri esiliati con cui
non si ha nulla da spartire. L’esiliato acquisisce così le virtù
dell’umiltà, del distacco e della tolleranza. Il suo ‘Sacrificio’
(Archetipo n. 12) sui tre piani fisico, astrale e mentale sviluppa il
centro Tiphereth dei tre piani e prepara, aldilà delle sventure e
sofferenze, l’Iniziato alla sua missione: completare lo sviluppo del
centro Daath, dell’Io Sono, del Cristo, e divenire un novello Salvatore
del Mondo, novello Enea, novello Paolo, ecc.
Di sua bestialitate il suo
processo
farà la prova; sì ch’a te fia bello
averti fatta parte per te
stesso. 69
Lo
primo tuo refugio e ’l primo ostello
sarà la cortesia del gran
Lombardo
che ’n su la scala porta il santo
uccello; 72
ch’in te avrà sì benigno riguardo,
che del fare e del chieder,
tra voi due,
fia primo quel che tra li altri è più
tardo. 75
“ ... Darà
prova della stupidità dei tuoi compagni d’esilio il loro comportamento:
sarà onorevole per te non aver partecipato alle loro azioni. Il tuo
primo rifugio e la tua prima dimora sarà la casa del cortese
Lombardo
(= uomo gagliardo; Bartolomeo della Scala, signore di Verona, che ospitò
Dante tra la fine del 1303 e l’inizio del 1304, e morì pochi mesi dopo)
che ha sullo stemma una scala con sopra un’aquila; egli sarà con te così
benevolo che ti offrirà (l’ospitalità) ancor prima che tu la chieda...”
Con lui vedrai colui che ’mpresso
fue,
nascendo, sì da questa stella forte,
che notabili fier l’opere
sue. 78
Non
se ne son le genti ancora accorte
per la novella età, ché pur
nove anni
son queste rote intorno di lui torte;
81
ma
pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni,
parran faville de la sua
virtute
in non curar d’argento né d’affanni.
84
“... Con
lui vedrai il fratello minore (Cangrande = il cane è simbolo di fedeltà,
vigilanza e nobiltà), così benedetto da questo Cielo (di Marte) che le
sue imprese saranno assai notevoli. Non è stato ancora notato per la sua
giovane età, ha solo 9 anni (il viaggio di Dante si svolge nel 1300) ma
prima che il
Guasco (papa Clemente V) inganni il grande
Arrigo
(= capo; Enrico VII: il papa prima lo invitò a scendere in Italia e poi
gli mise contro le città guelfe); mostrerà il suo valore, senza badare a
fatiche e ricchezze. (Cangrande nel 1311 era già attivamente favorevole
alla causa imperiale, ma morì giovane, nel 1329)...”
Le sue magnificenze
conosciute
saranno ancora, sì che ’ suoi nemici
non ne potran tener le
lingue mute. 87
A
lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta
gente,
cambiando condizion ricchi e mendici;
90
e
portera’ne scritto ne la mente
di lui, e nol dirai»; e
disse cose
incredibili a quei che fier presente.
93
“... Le sue virtù saranno
riconosciute ed i suoi nemici non potranno tacerle. Abbi fiducia in lui
e nella sua generosità; egli cambierà molta gente, ricchi e poveri; lo
ricorderai ma senza parlarne.” Poi Cacciaguida su di lui dice altre
cose, cose che stupiranno anche coloro che ne saranno partecipi.
L’esilio
dell’Iniziato fin dal principio sarà mitigato dall’accoglienza benevola
e generosa del
cortese Lombardo (uomo gagliardo, relativo alla
sephirah Geburah) che ha nello stemma
la scala
(simbolo di ascesa) con in cima l’aquila
(simbolo di potere spirituale e temporale) e della sua famiglia: in
particolare del giovane Cangrande (grande nelle doti di fedeltà,
vigilanza e nobiltà); quello che manca al Discepolo sul Sentiero nella
propria ‘terra’, in ‘casa’, lo trova ‘fuori’ nella terra altrui (in
un’altra religione, in un testo sacro mai studiato prima, frequentando
persone nuove, che mai avrebbe avvicinato se non fosse uscito dalle sue
abitudini, affezioni, sicurezze, ecc.): forza, volontà di innalzamento,
potenza, fedeltà, vigilanza e nobiltà ecc.. Da queste esperienze
‘esterne’ gli potranno derivare mutamenti di energie e risultati
incredibili,
veramente inaspettati.
Poi giunse: «Figlio, queste
son le chiose
di quel che ti fu detto; ecco le
’nsidie
che dietro a pochi giri son nascose.
96
Non
vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie,
poscia che s’infutura la tua
vita
vie più là che ’l punir di lor
perfidie». 99
Quindi aggiunge: “Figlio, ecco le
spiegazioni delle profezie che hai udito; ecco i pericoli dei prossimi
anni. Ma non voglio che provi rancore per i tuoi concittadini, perché tu
sei destinato a ben altro che a punire la loro cattiveria”.
Nell’ottavo
capitolo dei ‘Promessi sposi’ (v. in
www.taozen.it/saggi/sposi.htm
) Alessandro Manzoni, narrando l’involontario esilio dei protagonisti,
dopo aver descritto ‘l’addio ai monti sorgenti dall’acque’ di Lucia, ci
dice: “Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la
gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più
grande”. Ma ‘la gioia più grande’ di cui parla il Manzoni la si può
sperimentare solo se ‘l’esilio’ è affrontato con umiltà, distacco e
tolleranza e soprattutto senza rancore o odio.
Poi che, tacendo, si mostrò spedita
l’anima santa di metter la
trama
in quella tela ch’io le porsi ordita,
102
io
cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da
persona
che vede e vuol dirittamente e ama:
105
Poiché l’anima santa dell’avo tacendo
si mostra disposta a mettere la trama nella tela di cui il Nostro ha
tessuto l’ordito, ecco che questo comincia a chiedergli, come colui che
nel dubbio domanda a chi vede saggio e ben disposto (amorevole):
E’ qui data, arricchita da
un’immagine, una regola fondamentale per chi cerca consigli su come
procedere sul Sentiero: scegliere una persona amorevole e saggia con cui
si abbia affinità di sentimento e pensiero, con la quale cioè sia
possibile costruire ‘una buona tela’ in cui l’ordito e la trama formino
un tessuto compatto, robusto e utile.
«Ben veggio, padre mio, sì
come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
tal, ch’è più grave a chi
più s’abbandona; 108
per
che di provedenza è buon ch’io m’armi,
sì che, se loco m’è tolto
più caro,
io non perdessi li altri per miei
carmi. 111
“Padre mio, io capisco che il tempo
sta per infliggermi uno di quei colpi che diventano più pesanti se uno
si abbatte; perciò è opportuno che io divenga previdente; cosicché,
quando sarò esiliato, io non perda la possibilità di essere ospitato a
causa dei miei versi...”
Giù per lo mondo sanza fine
amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
li occhi de la mia donna mi
levaro,
114
e
poscia per lo ciel, di lume in lume,
ho io appreso quel che s’io
ridico,
a molti fia sapor di forte agrume;
117
e
s’io al vero son timido amico,
temo di perder viver tra
coloro
che questo tempo chiameranno antico».
120
“...Giù
nel mondo dell’amarezza senza fine e su per il monte dal bel
cacume
(= dal sanscrito ‘kakud’ = cima) dal quale mi innalzarono gli occhi
della mia donna (Signora), e poi (ancora) su per il
Paradiso, di cielo in cielo, ho saputo cose che, se le ripeto,
susciteranno in molti una forte ira; e se (per convenienza) taccio la
verità, temo di perdere la stima dei posteri”.
Il dubbio che ora assale il Nostro
Discepolo sul Sentiero è facilmente comprensibile. Se egli è destinato
ad andare in ‘esilio’ per imparare ciò che gli è necessario alla
crescita, come comportarsi quando, avendo visitato la propria
interiorità e conosciuto a fondo se stesso, andando ‘fuori’, vedrà tante
cose errate contrarie al buon senso o alla Legge che ha conosciuto?
Condannare gli errori altrui non causerà ulteriore disarmonia? E tacere
non sarà mancare al suo dovere?
La luce in che rideva il mio
tesoro
ch’io trovai lì, si fé prima corusca,
quale a raggio di sole
specchio d’oro; 123
indi rispuose: «Coscïenza fusca
o de la propria o de
l’altrui vergogna
pur sentirà la tua parola
brusca. 126
Ma
nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua visïon fa
manifesta;
e lascia pur grattar dov’ è la rogna.
129
La luce che gode la sua felicità lì,
(nel Cielo di Marte, cioè Cacciaguida), prima diventa lampeggiante come
uno specchio che rifletta il sole, poi risponde: “Chi ha la coscienza
macchiata dalla propria vergogna o da quella degli altri, troverà i tuoi
versi sgradevoli. Ma tu, escludi ogni menzogna, narra le tue visioni e
lascia che chi ha la rogna si gratti...”
Il
consiglio che viene ora dato a Dante (=colui che persevera) dal suo
Chockmah del Geburah di Atziluth (Cacciaguida, la sua Giuda alla caccia
del’Oro filosofico) è:
rimossa ogni menzogna, dì quello che devi
dire, e lascia che ognuno prenda coscienza dei suoi errori.
Ché se la voce tua sarà
molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà
digesta. 132
Questo tuo grido farà come vento,
che le più alte cime più
percuote;
e ciò non fa d’onor poco argomento.
135
“ ... Perchè se le tue parole in
principio daranno fastidio, una volta digerite, saranno di nutrimento
vitale. I tuoi richiami (dei potenti alla virtù) faranno come il vento
che scuote maggiormente le cime più alte; questo ti recherà grande
onore...”
Però ti son mostrate in
queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
pur l’anime che son di fama
note, 138
che
l’animo di quel ch’ode, non posa
né ferma fede per essempro
ch’aia
la sua radice incognita e ascosa, 142
né
per altro argomento che non paia».
“... Per questo motivo nei cieli (in
Paradiso), sul monte (sul Purgatorio) e nella valle del dolore
(nell’Inferno) ti sono state mostrate solo persone importanti, perché
l’attenzione dei tuoi lettori possa essere catturata, il che non
avverrebbe se tu trattassi di persone e avvenimenti sconosciuti.”
Avendo il
Nostro con il suo viaggio nei suoi mondi interiori raggiunto la
qualifica di Iniziato (Virgilio gli ha detto nel canto XXVII del
Purgatorio vv. 139-142:
perch’io te sovra te corono e mitrio), ha
anche
assunto il ruolo di
guida per l’umanità, di redentore e salvatore, novello Enea e novello
Paolo; l’opera sua dovrà essere mezzo di nutrimento spirituale per i
suoi lettori contemporanei e anche per i posteri; e i personaggi della
sua
‘Divina
Commedia’ dovranno essere personaggi importanti, conosciuti, quelli che
la gente comune prende a modello, cosicché i suoi insegnamenti saranno
più facilmente ascoltati e assimilati.
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