PARADISO - CANTO XIX
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Parea dinanzi a me con l’ali aperte
la bella image che nel dolce
frui
liete facevan l’anime conserte; 3
parea ciascuna rubinetto in cui
raggio di sole ardesse sì
acceso,
che ne’ miei occhi rifrangesse lui. 6
Appare
dinanzi al Nostro con le ali aperte l’immagine bella (dell’aquila)
formata dagli spiriti (del sesto cielo), beati nella loro felicità; gli
spiriti sembrano piccoli rubini in cui brillano raggi di sole, che si
riflettono negli occhi di Dante.
‘Le luci dei
beati del cielo di Giove’ che avevamo fatto corrispondere alla Sephirah
Chesed del piano Atzilutico di Dante (v. canto XVIII, vv. 67-69) si
riflettono ora nei suoi occhi, cioè nel suo centro Daatico, l’Io Sono,
la Coscienza, così che egli può conoscerle e farcele conoscere sul piano
assianico.
E quel che mi convien ritrar
testeso,
non portò voce mai, né scrisse
incostro,
né fu per fantasia già mai compreso;
9
ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,
e sonar ne la voce e «io» e
«mio»,
quand’ era nel concetto e ’noi’ e
’nostro’. 12
Ora egli ci narra qualcosa che
non è mai stato detto, o scritto, o immaginato: egli ode il rostro (di
quell’aquila) esprimersi con la voce, dicendo “io” e “mio” invece di
dire ‘noi’ e ‘nostro’ (come sarebbe logico).
A livello del
piano spirituale, Atzilutico esiste solo il Signore, l’Eterno Uno come
detto nella Bibbia (cfr. Deuteronomio 6, 4: ‘Ascolta, Israele: Il
Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno solo’; e Giovanni 17, 21:
‘...perché tutti siano una sola cosa. Come tu Padre sei in me ed io in
te, siano anch’essi in noi una cosa sola...’)
è quindi più che
‘giusto’ che l’Aquila si esprima in termini di “Io” e “Mio”.
E cominciò: «Per esser
giusto e pio
son io qui essaltato a quella gloria
che non si lascia vincere a
disio; 15
e
in terra lasciai la mia memoria
sì fatta, che le genti lì
malvage
commendan lei, ma non seguon la
storia». 18
Ed ecco che comincia a dire: “Per
essere stata giusta e pia mi trovo qui esaltata nella gloria che va
oltre ogni desiderio umano; ed ho lasciato in terra un tale ricordo che
anche le genti malvage mi lodano, pure se non seguono il mio esempio”.
Così un sol calor di molte brage
si fa sentir, come di molti
amori
usciva
solo un suon di quella image. 21
Ond’ io appresso: «O perpetüi fiori
de l’etterna letizia, che
pur uno
parer mi fate tutti vostri odori, 24
solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente m’ha tenuto
in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno.
27
Come un
solo calore proviene da molte braci, così da quell’immagine esce un solo
suono, generato dal grande amore dei beati. E Dante a loro: “O fiori
perpetui di eterna felicità che mi offrite tutti insieme il vostro
profumo, saziate la mia fame (di conoscenza) rispondendo alla domanda
che sulla terra non ha trovato risposta...”
Per il
‘ricordo’ lasciato sulla terra dall’aquila imperiale v. Paradiso canto
VI vv. 28-36 e relativo commento. Che gli attributi specifici
dell’Imperatore–Imperatrice (Sephirah Chesed) siano la Giustizia e la
Pietà è noto a chi ha un ‘Regno’ da governare, tuttavia la personalità
comune pur ammirando tali virtù, spesso non le mette in pratica. Ma chi
come Dante (= colui che persevera nella ricerca) le ha esercitate, può
contattare e ‘vedere’, riflesso in Daath, il suo ‘Chesed Atzilutico’
cioè la Giustizia e la Pietà Archetipali, quindi anche osare di chiedere
direttamente spiegazioni sulla ‘Giustizia divina’.
Ben so io che, se ’n cielo
altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
che ’l vostro non l’apprende
con velame. 30
Sapete come attento io m’apparecchio
ad ascoltar; sapete qual è
quello
dubbio che m’è digiun cotanto
vecchio». 33
“... Io so bene che la Giustizia
divina si specchia direttamente in un altro cielo (quello di Saturno) ma
anche in questo è senza velo. Voi sapete che vi ascolterò con attenzione
e già conoscete il dubbio che mi assilla da tanto”.
Dante sa bene
che oltre il cielo di Giove (Chesed) ci sono ancora altri ‘cieli’, altre
Sephiroth ancora più alte, ma è da questo ‘cielo’ che si esercita il
governo del Regno (Malkuth) ed è qui che la domanda va posta.
Quasi falcone ch’esce del
cappello,
move la testa e con l’ali si plaude,
voglia mostrando e
faccendosi bello, 36
vid’ io farsi quel segno, che di laude
de la divina grazia era
contesto,
con canti quai si sa chi là sù gaude.
39
Come il falcone a cui si toglie il
cappuccio muove felice la testa e le ali, mostrando di voler volare e
lisciandosi le penne, così appare quella figura (l’aquila imperiale)
fatta di lodi della Grazia divina, note solo a chi lì è beato.
L’Aquila
dantesca muovendo la testa e le ali e facendosi bella, sembra lieta di
fornire la ‘giusta risposta’ alla domanda del Discepolo sul Sentiero, ma
già il fatto che il suo canto lo può intendere solo
chi là sù gaude
ci fa capire che chi sta quaggiù intenderà ben poco della spiegazione.
Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
a lo stremo del mondo, e
dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto,
42
non
poté suo valor sì fare impresso
in tutto l’universo, che ’l
suo verbo
non rimanesse in infinito eccesso. 45
Quindi comincia a dire:
“ Colui che ha disegnato l’universo e in esso ha distinto l’occulto dal
manifesto, non ha potuto non imprimere in eccesso il suo Verbo nella
creazione ...”
E ciò fa certo che ’l primo
superbo,
che fu la somma d’ogne creatura,
per non aspettar lume, cadde
acerbo; 48
e
quinci appar ch’ogne minor natura
è corto recettacolo a quel
bene
che non ha fine e sé con sé misura.
51
“... E ne è
prova
la caduta della più alta delle creature (Lucifero), che cadde per non
aver accolto la Grazia; infatti ogni creatura (di per sé) risulta essere
inadatta a ricevere il Sommo Bene, che si misura solo con Se Stesso...”
Di
Lucifero, che ha peccato di superbia e di orgoglio, nell’Antico
Testamento parla il profeta Isaia (14, 12-15): ‘Come mai sei caduto dal
cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? Come mai sei stato steso a terra,
signore dei popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di
Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti
più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi,
mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato precipitato negli
inferi, nelle profondità degli abissi’. Nell’Apocalisse di Giovanni
(12-13) si parla del Dragone, della bestia che sale dal mare e della
bestia che sale dalla terra, il cui numero è 666 (v. in
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Testi sacri il
relativo commento) ma sempre si tratta di Satana (l’Avversario) o del
Diavolo (l’ostacolo), destinato allo stagno di fuoco (Ap. 20,10);
l’argomento porta direttamente a trattare il problema del Bene e del
male, del Paradiso e dell’inferno che abbiamo già affrontato altre
volte. Noi crediamo che il contrasto Angelo-diavolo (Bene-male,
Luce-ombra) sia dentro di noi come strumento di crescita e di
evoluzione, individuale e collettivo (v. la riduzione teatrale e il
relativo commento cabalistico di ‘Giobbe’ in
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copioni); dobbiamo
imparare che il male è ciò che produce sofferenza e che il Bene è ciò
produce felicità; quando l’avremo imparato davvero avremo compiuto la
‘riparazione’, il ‘Tikkun’ e saremo pronti per la Reintegrazione, per il
Ritorno al Padre.
Dunque vostra veduta, che convene
esser alcun de’ raggi de la
mente
di che tutte le cose son ripiene, 54
non
pò da sua natura esser possente
tanto, che suo principio non
discerna
molto di là da quel che l’è parvente.
57
“... Dunque il vostro intelletto, che
è solo un raggio della Mente da cui tutte le cose sono formate, non può,
per la sua natura (limitata), essere tanto potente da comprendere il suo
Principio aldilà delle apparenze...”
Il discorso è
chiarissimo: la creatura limitata non può comprendere Ciò che non ha
limiti.
Però ne la giustizia sempiterna
la vista che riceve il
vostro mondo,
com’ occhio per lo mare, entro
s’interna; 60
che, ben che da la proda veggia il fondo,
in pelago nol vede; e
nondimeno
èli, ma cela lui l’esser profondo. 63
Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai; anzi è
tenèbra
od ombra de la carne o suo veleno. 66
“...Per
cui la vista umana vede nella Giustizia divina come un occhio che guarda
il mare dalla riva; vede anche il fondo ma non quello dell’alto mare,
che c’è, ma è celato dalla sua profondità. Non esiste luce se non
proviene da quel Sereno sempre perfetto, tutto il resto è ombra della
carne, o suo veleno...”
Al tempo di
Dante non era possibile scrutare negli abissi marini. Oggi è possibile.
Ai suoi tempi solo un genio come lui poteva scrutare nell’abisso della
propria interiorità. Oggi è possibile a molti. Nell’ultimo secolo col
volo abbiamo cominciato anche a scrutare nel cielo fisico. I veri
mistici però hanno da sempre scrutato nei cieli dello Spirito, quindi
non è solo una questione di tempi, è piuttosto una questione di
qualifica.
Assai t’è mo aperta la
latebra
che t’ascondeva la giustizia viva,
di che facei question
cotanto crebra; 69
ché
tu dicevi: "Un uom nasce a la riva
de l’Indo, e quivi non è chi
ragioni
di Cristo né chi legga né chi scriva;
72
e
tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana
vede,
sanza peccato in vita o in sermoni.
75
Muore non battezzato e sanza fede:
ov’ è questa giustizia che
’l condanna?
ov’ è la colpa sua, se ei non
crede?". 78
“... Ora dovrebbe essersi dileguata
la tenebra che ti nascondeva la vera Giustizia, per cui ti sei chiesto
tanto spesso: ‘Un uomo nasce sulle rive dell’Indo, dove il Cristo non è
conosciuto; pensa ed agisce nel bene e vive senza peccato. Muore senza
fede e senza battesimo: dov’è la giustizia se è condannato? Quale colpa
ha lui se non ha la fede?’...”
Or tu chi se', che vuo'
sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille
miglia
con la veduta corta d'una spanna?
81
Certo a colui che meco s’assottiglia,
se la Scrittura sovra voi
non fosse,
da dubitar sarebbe a maraviglia. 84
“...Ma chi sei tu che
vuoi, con la vista corta di un palmo, giudicare ciò che è lontano mille
miglia? Certo chi medita su di me (che rappresento la Giustizia),
dovrebbe dubitare e meravigliarsi se non ci fosse la Sacra Scrittura (a
cui credere per fede)...”
Sicuramente se uno guarda alle ingiustizie del mondo, la fiducia nella
Bontà divina gli comincia a traballare e pure la fede nelle Scritture...
ma quali Scritture? Perché tutti i popoli hanno le loro e ogni religione
sostiene di essere l’unica depositaria della Verità! A questo proposito
ci viene in mente una nota storiella indiana:
Un gruppo di uomini ciechi (o uomini che non conoscono la luce) tocca un
elefante per imparare che cos’è. Ognuno di loro tocca una parte
differente, ma soltanto una parte: chi un lato, chi una zanna, chi la
proboscide, chi la coda, chi un orecchio ecc.. Poi confrontano le loro
impressioni su ciò che hanno toccato e ovviamente litigano perché sono
in disaccordo completo. La storia è usata per spiegare che la realtà può
essere diversa cambiando il punto di osservazione, e suggerisce che ciò
che sembra una verità assoluta può essere solo un’apparenza relativa,
dovuta alla natura ingannevole di
una verità
parziale.
Oggi, con i
dialoghi interreligiosi si tenta di trovare qualcosa che unisca le varie
fedi, ma quanta strada ancora da percorrere prima di arrivare alla
conquista di una sola religione che le abbracci tutte (che riesca a far
vedere tutto l’elefante)!
Per
quanto riguarda poi le palesi ingiustizie terrene, esse sarebbero
logicamente più accettabili con le teorie della reincarnazione e del
karma e della vita come scuola per lo sviluppo graduale della Coscienza;
e di conseguenza anche la Giustizia divina diverrebbe più
comprensibile...
Oh terreni animali! oh menti grosse!
La prima volontà, ch’è da sé
buona,
da sé, ch’è sommo ben, mai non si
mosse. 87
Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
nullo creato bene a sé la
tira,
ma essa, radïando, lui cagiona». 90
“... Oh creature terrene, oh menti
grossolane, la Prima Volontà, che è di per sé perfetta, non si è mai
allontanata da Sé. Perciò è ‘giusto’ ciò che a Lei
consuona
(suona con = si accorda): nessuna cosa creata L’attira a sé, ma esiste
perché da Lei è irradiata”.
Quale sovresso il nido si
rigira
poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,
e come quel ch’è pasto la
rimira; 93
cotal si fece, e sì leväi i cigli,
la benedetta imagine, che
l’ali
movea sospinte da tanti consigli. 96
Roteando cantava, e dicea: «Quali
son le mie note a te, che
non le ’ntendi,
tal è il giudicio etterno a
voi mortali». 99
Come la cicogna si alza
in volo sul nido in cerchi, dopo aver nutrito i suoi piccoli, e come
quelli, saziati, la rimirano, così fa la benedetta aquila con le ali
mosse dal volere dei beati, mentre Dante la guarda. Il suo canto dice:
“Come per te sono incomprensibili le note del mio canto, così lo è la
Giustizia divina per voi mortali”.
Dante
rinuncia a capire la Giustizia divina e l’accetta per fede: si paragona
ad un cicognino che, non potendo ancora volare, guarda mamma cicogna
sazio del cibo con cui è stato nutrito. Ma prima o poi il cicognino
volerà anche lui e non si accontenterà di guardare la madre... (questo
Dante lo sa ma non lo dice).
Poi si quetaro quei lucenti incendi
de lo Spirito Santo ancor
nel segno
che fé i Romani al mondo reverendi,
102
esso ricominciò: «A questo regno
non salì mai chi non
credette ’n Cristo,
né pria né poi ch’el si
chiavasse al legno. 105
Poi quei beati, luci
dello Spirito Santo, si fermano, sempre nella figura (dell’aquila) che
ha reso celebri nel mondo i Romani; e quella poi continua: “Fino a
questo cielo non è giunto mai chi non ha creduto in Cristo, né prima né
dopo la sua crocifissione ...”
Ma vedi: molti gridan
"Cristo, Cristo!",
che saranno in giudicio
assai men prope
a lui, che tal che non
conosce Cristo; 108
e
tai Cristian dannerà l’Etïòpe,
quando si partiranno i due
collegi,
l’uno in etterno ricco e l’altro
inòpe. 111
“... Ma vedi: molti che chiamano
‘Cristo, Cristo’ saranno il giorno del giudizio
men prope
(= meno presso = più lontani) da Lui di coloro che non Lo hanno
conosciuto (cfr. vangelo di Matteo 7, 21: ‘Non chiunque mi dice Signore,
Signore entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del
Padre mio che è nei cieli’); e l’Etiope (il pagano) vedrà condannati
tali (falsi) cristiani quando si formeranno le due schiere: quella dei
santi destinati al cielo (ricco di Grazia) e quella dei peccatori
destinati all’inferno (invece povero)...”
Giustamente
l’Aquila fa notare che alla conoscenza del Chesed di Atziluth (la
Giustizia del piano spirituale) non si giunge se non attraverso la
conoscenza del Cristo, l’Io Sono, Daath, la Coscienza, ma deve essere
una vera conoscenza, quella che fa ‘compiere la Volontà del Padre
celeste’, se falsa, produrrà solo spreco di energia (povertà).
,Che poran dir li Perse a’
vostri regi,
come vedranno quel volume aperto
nel qual si scrivon tutti
suoi dispregi? 114
Lì
si vedrà, tra l’opere d’Alberto,
quella che tosto moverà la
penna,
per che ’l regno di Praga fia
diserto. 117
“... Che diranno i
Persi
(= dal greco ‘perzo’ = che abbattono; gli incivili) ai vostri re quando
vedranno quel
volume (cfr. Apocalisse 5, 1: ‘E vidi nella mano
destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo,
scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette
sigilli’) in cui sono descritte tutte le loro malvagità? Lì sarà
descritta l’impresa di
Alberto (= luminoso al bianco, oscuro al
nero; I d’Asburgo; relativo a Yesod) che (nel 1304) devasterà la Boemia
e la sua capitale
Praga (= dal ceco ‘prah’ = soglia)...”
Inizia qui un
ennesimo elenco di re e principi negativi ricordati perché praticano
l’ingiustizia, le cui malefatte e nomi saranno segnati nel ‘libro’ del
giudizio finale e che ovviamente collochiamo sull’albero capovolto: il
primo è Alberto, l’oscuro (relativo alla scoria di
Yesod) che distrugge la soglia dell’albero e se ne preclude la scalata.
Lì si vedrà il duol che sovra Senna
induce, falseggiando la
moneta,
quel che morrà di colpo di cotenna.
120
Lì
si vedrà la superbia ch’asseta,
che fa lo Scotto e
l’Inghilese folle,
sì che non può soffrir
dentro a sua meta. 123
“...Lì si vedrà
(scritto) il danno causato alla
Senna (= sequana =fiume della Francia),
‘falsando’ le monete, da colui che morirà per un colpo di cinghiale
(Filippo IV il Bello, morto nel 1314 in una battuta di caccia, relativo
a Hod). Lì sarà descritta la superbia che rende folli lo
Scotto (=dal greco ‘scotia’ = oscurità; Roberto
Bruce, re di Scozia; relativo a Tiphereth); e l’Inghilese
(= dal celtico ‘angeln = uncino; Edoardo d’Inghilterra; relativo a
Geburah) che non riescono a restare nei loro confini...”
Poi l’elenco
prosegue con altri re: con colui che ‘falsa le monete’ relativo alla
scoria di Hod; con il superbo
Scotto
(l’oscuro), relativo alla scoria di Tiphereth; e con l’Inghilese
(l’uncino), relativo alla scoria di Geburah.
Vedrassi la lussuria e ’l
viver molle
di quel di Spagna e di quel di
Boemme,
che mai valor non conobbe né volle.
126
Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
segnata con un i la sua
bontate,
quando ’l contrario segnerà un emme.
129
“... Lì si conoscerà la vita molle e
lussuriosa dello spagnolo (Ferdinando IV di Castiglia, e di
Venceslao
IV) di Boemia, colui che mai conobbe né mai desiderò la virtù (relativi
a Netzach). Lì si vedrà segnata con il valore 1 la bontà e con il valore
1000 la cattiveria del
Ciotto (= zoppo) di
Ierusalemme
(= città della Pace; relativo a Chesed)...”
Ancora
prosegue l’elenco dei governanti ingiusti: lo spagnolo e boemo
lussuriosi: relativi alla scoria di Netzach e la cattiveria del
Ciotto
di Ierusalemme,
di chi ha azzoppato la pace e l’ha trasformata in guerra: relativo alla
scoria di Chesed.
Vedrassi l’avarizia e la
viltate
di quei che guarda l’isola del foco,
ove Anchise finì la lunga
etate; 132
e a
dare ad intender quanto è poco,
la sua scrittura fian
lettere mozze,
che noteranno molto in parvo loco.
135
“... Lì si conoscerà l’avarizia e la
viltà di quello che governa l’isola del fuoco (la Sicilia, Federico II
d’Aragona) dove morì il vecchio
Anchise
(= che sta con Iside; padre di Enea); e per farne conoscere la
pochezza, sarà scritto di lui con parole abbreviate per annotare molto
(male) in poco spazio...”
E parranno a ciascun l’opere sozze
del barba e del fratel, che
tanto egregia
nazione e due corone han fatte bozze.
138
E
quel di Portogallo e di Norvegia
lì si conosceranno, e quel
di Rascia
che male ha visto il conio di
Vinegia. 141
“... Tutti conosceranno le malefatte
del suo barba
(= da ‘barbanus’, barbuto, = zio, Giacomo, re di Maiorca) e del fratello
(Giacomo II, re di Sicilia e d’Aragona) che hanno rovinato una egregia
nazione e due corone. E parimenti lì si conosceranno il re del
Portogallo (dal romanzo ‘pertucale’ = porto
bello; Dionigi l’Agricola) e il re di
Norvegia
(dal norreno ‘noror vegr’ = via del nord; Acone VII) e quello di
Rascia
(= Croazia = dal croato ‘Hrvat’ = terra montana; Stefano Urosio II) che
ha falsificato la moneta veneziana...”
Ancora fanno
parte di questo albero nero di re ingiusti l’avaro che governa l’isola
del fuoco dove mancò
Anchise, (lo stare con Iside, la dea della
fertilità)
relativo alla scoria di Hod; il suo
barba(ro)
zio, e il fratello che hanno rovinato due regni: relativi al Malkuth
nero. Infine ci sono anche il re del
Portogallo,
che al nero diventa il re del brutto porto, e il re di
Norvegia, la via del freddo, relativi alla
scoria di Tiphereth e ancora il re di
Rascia,
pure relativo al Malkuth nero.
Oh beata Ungheria, se non si
lascia
più malmenare! e beata Navarra,
se s’armasse del monte che
la fascia! 144
E
creder de’ ciascun che già, per arra
di questo, Niccosïa e
Famagosta
per la lor bestia si lamenti e garra,
147
che
dal fianco de l’altre non si scosta».
“...
Sarebbe beata l’Ungheria
(dal turco ‘on-ogur’ = terra del popolo dalle 10
frecce) se non si lasciasse strapazzare (dai re francesi) e beata
sarebbe la
Navarra (= regione del fiume) se si protegesse (da
loro) con i monti (Pirenei) che la circondano! E per anticipare ciò che
invece accadrà le due città dell’isola di Cipro,
Nicosia
(dal greco ‘leucos’= bianca) e
Famagosta
(dal greco ‘ammochostos’ = nascosta nella sabbia) già si lamentano
gridando per il loro re (tiranno) bestiale che è simile a quegli
altri...”
Il popolo
dalle 10 frecce, cioè la personalità, il Malkuth dovrebbe opporsi ai ‘re
ingiusti e neri’ (ai vizi, all’albero nero) e così pure ‘la terra del
fiume’, Yesod, il suo astrale,
dovrebbe
proteggersi dall’astrale nero con la terrestrità. Invece entrambe le due
città, la bianca (Malkuth) e quella nascosta dalla sabbia (Yesod) già
sono diventate preda dei re tiranni, delle qelipoth.
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