PARADISO - CANTO XXII
Oppresso di stupore, a la mia guida
Come t’avrebbe trasmutato il canto,
In Paradiso
ci si aspetterebbe di udire musiche celestiali, cori angelici e
sovrumani silenzi, non grida altissime, tali da suscitare spavento,
dobbiamo invece ricordare che esiste sempre nella manifestazione del
Divino l’aspetto del ‘Tremendum’ che deve suscitare tremore e reverenza,
ma che, per poter essere accolto necessita dell’apertura dell’Occhio e
(dell’Orecchio) divino (= centro Daatico; v. in
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Testi sacri
Commento alla
Bhagavad Gita canto XI); il Nostro, pur trovandosi nel settimo cielo,
quello di Saturno, relativo a Daath, essendo ancora vivo, non ha né
l’occhio, né l’orecchio del tutto identificati con l’Occhio e l’Orecchio
celesti, la sua Donna interiore lo sa e maternamente cerca di
proteggerlo dalle vibrazioni di questo cielo ancora troppo alte per lui,
e intanto cerca pure di consolarlo delle ingiustizie subite (confisca
dei beni e condanna a morte del 1302) assicurandogli una
vendetta
prima che muoia.
La spada di qua sù non taglia in
fretta
Anche se il Discepolo sul Sentiero è
‘al settimo cielo’, le preoccupazioni e le sofferenze dei piani
inferiori possono sempre riportarlo in basso, in una zona di vibrazioni
legata ai desideri e alle paure terrestri, a meno che non ci sia, come
per Dante, una ‘Beatrice’ a riportarne l’attenzione sugli spiriti di
luce, risintonizzando subito l’amato sull’onda spirituale.
Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi
Come già
detto altre volte, per la Kabbalah il numero 100 è relativo
all’Archetipo del Sole (v. in
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copioni la relativa
Lezione-spettacolo) perciò qui le
cento sperule
illuminandosi a vicenda formano un ‘Sole’ (Tiphereth dell’Albero di
Daath del piano Atzilutico), di cui la più splendente
margherita
(fiore che pure ricorda il Sole) come un cuore pieno di Carità, si offre
al Nostro per rispondere alla sua domanda inespressa (chi sei?).
San Benedetto (= che è bene-detto e
che bene-dice) si presenta a Dante come colui che ha convertito le genti
di Cassino
(= l’antico), portando (loro) la Conoscenza del Cristo; con lui si
trovano Maccario
(= felice) e
Romoaldo (= glorioso) e tanti altri ‘benedettini’
dediti alla regola ‘ora et labora’. Questi personaggi possono essere
interpretati come specchiature del Tiphereth (Sole) del Daath dantesco,
che in lui si è sviluppato in ‘antico’, in tempi passati (forse in vite
precedenti), allorché, conoscendo il Cristo, L’Io Sono, Daath ha
accettato l’insegnamento fondamentale che fa diventare felici, gloriosi
e soprattutto bene-detti e bene-dicenti, cioè: pregare e lavorare.
Dante ha dinanzi a sé la luce di s.
Benedetto e invece di appagarsi di quella vorrebbe vederne l’immagine
umana, la ‘copia scoperta’, cioè desidera vedere la ‘maschera’ di quella
luce, ciò che la nasconde. Sembra quasi che egli voglia confermare
quanto dichiarato da Beatrice nei vv. 10-12, che non è ancora in grado
di sopportare la beatitudine di questo cielo; la sua richiesta ci
ricorda i vv. 45-51 del Canto XI della Bhagavad Gita: Arjuna dopo aver
contemplato il Signore Krisna nella Sua Forma suprema, piena di gloria,
universale e infinita, turbato e intimorito, Gli chiede di tornare al
suo solito aspetto umano. Arjuna viene subito esaudito da Krisna, Dante
dal suo s. Benedetto invece no.
San Benedetto rimanda in un
‘altrove’, e precisamente nell’Empireo, che è in cima alla scala
infinita, l’esaudimento del desiderio di Dante, specificando che lì ogni
desiderio è perfetto, maturo e completo, e dicendo quindi implicitamente
che nel settimo cielo i desideri possono essere ancora imperfetti,
immaturi e incompleti...Noi ci chiediamo: perché Dante vuol vedere il
‘suo’ s. Benedetto ancora nell’aspetto umano? Che tipo di curiosità è la
sua? Forse non ha ancora ricevuto la grazia di comprendere veramente il
significato di essere ‘bene-detto’ o di ‘bene-dire’ perché è ancora
troppo occupato a sentirsi ‘male-detto’ e a ‘male-dire’?
Per la verità neanche il patriarca
Iacobbe
(= orma del Signore)
è salito su quella scala, l’ha vista solo in sogno
e ha visto ‘gli angeli del Signore che salivano e scendevano su di
essa’; come pretendere che dei poveri monaci possano salire su una scala
che non hanno mai visto nemmeno in sogno?
“...(Oggi) i monasteri che dovevano
essere santi rifugi sono diventati spelonche (di ladri) e le
cocolle
(= cartocci a forma d’imbuto = cappucci, le tonache) sono sacchi pieni
di farina avvermata. Ma la vera offesa alla Volontà divina, che rende
guasto il cuore dei monaci sono le ricchezze della Chiesa che dovrebbero
essere per i poveri e non per i parenti (del clero) o peggio (per i loro
vizi)...”
Questo s. Benedetto tutta luce,
Thiphereth del Daath dantesco, quindi alta componente spirituale del
Nostro, che ha contribuito a renderlo degno di intraprendere il suo
incredibile viaggio iniziatico,
rifiuta di mostrare
alla personalità la sua ‘immagine umana’, ma poi in realtà diventa molto
umano nel severo giudizio di condanna del clero... ancora una volta
Dante, nonostante sia ‘in paradiso’, sta condannando il suo monaco o
prete interiore!
Veramente Iordan vòlto retrorso
L’Opera di reintegrazione di Dante ha
avuto inizio con
Pier (la sua Pietra che ha esercitato la modestia) ha proseguito con
Benedetto
(la sua componente bene-detta e bene-dicente che ha praticato la
preghiera e il digiuno) e con
Francesco
(il suo maestro interiore che gli ha insegnato l’umiltà), ma la
valenza della Shekinah nel tempo, si è alterata, e da ‘bianca’ è
diventata ‘nera’. Tuttavia la Volontà divina che ha operato miracoli
incredibili come quelli dell’inversione della corrente del
Iordan,
alterazione dello scorrere naturale dell’energia (fiume) per permettere
il passaggio della Grazia del Signore (Arca); e l’apertura del mar
Rosso, simbolo della rottura della barriera che separa la schiavitù
dell’albero nero (egiziana) dalla libertà della scelta dell’Albero
bianco (della Terra Promessa), può rettificare in ogni momento la
qualificazione dell’energia della sua personalità.
Le parole di s. Benedetto, accolte da
Dante nel loro significato più profondo gli permettono di vedere la sua
luce trasformarsi in un
turbo (da radice sanscrita ‘tur’ =
movimento rapido a vortice, spiralato) che sale su per la scala d’oro;
Beatrice (l’intuizione) con un cenno, facendogli superare i limiti della
natura umana, lo spinge ad osare e Dante, la personalità, vola su,
dietro al Tiphereth del suo Daath.
O glorïose stelle, o lume pregno
A voi divotamente ora sospira
La scala d’oro che il Nostro ha appena percorso in volo estatico
lo porta direttamente nell’ottavo cielo, quello delle Stelle fisse
(dello Zodiaco), dove dimorano gli spiriti trionfanti; questo cielo
nella Kabbalah corrisponde alla Sephirah Binah (= Comprensione). Qui a
Dante è data la possibilità di approfondire con l’intuizione il segno
zodiacale che l’ha benedetto alla nascita, la costellazione dei Gemelli.
Di Dante non si conosce la data di
nascita, si sa che è dei Gemelli perché è lui stesso a dircelo in questo
canto del Paradiso. Ma per lo studio del tema natale è indispensabile
conoscere il giorno e l’ora.
Noi non ci siamo mai
interessati di astrologia tuttavia, considerandola un’antica tipologia
psicologica, come viene suggerito da Jung, cogliamo l’occasione per
documentarci su questo segno che corrisponde al terzo mese della
primavera. E’ un segno di aria, favorito da Mercurio, contrastato da
Giove; è un segno di doppia polarità, legato ai due principi opposti e
complementari; l’essenza della sua natura è quella del Mercurio
ermafrodita: mobilità, morbidezza, assimilazione, rapidità, agilità. I
due gemelli classici della mitologia, che lo raffigurano sono i figli di
Zeus e di Leda, Castore e Polluce; da essi derivano due tipi: al primo
gemello, Castore, corrisponde il tipo nervoso, emotivo poco attivo; al
secondo gemello, Polluce, il tipo sanguigno, attivo, poco emotivo;
spesso però i due temperamenti si alternano nello stesso soggetto, che
può diventare così doppio e contraddittorio. I pregi del nato sotto il
segno dei Gemelli sono: adattabilità intellettuale, studiosità, avidità
scientifica, attitudine per la filosofia, sensibilità acuta e
intuizione; i suoi difetti: indifferenza, calcolo, doppiezza,
incostanza, superficialità. Ovviamente Dante, essendo un ‘Gemello’ di
tipo superiore, ha del suo segno tutti i pregi e se in lui c’è qualche
difetto, lo si deve attribuire alla decade del segno e all’ascendente,
che però, non possiamo conoscere non sapendo di preciso il giorno e
l’ora della nascita. Ma forse, a pensarci bene, possiamo percorrere il
sentiero inverso, dalla sua biografia e dai suoi scritti ricavare il
carattere e da questi arrivare alla decade e all’ascendente. Non sarà
astrologicamente ortodosso, ma indubbiamente di risultato certo. Per la
grande rinomanza acquisita nei secoli, per la condanna al rogo, per
l’eccellenza in pedagogia, letteratura e scienze, possiamo dichiarare
che appartiene alla prima decade, del segno, dominata da Giove. Inoltre,
conoscendolo vendicativo e battagliero deve essere molto influenzato da
Marte, e quindi avere come ascendente Ariete. E ora, chiusa la parentesi
astrologica, torniamo al nostro discorso interiorizzato e ascoltiamo le
parole di Beatrice, la componente Daatica del Nostro. Ricordiamo che a
lei abbiamo attribuito il fuoco del mentale, l’intuizione, e la terra
del Causale, vale a dire il centro Daath (la Coscienza).
Il consiglio che
Beatrice
(colei che dona beatitudine) dà alla personalità giunta al cielo degli
spiriti trionfanti è di rendere le sue
luci chiare e acute, cioè di attivare maggiormente
il centro in mezzo agli occhi e con esso
rimirare ciò che lei gli ha fatto lasciare
dietro di sé (i suoi cieli inferiori già visitati, e i suoi corpi
mentale astrale e fisico): gli chiede di fare come il punto della
situazione per preparare il cuore (il Tiphereth di Daath) alle
esperienze spirituali ancora più alte che lo attendono.
Certamente il piano fisico
(assianico) è il piano più basso e il più umile dell’Albero cabalistico,
ma è quello che ci permette di reintegrarci, infatti è da vivi che con
il libero arbitrio ci è data la possiblità di scegliere come impiegare i
nostri talenti, compresi quelli di natura spirituale; perciò conviene
valutare la nostra ‘terra’ per quello che è, senza sopravvalutarla, né
svalutarla troppo.
Poi al Nostro appare Giove nella funzione di mediatore tra il
padre suo (Saturno) e il figlio (Marte) e comprende i cambiamenti delle
loro posizioni; tutti e sette (i pianeti) gli si mostrano nella loro
grandezza, velocità e rispettive posizioni. E mentre ruota con gli
eterni Gemelli, il giardino che ci ospita con la nostra cattiveria (la
terra) gli appare nella sua interezza (dai monti alle valli); quindi si
volge a guardare gli occhi belli della sua Donna.
Ed ecco che dal punto di vista delle ‘Sue Stelle’ a Dante è dato
conoscere il suo Albero nell’insieme, con i rapporti dei centri
(Sephiroth) tra di loro: conosce da una nuova angolazione Yesod (la
Luna) e Tiphereth (il Sole); Hod (Mercurio) e Netzach (Venere) e quindi
Daath (Saturno) con Chesed (Giove) e Gheburah (Marte) del piano Atziluth
(del Paradiso); ri-conosce, guardando ancora più in basso, poi il piano
mentale, Briah, e quello astrale, Yetzirah (il monte del Purgatorio);
infine il piano fisico, Assiah, la terra che ospita la cattiveria
(l’inferno), cioè l’albero nero e, grato per ciò che gli stato concesso
di sperimentare torna a concentrarsi in Daath (gli occhi di Beatrice). |