PARADISO - CANTO XXIV
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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«O
sodalizio eletto a la gran cena
del benedetto Agnello, il
qual vi ciba
sì, che la vostra voglia è sempre
piena, 3
se
per grazia di Dio questi preliba
di quel che cade de la
vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba, 6
ponete mente a l’affezione immensa
e roratelo alquanto: voi
bevete
sempre del fonte onde vien quel ch’ei
pensa». 9
“ O comunità di eletti, scelti per partecipare al convito del
benedetto Agnello (Cristo) che vi
ciba
(dal latino
‘ciborium’ =
tabernacolo che contiene la pisside con le particole consacrate)
in modo che
siate sempre sazi, se costui (Dante), per grazia divina, può pregustare
prima della morte le briciole della vostra mensa, esaudite un poco il
suo immenso desiderio, voi che continuamente bevete alla fonte (della
Sapienza, dell’Acqua di Vita) a cui egli pure vuol attingere”.
Il Cristo,
l’Io Sono, Daath, rappresenta sia l’Agnello Sacrificale che toglie il
peccato dal mondo e che offre il suo corpo per il nutrimento dei suoi:
“Prendete e mangiate questo è il mio corpo” (Matteo 26, 26; v. in
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Testi sacri, relativo commento), e sia l’Acqua di fonte che dà la Vita
Eterna, infatti nel vangelo di Giovanni (Gv. 1, 29; v. in
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Testi sacri il relativo commento) è detto: ‘...Giovanni (Battista)
vedendendo Gesù venire verso di lui disse: “Ecco l’Agnello del Signore,
ecco colui che toglie il peccato dal mondo!”... ’. E ancora (in Gv. 4,
13-14; idem) è detto: ‘Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà
di nuovo sete: ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più
sete, anzi, l’acqua che io gli darò diverrà in lui sorgente di acqua che
zampilla per la vita eterna”...’. Egli, essendo il Malkuth del piano
Spirituale, Atzilutico, ne rappresenta la ‘Terra’, il Verbo che si fa
‘Carne’: le Sue ‘Briciole’ e le Sue ‘Acque’ alimentano e dissetano come
Coscienza la personalità (Dante).
Così
Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi
poli,
fiammando, volte, a guisa di
comete. 12
E
come cerchi in tempra d’orïuoli
si giran sì, che ’l primo a
chi pon mente
quïeto pare, e l’ultimo che voli; 15
così quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua
ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente. 18
Queste le parole di
Beatrice
(agli spiriti trionfanti dell’ottavo cielo delle stelle fisse) e quelle
anime beate subito iniziano a formare dei cerchi ruotando, quasi comete
intorno a perni. E come negli orologi le ruote girano in modo che, a chi
le guarda, la prima sembra ferma e l’ultima sembra che voli,
così quelle ruote di
beati, girando più lente o in più in fretta, mostrano al Nostro il loro
diverso grado di letizia.
Avevamo
attribuito agli spiriti trionfanti di questo ottavo cielo la Sephirah
Binah (Comprensione) v. commento al Paradiso canto XXIII vv. 70-75, ed
ecco che le loro carole (= danze, dal latino ‘caraulare’ =
ballare in cerchio) più o meno rapide, paragonate alle ruote degli
antichi orïuoli ( dal greco ‘horologion’ =
misuratore delle ore), sembrano voler confermare l’attributo di Binah
quale ‘Forma’ che contiene la Vita, la organizza, ma anche la limita
(nel cerchio chiuso), la vincola proprio come fa il Tempo, che è
Principio di Morte e di Rinnovamento; infatti per poter essere sempre
nuovi bisogna morire al vecchio (v. commento al Paradiso canto XXIII vv.
85-96).
Di quella ch’io notai di più
carezza
vid’ ïo uscire un foco sì felice,
che nullo vi lasciò di più
chiarezza; 21
e
tre fïate intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto
divo,
che la mia fantasia nol mi ridice. 24
Però salta la penna e non lo scrivo:
ché l’imagine nostra a cotai
pieghe,
non che ’l parlare, è troppo color
vivo. 27
Dante nota (in particolare) tra le
luci, una di più carezza (= dal latino ‘caritia’ =
preziosità, o di più bellezza, secondo altri commentatori) e ne vede
uscire un fuoco talmente ricolmo di letizia da sorpassare ogni altro;
questo spirito compie tre giri intorno a
Beatrice
cantando una melodia così divina da
non poter essere
ricordata dalla sua fantasia. Perciò non la descrive anche perché sia
l’immaginazione, sia la parola umana, sono inadatte a tale scopo (non
hanno le sfumature adeguate).
I tre giri
compiuti dalla Luce ‘più preziosa’ di questo cielo (Maria, la Rosa, è
già risalita nell’Empireo), rendono preziosa anche
Beatrice
(l’Intuizione di Dante) mentre la melodia celestiale che si ode diventa
sempre più indescrivibile per bellezza e dolcezza: solo il silenzio
rende Giustizia alle esperienze dei cieli più alti, tuttavia anche la
sola descrizione-non-descrizione riesce a veicolare qualcosa nei livelli
coscienziali più bassi.
«O santa suora mia che sì ne
prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi
disleghe». 30
Poscia fermato, il foco benedetto
a la mia donna dirizzò lo
spiro,
che favellò così com’ i’ ho detto. 33
“O santa sorella mia,
che preghi così devotamente, per la tua ardente carità esco dal cerchio
(dei beati per esaudirti)”. Queste sono le parole che quello spirito di
fuoco rivolge a Beatrice, dopo essersi fermato.
Ed ella: «O luce etterna del
gran viro
a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
ch’ei portò giù, di questo
gaudio miro, 36
tenta costui di punti lievi e gravi,
come ti piace, intorno de la
fede,
per la qual tu su per lo mare
andavi. 39
S’elli ama bene e bene spera e crede,
non t’è occulto, perché ’l
viso hai quivi
dov’ ogne cosa dipinta si vede; 42
ma
perché questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a
glorïarla,
di lei parlare è ben ch’a lui
arrivi». 45
E Beatrice a lui: “O luce eterna
di quel grande al quale Nostro Signore lasciò le chiavi della
beatitudine (il Paradiso) che Egli ha riportato in terra,
tenta
(= dal latino ‘temptare’ = tastare), esamina a tuo piacere
costui su temi essenziali e secondari riguardanti la Fede, quella stessa
per la quale tu hai camminato sulle acque (Matteo 14, 28-29). Tu conosci
già, perché lo leggi nella Mente divina, che egli ama e spera il Bene,
ma poiché questo Regno è popolato da spiriti di vera Fede, è bene che
egli ne parli, per glorificarla”.
La luce di più
carezza
di questo cielo, colui che detiene le chiavi del Paradiso,
si offre per esaudire
la richiesta di Beatrice e questa invece di permettere al suo Amato,
come al solito, di porre alcune domande per placare la sua sete di
conoscenza, invita s. Pietro a sottoporlo ad un ‘esame’ sulla Fede, non
perché egli potrebbe esserne mancante, dice, ma per glorificare questa
Virtù. Abbiamo qui l’incontro tra la personalità (Dante) e il suo s.
Pietro interiore. Sul significato del nome Pietro abbiamo già detto nel
canto XXI vv. 121-123: Pietro significa ‘la Pietra, fondamento del
Tempio’ (v. in
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Testi sacri commento al vangelo di Matteo 16, 18: ‘Tu sei Pietro e su
questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non
prevaranno contro di essa’). Noi ci chiediamo: perché a questo punto del
Viaggio un esame sulla Fede,
e perché proprio con
s. Pietro come esaminatore? Forse perché Pietro, la Pietra, rappresenta
quella componente della personalità che ha conosciuto il suo Cristo
interiore e dopo avergli assicurato che non lo rinnegherà mai, v. Matteo
26, 33-35: ‘... “Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi
scandalizzerò mai”. Gli disse Gesù: “In verità ti dico questa notte
stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte” E Pietro gli
rispose: “Anche se dovessi morire con te non ti rinnegherò” ...’ Poi
invece lo tradisce tre volte, v. Matteo 26, 69-75: ‘...Allora egli
cominciò ad imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo (Gesù, il
Cristo)!” E subito un gallo cantò...ecc..’. Inoltre anche il verso ...
la fede, per la
qual tu su per lo mare andavi cela in realtà la
non-fede di Pietro, v. Matteo 14, 28-32: ‘... Pietro, scendendo dalla
barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la
violenza del vento si impaurì e, cominciando ad affondare, gridò:
“Signore, salvami!” Subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse:
“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”...’ Finché siamo vivi corriamo
sempre il pericolo di tradire il nostro Sé, ma se la professione di Fede
avviene in uno stato di estasi mistica (di Coscienza Daatica, davanti al
‘Pietro di Atziluth’), sarà come un sigillo impresso nell’anima, che non
potrà essere né dimenticato, né tantomeno cancellato, una volta tornati
allo stato di coscienza assianica.
Sì come il baccialier s’arma e non parla
fin che ’l maestro la
question propone,
per approvarla, non per
terminarla, 48
così m’armava io d’ogne ragione
mentre ch’ella dicea, per
esser presto
a tal querente e a tal
professione. 51
«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:
fede che è?». Ond’ io levai
la fronte
in quella luce onde spirava
questo; 54
poi
mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch’ ïo
spandessi
l’acqua di fuor del mio interno
fonte. 57
Come il
baccelliere
(= dal latino ‘bacalarius’ + ‘laureatus’ = studente
universitario) al fine di rispondere e colloquiare si prepara e tace
fino a che il professore non gli pone la domanda, così il Nostro, mentre
Beatrice parla, predispone vari ragionamenti, per essere pronto ad
impegnarsi con tale esaminatore (s. Pietro, v. Paradiso canto XXII vv.
136-139) su tale argomento (la Fede). Ed ecco la (sua) prima domanda:
“Dimmi, buon seguace del Cristo, spiegati: che cosa è la fede (per te)?”
Allora Dante alza il viso verso quella luce che ha posto la domanda,
quindi guarda
Beatrice che subito gli fa cenno di esprimersi (di
far uscire l’acqua della conoscenza dalla sua fonte interiore).
In ogni
ragionamento basato su concetti astratti conviene chiarire il
significato delle parole, s. Pietro chiede al Nostro che cosa è per lui
la Fede ed egli, prima di rispondere, aspetta l’assenso di Beatrice: la
sua risposta deve avere l’imprimatur dell’Intuizione, sarà Lei stessa ad
ispirarlo.
«La Grazia che mi dà ch’io
mi confessi»,
comincia’ io, «da l’alto primipilo,
faccia li miei concetti bene
espressi». 60
E
seguitai: «Come ’l verace stilo
ne scrisse, padre, del tuo
caro frate
che mise teco Roma nel buon filo, 63
fede è sustanza di cose sperate
e argomento de le non
parventi;
e questa pare a me sua quiditate». 66
E Dante a lui: “La
Grazia che mi ha concesso di dichiarare il mio credo al
primipilo
(dal latino ‘primipilus’= capo centurione dell’esercito d’avanguardia)
mi faccia esprimere bene i miei concetti
al
primo pontefice e capo della Chiesa militante. Come ha scritto colui che
con te ha condotto Roma sulla via della Verità (s. Paolo), il
significato della Fede è:
sustanza
di cose sperate e argomento de le non parventi”.
Fede (dal greco ‘feithè’ = ho fiducia,
mi fido), implica una credenza ferma in qualcosa, il mantenere una
promessa (v. fede nuziale); Fede era una divinità allegorica romana,
personificazione della onestà e della lealtà, raffigurata con un cane ai
suoi piedi.
Dante fa sua la definizione paolina di
Fede: la Fede è la base di tutte le speranze e la prova di ciò che non
si può conoscere. La Fede è l’insieme delle verità rivelate di una
religione a cui bisogna credere per dogma, senza discutere, altrimente
si incorre nell’eresia. E’ comprensibile che il Nostro con il suo
‘Credo’ in questo canto, voglia evitare ogni parola che possa farlo
accusare di essersi allontato dall’ortodossia.
Allora
udi’: «Dirittamente senti,
se bene intendi perché la
ripuose
tra le sustanze, e poi tra li
argomenti». 69
E
io appresso: «Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor
parvenza,
a li occhi di là giù son sì
ascose, 72
che
l’esser loro v’è in sola credenza,
sopra la qual si fonda
l’alta spene;
e però di sustanza prende intenza. 75
E
da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz’ avere
altra vista:
però intenza d’argomento tene». 78
E a lui s. Pietro: “E giusto ciò che
dici, se intendi bene
perché
(Paolo) l’ha posta prima tra le
sustanze
e poi tra gli
argomenti”. E Dante subito a lui: “Le cose
misteriose che qui possono essere comprese, agli occhi dei terrestri
sono così incomprensibili che possono essere credute solo per fede, su
cui si fonda la grande speranza (della Vita eterna, della Resurrezione,
del Paradiso ecc.): perciò la Fede viene detta
sustanza,
cioè ‘fondamento’ di tale speranza. E noi da questa Fede, senza
ulteriori prove, ragionando, dobbiamo giungere alla verità; per questo è
intenza
(denominata)
argomento, cioè ‘ragionamento’.”
Allora udi’: «Se quantunque s’acquista
giù per dottrina, fosse così
’nteso,
non lì avria loco ingegno di
sofista». 81
Così spirò di quello amore acceso;
indi soggiunse: «Assai bene
è trascorsa
d’esta moneta già la lega e ’l
peso; 84
ma
dimmi se tu l’hai ne la tua borsa».
Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e
sì tonda,
che nel suo conio nulla mi
s’inforsa». 87
E la voce di s. Pietro: “Se in
terra tutti gli insegnamenti fossero appresi così, non ci sarebbero
sofismi (argomentazioni cavillose)”. Poi quello spirito di ardente
carità aggiunge: “Ciò che hai detto della Fede è perfetto come una
moneta (d’oro), di ottima lega e peso, ma tu la possiedi nella tua
borsa?”
E Dante: “Sì, e così lucida e perfetta che non ho alcun dubbio in
proposito”.
L’esaminatore, s. Pietro, ha ascoltato la definizione ortodossa
(paolina) della Fede dell’ esaminando Discepolo, ma quello che conta
sapere è se tale moneta (d’oro), se tale ricchezza, la Fede, si trova
nella sua borsa
(dal greco ‘byrsa’ o ‘bursa’ = pelle), cioè proprio in lui, nella sua
‘pelle’; e la risposta affermativa è diretta, netta, inequivocabile.
Appresso uscì de la luce profonda
che lì splendeva: «Questa
cara gioia
sopra la quale ogne virtù si
fonda, 90
onde ti venne?». E io: «La larga ploia
de lo Spirito Santo, ch’è
diffusa
in su le vecchie e ’n su le nuove
cuoia, 93
è
silogismo che la m’ha conchiusa
acutamente sì, che ’nverso
d’ella
ogne dimostrazion mi pare ottusa». 96
E ancora la voce
proveniente da quella luce splendente si fa udire: “ Da dove ti è giunta
questa gemma preziosa (la Fede) su cui si fonda ogni virtù?” E Dante:
“Dall’abbondante pioggia (di Grazia) dello Spirito Santo (cfr. Atti
degli Apostoli 2, 1-3) che si trova sparsa nelle pergamene dell’Antico e
Nuovo Testamento, con argomentazioni che me l’hanno dimostrata con tale
chiarezza, che ogni altro ragionamento rispetto a quelle mi sembra
ottuso”.
Unica fonte
di ‘Fede’ ai tempi di Dante doveva essere la Bibbia riconosciuta dalla
Chiesa, unico Testo sacro, composto da Antico e Nuovo Testamento,
ammesso dall’ortodossia. Se anche il Nostro, come probabile, avesse
avuto contatti con i Testi di altre religioni (sacri ovviamente per
quelle religioni) non doveva assolutamente nominarli o prenderli in
considerazione, pena la solita condanna per eresia!
Io udi’ poi: «L’antica e la novella
proposizion che così ti
conchiude,
perché l’hai tu per divina
favella?». 99
E
io: «La prova che ’l ver mi dischiude,
son l’opere seguite, a che
natura
non scalda ferro mai né batte
incude». 102
E quella voce ancora si fa udire:
“Perché consideri ‘Parola divina’ la Sacra Scrittura (Antico e Nuovo
Testamento) che ti fa giungere a questa conclusione?” E Dante: “I fatti
che ne sono seguiti, che la natura non può forgiare da sola (= i
miracoli = fatti contrari alla legge di natura e prodotti per potenza
soprannaturale), mi dimostrano la Verità”.
Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura
che quell’ opere fosser?
Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti
giura». 105
«Se
’l mondo si rivolse al cristianesmo»,
diss’ io, «sanza miracoli,
quest’ uno
è tal, che li altri non sono il
centesmo: 108
ché
tu intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona
pianta
che fu già vite e ora è fatta
pruno». 111
Ed ecco ancora una domanda :
“Dimmi, chi ti dà la certezza di quei fatti? Se te li garantisce proprio
quella Scrittura che deve essere provata”. E Dante, l’esaminando: “La
diffusione del Cristianesimo è il miracolo più grande di tutti quelli
descritti lì; tu (stesso l’hai dimostrato): entrasti nel campo povero e
digiuno (di dottrina) e riuscisti a seminare la buona pianta, la vite (=
l’insegnamento del Cristo: infatti in Giovanni 15, 1-8: è detto: ‘Io
Sono la vera Vite e il Padre mio è il Vignaiolo...Io Sono la Vite, voi i
tralci... Se rimanete in Me e le mie parole rimangono in voi, chiedete
quel che volete e vi sarà dato...’), vite che ora (purtroppo) è
diventata pianta selvatica (perché la Chiesa si è corrotta).
In Giovanni
21, 15-17 è detto: ‘...Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni,
mi ami tu più di costoro?”.
Gli rispose: “ Certo
Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli
disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo,
Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli
disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Pietro rimase
addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami? e gli disse:
“Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”. Gli rispose Gesù: “Pasci le
mie pecorelle”. Abbiamo riportato questo brano del vangelo per meglio
comprendere il personaggio ‘Pietro’ e quindi il ‘Pietro’ di Dante.
Pietro è quella sua componente che ha tradito il Cristo per tre volte
come abbiamo visto in Matteo 26, 69-75, ma dobbiamo anche prendere atto
che è lo stesso che poi con le tre dichiarazioni d’amore qui narrate si
è riscattato completamente ed è stato dal Cristo consacrato ‘Pastore
delle sue pecore e dei suoi agnelli’; quindi anche il ‘Pietro’ dantesco,
che ha nella sua
borsa la moneta della Fede,
sì lucida e sì tonda, che nel suo conio nulla gli
s’inforsa,
può diventare ‘Pastore delle pecore e degli agnelli’ del Cristo... ed
è quello che ha fatto con il suo poema da sette secoli a questa parte!
Finito questo, l’alta corte
santa
risonò per le spere un ’Dio laudamo’
ne la melode che là sù si
canta. 114
E
quel baron che sì di ramo in ramo,
essaminando, già tratto
m’avea,
che a l’ultime fronde
appressavamo, 117
ricominciò: «La Grazia, che donnea
con la tua mente, la bocca
t’aperse
infino a qui come aprir si dovea, 120
sì
ch’io approvo ciò che fuori emerse;
ma or convien espremer quel
che credi,
e onde a la credenza tua
s’offerse». 123
Dante tace e la corte
dei beati fa risuonare per i cerchi di luce, in celeste melodia, un
canto di lode al Signore (il Te Deum, inno liturgico di ringraziamento).
Poi quel barone
(potente signore del Paradiso) che sta per terminare l’esame del
Discepolo chiede ancora: “La Grazia che guida la tua mente con tanto
amore ti ha permesso di dire cose giuste che io approvo, ma ora devi
esprimere il tuo ‘Credo’ e dire da dove l’hai attinto”.
Dante, interrogato su che cosa è per
lui la Fede, ha dichiarato di averla
pura e completa, che
gli è pervenuta dalle Sacre Scritture che sono ispirate dal Signore e
garantite dai miracoli, di cui il maggiore è la diffusione del
Cristianesimo. Ma l’esame non è ancora terminato, ora il Discepolo deve
espremer
(ex- premere = estrarre da sé)
quel che crede:
(credere, dal sanscrito ‘crad-dadha-mi’ = pongo fede), cioè fare uscire
da suo interno Quello in cui pone la sua Fede e da dove L’ha derivato.
Perché s. Pietro lo sollecita così? Per rendere degno il suo ‘Pietro
interiore’ di quelle chiavi che riceverà in seguito alla professione di
Fede. Cfr. Matteo 16, 15-19 (idem): ‘(Gesù) disse loro: “Voi chi dite
che il sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio
vivente”. E Gesù: “Beato te Simone, perché né la carne né il sangue te
l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli... a te darò le chiavi
del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato
nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei
cieli”...’.
Virgilio (la Ragione)
nel paradiso terrestre (Purgatorio canto 27 v. 142) aveva detto:
perch’io te sovra
te corono e mitrio; rendendo il Discepolo signore e
padrone dei tre corpi inferiori, s. Pietro (spirito trionfante, luce di
Binah, Comprensione) nel cielo delle stelle fisse, ordinandogli di
proclamare il ‘Credo’ lo rende degno delle chiavi del suo cielo e della
sua terra, facendolo quindi signore anche del suo corpo di luce.
«O santo padre, e spirito
che vedi
ciò che credesti sì, che tu vincesti
ver’ lo sepulcro più giovani
piedi», 126
comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti
la forma qui del pronto
creder mio,
e anche la cagion di lui
chiedesti. 129
E Dante: “O santo padre, o
spirito la cui Fede (nella Resurrezione del Cristo), davanti al
sepolcro, vinse la giovinezza (dell’apostolo Giovanni;
cfr. Giovanni XX,
1-9: Giovanni, più giovane, corse più in fretta e arrivò per primo
davanti alla tomba, ma Pietro vi entrò per primo), tu vuoi che io
proclami il mio Credo e la sua origine...”
E io
rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto
’l ciel move,
non moto, con amore e con disio; 132
e a
tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma
dalmi
anche la verità che quinci piove 135
per
Moïsè, per profeti e per salmi,
per l’Evangelio e per voi
che scriveste
poi che l’ardente Spirto vi fé
almi; 138
e
credo in tre persone etterne, e queste
credo una essenza sì una e
sì trina,
che soffera congiunto ’sono’ ed
’este’. 141
De
la profonda condizion divina
ch’io tocco mo, la mente mi
sigilla
più volte l’evangelica dottrina. 144
Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla
che si dilata in fiamma poi
vivace,
e come stella in cielo in me
scintilla». 147
“...Ecco la mia risposta: Io credo
nel Signore unico ed eterno che muove tutto l’universo; per tale Credo
non ho solo prove fisiche e metafisiche, ma attigo la mia fede dalla
verità che proviene da qui (dal Paradiso) attraverso
Moïsè, i profeti, i Salmi, i Vangeli ed i
libri scritti dopo la discesa dello Spirito Santo (Atti, Epistole,
Apocalisse); e credo nel Signore Uno e Trino che coniuga il verbo Essere
insieme
nella terza persona plurale (Sono) e
nella terza singolare (E’). La dottrina evangelica più volte mi dà la
certezza di questo mistero. Questo è il principio, questa è la scintilla
che poi si dilata in fiamma e brilla in me come una stella in cielo”.
Non possiamo sapere ciò che di
preciso Dante intenda con
prove fisice e metafisice,
atte a dimostrare il suo ‘Credo’, ma pensiamo che per le ‘fisiche’ basti
guardare il Creato. Riportiamo qui alcuni versi recitati dal
protagonista del film di Ingmar Bergman ‘Il posto delle fragole’ (v. in
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cineforum ns/ relativo commento):
“Se il Creato a noi si manifesta con la gioia esplosiva di
un’eterna festa, sarà di uno splendore inusitato Chi tutto ciò ha
creato! Dov’è l’Amico che il mio cuore ansioso ricerca ovunque senza
aver mai riposo! La Sua Presenza è indubbia ed io la sento in ogni
fiore! L’aria che io respiro e mi dà vigore, del Suo Amore è piena e nel
vento dell’estate la Sua Voce intendo !”
Per le prove ‘metafisiche’ dobbiamo invece guardare dentro di
noi e scoprire la nostra Realtà Spirituale con l’attenzione, la
concentrazione, la meditazione, la contemplazione. Sono queste le 4
tappe che conducono alla conoscenza di Noi Stessi, in un percorso in cui
siamo completamente soli e non dobbiamo dimostrare niente a nessuno.
Come ’l
segnor ch’ascolta quel che i piace,
da indi abbraccia il servo,
gratulando
per la novella, tosto ch’el si
tace; 150
così, benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, sì com’
io tacqui,
l’appostolico lume al cui comando 153
io
avea detto: sì nel dir li piacqui!
Come un signore che ascolta una buona
notizia dal suo servo e subito dopo lo abbraccia, così l’Apostolo beato
(s. Pietro) benedice cantando il Discepolo Dante, circondandolo di luce,
tanto gli sono piaciute le sue risposte.
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