PARADISO - CANTO XXV

 
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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Se mai continga che ’l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m’ha fatto per molti anni macro, 3

vinca la crudeltà che fuor mi serra
del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra; 6

con altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò ’l cappello; 9

però che ne la fede, che fa conte
l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte. 12
Il Nostro ci confida che se mai dovesse accadere che questo poema sacro, a cui hanno collaborato cielo e terra, e che lo ha affaticato per tanti anni, dovesse superare la crudeltà di coloro che lo tengono lontano dal bell’ovile (= Firenze), dove egli, nemico dei guerrafondai, ha riposato come un agnello, ora tornerebbe (nella sua città) con altra voce (con altre idee) con altro vello (molto più maturo), per ricevere gli onori di (sommo) poeta nello stesso luogo dove fu battezzato (il battistero di s. Giovanni), luogo che gli permise di abbracciare quella fede che rende cristiani (seguaci del Cristo), per la quale s. Pietro gli ha dimostrato con i tre cerchi di luce la sua approvazione (v. Paradiso canto XXIV vv. 148-154).

 La stesura della cantica del Paradiso va collocata tra il 1316 e il 1321, anno della morte di Dante, perciò quando egli ha scritto questi versi doveva aver più di 50 anni e  sia la sua voce che il suo vello, dopo tanto esilio, erano certamente molto diversi da quelli della giovinezza; qui, nel canto della ‘Speranza’ dedicato a Giacomo il Maggiore, egli ci confessa appunto la sua speranza di tornare a Firenze e di essere riconosciuto dalla patria quale sommo poeta e Vate, portatore del messaggio della redenzione sua e del mondo; purtroppo tale speranza non si è realizzata durante la sua vita terrena, ma nella posterità, infatti per noi egli è proprio quello che sperava di diventare per i suoi concittadini.

Qui nell’ottavo cielo degli spirito trionfanti, dopo s. Pietro, Dante incontra l’apostolo del Cristo, Giacomo (=Iacopo = il Signore protegge): in questo nome ritroviamo la giustificazione della virtù teologale che lo distingue. Se si è ‘protetti dal Signore’ si può  essere certi della beatitudine futura, data dalla Grazia e dai meriti, e quindi ‘sperare nella Vita Eterna’. Il ‘Giacomo interiore’ di Dante è la sua ‘Speranza’ sia nel destino di gloria terrestre che nel destino di gloria celeste, come il suo ‘Pietro interiore’ ne è la ‘Fede’ v. Paradiso, canto XXIV.
Indi si mosse un lume verso noi
di quella spera ond’ uscì la primizia
che lasciò Cristo d’i vicari suoi; 15

e la mia donna, piena di letizia,
mi disse: «Mira, mira: ecco il barone
per cui là giù si vicita Galizia». 18
Ed ecco che, dopo (s. Pietro), colui che il Cristo fece suo primo vicario, si fa avanti un’altro spirito trionfante, e Beatrice, ricolma di letizia dice: “Guarda, guarda: ecco il barone (dal sancrito ‘vira’ = eroe)  quel grande, famoso in Galizia (regione della Spagna; è l’apostolo s. Giacomo, sepolto in Santiago di Compostela).
Sì come quando il colombo si pone
presso al compagno, l’uno a l’altro pande,
girando e mormorando, l’affezione; 21

così vid’ ïo l’un da l’altro grande
principe glorïoso essere accolto,
laudando il cibo che là sù li prande. 24

Ma poi che ’l gratular si fu assolto,
tacito coram me ciascun s’affisse,
ignito sì che vincëa ’l mio volto. 27
Come quando un colombo si avvicina ad un altro, mostrando il suo affetto girandogli intorno e tubando, così Dante vede uno spirito glorioso (s. Pietro) accogliere l’altro (s. Giacomo) con le lodi (del Signore) che sono il cibo del Paradiso. Terminate le effusioni di gioia, i due, silenziosi, si volgono al Nostro ma sono così luminosi che egli deve abbassare gli occhi.

La Fede (s. Pietro), la Speranza (s. Giacomo) e, come vedremo tra poco, la Carità (s. Giovanni), sono le tre virtù teologali sempre unite in cielo, ma che, anche quando si manifestano sulla terra, non vanno mai disgiunte e operano sempre per la vittoria del Bene sul male e per la realizzazione delle Nozze mistiche. A questo proposito ricordiamo la bella favola raccontata da Disney nel cartone animato del 1959 ‘Sleeping Beauty’ (v. in www.taozen.it  cineforum “La bella addormentata” e relativa ns/ interpretazione cabalistica)  in cui le tre virtù sono rappresentate dalle tre fatine, madrine della principessa: senza il loro aiuto il Principe (la Coscienza) non riuscirebbe mai a svegliare la sua promessa (la personalità) e a celebrare le tanto sospirate ‘Nozze’. Anche Dante ha avuto come madrine quelle ‘fatine’, è per questo che ora può descriverci il suo Paradiso e istruirci su come raggiungere il nostro.
Ridendo allora Bëatrice disse:
«Inclita vita per cui la larghezza
de la nostra basilica si scrisse, 30

fa risonar la spene in questa altezza:
tu sai, che tante fiate la figuri,
quante Iesù ai tre fé più carezza». 33

«Leva la testa e fa che t’assicuri:
ché ciò che vien qua sù del mortal mondo,
convien ch’ai nostri raggi si maturi». 36
Allora Beatrice sorridendo dice: “O glorioso spirito che lodasti la generosità della nostra basilica (= reggia) celeste (v. Lettera di Giacomo 1, 5-12; lettera però oggi attribuita non a s. Giacomo apostolo ... - 44 circa d. C., ma a s. Giacomo il Giusto ... - 62 d. C.), fa risuonare la Speranza quassù, tu che rappresenti i tre ai quali Gesù ha mostrato più affetto (v. in
www.taozen.it  Testi sacri ‘Commento al vangelo di Matteo’ 17, 1-8: la Trasfigurazione. Ricordiamo inoltre che Giacomo è citato più volte nel vangelo di Marco: Mc. 1, 19 - 5, 37 - 14, 33)”. E lo spirito di s. Giacomo a Dante: “Alza il viso e fatti coraggio: ciò che proviene dal mondo mortale deve maturare ai nostri raggi”.
Questo conforto del foco secondo
mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti
che li ’ncurvaron pria col troppo pondo. 39

«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti
lo nostro Imperadore, anzi la morte,
ne l’aula più secreta co’ suoi conti, 42

sì che, veduto il ver di questa corte,
la spene, che là giù bene innamora,
in te e in altrui di ciò conforte, 45

dì quel ch’ell’ è, dì come se ne ’nfiora
la mente tua, e dì onde a te venne».
Così seguì ’l secondo lume ancora. 48
Questo sollecito giunge ora a Dante dal secondo spirito trionfante (s. Giacomo); allora egli alza gli occhi verso quei monti (quelle potenze luminose) che prima glieli avevano fatti abbassare. E quello seguita: “Per Sua Grazia, il nostro Signore vuole che tu, ancor prima di morire, sostenga la vista dei suoi ministri nella sala più segreta (del Paradiso), cosicché conosciuta la Verità, tu possa alimentare in te e negli altri la Speranza che laggiù conduce al Bene. Dimmi dunque che cosa è per te la Speranza, come adorna la tua mente e da dove ti viene”.

Anche s. Giacomo, come s. Pietro circa la Fede, chiede al Discepolo che cosa è per lui la Speranza, ed è giusto, perché definire il significato di un termine astratto crea chiarezza e coerenza e andrebbe sempre premesso nelle conversazioni e nei dialoghi, ed eviterebbe tanti malintesi. Gli chiede inoltre come lui la possieda e da dove l’abbia appresa.
E quella pïa che guidò le penne
de le mie ali a così alto volo,
a la risposta così mi prevenne: 51

«La Chiesa militante alcun figliuolo
non ha con più speranza, com’ è scritto
nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: 54

però li è conceduto che d’Egitto
vegna in Ierusalemme per vedere,
anzi che ’l militar li sia prescritto. 57
E Beatrice, la pia, che ha guidato le ali del Discepolo nell’alto volo, risponde per lui: “Come è scritto nella Luce del Signore che tutto illumina, la Chiesa militante (= insieme dei fedeli viventi) non ha altro figlio con più ‘Speranza’ di lui, per questo gli è stato concesso di venire dall’esilio (la terra, l’Egitto, luogo d’esilio per il patriarca Giacobbe e per i suoi discendenti) in cielo (in Paradiso, nella Ierusalemme celeste), prima che la sua vita terrena, il suo militar, sia terminato...”

Tre sono dunque le domande a cui Dante deve rispondere. Alla seconda di esse, posta alla personalità (Dante) da una (s. Giacomo) delle componente spirituale relative al suo centro di Binah (la Comprensione), la modestia vuole che risponda l’Intuizione (Beatrice): “Egli è talmente pieno di Speranza che gli è stato concesso di visitare il Regno dello Spirito...”.
Li altri due punti, che non per sapere
son dimandati, ma perch’ ei rapporti
quanto questa virtù t’è in piacere, 60

a lui lasc’ io, ché non li saran forti
né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
e la grazia di Dio ciò li comporti». 63

Come discente ch’a dottor seconda
pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
perché la sua bontà si disasconda, 66

 

«Spene», diss’ io, «è uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto. 69
“... Alle altre due domande, poste non per sapere (ciò che già sai), ma perché egli riferisca quanto tu gradisca la Speranza, risponderà lui stesso, non gli sarà difficile, né stimolerà la sua presunzione. Che la Grazia del Signore lo aiuti.” Come un discente (= uno scolaro) che al maestro risponde pronto e libente (dal latino ‘libens’ = contento) su ciò che sa, per mostrare la sua bravura, così Dante risponde: “La Speranza è l’attesa certa di una gloria futura, che si ottiene per Grazia divina e per i meriti guadagnati...”

La definizione dantesca della Speranza è una definzione teologica (v. ‘Piccolo dizionario Biblico ed. Paoline 1982): ‘Nelle S. Scritture essa è definita l’attesa di una salvezza futura: il regno di Dio con Cristo garantisce che essa non è un’utopia nè un’illusione, la Speranza è solidamente fondata sulla fedeltà a Dio (Salmo 70, 5-8: ‘Sei Tu, Signore la mia Speranza, la mia fiducia, fin dalla mia giovinezza... della tua lode è piena la mia bocca, della tua gloria, tutto il giorno’). Essa si adempie con la parusia (= ritorno) del Cristo, ma è una promessa fatta fin da ora a questo mondo (Lettera ai Romani 8, 19-24: ‘La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio... anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poichè nella Speranza noi siamo salvati...’)’.
Da molte stelle mi vien questa luce;
ma quei la distillò nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce. 72

’Sperino in te’, ne la sua tëodia
dice, ’color che sanno il nome tuo’:
e chi nol sa, s’elli ha la fede mia? 75

Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
ne la pistola poi; sì ch’io son pieno,
e in altrui vostra pioggia repluo». 78
“...Questa conoscenza mi viene da molte fonti, ma il primo ad ispirarmi fu il grande salmista (re Davide sec. XI a. C.), il cantore del Signore. Nel canto in Suo onore egli dice: ‘Sperino in Te quanti conoscono il Tuo Nome (Salmo 9, 11)’ E chi non sa questo, se ha la fede che ho io? Come Davide anche tu mi hai ispirato nella tua ‘Lettera’ (idem), cosicché io sono ricolmo di Speranza e ora come pioggia la passo ad altri”.

Noi abbiamo cercato altri riferimenti biblici relativi alla ‘Speranza’ ed eccone alcuni: Salmo 21, 5-6: ‘In Te hanno sperato in nostri padri, hanno sperato e Tu li hai liberati, a Te gridarono e furono salvati, sperando in Te non rimasero delusi’. Proverbi 3, 5-6: ‘Confida nel Signore con tutto il cuore, e non appoggiarti sulla tua intelligenza; in tutti i tuoi passi spera in Lui, ed egli appianerà i tuoi sentieri’. Proverbi 30, 5: ‘Ogni parola del Signore è provata al fuoco, Egli è uno scudo per chi ricorre a (spera in) Lui’. Sapienza 3,1-6: ‘Le anime dei giusti sono nelle mani del Signore... anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro Speranza è piena di immortalità. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché il Signore li ha provati e li ha trovati degni di Sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto’. Siracide 34, 13-14: ‘Lo spirito di coloro che temono il Signore vivrà, perché la loro Speranza è posta in Colui che li salva. Chi teme il Signore non ha paura di nulla, e non teme perché Egli è la sua Speranza’. Isaia 40, 31: ‘...quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi’. Lamentazioni 3, 24-26: ‘Mia parte è il Signore – io esclamo – per questo in Lui voglio sperare. Buono è il Signore con chi spera in Lui, con l’anima che Lo cerca’. ecc...
Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno
di quello incendio tremolava un lampo
sùbito e spesso a guisa di baleno. 81

Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo
ancor ver’ la virtù che mi seguette
infin la palma e a l’uscir del campo, 84

vuol ch’io respiri a te che ti dilette
di lei; ed emmi a grato che tu diche
quello che la speranza ti ’mpromette». 87
Mentre il Discepolo parla, nel cuore della fiamma di s. Giacomo, tremula un fulgore come di un fulmine. Poi egli dice: “L’amore che mi fa ardere per quella Speranza che mi condusse al martirio, vuole che io te ne parli ancora, perché tu l’ami; mi è anche gradito conoscere ciò che ti promette”.

Aldilà del significato teologico della Speranza intesa come ‘virtù teologale per la quale ogni cristiano deve sperare di salvarsi per misericordia divina e che promette al termine della vita la visione beatifica di Dio’, esaminiamo il significato proprio della parola, iniziando dall’etimologia. Deriva dal latino ‘spes’ e da un più antico ‘speres’ = speranze, al plurale. La radice è probabilmente la stessa di ‘spazio’ che si ricava da una radice sanscrita ‘spa’ = crescere, estendere, ampliare, quindi letteralmente la ‘speranza’ è l’aspettativa di un futuro ampliato nel bene, o come dice il dizionario della lingua italiana di G. Devoto e G. C. Oli: ‘è l’attesa fiduciosa più o meno giustificata di un evento gradito o favorevole’. Nella mitologia romana era una divinità allegorica, sorella del Sonno e della Morte. Veniva rappresentata come una giovane donna appoggiata con una mano ad una colonna e con dei fiori nell’altra. Le era dedicato il colore verde. Veniva detta ‘Spes Ultima Dea’ inteso come: ‘la speranza è l'ultima a morire’ in quanto, per l'uomo, la speranza è l'ultima risorsa disponibile che, noi ne siamo convinti, lo segue anche dopo morto, contrariamente a quanto dice Foscolo ne ‘I Sepolcri’: ‘Anche la Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri’.


E io: «Le nove e le scritture antiche
pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
de l’anime che Dio s’ha fatte amiche. 90

Dice Isaia che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta:
e la sua terra è questa dolce vita; 93

e ’l tuo fratello assai vie più digesta,
là dove tratta de le bianche stole,
questa revelazion ci manifesta». 96
E Dante: “Il Nuovo e l’Antico Testamento stabiliscono la meta delle anime elette dal Signore e la Speranza la indica. Dice Isaia che ogni anima sarà rivestita di una doppia vesta nella sua terra (Isaia 61, 7) e tale terra è il Paradiso; e tuo fratello, (Giovanni, l’evangelista), ancora più chiaramente  ce lo dice, là dove parla delle bianche stole (Apocalisse 7, 9)”.

Riportiamo qui il citato versetto di Isaia (61,7) che profetizza la beatitudine sia per il corpo che per anima e quindi la resurrezione della carne: ‘... per questo (gli afflitti di Sion) possiederanno il doppio nella loro terra e avranno una letizia perenne’; e anche quello dell’Apocalisse (7, 9) che ce lo manifesta anche più chiaramente: ‘Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide (bianche stole) e portavano palme nelle mani’. La visione apocalittica fotografa nel giorno del Giudizio la beatitudine degli ‘eletti’, di ‘...coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello (Apocalisse 7, 14)’. Vogliamo però chiarire che questi ‘doppi in letizia perenne’ e queste ‘bianche stole’ o corpi di ‘luce’  saranno pure derivati in qualche modo dai corpi terreni dei beati, ma avranno caratteristiche molto poco simili a quelle dei corpi fisici, e che potranno somigliare forse al corpo del Cristo dopo la Resurrezione (v. in www.taozen.it Testi sacri ‘Commento al vangelo di Giovanni’ 20, 11-30 e 21, 4-7) dove viene detto a chiare lettere che, con ‘Quel Corpo Risorto’, il Maestro era praticamente irriconoscibile anche dai suoi più intimi.
E prima, appresso al fin d’este parole,
’Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì;
a che rispuoser tutte le carole. 99

Poscia tra esse un lume si schiarì
sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. 102
Appena Dante ha finito di parlare si ode cantare ‘Sperano in Te (il salmo citato al v. 73)’, al canto rispondono le danze dei beati. Poi tra di loro risplende una tale luce che se brillasse nella costellazione del Cancro l’inverno avrebbe un mese senza notti.
E come surge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore
a la novizia, non per alcun fallo, 105

così vid’ io lo schiarato splendore
venire a’ due che si volgieno a nota
qual conveniesi al loro ardente amore. 108

Misesi lì nel canto e ne la rota;
e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
pur come sposa tacita e immota. 111
Come una vergine gioiosa si alza, va, e inizia a danzare, per onorare la novizia (la sposa) e non per vanità, così il Nostro vede quello splendore incrementato avvicinarsi ai due (s. Pietro e s. Giacomo) che ruotano, seguendo la melodia in armonia con il loro ardente amore. Egli si unisce a loro nel canto e nella danza; intanto Beatrice li guarda, silenziosa e immobile proprio come una sposa.

Per ben due volte in questi versetti il Nostro nomina la ‘sposa’, prima considerandola causa della danza particolare della luce (dell’apostolo Giovanni) che tra poco gli parlerà, poi paragonandola direttamente alla sua Beatrice, la sua Intuizione. In realtà in questo cielo c’è una ‘sposa’ ed è la personalità dello stesso Dante che è stata accolta in cielo e che tra non molto potrà celebrare, nella visione diretta del Divino, le sue ‘Nozze Mistiche’ con il Sé.
«Questi è colui che giacque sopra ’l petto
del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto». 114

La donna mia così; né però piùe
mosser la vista sua di stare attenta
poscia che prima le parole sue. 117
Così parla la ‘donna’ del Discepolo, rimanendo come prima ferma e attenta: “Questo è colui (Giovanni) che pose la propria testa sul petto di Gesù (pellicano = simbolo di amore spinto fino al sacrificio di sé, si credeva che per nutrire i suoi piccoli offrisse il suo sangue) a lui, morendo in Croce, Cristo affidò sua Madre (Gv. 19, 25-27)”.

S. Giovanni (= dono del Signore, quindi simbolo di amore), ‘il discepolo che Egli amava’ (Gv. 13, 23 e 19,26), come già detto, rappresenta la Carità (dal greco ‘charis’ = amore verso Dio e verso il prossimo ed ha anche il significato di Compassione), che si aggiunge alla Fede (s. Pietro) e alla Speranza (s. Giacomo); i tre apostoli, ovvero le  tre virtù teologali, formano il sentiero centrale nel percorso Malkuth (Pietro), Yesod (Giacomo), Tiphereth (Giovanni),  dell’Albero di Binah (Comprensione) del Piano di Atziluth (Spirituale) di Dante.
Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa; 120

tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco
mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
per veder cosa che qui non ha loco? 123

In terra è terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che ’l numero nostro
con l’etterno proposito s’agguagli. 126

Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro». 129
Come fa quello che per vedere il sole durante un’eclissi socchiude gli occhi e si sforza, ma finisce col rimanere abbagliato, così fa il Discepolo con quel terzo splendore, fino a che non gli viene detto (da lui): “Perché ti accechi per vedere quello che qui non c’è? Il mio corpo è in terra, con tutti gli altri corpi e vi resterà fino al Giudizio finale (quando sarà raggiunto il numero finale dei beati; una leggenda diceva che anche Giovanni era asceso in cielo). Qui nel chiostro beato (in Paradiso) sono saliti solo due corpi fisici (Cristo, Asceso e la Vergine Maria, non ascesa, ma ‘Assunta’ in cielo). E tu riporterai questo quando tornerai sulla terra.

Nel vangelo di Giovanni 21, 22-23 a Pietro che domandava notizie sul destino del discepolo prediletto (Giovanni) ‘...Gesù gli rispose: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi”. Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto’. Riportiamo questi versetti per chiarire la curiosità di Dante; la ‘voce’ che si era diffusa diceva che Giovanni non sarebbe morto, non che sarebbe resuscitato e asceso in cielo... Ma poi, dopo quello che sappiamo delle apparizioni ai suoi di Gesù risorto che non veniva riconosciuto, il Giovanni asceso che tipo di ‘corpo’ avrebbe dovuto avere, se non un corpo di Luce?
A questa voce l’infiammato giro
si quïetò con esso il dolce mischio
che si facea nel suon del trino spiro, 132

sì come, per cessar fatica o rischio,
li remi, pria ne l’acqua ripercossi,
tutti si posano al sonar d’un fischio. 135

Ahi quanto ne la mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter veder, benché io fossi 138

presso di lei, e nel mondo felice!
 

 A queste parole la danza di luce si quieta e così pure il canto del trio, come i remi che immersi nell’acqua si fermano tutti al fischio (del capovogatore) al termine del viaggio o dinanzi ad un pericolo. E Dante intanto si turba nella mente quando, voltandosi per vedere Beatrice, non riesce a scorgerla benché così vicina e nel mondo della beatitudine!

La curiosità tutta umana del Nostro di voler ‘vedere il corpo’ di Giovanni, gli provoca una temporanea cecità e per un poco, benché  in cielo, non riesce a scorgere Beatrice, la sua Intuizione. A dimostrare che, finché è viva, la personalità non può mai essere ‘sicura’ dei propri ‘alti’ raggiungimenti!



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