PARADISO - CANTO XXV
Se mai
continga che ’l poema sacro
La
stesura della cantica del Paradiso va collocata tra il 1316 e il 1321,
anno della morte di Dante, perciò quando egli ha scritto questi versi
doveva aver più di 50 anni e
sia
la sua voce
che il suo vello,
dopo tanto esilio, erano certamente molto diversi da quelli della
giovinezza; qui, nel canto della ‘Speranza’ dedicato a Giacomo il
Maggiore, egli ci confessa appunto la sua speranza di tornare a Firenze
e di essere riconosciuto dalla patria quale sommo poeta e Vate,
portatore del messaggio della redenzione sua e del mondo; purtroppo tale
speranza non si è realizzata durante la sua vita terrena, ma nella
posterità, infatti per noi egli è proprio quello che sperava di
diventare per i suoi concittadini. Qui
nell’ottavo cielo degli spirito trionfanti, dopo s. Pietro, Dante
incontra l’apostolo del Cristo, Giacomo (=Iacopo = il Signore protegge):
in questo nome ritroviamo la giustificazione della virtù teologale che
lo distingue. Se si è ‘protetti dal Signore’ si può
essere certi della
beatitudine futura, data dalla Grazia e dai meriti, e quindi ‘sperare
nella Vita Eterna’. Il ‘Giacomo interiore’ di Dante è la sua ‘Speranza’
sia nel destino di gloria terrestre che nel destino di gloria celeste,
come il suo ‘Pietro interiore’ ne è la ‘Fede’ v. Paradiso, canto XXIV. La Fede (s.
Pietro), la Speranza (s. Giacomo) e, come vedremo tra poco, la Carità
(s. Giovanni), sono le tre virtù teologali sempre unite in cielo, ma
che, anche quando si manifestano sulla terra, non vanno mai disgiunte e
operano sempre per la vittoria del Bene sul male e per la realizzazione
delle Nozze mistiche. A questo proposito ricordiamo la bella favola
raccontata da Disney nel cartone animato del 1959 ‘Sleeping Beauty’ (v.
in
www.taozen.it
cineforum “La bella
addormentata” e relativa ns/ interpretazione cabalistica)
in cui le tre virtù
sono rappresentate dalle tre fatine, madrine della principessa: senza il
loro aiuto il Principe (la Coscienza) non riuscirebbe mai a svegliare la
sua promessa (la personalità) e a celebrare le tanto sospirate ‘Nozze’.
Anche Dante ha avuto come madrine quelle ‘fatine’, è per questo che ora
può descriverci il suo Paradiso e istruirci su come raggiungere il
nostro.
Anche s.
Giacomo, come s. Pietro circa la Fede, chiede al Discepolo che cosa è
per lui la Speranza, ed è giusto, perché definire il significato di un
termine astratto crea chiarezza e coerenza e andrebbe sempre premesso
nelle conversazioni e nei dialoghi, ed eviterebbe tanti malintesi. Gli
chiede inoltre come lui la possieda e da dove l’abbia appresa. Tre sono
dunque le domande a cui Dante deve rispondere. Alla seconda di esse,
posta alla personalità (Dante) da una (s. Giacomo) delle componente
spirituale relative al suo centro di Binah (la Comprensione), la
modestia vuole che risponda l’Intuizione (Beatrice): “Egli è talmente
pieno di Speranza che gli è stato concesso di visitare il Regno dello
Spirito...”.
«Spene»,
diss’ io, «è uno attender certo La
definizione dantesca della Speranza è una definzione teologica (v.
‘Piccolo dizionario Biblico ed. Paoline 1982): ‘Nelle S. Scritture essa
è definita l’attesa di una salvezza futura: il regno di Dio con Cristo
garantisce che essa non è un’utopia nè un’illusione, la Speranza è
solidamente fondata sulla fedeltà a Dio (Salmo 70, 5-8: ‘Sei Tu, Signore
la mia Speranza, la mia fiducia, fin dalla mia giovinezza... della tua
lode è piena la mia bocca, della tua gloria, tutto il giorno’). Essa si
adempie con la parusia (= ritorno) del Cristo, ma è una promessa fatta
fin da ora a questo mondo (Lettera ai Romani 8, 19-24: ‘La creazione
stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre
la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione
per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio... anche noi che
possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando
l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poichè nella
Speranza noi siamo salvati...’)’. Noi abbiamo
cercato altri riferimenti biblici relativi alla ‘Speranza’ ed eccone
alcuni: Salmo 21, 5-6: ‘In Te hanno sperato in nostri padri, hanno
sperato e Tu li hai liberati, a Te gridarono e furono salvati, sperando
in Te non rimasero delusi’. Proverbi 3, 5-6: ‘Confida nel Signore con
tutto il cuore, e non appoggiarti sulla tua intelligenza; in tutti i
tuoi passi spera in Lui, ed egli appianerà i tuoi sentieri’. Proverbi
30, 5: ‘Ogni parola del Signore è provata al fuoco, Egli è uno scudo per
chi ricorre a (spera in) Lui’. Sapienza 3,1-6: ‘Le anime dei giusti sono
nelle mani del Signore... anche se agli occhi degli uomini subiscono
castighi, la loro Speranza è piena di immortalità. In cambio di una
breve pena riceveranno grandi benefici, perché il Signore li ha provati
e li ha trovati degni di Sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li
ha graditi come un olocausto’. Siracide 34, 13-14: ‘Lo spirito di coloro
che temono il Signore vivrà, perché la loro Speranza è posta in Colui
che li salva. Chi teme il Signore non ha paura di nulla, e non teme
perché Egli è la sua Speranza’. Isaia 40, 31: ‘...quanti sperano nel
Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza
affannarsi, camminano senza stancarsi’. Lamentazioni 3, 24-26: ‘Mia
parte è il Signore – io esclamo – per questo in Lui voglio sperare.
Buono è il Signore con chi spera in Lui, con l’anima che Lo cerca’.
ecc... Aldilà del
significato teologico della Speranza intesa come ‘virtù teologale per la
quale ogni cristiano deve sperare di salvarsi per misericordia divina e
che promette al termine della vita la visione beatifica di Dio’,
esaminiamo il significato proprio della parola, iniziando
dall’etimologia. Deriva dal latino ‘spes’ e da un più antico ‘speres’ =
speranze, al plurale. La radice è probabilmente la stessa di ‘spazio’
che si ricava da una radice sanscrita ‘spa’ = crescere, estendere,
ampliare, quindi letteralmente la ‘speranza’ è l’aspettativa di un
futuro ampliato nel bene, o come dice il dizionario della lingua
italiana di G. Devoto e G. C. Oli: ‘è l’attesa fiduciosa più o meno
giustificata di un evento gradito o favorevole’. Nella mitologia romana
era una divinità allegorica, sorella del Sonno e della Morte. Veniva
rappresentata come una giovane donna appoggiata con una mano ad una
colonna e con dei fiori nell’altra. Le era dedicato il colore verde.
Veniva detta ‘Spes
Ultima Dea’ inteso
come: ‘la speranza è l'ultima a morire’ in quanto, per l'uomo, la
speranza è l'ultima risorsa disponibile che, noi ne siamo convinti, lo
segue anche dopo morto, contrariamente a quanto dice Foscolo ne ‘I
Sepolcri’: ‘Anche la Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri’.
Riportiamo qui il citato versetto di
Isaia (61,7) che profetizza la beatitudine sia per il corpo che per
anima e quindi la resurrezione della carne: ‘... per questo (gli
afflitti di Sion) possiederanno il
doppio
nella loro terra e avranno una letizia perenne’; e anche quello
dell’Apocalisse (7, 9) che ce lo
manifesta
anche più chiaramente: ‘Dopo ciò, apparve una moltitudine
immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e
lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello,
avvolti in vesti candide (bianche
stole) e portavano palme nelle mani’. La visione
apocalittica fotografa nel giorno del Giudizio la beatitudine degli
‘eletti’, di ‘...coloro che sono passati attraverso la grande
tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue
dell’Agnello (Apocalisse 7, 14)’. Vogliamo però chiarire che questi
‘doppi in letizia perenne’ e queste ‘bianche
stole’ o corpi di ‘luce’
saranno
pure derivati in qualche modo dai corpi terreni dei beati, ma avranno
caratteristiche molto poco simili a quelle dei corpi fisici, e che
potranno somigliare forse al corpo del Cristo dopo la Resurrezione (v.
in
www.taozen.it
Testi sacri ‘Commento al vangelo di Giovanni’ 20, 11-30 e 21, 4-7) dove
viene detto a chiare lettere che, con ‘Quel Corpo Risorto’, il Maestro
era praticamente irriconoscibile anche dai suoi più intimi. Per ben due
volte in questi versetti il Nostro nomina la ‘sposa’, prima
considerandola causa della danza particolare della luce (dell’apostolo
Giovanni) che tra poco gli parlerà, poi paragonandola direttamente alla
sua Beatrice, la sua Intuizione. In realtà in questo cielo c’è una
‘sposa’ ed è la personalità dello stesso Dante che è stata accolta in
cielo e che tra non molto potrà celebrare, nella visione diretta del
Divino, le sue ‘Nozze Mistiche’ con il Sé. S. Giovanni
(= dono del Signore, quindi simbolo di amore), ‘il discepolo che Egli
amava’ (Gv. 13, 23 e 19,26), come già detto, rappresenta la Carità (dal
greco ‘charis’ = amore verso Dio e verso il prossimo ed ha anche il
significato di Compassione), che si aggiunge alla Fede (s. Pietro) e
alla Speranza (s. Giacomo); i tre apostoli, ovvero le
tre virtù teologali,
formano il sentiero centrale nel percorso Malkuth (Pietro), Yesod
(Giacomo), Tiphereth (Giovanni),
dell’Albero di Binah
(Comprensione) del Piano di Atziluth (Spirituale) di Dante. Nel vangelo
di Giovanni 21, 22-23 a Pietro che domandava notizie sul destino del
discepolo prediletto (Giovanni) ‘...Gesù gli rispose: “Se voglio che
egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi”. Si diffuse
perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto’.
Riportiamo questi versetti per chiarire la curiosità di Dante; la ‘voce’
che si era diffusa diceva che Giovanni non sarebbe morto, non che
sarebbe resuscitato e asceso in cielo... Ma poi, dopo quello che
sappiamo delle apparizioni ai suoi di Gesù risorto che non veniva
riconosciuto, il Giovanni asceso che tipo di ‘corpo’ avrebbe dovuto
avere, se non un corpo di Luce?
A
queste parole la danza di luce si
quieta
e così pure il canto del trio, come i remi che immersi
nell’acqua si fermano tutti al fischio (del capovogatore) al termine del
viaggio o dinanzi ad un pericolo. E Dante intanto si turba nella mente
quando, voltandosi per vedere Beatrice, non riesce a scorgerla benché
così vicina e nel mondo della beatitudine! La curiosità
tutta umana del Nostro di voler ‘vedere il corpo’ di Giovanni, gli
provoca una temporanea cecità e per un poco, benché
in cielo, non riesce
a scorgere Beatrice, la sua Intuizione. A dimostrare che, finché è viva,
la personalità non può mai essere ‘sicura’ dei propri ‘alti’
raggiungimenti! |