PARADISO - CANTO XXVI

 
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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Mentr’ io dubbiava per lo viso spento,
de la fulgida fiamma che lo spense
uscì un spiro che mi fece attento, 3

dicendo: «Intanto che tu ti risense
de la vista che haï in me consunta,
ben è che ragionando la compense. 6

Comincia dunque; e dì ove s’appunta
l’anima tua, e fa ragion che sia
la vista in te smarrita e non defunta: 9

perché la donna che per questa dia
regïon ti conduce, ha ne lo sguardo
la virtù ch’ebbe la man d’Anania». 12
Mentre Dante rimane dubbioso (incerto, timoroso) per aver perso la vista (v. canto XXV vv. 136-139), lo spirito trionfante (dell’ottavo cielo, s. Giovanni) che l’ha abbagliato gli dice: “Fino a che non riacquisti la capacità di vedere, che hai perduto guardandomi (per curiosità e con troppa insistenza), compensala con il ragionamento. Inizia dunque; e dimmi a cosa tende la tua anima, e consolati, la tua vista è solo oscurata e non perduta: perchè la Donna che ti ha condotto fin qui, ha nel suo sguardo la virtù risanatrice di Anania (Atti 9, 10 -19).

Negli Atti degli Apostoli Anania (= Il Signore è misericordioso, relativo a Chesed), è il discepolo di Gesù, che con l’imposizione delle mani rende la vista a Paolo, accecato sulla via di Damasco. Paolo (= piccolo; Saulo = concesso dal Signore) che ha perseguitato i discepoli di Gesù, abbagliato dalla Sua Luce, rimane cieco per tre giorni, poi Anania, la Misericordia del Signore (Chesed di Atziluth), lo guarisce; l’umana curiosità di Dante circa le caratteristiche del ‘corpo’ di luce di s. Giovanni (v. canto XXV vv. 97-139 e relativo commento), provoca la sua temporanea cecità, e la guarigione gli viene dallo sguardo di Beatrice (Daath di Daath) che ha lo stesso  potere di Anania, la Misericordia del Signore (Chesed di Atziluth); sia a Saulo che a Dante il venire meno della vista produce una particolare ‘oscurità’ che, fecondata dalla ‘Misericordia’ divina, li trasforma e li rende ‘nuovi’. Saulo diventa Paolo, l’apostolo delle genti, Dante diventa colui che sa parlare ai posteri descrivendo in versi sublimi la sua esperienza dei più alti cieli.
Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
vegna remedio a li occhi, che fuor porte
quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo. 15

Lo ben che fa contenta questa corte,
Alfa e O è di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forte». 18
E Dante a lui: “Che il rimedio per i miei occhi venga, presto o tardi, quando Lei vorrà; essi furono le porte attraverso cui Ella entrò col fuoco (dell’Amore) che sempre arde in me. Il Bene (il Signore) che rende beato questo regno, è l’Alfa e l’Omega (inizio e fine) di tutto ciò che l’Amore mi insegna ad amare”.

L’Amore di Beatrice, che è entrato nel Discepolo attraverso gli occhi, e l’Amore per il Sommo Bene, Inizio e Fine di ogni Amore, sono lo Stesso Amore, e anche quello che nutre la terza virtù teologale, la ‘Carità’. Se il Paradiso, mondo dello Spirito e della Spiritualità (Atziluth) è il raggiungimento finale della creatura, e se, come visto in precedenza (canto XXV vv.112-117), la Fede (Malkuth), la Speranza (Yesod) e la Carità (Tiphereth) sono le tappe del percorso centrale dell’Albero della Sephirah Binah (Comprensione), la Carità, Tiphereth, che è Amore,  non può che essere Amore per la Divinità e della Divinità, in cui tutto il Bene (tutte le Sephiroth del Paradiso) si realizzano nella loro massima perfezione.    
Quella medesma voce che paura
tolta m’avea del sùbito abbarbaglio,
di ragionare ancor mi mise in cura; 21

e disse: «Certo a più angusto vaglio
ti conviene schiarar: dicer convienti
chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio». 24
La stessa voce (di s. Giovanni) che ha rincuorato il Nostro per la momentanea perdita della vista, lo spinge ancora a dialogare dicendo: “Chiarisci il tuo pensiero con un filtro sottile: dimmi chi ha indirizzato l’arco (del tuo Amore) verso tale bersaglio (il Bene Supremo)”.
E io: «Per filosofici argomenti
e per autorità che quinci scende
cotale amor convien che in me si ’mprenti: 27

ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende,
così accende amore, e tanto maggio
quanto più di bontate in sé comprende. 30
E Dante: “Tale Amore in me si imprime per filosofici argomenti (=  argomentando di filosofia) e con l’autorità (delle Scritture) che derivano dal cielo: perché il Bene, quando è inteso come tale, accende l’Amore, tanto più forte quanto più è potente...”

Con questo dialogo tra Dante (la personalità) e s. Giovanni (la sua componente spirituale che rappresenta la Carità, cioè il Tiphereth del suo Albero di Binah) il Nostro vuole spiegarci come si giunge all’Amore del Sé: per mezzo delle argomentazioni (= da radice sanscrita ‘arj’ = splendere) sulla filosofia (= dal greco ‘philos’ e ‘sophia’ = amore per la saggezza), cioè facendo splendere l’Amore per la Sapienza (che è in noi) e potenziandolo (alimentandolo) col Potere delle Sacre Scritture che derivano dal cielo. Ma come far nascere in sé tale Triunità (Amore-Saggezza-Potere)? Dobbiamo già averLa. In pratica  Dante ci sta ripetendo in poesia il famoso detto alchemico che dice: ‘per fare l’Oro bisogna avere l’Oro’, infatti la Luce viene dalla Luce, e l’Amore dall’Amore.
Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio,
che ciascun ben che fuor di lei si trova
altro non è ch’un lume di suo raggio, 33

più che in altra convien che si mova
la mente, amando, di ciascun che cerne
il vero in che si fonda questa prova. 36
E’ necessario che amando, la mente di ciascuno comprenda la verità su cui si fonda questo assunto (che Dio è Sommo Bene); e pure (è necessario) che la mente si diriga verso Tale Essenza, perché ogni bene che è esterno ad Essa, non è altro che una luce di un Suo raggio...”
Tal vero a l’intelletto mïo sterne
colui che mi dimostra il primo amore
di tutte le sustanze sempiterne. 39

Sternel la voce del verace autore,
che dice a Moïsè, di sé parlando:
’Io ti farò vedere ogne valore’. 42
“... Indica (sterne = palesa) al mio intelletto la verità colui (Aristotele?) che mi dimostra che (il Signore) è l’Amore a cui tendono tutte le sostanze eterne (gli spiriti). Me lo dimostra la Voce (del Signore) che dice a Mosè: “Ti farò vedere ogni (mio) splendore” (Esodo 33, 19)...”

Alcuni commentatori pensano che Dante nel v. 38 si riferisca ad Aristotele perché il concetto che “Dio è l’Amore supremo delle sostanze immortali” si ritrova nella sua ‘Etica’, nella ‘Fisica’ e nella ‘Metafisica’; altri pensano invece a Platone o a Dionigi Areopagita, ma ogni ‘filosofia’ che voglia dirsi veramente tale, e cioè ‘Amore per la Sapienza’, non può che far propria questa tesi.

Durante la permanenza nel deserto, Mosè (= il salvato dalle acque), avendo trovato il popolo ad adorare il vitello d’oro (v. in www.teatrometafisico.it copioni ‘Mosè 2’ e relativa interpretazione cabalistica), irato, prima spezza le tavole della Legge ricevute dal Signore sul monte Sinai,  poi intercede per ottenere la salvezza di Israele, cosicché il Signore gli promette: “Io camminerò con voi” (Esodo 33, 14...). Quindi, alla richiesta di Mosè di ‘mostrargli la Sua Gloria’, Egli promette ancora: “Farò passare davanti a te tutto il Mio Splendore e proclamerò il Mio Nome: Signore, davanti a te. Farò Grazia a chi vorrò far Grazia e avrò Misericordia di chi vorrò aver Misericordia” (Esodo 33, 19). A chi è ‘salvato dalle acque’ (uscito dagli abissi del peccato) il Signore concede di mostrare la Sua Gloria, tutto il Suo Splendore, la Sua Grazia, la Sua Misericordia e soprattutto gli concede di conoscere il Suo Nome. Se la Voce del Signore viene udita dalle ‘orecchie’ del cuore (in Tiphereth, sede dell’Amore) come non crederLe?
Sternilmi tu ancora, incominciando
l’alto preconio che grida l’arcano
di qui là giù sovra ogne altro bando». 45

E io udi’: «Per intelletto umano
e per autoritadi a lui concorde
d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. 48

Ma dì ancor se tu senti altre corde
tirarti verso lui, sì che tu suone
con quanti denti questo amor ti morde». 51
“...Tu stesso me lo hai dimostrato con l’alto annuncio all’inizio (dell’Apocalisse 1, 1-3) gridando nel mondo il mistero divino con voce più forte di ogni altra”.  E quello: “ Il tuo amore più alto è diretto al Signore grazie all’intelletto umano e grazie all’autorità (delle Scritture) che gli si accordano. Ma dimmi ancora se ti senti attirato verso Lui da altro, cosicché tu possa proclamare con quanti denti questo amor ti morde (e quanto ne sei ghermito)”.

L’esame del Discepolo sulla ‘Carità’ non è ancora terminato egli deve ancora dichiarare tutti i motivi per cui l’Amore per il Sommo Bene lo morde, cioè lo ghermisce, lo prende, lo fa Suo.
Non fu latente la santa intenzione
de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi
dove volea menar mia professione. 54

Però ricominciai: «Tutti quei morsi
che posson far lo cor volgere a Dio,
a la mia caritate son concorsi: 57

ché l’essere del mondo e l’esser mio,
la morte ch’el sostenne perch’ io viva,
e quel che spera ogne fedel com’ io, 60

con la predetta conoscenza viva,
tratto m’hanno del mar de l’amor torto,
e del diritto m’han posto a la riva. 63

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
de l’ortolano etterno, am’ io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto». 66
Il santo intento dell’aquila di Cristo (s. Giovanni, il più spirituale degli evangelisti, che nell’iconografia è simboleggiato dall’aquila che significa intuizione, vittoria, elevazione, potere dello Spirito, ecc.) si palesa al Nostro, che capisce dove egli vuol farlo arrivare e che quindi seguita: “Tutti quei morsi che conducono al Signore hanno contribuito ad alimentare la mia Carità: l’esistenza del mondo, la mia stessa esistenza, la morte del Cristo per la mia vita, ciò che spera ogni fedele (la Vita Eterna), con quanto detto prima (che Egli è il Sommo Bene), mi hanno sottratto all’amore sbagliato per indirizzarmi all’Amore Vero. Amo quindi tutte le creature (fronde) da Lui (Eterno Ortolano) create e le amo per quanto ‘bene’ Egli concede loro”.

Ecco dunque che il Nostro ci elenca i motivi per cui egli si è rivolto verso l’Amore vero (il Sommo bene) e si è allontanato dall’amore sbagliato (il bene egoico): la gratitudine per la creazione del mondo, per la propria esistenza, per la Redenzione, per la Vita Eterna; in questi quattro motivi sono racchiusi tutti i compiti dell’incarnazione ed anche il suo Fine.
Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto
risonò per lo cielo, e la mia donna
dicea con li altri: «Santo, santo, santo!». 69

E come a lume acuto si disonna
per lo spirto visivo che ricorre
a lo splendor che va di gonna in gonna, 72

e lo svegliato ciò che vede aborre,
sì nescïa è la sùbita vigilia
fin che la stimativa non soccorre; 75

così de li occhi miei ogne quisquilia
fugò Beatrice col raggio d’i suoi,
che rifulgea da più di mille milia: 78

onde mei che dinanzi vidi poi;
e quasi stupefatto domandai
d’un quarto lume ch’io vidi tra noi. 81
Dante tace e nel cielo (egli si trova ancora nell’ottavo, degli spiriti trionfanti) risuona un canto dolcissimo a cui anche Beatrice si unisce: “Santo, santo, santo! (v. Apocalisse 4, 8). Come quando uno si sveglia per una luce intensa e cerca di guardare, ma (sul principio) non riesce a distinguere chiaramente, poiché il suo inatteso risveglio lo rende inconsapevole fino a che non si desta del tutto, così Beatrice (= colei che dona la beatitudine) allontana dagli occhi del suo amato ogni impurità con il raggio dei suoi occhi, per cui egli vede ora meglio di prima e riuscendo a scorgere (vicino a sé) la luce di un quarto spirito, chiede chi sia.

Anche il terzo esame è stato superato con ‘lode’ e ne segue il canto celestiale che prepara l’ulteriore esperienza del Discepolo. “Santo, santo, santo” è il canto dei Quattro Esseri Viventi che stanno dinanzi al Trono divino nell’Apocalisse, ma è anche una citazione di Isaia 6, 3, dove vengono descritti i serafini che attorno al Trono del Signore proclamano l’un l’altro: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della Sua Gloria”, questo versetto ci ricorda i versi della Bhagavad Gita canto XI, vv. 39-40 che celebrano la visione della Forma Universale di Krisna: “Tu sei Vayu, Yama, Agni, Varuna, la Luna, Prajapati, il Bisavolo. Gloria! Mille volte a Te gloria! E di nuovo a Te gloria! Gloria! Gloria a Te in fronte, gloria a tergo, da ogni parte a Te gloria, o Tutto! Potenza infinita, immensurabile Valore, Tu compenetri tutto e perciò il Tutto sei!” (v. in www.taozen.it  Testi sacri ns/ relativo commento).
E la mia donna: «Dentro da quei rai
vagheggia il suo fattor l’anima prima
che la prima virtù creasse mai». 84

Come la fronda che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtù che la soblima, 87

fec’ io in tanto in quant’ ella diceva,
stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ond’ ïo ardeva. 90
E la sua donna (= Signora) a lui: “In quella luce adora il suo Fattore la prima anima da Lui creata (Adamo). A queste parole Dante è tutto stupito, e fa come l’albero che piega la cima al passar del vento e quindi torna ritto, ma poi l’ardente desiderio di parlare lo rende di nuovo sicuro.

La quarta luce che si manifesta nel cielo degli spiriti trionfanti alla personalità è ora Adamo, il primo uomo creato, il primo progenitore, che è la specchiatura dell’umanità caduta sia di Dante che nostra. Possiamo infatti far corrispondere l’Adamo (= fatto di terra) caduto al centro Malkuth ( v. in www.taozen.it Testi sacri ns/ ‘Commento alla Genesi’ cap. 3) nella discesa della Shekinah e l’Adamo redento dal Cristo al centro Daath dell’Albero di Binah nella risalita della Shekinah. Egli compare difatti dopo Pietro (Malkuth), Giacomo (Yesod), Giovanni (Tiphererth), e completa il percorso della risalita nella colonna centrale dell’Albero della Sephirah Binah (Comprensione); ricordiamo che Daath è la ‘Terra’ del piano Atzilutico...  
E cominciai: «O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, 93

divoto quanto posso a te supplìco
perché mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico». 96
Allora Dante così comincia: “O tu che unico nascesti adulto (frutto maturo) o padre dell’inizio, a cui ogni sposa è figlia e nuora (perché moglie del figlio), con tutta la mia devozione ti supplico di parlarmi, tu vedi (nel Signore) le domande (che vorrei porti), ma io taccio per ascoltare la tua voce”.

Come nei vv. 103-111 del canto XXV, il Nostro, parlando della ‘sposa’, ovviamente parla di sé. La nostra personalità, poiché nello spazio-tempo tutto muta, deriva da quello che siamo stati ‘prima’; noi siamo figli del passato e genitori del futuro: Adamo-(Eva) rappresenta il nostro passato e anche il padre-(madre) e suocero-(suocera) della coppia figlio-figlia, intendendo come ‘figlia’ la nostra componente astrale e come ‘figlio’ la nostra componente mentale (non bisogna però intendere per figlio il ‘Figlio’, la componente spirituale, perché allora il ‘Padre-Suocero’ sarebbe l’‘Adam Qadmon’, l’essere umano Archetipo, detto anche  Keter eljon, Corona suprema, che vedremo più avanti). Invece l’essere umano Adamo-Eva (Genesi 1, 27: ‘Il Signore creò l’uomo a Sua immagine, ... maschio e femmina lo creò, ecc.’) prima della caduta era un creatura che esisteva in un ‘Malkuth’ (Regno terrestre) ideale, dove il male non era ancora esploso, ma che, dopo la caduta, che ha comportato la perdita dello stato di purezza e di unità e l’essere soggetti ai cicli di nascite e morti (o reincarnazioni), deve essere recuperato attraverso una correzione (tikkun) costituita da azioni umane in grado di riparare l’anima (= psiche o astro-mentale) umana e il mondo. Dato che in noi convivono sia la natura umana (Malkuth) che la natura spirituale (Daath), la personalità (Dante) che si sente ‘figlia e nuora’ (Malkuth), vuole ascoltare la voce del Padre e Suocero, suo passato Malkuth, che è stato corretto, riparato, che è ora ‘Adamo redento (Daath)’, perché, essendo personalmente coinvolta nella ‘caduta’, vuole almeno conoscerne i particolari.
Talvolta un animal coverto broglia,
sì che l’affetto convien che si paia
per lo seguir che face a lui la ’nvoglia; 99

e similmente l’anima primaia
mi facea trasparer per la coverta
quant’ ella a compiacermi venìa gaia. 102
A volte un animale coperto si muove al disotto della copertura e il movimento si vede perché la copertura si muove con lui; così lo spirito del primo uomo, fa trasparire (aumentando lo splendore) la sua letizia nel compiacere il Discepolo (figlio e genero insieme).
Indi spirò: «Sanz’ essermi proferta
da te, la voglia tua discerno meglio
che tu qualunque cosa t’è più certa; 105

perch’ io la veggio nel verace speglio
che fa di sé pareglio a l’altre cose,
e nulla face lui di sé pareglio. 108
Ed ecco che Adamo (= dall’ebraico ‘adamah’= fatto di terra) dice: “Senza che tu la ponga, conosco la tua domanda meglio di qualunque cosa tu conosca a perfezione; perché io la vedo nello Specchio del Vero, che rispecchia in Sé ogni altra cosa, e a cui nulla fa da specchio...”

L’Adamo redento, che ha riscattato il suo peccato originale (o caduta) che è divenuto il Daath di Binah del piano Atzilutico conosce nel Cristo ogni Verità e quindi anche ogni domanda del Discepolo.
Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose
ne l’eccelso giardino, ove costei
a così lunga scala ti dispuose, 111

e quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno,
e l’idïoma ch’usai e che fei. 114
“...Tu vuoi sapere quando il Signore mi ha posto nel sublime giardino (dell’Eden), là dove costei (Beatrice) ti ha condotto dopo un viaggio tanto difficile (attraverso l’inferno e il Purgatorio); e vuoi sapere per quanto tempo ne hanno goduto i miei occhi, e il vero motivo del Suo sdegno (quale il peccato che ho commesso) e quale era il linguaggio che Egli mi aveva concesso di creare (Genesi 2, 18-20; v. in
www.taote.it  Testi sacri ns/ relativo commento)...”

Quattro sono le domande che Dante vuole porre e che Adamo vede nel verace speglio divino: quando egli è stato posto nell’eccelso giardino, per quanto tempo vi rimasto, che idioma usava e qual’è la propria cagion del gran disdegno.

Sembrano 4 domande da intervista giornalistica, ma dopotutto non è Dante quello che, primo fra tanti altri, ha fatto un’inchiesta sui ‘mondi’ interiori e ne ha ricavato uno ‘scoop’ di risonanza mondiale?
Or, figliuol mio, non il gustar del legno
fu per sé la cagion di tanto essilio,
ma solamente il trapassar del segno. 117

Quindi onde mosse tua donna 
Virgilio,
quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio; 120

e vidi lui tornare a tutt’ i lumi
de la sua strada novecento trenta
fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi. 123
“...Figlio mio, non fu causa dell’esilio (= la cacciata dal Paradiso terrestre) il fatto in sé d’aver gustato il frutto proibito, ma l’aver trapassato il segno. Ho desiderato di salire in cielo dal luogo in cui la tua Donna ha cercato Virgilio (dal Limbo) per 4302 rivoluzioni del sole attorno alla terra (cioè 4302 anni) e dopo aver visto sulla terra il sole illuminare i segni dello Zodiaco per 930 volte (= altri 930 anni: Gn. 5, 5)...”
La lingua ch’io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l’ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembròt attenta: 126

ché nullo effetto mai razïonabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile. 129

Opera naturale è ch’uom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v’abbella. 132
“...La lingua da me inventata era già stata dimenticata al tempo dell’impossibile opera di Nembrot (la costruzione della torre di Babele, Gn. 11, 1-9): perché nulla di ciò che è umano è immutabile, derivando il suo operato dagli influssi del cielo. E’ naturale che l’uomo parli, ma la natura lascia che il suo linguaggio cambi a seconda della sua volontà...”
La prima domanda a cui Adamo risponde è l’ultima postagli, perché probabilmente la ritiene la più importante; egli vuol mettere in chiaro che quello suo e di Eva non fu un peccato di gola, essi infatti avevano a disposizione ogni seme e frutto della terra: ‘E il Signore disse: “Ecco Io vi dò ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo”. (Genesi 1, 29)’; ma l’aver trapassato il segno (= il limite concesso), cioè disobbedito, e quindi aver commesso un peccato di superbia, con la ribellione del mentale, per un errato ragionamento, una peccato relativo alla qelipah (scoria) della sephirah Geburah (v. in
www.taozen.it Testi sacri il ‘Commento alla Genesi cap. 3). La risposta alla seconda domanda, cioè ‘quando’ Adamo ed Eva sono stati creati, vale a dire quanti anni sono passati dalla loro creazione, ci è fornita dalla somma degli anni in cui Adamo è rimasto nel Limbo 4302 + 930 anni vissuti sulla terra + 1300, anno del viaggio di Dante – 33 anni di vita di Cristo = per un totale di anni 6498. Naturalmente per noi tale cifra è solo simbolica, cerchiamo di semplificarla sommando i numeri che la formano: 6+4+9+8 = 27 = 3x3x3, questo “prodotto” sembra fotografare l’Albero nel suo aspetto relativo ai triangoli: Chockmah – Binah – Daath (triangolo Superno, spirituale); Chesed – Geburah – Tiphereth (triangolo etico, mentale) Netzach –Hod – Yesod (triangolo onirico, astrale). Quando, nella discesa della Shekinah, i tre triangoli (il primo triangolo che riguarda le forze creative, il secondo che riguarda le forze governative e il terzo che riguarda le forze inconsce) sono completati, ‘viene creato’ Adamo (adamah = fatto di terra).

Adamo risponde poi alla domanda sull’idioma (= lingua - dal greco ‘idios’ = particolare) e specifica che, essendo il linguaggio per concessione divina prodotto dalla ragione umana, varia col tempo e gli usi (Genesi 2, 19: ‘Allora il Signore plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome’). Il Nostro sta giustificando qui l’uso del volgare per la sua ‘Comedia’, ma ci sta anche dicendo che ogni linguaggio è ‘sacro’ e che la creatività della Parola dipende non dalla forma in cui è detta, ma da ‘Chi’ la dice (v. in www.taote.it  cineforum il film ‘Ordet’ (= la Parola) di Carl Theodor Dreyer e ns/ relariva interpretazione cabalistica).
Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,
I s’appellava in terra il sommo bene
onde vien la letizia che mi fascia; 135

e El si chiamò poi: e ciò convene,
ché l’uso d’i mortali è come fronda
in ramo, che sen va e altra vene. 138

Nel monte che si leva più da l’onda,
fu’ io, con vita pura e disonesta,
da la prim’ ora a quella che seconda, 141

come ’l sol muta quadra, l’ora sesta».

Prima che scendessi nel Limbo (al tempo della mia vita terrena), il Sommo Bene si chiamava I, poi si chiamò El, perché le abitudini dei mortali mutano come le foglie di un ramo: una va, un’altra viene. Io rimasi sulla cima del monte, il più alto che si innalza sul mare (il monte del Purgatorio che ha in cima l’Eden), prima innocente e poi colpevole, dalla prima ora alla sesta, quando il sole cambia quadrante.

Anche il Nome divino muta col mutare dei tempi e degli usi (così pure le religioni e le leggi umane): I = Io Sono, il Vivente; El = Forte, Onnipotente; Dio = dal sanscrito ‘deva’, dalla radice ‘div’= Splendente, ecc... ma, come detto sopra, non è la parola in sé ad essere importante ma il ‘Potere-Saggezza-Amore’ di chi la pronuncia. L’ultima risposta di Adamo riguarda il ‘tempo’ della sua permanenza nell’Eden: un cambio di quadrante del sole. Riteniamo anche questa una ‘risposta simbolica’: vi è rimasto per tutto il tempo necessario al mutamento:  in quel bel giardino, con un frutto proibito, una Eva inquieta e un Serpente tentatore che altro avrebbe potuto fare? (v. Genesi cap. 3 idem).



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