PARADISO - CANTO XXVII
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
www.taote.it
www.taozen.it
www.teatrometafisico.it
’Al Padre,
al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ’gloria!’, tutto
’l paradiso,
sì che m’inebrïava il dolce canto. 3
Ciò
ch’io vedeva mi sembiava un riso
de l’universo; per che mia
ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 6
Oh
gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita intègra d’amore e di
pace!
oh sanza brama sicura ricchezza! 9
(Allora) tutto il
Paradiso comincia a cantare il Gloria alla SS. Trinità e il canto dei
beati è così dolce che inebria il Nostro. Gli sembra di vedere il
sorriso dell’intero universo, la cui ebbrezza lo penetra attraverso
l’udito e la vista. Oh beatitudine! Oh ineffabile allegria! Oh vita
piena di amore e pace! Oh ricchezza vera senza avidità!
Sembra di
sentire echeggiare le note del ‘Gloria in excelsis Deo’ (Gloria RV 589
in re maggiore) di Antonio Vivaldi (1678-1741) di cui consigliamo
vivamente l’ascolto; il veneziano autore de ‘La quattro stagioni’,
sacerdote,
sicuramente
conosceva queste terzine!
Dinanzi a li occhi miei le
quattro face
stavano accese, e quella che pria
venne
incominciò a farsi più vivace, 12
e
tal ne la sembianza sua divenne,
qual diverrebbe Iove, s’elli
e Marte
fossero augelli e cambiassersi
penne. 15
Davanti ai suoi
occhi splendono le 4 luci (Pietro, Giacomo, Giovanni e Adamo, v. canto
XXVI) e quella che per prima si è manifestata (s. Pietro) incrementa il
suo splendore e diventa del colore (fuoco) di cui si farebbe
Iove
(= che aiuta) se lui e
Marte
(= che combatte)
fossero uccelli e si
scambiassero le penne.
Al momento di altissima poesia e spiritualità
subentra ora un’atmosfera di rimprovero e severità: c’è un vero e
proprio mutamento di ‘tinte’: dal colore argenteo delle
penne
di Giove, il pianeta della ricchezza, della prosperità, della filosofia,
si passa al colore rosso delle
penne
di Marte, il pianeta
del coraggio, della forza di volontà, della competizione e quindi dello
sdegno e dell’ira. E’ questo possibile nel mondo Atzilutico, negli alti
cieli? In quelli danteschi pare proprio di sì e noi ne prendiamo atto.
La provedenza, che quivi
comparte
vice e officio, nel beato coro
silenzio posto avea da ogne
parte, 18
quand' ïo udi': «Se io mi trascoloro,
non ti maravigliar, ché,
dicend' io,
vedrai trascolorar tutti costoro. 21
La Provvidenza, che in
cielo distribuisce i vari compiti, intanto rende silenzioso il beato
coro, e Dante ode (s. Pietro) dire: “Se muto colore non meravigliarti,
perché alle mie parole anche tutti i beati lo faranno...”
Forse s.
Pietro ha colto nel ‘senzatempo’ le nostre perplessità e sembra quasi
volersi scusare delle frasi che tra poco il Nostro gli farà dire...
Quelli ch’usurpa in terra il
luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio che vaca
ne la presenza del Figliuol
di Dio, 24
fatt’ ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza;
onde ’l perverso
che cadde di qua sù, là giù
si placa». 27
“... Quello
che (papa Bonifacio VIII, 1230-1303) sulla terra usurpa il mio posto,
proprio il mio posto, proprio quello che è vacante sotto gli occhi del
Cristo, ha trasformato la mia tomba in una
cloaca (= fogna, dal
greco ‘klyzo’ = purgo) di sangue e fetore; per cui il corrotto
(Lucifero) che precipitò da qui, lì sta benone”.
Ricordiamo che
il Nostro con la sua Beatrice è sempre nell’ottavo cielo degli spiriti
trionfanti, dove si celebra la Gloria Divina, ma ecco che ora egli ci
mette di fronte un ‘marziano’ s. Pietro
trascolorato, che
ripete per ben tre volte che ‘qualcuno gli usurpa
il
luogo suo’, aggiungendo
termini molto terrestri come
cloaca
e
puzza,
e nominando pure il
perverso (Lucifero) che
non dovrebbe mai essere nominato. Certo questo è il s. Pietro interiore
di Dante (cfr. canto XXIV e relativa interpretazione) e quando egli
scrive questi versi (dopo il 1316) si trova già da più di tredici anni
in esilio e ha una condanna a morte che pende sul suo capo... perciò
qualche ‘celeste lancio di Pietra’ contro il mortale nemico (papa
Bonifacio VIII) possiamo anche concederglielo!
Di quel color che per lo
sole avverso
nube dipigne da sera e da mane,
vid’ ïo allora tutto ’l ciel
cosperso. 30
E
come donna onesta che permane
di sé sicura, e per l’altrui
fallanza,
pur ascoltando, timida si fane, 33
così Beatrice trasmutò sembianza;
e tale eclissi credo che ’n
ciel fue
quando patì la supprema possanza. 36
A queste parole Dante
vede tutto il cielo tingersi del colore (rosso fuoco) di cui si tingono
sera e mattina le nubi illuminate dal sole. E come una donna onesta, pur
rimanendo sicura di sé, arrossisce
al solo
ascoltare l’errore altrui, così
Beatrice muta aspetto;
forse in cielo ci fu un simile oscuramento quando morì la Suprema
Potenza (Cristo).
Poiché
Beatrice
nel nostro discorso interiorizzato è l‘Intuizione
di Dante, la sua Donna spirituale, la sua Coscienza, Daath, anche Lei,
come s. Pietro e tutti gli altri ‘beati’, deve sdegnarsi per la
corruzione della Chiesa e del papato. Che però tale
trasmutamento di sembianza
sia paragonato all’eclissi
verificatasi alla morte
del Cristo in Croce ci sembra proprio un tantino eccessivo (cfr. vangelo
di Luca 23, 44: ‘Era verso mezzogiorno,
quando
il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del
pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a
gran voce, disse: “Padre, nelle Tue mani consegno il mio spirito”
(citazione del Salmo 30,6: ‘Mi affido alle Tue mani, Tu mi riscatti,
Signore...’)’.
Poi procedetter le parole
sue
con voce tanto da sé trasmutata,
che la sembianza non si mutò
piùe: 39
«Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di
quel di Cleto,
per essere ad acquisto d’oro
usata; 42
ma
per acquisto d’esto viver lieto
e Sisto e Pïo e Calisto e
Urbano
sparser lo sangue dopo molto
fleto. 45
Poi (s. Pietro, pontefice dal 33 al 67)
continua a parlare con voce così mutata rispetto a prima (quando ha
interogato il Discepolo sulla Fede) quanto ora è mutato nell’aspetto:
“La sposa di Cristo (la Chiesa) non fu allevata col sangue mio, e degli
altri primi papi
Lino
(= mite, papa dal 68 al 79), e
Cleto
(= nobile, papa dall’80 al 92) per essere usata come strumento di
guadagno; ma per il raggiungimento del regno dei cieli; e
Sisto (= sesto, ordine,
papa dal 117 al 126)
e
Pïo (= devoto, papa dal
142 al 157) e
Calisto (= bello,
buono, papa dal 218 al 222)
e Urbano
(= civile, gentile, papa dal 222 al 230) sparsero il loro sangue con
grandi sofferenze...”
Non fu nostra intenzion ch’a
destra mano
d’i nostri successor parte sedesse,
parte da l’altra del popol
cristiano; 48
né
che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in
vessillo
che contra battezzati combattesse; 51
né
ch’io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e
mendaci,
ond’ io sovente arrosso e
disfavillo. 54
“...Noi non intendevamo che una
parte della cristianità sedesse a destra (fosse favorita) e l’altra a
sinistra (fosse combattuta) dai nostri successori; né che le chiavi,
concesse a me (dal Cristo) diventassero insegna di un vessillo che
combatte altri cristiani; né che la mia immagine fosse posta a sigillo
di documenti falsi o simoniaci, per cui spesso arrossisco e faccio
scintille...”
In vesta di pastor lupi
rapaci
si veggion di qua sù per tutti i
paschi:
o difesa di Dio, perché pur giaci? 57
Del
sangue nostro Caorsini e Guaschi
s’apparecchian di bere: o
buon principio,
a che vil fine convien che
tu caschi! 60
“... Di qui
si vedono per tutti i
paschi ( = pascoli,
intesi come chiese), vestiti da pastori, lupi rapaci: o difesa divina,
perché non reagisci? Gli abitanti
di
Guascogna e di Cahors
(Clemente
V, papa dal 1305 al 1314, e Giovanni XXII, papa dal 1316 al 1334,
francesi, nati rispettivamente in quelle città) si preparano a bere il
nostro sangue: il buon inizio (della Chiesa) si è trasformato in
corruzione!...”
Ma l’alta provedenza, che
con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
soccorrà tosto, sì com’ io
concipio; 63
e
tu, figliuol, che per lo mortal pondo
ancor giù tornerai, apri la
bocca,
e non asconder quel ch’io non
ascondo». 66
“...Ma
l’alta Provvidenza che per mezzo di
Scipione
( 235 a. C. – 183 a. C.) conservò a
Roma
la gloria del mondo (sconfisse Annibale a Zama), verrà presto in aiuto,
come io prevedo; e tu, figliolo, poiché sei ancora vivo, tornato sulla
terra, narra, senza nasconderlo, quello che io non nascondo”.
Da un punto
di vista interiorizzato tutto il discorso di s. Pietro (la Fede, che
avevamo fatto corrispondere al Malkuth dell’Albero di Binah del Piano
Atzilutico di Dante, può essere considerato come un acerbo rimprovero
che la componente spirituale, appunto la Fede, muove alla personalità
per tutte le volte che ha mancato (o, essendo ancora vivo, mancherà) di
adempiere i suoi doveri di ‘Pontefice’, cioè di ponte tra il sé e il Sé,
pur avendo in passato (o nelle vite precedenti) avuto a suo vantaggio
vari ‘Pontefici’ santi, cioè varie doti positive quali la mitezza
(Lino),
la nobiltà (Cleto),
l’ordine (Sisto),
la devozione (Pio),
la bontà (Calisto),
la gentilezza (Urbano)
ecc., e certamente non è mai stata intenzione né della Fede (di s.
Pietro), né di tutte le altre virtù (degli altri papi santi) dare la
loro energia (divina Shekinah) per l’albero nero dei vizi,
mercificandola e rendendola cibo (pascolo) per
lupi
rapaci (il lupo è
simbolo di distruzione, ingordigia, crudeltà, astuzia, ecc.), ma presto
l’Alta Provedenza
(= che prevede e provvede, il Sé) rimetterà tutto in ordine, soccorrendo
la personalità nel bisogno.
Sì come di vapor gelati fiocca
in giuso l’aere nostro,
quando ’l corno
de la capra del ciel col sol
si tocca, 69
in
sù vid’ io così l’etera addorno
farsi e fioccar di vapor
trïunfanti
che fatto avien con noi quivi
soggiorno. 72
Come sulla
terra nevica quando la costellazione del Capricorno è in congiunzione
col sole (a gennaio), così nel cielo (l’ottavo) Dante vede
fioccare
( dal latino ‘flare’ = gonfiare) come una nevicata all’insù, le luci
degli spiriti trionfanti che fino ad allora sono stati con loro (Dante e
Beatrice).
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
e seguì fin che ’l mezzo,
per lo molto,
li tolse il trapassar del più
avanti. 75
Onde la donna, che mi vide assolto
de l’attendere in sù, mi
disse: «Adima
il viso e guarda come tu se’
vòlto». 78
Egli li segue con lo sguardo fino a
che, per la troppa distanza, non li scorge più. E Beatrice, appena non
lo vede più intento a guardare in sù gli dice: “Abbassa lo sguardo e
nota l’ampiezza dell’arco percorso (in questo cielo)”.
L’esperienza
dell’ottavo cielo si è conclusa e Beatrice (l’Intuizione) sollecita la
personalità, il Discepolo, a guardare in giù per vedere ‘il conosciuto’
da un punto di vista più alto, più spirituale e per prendere sempre più
Coscienza di ciò che egli è stato e di ciò che è.
Da l’ora ch’ïo avea guardato
prima
i’ vidi mosso me per tutto l’arco
che fa dal mezzo al fine il
primo clima; 81
sì
ch’io vedea di là da Gade il varco
folle d’Ulisse, e di qua
presso il lito
nel qual si fece Europa dolce
carco. 84
Da quando Dante
ha guardato in giù per la prima volta (Paradiso XXII vv. 127-154, si
trovava sopra Gerusalemme) egli ha percorso un arco di 90° per cui ora
vede a ovest oltre
Gade
(Cadice) il
varco folle di Ulisse
(v. Inferno XXVI vv. 106-111, cioè lo stretto di Gibilterra e l’oceano)
e ad est la spiaggia Fenicia dove (Giove trasformatosi in toro) si
caricò sul dorso
Europa,
(figlia del re Agenore, per condurla poi a Creta, dove essa gli generò
Minosse).
Noi ci chiediamo perché proprio qui, prima di
giungere al nono cielo, Dante ricordi questi due mitici personaggi,
Ulisse (= ferito alla
coscia)
con il suo
varco folle ed Europa,
dolce carco per il
toro-Giove. Forse per indicarci due dei modi possibili per acquisire la
conoscenza dei mondi sottili (per scalare l’Albero), uno sbagliato e uno
giusto: quello di Ulisse, basato sull’orgoglio (hybris), il modo
sbagliato, e quello ‘giusto’ di Giove (visto come dio solare) che si
unisce ad Europa
(= faccia ampia = dea lunare), nelle mitiche nozze alchemiche di Sole e
Luna, che generano il Figlio (Minosse = figlio della Luna, Yesod, punto
di partenza per la risalita dell’Albero).
E più mi fora discoverto il sito
di questa aiuola; ma ’l sol
procedea
sotto i mie’ piedi un segno e più
partito. 87
La
mente innamorata, che donnea
con la mia donna sempre, di
ridure
ad essa li occhi più che mai
ardea; 90
e
se natura o arte fé pasture
da pigliare occhi, per aver
la mente,
in carne umana o ne le sue
pitture, 93
tutte adunate, parrebber nïente
ver’ lo piacer divin che mi
refulse,
quando mi volsi al suo viso
ridente. 96
Dante (da
lassù) potrebbe vedere una zona dell’aiuola
(della Terra) maggiore, ma, procedendo il sole sotto i suoi piedi, una
parte (dove è già tramontato, quella a destra della Fenicia) resta in
ombra. La mente innamorata di lui sogna sempre Beatrice e continuamente
arde dal desiderio di poterla guardare; se la natura o l’arte producono
nella persona o nella pittura oggetti così belli da avvincere gli occhi
e la mente (di chi li guarda), tali oggetti, messi tutti insieme,
sarebbero niente a confronto del piacere divino da lui provato nel
rivedere il viso beato di Lei.
Dal suo punto di vista, dall’ottavo cielo, Dante
potrebbe scorgere molto di più del
varco folle di Ulisse
e del
lito
dove
Europa divenne
dolce carco,
cioè potrebbe vedere anche ‘altri modi’ per scalare l’Albero, ma la
posizione del ‘sole’ non glielo permette, e poi la sua tecnica è tutta
incentrata su Beatrice
(la sua Intuizione, Coscienza, Io Sono, Daath) e per lui non ne esistono
altre, in Lei e per Lei egli raggiunge la beatitudine.
E la virtù che lo sguardo
m’indulse,
del bel nido di Leda mi divelse,
e nel ciel velocissimo
m’impulse. 99
Le
parti sue vivissime ed eccelse
sì uniforme son, ch’i’ non
so dire
qual Bëatrice per loco mi scelse. 102
La
virtù che gli trasmette lo sguardo di Lei lo fa uscire
dal
bel nido di Leda, cioè
dalla costellazione dei Gemelli (identificati con Castore e Polluce,
figli di Leda e di Giove trasformatosi in cigno per sedurla; cfr.
Paradiso XXII vv.106-111) e lo spinge nel cielo più veloce (nel cielo
nono, Cristallino o Primo Mobile). Ma egli non sa dire in quale parte di
questo cielo l’abbia condotto, essendo tutto uniformemente vivissimo ed
eccelso.
Solo il riguardare negli occhi
Beatrice, conduce Dante dritto nel cielo successivo,
il maggiore e più
veloce dei cieli, nel cielo Cristallino o Primo Mobile.
Questo cielo nella Kabbalah corrisponde alla Sephirah Chockmah (=
Sapienza), questa parola è composta da ‘Koach’ e ‘mah’ che insieme
significano: ‘la potenzialità di ciò che è’ (Gabriella Samuel ‘Kabbalah’
Oscar Mondadori).
Ma
ella, che vedëa ’l mio disire,
incominciò, ridendo tanto
lieta,
che Dio parea nel suo volto
gioire: 105
«La
natura del mondo, che quïeta
il mezzo e tutto l’altro
intorno move,
quinci comincia come da sua meta; 108
e
questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che
s’accende
l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei
piove. 111
Ma Beatrice che vede il
suo desiderio, sorridente e così beata, tanto che in Lei sembra di
vedere la gioia della Stessa Divinità, dice: “L’organizzazione
dell’universo che tiene fermo il centro (la Terra) e muove intorno tutto
il resto, inizia qui come sua origine; questo cielo esiste solo nella
Mente divina; in Essa arde l’Amore che lo fa girare e la Virtù che esso
trasmette agli altri cieli...”
Nella Kabbalah
la Sephirah Chockmah,
essendo il primo aspetto della Divinità, è chiamata anche ‘Inizio’.
Essa è situata in cima al Pilastro maschile della Grazia nel
Triangolo Superno; è detta anche l’Intelligenza Illuminante; suo
appellativo è ‘Abba, il Padre Superno’; Chockmah fornisce a Binah,
sua reciproca ed interagente
la scintilla di luce, il ‘seme’, ed entrandole nel ‘grembo’, le fa
concepire le altre sette Sephiroth ( centri inferiori). Il nome divino
attribuito a Chockmah è ‘YHVH’, (jod-he-vav-he). Tale Nome simboleggia
tutto l’Albero: la ‘jod’ corrisponde a Chockmah, la ‘he’ a Binah; la
‘vav’ alle 6 Sephiroth Chesed-Geburah-Tiphereth-Netzach-Hod-Yesod e la
seconda ‘he’ a Malkuth. Tale Nome non dovrebbe, per rispetto, essere mai
pronunciato, in genere viene sostituito con
‘Adonai’ = ‘Mio
Signore’.
Luce e amor d’un cerchio lui
comprende,
sì come questo li altri; e quel
precinto
colui che ’l cinge solamente
intende. 114
Non
è suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da
questo,
sì come diece da mezzo e da
quinto; 117
e
come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri
le fronde,
omai a te può esser manifesto. 120
“... La Luce e
l’Amore (l’Empireo, Sede della Divinità) lo circondano ed esso circonda
gli altri (cieli), ma solo il Signore sa come ciò avviene. Il suo moto
non è causato, ma è causa del moto degli altri (cieli) come il dieci è
prodotto da 2x5; ormai devi aver capito che il tempo ha qui come in un
vaso le sue radici e negli altri cieli i rami...”
Nella
Bhagavad Gita canto XV vv. 1-2 è detto: ‘Il Signore disse: “Dicono (nel
Katha Upanisad 6,1) che l’eterno ‘Asvattha’ (l’Albero che non vede
l’indomani) abbia le radici in alto ed i rami in basso, le sue foglie
sono i Veda, colui che lo conosce, conosce i Veda (la Sapienza). In alto
e in basso si estendono i suoi rami nutriti dagli attributi, ed i suoi
germogli sono gli oggetti del senso; le sue radici che menano
all’azione, scendono in basso nel mondo degli uomini”...’ E’ indubbio
che tra questo ‘Asvattha’, l’Albero cabalistico e i cieli danteschi c’è
molta similitudine...cfr. in
www.taozen.it
Testi sacri ns/ ‘Commento alla Bhagavad Gita’.
Oh cupidigia, che i mortali
affonde
sì sotto te, che nessuno ha podere
di trarre li occhi fuor de
le tue onde! 123
Ben
fiorisce ne li uomini il volere;
ma la pioggia continüa
converte
in bozzacchioni le sosine vere. 126
“... Oh avidità che
domini i mortali a tal punto che nessuno riesce ad alzare gli occhi
verso il cielo! Certo, la volontà fiorisce nell’uomo, ma tu la rendi
putrida, come fa la pioggia continua che marcisce le buone susine.
L’avidità,
qelipah, scoria della Sephirah Chesed,
detta
anche Gedulah (= grandezza), contrasta proprio la volontà che dovrebbe
indirizzare l’uomo verso il Sé; quando prende il sopravvento sulla virtù
di cui è vizio, manda in malora tutti i frutti (buoni) dell’Albero.
Fede e innocenza son reperte
solo ne’ parvoletti; poi
ciascuna
pria fugge che le guance sian
coperte. 129
Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,
che poi divora, con la
lingua sciolta,
qualunque cibo per qualunque
luna; 132
e
tal, balbuzïendo, ama e ascolta
la madre sua, che, con
loquela intera,
disïa poi di vederla
sepolta. 135
“... Fede e innocenza che si
trovano nei bambini,
scompaiono allorché
essi diventano adulti. Uno finché è bambino digiuna, ma cresciuto,
divora qualunque cibo in qualunque periodo (anche in quaresima); uno
finché è bambino ama e ascolta la madre, ma cresciuto, magari desidera
vederla sepolta...”
Così si fa
la pelle bianca nera
nel primo aspetto de la
bella figlia
di quel ch’apporta mane e lascia
sera. 138
Tu,
perché non ti facci maraviglia,
pensa che ’n terra non è chi
governi;
onde sì svïa l’umana famiglia. 141
“...Così gli
uomini da bianchi diventano neri appena compare (la maga Circe, la
tentazione) la figlia di colui (il Sole) che viene col giorno e va via
alla sera (tra le varie interpretazioni di questa terzina abbiamo scelto
quella del Barbi). Ma tu non meravigliarti: sulla Terra al momento non
c’è un vero governante, perciò la famiglia umana si corrompe...”
Nella
personalità l’avidità (che può essere relativa al fisico, all’astrale o
al mentale) cresce col crescere dell’età, dei desideri (di cibo, di
emozioni, di potere ecc.) e delle tentazioni (Circe = falco, predatore),
e fa mutare l’Albero bianco (delle virtù) in albero nero (dei vizi) ma
ciò avviene perché la terra (la sephirah Malkuth) non è ‘governata’...
Ma
prima che gennaio tutto si sverni
per la centesma ch’è là giù
negletta,
raggeran sì questi cerchi
superni, 144
che
la fortuna che tanto s’aspetta,
le poppe volgerà u’ son le
prore,
sì che la classe correrà diretta; 147
e
vero frutto verrà dopo ’l fiore».
“...
Ma prima che il mese di gennaio cada fuori dell’inverno a causa del
centesimo di giorno che in terra non si conta (allora era in uso il
calendario giuliano) questi cieli emetteranno tali influssi che
ribalteranno la direzione errata della nave, essa tornerà a navigare
nella direzione giusta, e dopo il fiore verrà il vero frutto”.
...Ma prima o poi, per la Legge Divina,
i cieli faranno mutare l’orientamento della nave, l’energia dell’Albero,
giunta nel Malkuth, tornerà a scorrere verso la direzione giusta, cioè
verso l’alto, e i centri (le Sephiroth) prima fioriranno, e poi daranno
il loro vero frutto.
|