PARADISO - CANTO XXXI

 
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
www.taote.it
www.taozen.it
www.teatrometafisico.it

  

In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa; 3

ma l’altra, che volando vede e canta
la gloria di colui che la ’nnamora
e la bontà che la fece cotanta, 6

sì come schiera d’ape che s’infiora
una fïata e una si ritorna
là dove suo laboro s’insapora, 9

nel gran fior discendeva che s’addorna
di tante foglie, e quindi risaliva
là dove ’l süo amor sempre soggiorna. 12
In forma dunque di Candida Rosa si mostra al Nostro l’esercito dei beati (la Chiesa dei fedeli)  che Cristo ha eletto a Sua Sposa col Suo sangue; mentre l’altro (esercito delle gerarchie angeliche), che volando vede e canta la gloria di Colui che fa innamorare e la cui Bontà l’ha creato tanto numeroso, scende nel grande Fiore, ricco di infiniti petali, e poi risale Là nel Luogo dove soggiorna il suo Amore (la Divinità), come uno sciame d’api che prima si tuffa  nelle corolle e poi torna all’alveare.

 

La Candida (dal latino ‘candeo’ = rilucente come un ferro infuocato) Rosa (da radice sanscrita ‘vardh-as’ = germogliare) è la protagonista di questo canto, andiamo a scoprirne la simbologia. Dal ‘Floriario’ di A. Cattabiani ed. Mondadori  sintetizziamo: ‘La struttura concentrica della rosa evoca l’idea della ruota, l’eterno ciclo di vita-morte-vita... l’oculo a raggiera aperto nelle facciate delle chiese medievali, detto rosone, con in genere il Cristo o la Vergine al centro, è chiamato anche ‘rota’ e simboleggia l’Uno, da cui traggono origine il cosmo e il tempo... Il turbine dei petali verso il centro del bocciolo, quasi sfere concentriche rotanti, è un’immagine della manifestazione dell’Uno che si dispiega negli Archetipi... Il poeta sufi Gialal ad-Din Rumi (1207-1273) così scrive della rosa: “Ogni rosa pregna d’intenso profumo, narra, quella rosa, i segreti del Tutto”...Le rose sono il simbolo delle lingue di fuoco con cui lo Spirito Santo si manifestò agli Apostoli; un tempo, alla Pentecoste, durante la Messa, si facevano piovere rose sui fedeli; per questo tale festività era chiamata anche Pasqua rosa o rosata... Al Cristo è invece omologata La rosa d’oro in relazione a quanto dice Isaia (11,1)...

Il beato cardinale Newman (1801-1890) nella sua ‘Riflessione sul mese di maggio dedicato alla Vergine Maria’ scrive: Il profeta Isaia (11,1) dice: «Spunterà un virgulto dalla radice di Jesse, un fiore sboccerà dalla sua radice» . Chi può essere questo «fiore» se non il nostro Salvatore? E chi sarà il «virgulto», il vago stelo, il tronco, la pianta da cui sboccia il «fiore» se non Maria, Madre del Signore, Madre di Dio? Infatti nelle litanie la Vergine è detta la ‘Rosa Mystica’.

Sembra inoltre che s. Bernardo di Chiaravalle (che Dante incontrerà tra poco) abbia detto: ‘Eva spina, Maria rosa’ riassumendo quanto già scritto da Sedulio (poeta cristiano del V secolo): “... Così dalla stirpe di Eva uscì Maria tutta santa e la nuova vergine riparò l’errore della prima. Dalla Giudea spuntò Maria come dalle spine la Rosa”. E’ in onore della Rosa-Maria che dal sec. XII si è iniziato a ‘recitare il rosario’ (da rosaio), che vuol dire costruire simbolicamente un rosaio in onore della Rosa-Vergine Maria’...
Le facce tutte avean di fiamma viva
e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco,
che nulla neve a quel termine arriva. 15

Quando scendean nel fior, di banco in banco
porgevan de la pace e de l’ardore
ch’elli acquistavan ventilando il fianco. 18
Gli angeli delle Gerarchie hanno tutti il volto di fuoco, le ali d’oro e il resto così immacolato che nessuna neve può uguagliarne il candore. Scendendo di gradino in gradino effondono la pace e l’ardore che ricevono agitando le ali (volando fino al Signore).
Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore
di tanta moltitudine volante
impediva la vista e lo splendore: 21

ché la luce divina è penetrante
per l’universo secondo ch’è degno,
sì che nulla le puote essere ostante. 24

Questo sicuro e gaudïoso regno,
frequente in gente antica e in novella,
viso e amore avea tutto ad un segno. 27

Oh trina luce che ’n unica stella
scintillando a lor vista, sì li appaga!
guarda qua giuso a la nostra procella! 30
Il frapporsi di tanti esseri volanti (angeli) tra il disopra (l’Alto) e la Rosa non ostacola la Visione e la Luce, perché l’Illuminazione Divina penetra l’universo a seconda della dignità di chi La riceve, cosicché nulla può esserLe d’impedimento. Questo Regno ricolmo di fede e beatitudine, pieno di anime antiche e nuove (salvate con l’Antico e col Nuovo Testamento), ha l’attenzione e l’amore rivolti ad un’unica Meta. O Triplice Luce che, splendente, li appaghi in un’unica Stella! Volgiti a noi quaggiù (che siamo) in (continua) sventura!

 

Come già detto nel canto precedente immaginare la Rosa dei beati in un ‘Luogo’ in cui ci sia un disopra e un ‘disotto’, cioè un Alto e un basso, è impossibile perché questo Luogo è un Non-Luogo: ricordiamo che Dante guidato dalla sua Beatrice ha raggiunto ora l’Empireo, il Paradiso vero e proprio,  che possiamo considerare il decimo cielo, che contiene in realtà tutti gli altri e che abbiamo fatto corrispondere alla Sephirah Kether, la Corona (v. canto XXX vv. 38-45), ma questa Rosa, ‘Corolla fiorita’ piena di Vita, di tripudio, di Luce non è ancora la Meta, ma solo una preparazione a Quella; e ancora, pur nella visione beatifica, nel Nostro persiste il ricordo della terra, della miseria umana soggetta alla procella (alla sofferenza).
Se i barbari, venendo da tal plaga
che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
rotante col suo figlio ond’ ella è vaga, 33

veggendo Roma e l’ardüa sua opra,
stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali andò di sopra; 36

ïo, che al divino da l’umano,
a l’etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano, 39

di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e ’l gaudio mi facea
libito non udire e starmi muto. 42
Se i popoli barbari, scendendo dalla terra (dell’estremo nord) che vede sempre Elice che ruota con l’amato figlio,  giunti a Roma (dall’etrusco ‘Ruma’ = poppa, che dà nutrimento, forza) stupirono mirando la sua imponenza, e in particolare il Laterano (sede prima degli imperatori, poi dei papi) che vince ogni cosa mortale in magnificenza, allora Dante, il Discepolo sul Sentiero, che giunge dal mondo degli umani fino in Cielo, dal mondo del tempo al Mondo del senza-tempo, da una città  (corrotta) come Firenze alla perfezione del Paradiso, quanto si deve stupire! Certamente ricolmo di stupore e gioia, ora preferisce non udire e tacere.

 

Elice (= spirale) era una ninfa che, sedotta da Zeus, gli generò un figlio, Arcade; Era, gelosa, li tramutò in orsi, Artemide li colpì con i suoi dardi, ma Zeus li pose in cielo: lei come Orsa Maggiore, il figlio come Orsa Minore o costellazione di Boote. 

 Fiorenza (Firenze, la corrotta) torna (ancora! E nell’Empireo!) col suo doloroso ricordo ad amareggiare l’animo del Discepolo sul Sentiero; per fortuna è l’ultima volta (nel poema) e forse quella ‘voglia’ (libito) di non udire vuole essere solo il desiderio di non udirsi più inveire contro la propria città. Perdonare significa anche dimenticare, se non si dimentica non si è perdonato. Come ci si può presentare dinanzi al Signore senza aver perdonato? (Matteo 5, 23-24: ‘Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono’).
E quasi peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando,
e spera già ridir com’ ello stea, 45

su per la viva luce passeggiando,
menava ïo li occhi per li gradi,
mo sù, mo giù e mo recirculando. 48

Vedëa visi a carità süadi,
d’altrui lume fregiati e di suo riso,
e atti ornati di tutte onestadi. 51
Come il pellegrino che gode nel riguardare il tempio dove si è recato per  voto e spera di raccontarne le bellezze, così Dante scorre gli occhi su, giù e intorno per le gradinate della Rosa. Egli ammira i volti dei beati, a carità süadi (= persuasori di carità), illuminati dalla gioia propria e altrui, e i loro atteggiamenti, ricchi di ogni virtù.
La forma general di paradiso
già tutta mïo sguardo avea compresa,
in nulla parte ancor fermato fiso; 54

e volgeami con voglia rïaccesa
per domandar la mia donna di cose
di che la mente mia era sospesa. 57

Uno intendëa, e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti glorïose. 60

Diffuso era per li occhi e per le gene
di benigna letizia, in atto pio
quale a tenero padre si convene. 63
Lo sguardo del Nostro che ha abbracciato l’insieme del Paradiso, senza soffermarsi su qualcosa in particolare, ora di nuovo desideroso di sapere, si volge alla sua Donna per ricevere chiarimenti. La cerca, ma gli risponde un altro: egli crede di vedere Beatrice e invece vede un vecchio (s. Bernardo  1091-1153; fondatore dell’Abbazia di Chiaravalle; mistico riformatore, promotore del culto della Vergine) abbigliato gloriosamente (come gli altri beati). I suoi occhi e il suo volto (gena dal latino = guancia) irradiano benevola gioia, il suo atteggiamento è quello di un tenero padre.

 

il Discepolo sul Sentiero, incantato dalla visione celestiale della Luce di Kether, dopo averLa ammirata ed essersene per così dire nutrito, si volge alla Guida per spiegazioni, ma Beatrice non c’è più. Come già nel Paradiso terrestre Virgilio, la ragione, aveva lasciato il posto ad una guida più idonea, ed era stato sostituito da Beatrice, la facoltà intuitiva e coscienziale, ora  per l’Esperienza Ultima, anche questa facoltà deve essere messa da parte e ad essa deve subentrare una qualità ancora più sottile: la facoltà contemplativa, della non-Mente. Questa facoltà è impersonata da un sene (= vecchio) vestito con la stola bianca di gloria, pieno di letizia, pio e tenero padre (ricordiamo che uno dei Nomi attribuito a Kether è: ‘Antico degli Antichi’ o ‘Antico dei giorni’).
E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io.
Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro
mosse Beatrice me del loco mio; 66

e se riguardi sù nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai
nel trono che suoi merti le sortiro». 69

Sanza risponder, li occhi sù levai,
e vidi lei che si facea corona
reflettendo da sé li etterni rai. 72
Subito Dante gli chiede: “Dov’è Lei?” e quello: “Beatrice mi ha chiamato qui dal mio seggio per esaudire il tuo desiderio (di vedere il Signore); se guardi in sù nel terzo giro (dall’alto) La puoi rivedere sul trono che Le spetta per i suoi meriti”. Senza rispondere il Discepolo alza gli occhi e La vede che irradia (intorno a sé) una ‘Corona’ di luce eterna.

 

La Beatrice celeste di Dante, avendo adempiuto il suo compito, riprende ora il suo posto all’interno della Corona. Nell’Albero di Kether il ‘terzo cerchio’ a partire dall’Alto, cioè il terzo posto, dopo Chokmah e Binah dovrebbe essere proprio quello di Daath, la Sephirah che abbiamo sempre omologata a Beatrice, la facoltà intuitiva e coscienziale dell’Iniziato. Ma la ‘Candida Rosa’ è un Albero molto particolare, ha più di mille soglie (= gradini, cerchi; v. Paradiso canto XXX v.113) e nel prossimo canto avremo una spiegazione molto dettagliata della sua struttura.

Tutti noi abbiamo la nostra ‘Beatrice’ in Kether, ma siamo in grado di farla scendere sulla terra per ‘salvarci’? Per poterlo fare dobbiamo aver risvegliato la nostra ‘Beatrice’ (o il nostro ‘Beatore’) nel mondo fisico (Assiah), nell’astrale (Yetzirah) e nel mentale (Briah), e allora forse saremo in grado, dopo essere discesi nel nostro ‘inferno’ e aver risalito il monte del Purgatorio, di visitare i nostri dieci cieli, le dieci Sephiroth del Piano Spirituale, di Atziluth.
Da quella regïon che più sù tona
occhio mortale alcun tanto non dista,
qualunque in mare più giù s’abbandona, 75

quanto lì da Beatrice la mia vista;
ma nulla mi facea, ché süa effige
non discendëa a me per mezzo mista. 78
La parte più alta del cielo da dove nascono i tuoni, o l’abisso più profondo del mare non sono così lontani dagli occhi di un mortale quanto lo è (ora) Beatrice dagli occhi di Dante, ma la lontananza non è un ostacolo, perché (in Paradiso) non c’è l’aria in mezzo.

 

Ogni Sephirah del Kether di Atziluth ovvero dell’Adam Qadmon (v. canto precedente vv. 34-45) ha la sua corrispondenza nel Kether di ogni Sephirah di ogni piano e realizzare il Kether di una Sephirah, permette la fioritura di tutto l’Albero (‘un fiore ed è tutto fiorito’). Il maestro di Zen Zenkei dice a proposito della illuminazione ricevuta con la soluzione del problema posto da un ‘Koan’ (= una domanda su un problema che non ammette una soluzione intellettuale; la domanda è tale da scioccare l'intelletto e la risposta non ha un rapporto logico con la domanda): “Se ti apri un varco in un koan, in un attimo capisci centinaia e migliaia di koan... E` come tagliare una matassa di filo: un taglio ed è tutta tagliata”. (v. in www.teatrometafisico.it  copioni la ns/ riduzione teatrale del ‘Mumonkan’ di Zenkei Shibayama ed. Ubaldini)
«O donna in cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige, 81

di tante cose quant’ i’ ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute. 84

Tu m’hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt’ i modi
che di ciò fare avei la potestate. 87

La tua magnificenza in me custodi,
sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi». 90

Così orai; e quella, sì lontana
come parea, sorrise e riguardommi;
poi si tornò a l’etterna fontana. 93
“O Donna da cui la mia speranza trae vigore (vige dal latino ‘vigere’ = aver forza), che per la mia salvezza hai sopportato di lasciare le tue orme nell’inferno, io riconosco che le benedizioni e le virtù di ciò che ho sperimentato sono derivate dalla tua autorità e della tua bontà. Tu mi hai condotto dallo stato di schiavitù alla libertà, nei modi e per tutte le vie in tuo potere. Custodisci in me il tuo splendore cosicché l’anima mia, che hai risanato, (alla morte) si separi dal corpo in grazia (di Dio, come tu desideri)”. Così prega il Discepolo, e Quella, pur lontana come sembra, lo guarda e sorride, per tornare poi a immergersi nella Fonte senza tempo.

 

Il Montanari a proposito di questi versi dice: ‘Qui veramente Dante ha mantenuto la promessa fatta nell’ultimo capitolo della ‘Vita Nova’ di dire di lei ‘quello che no fu mai detto d’alcuna’: ha portato al culmine la sua glorificazione... a lei riconosce di dovere la propria libertà spirituale, la propria ascesa, ogni disposizione al bene maturata nello straordinario viaggio, ogni conquista spirituale raggiunta: Beatrice ora può solo aiutarlo a mantenere tali magnifici doni: e il sorriso e lo sguardo lontanissimo e insieme vicinissimo, di un’intimità imperterrita che non cede a distanza e spazio, è la più alta e insieme più umana glorificazione che Dante abbia immaginato in onore di Beatrice’ (citazione riportata da Domenico Muggia in ‘Nuove tavole dantesche – Paradiso’ ed. Cetim Bresso (Mi). Dal nostro punto di vista interiorizzato, la Beatrice celeste che riprende il suo posto nella Sephirah Kether (Corona), nella Corolla della Candida Rosa, come ‘Donna interiore’ dell’Iniziato assume su di sè anche il ruolo della Sephirah Binah (la Grande Madre) dell’Albero di Kether; a Lei come tale (a Beatrice come a Maria) è rivolta la richiesta più toccante: ‘prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte’.
E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi
perfettamente», disse, «il tuo cammino,
a che priego e amor santo mandommi, 96

vola con li occhi per questo giardino;
ché veder lui t’acconcerà lo sguardo
più al montar per lo raggio divino. 99

E la regina del cielo, ond’ ïo ardo
tutto d’amor, ne farà ogne grazia,
però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo». 102
Allora il santo Vecchio dice: “Per completare in perfezione il tuo viaggio, cosa di cui l’amore santo e le preghiere (della tua Donna) mi hanno incaricato, spazia con gli occhi su questo giardino celeste, perché vederlo preparerà la tua vista alla Visione Divina. E la Regina del Cielo, Maria, per la quale io ardo tutto d’amore, ci concederà ogni grazia, perché io sono il suo fedele Bernardo (= orso coraggioso)”.

 

In questo canto (vv. 32-33) viene nominata prima Elice che è l’Orsa Maggiore, e suo figlio che è l’Orsa minore, ed ora il  fedel Bernardo, il cui nome significa orso coraggioso. Andiamo allora a dare un’occhiata alla simbologia dell’‘orso’: J.C. Cooper nel suo ‘Dizionario degli  animali mitologici e simbolici’ ed. Neri Pozza, ci dice che l’orso è un animale sacro, sovrano degli animali, istruttore degli sciamani; esso rappresenta le potenze soprannaturali, la forza, la resistenza e, in quanto associato al miele, la dolcezza della verità; in Lapponia e in Siberia viene chiamato ‘il Vecchio’, ‘il Nonno’, il ‘Figlio del Capo’, è collegato al culto dei defunti e considerato non un animale, ma una reincarnazione della persona; in Giappone viene omologato alla benevolenza e alla saggezza, in Cina al coraggio e al vigore; anticamente nei paesi nordici all’inizio della primavera si celebrava la rinascita della natura con la danza ‘dell’orsa’, simbolo dell’amore materno e del rinnovamento della vita, perchè tale animale alla fine del letargo esce all’aperto con i cuccioli già nati.

Bernardo è dunque l’Orsa-o dantesco, e rappresenta il suo ‘Antico dei giorni’ che solo, attraverso la ‘Contemplazione’, conduce alla Visione del Signore; in Lui si raccoglie ogni esperienza contemplativa della vita (o delle vite) passate che abbia prodotto ‘Oro’ (miele), Saggezza, Verità, Rinnovamento. Egli sa che per giungere alla Visione dell’Assoluto bisogna chiedere la grazia alla ‘Madre’, alla Grande Madre (Binah), cioè diventare come Lei tutta Comprensione, tutta Ricettività, come lo è stata Maria la Madre del Cristo.
Qual è colui che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per l’antica fame non sen sazia, 105

ma dice nel pensier, fin che si mostra:
’Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
or fu sì fatta la sembianza vostra?’; 108

tal era io mirando la vivace
carità di colui che ’n questo mondo,
contemplando, gustò di quella pace. 111
Come forse fa colui che dalla Croazia (= terra dei monti lontani) viene a vedere la nostra Veronica e, per averlo tanto desiderato, la rimira di continuo dicendo: “Mio Signore Gesù Cristo, vero Dio, era così il Tuo Volto?”, così Dante guarda s. Bernardo, colui che già in terra gustò la pace celeste con la contemplazione.

 

La Veronica (= dal greco ‘ferenice’ = portatrice di vittoria; ma anche ‘vera icon’ = immagine vera) è un ‘velo’ conservato nella Basilica di s. Pietro in Roma. Una delle tante leggende al riguardo dice che Veronica, una donna, forse l’emoroissa guarita (v. vangelo di Matteo 9, 20-22), incontrò Gesù sulla salita del Calvario e Gli asciugò il sudore con quel panno; la reliquia fu poi portata a Roma per ordine di Tiberio (42 a. C. – 37 d. C.) gravemente ammalato, che ne fu risanato.

‘Contemplare’ significa fissare il contenuto del pensiero (astraendosi dal mondo circostante) in una visione interiore, in una meditazione (G. Devoto e G. C. Oli); e anche: fissare tanto il pensiero nelle cose divine che non si curi altro nel mondo, e quelle sole ci siano di consolazione e diletto; e ancora: sollevare lo sguardo e il pensiero verso una cosa, che desti meraviglia o riverenza e affissarcisi con atto prolungato e intenso (www.etimo.it ).

Bernardo, facoltà contemplativa del Discepolo, racchiude in sè tutte queste definizioni, egli è l’ultimo maestro, l’ultima guida, l’ultimo supporto per giungere alla Meta, e occorre ancora seguire i suoi consigli, dopo di lui ci sarà solo il Silenzio.
«Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo»,
cominciò elli, «non ti sarà noto,
tenendo li occhi pur qua giù al fondo; 114

ma guarda i cerchi infino al più remoto,
tanto che veggi seder la regina
cui questo regno è suddito e devoto». 117
E s. Bernardo comincia a dire: “Figlio della Grazia, non conoscerai (appieno) questa beatitudine se manterrai l’attenzione sulla parte inferiore (della Rosa); ma volgi lo sguardo fino al suo cerchio più alto, Là dove risiede la Regina di questo Regno (il Paradiso), formato da sudditi a Lei devoti”.

Io levai li occhi; e come da mattina
la parte orïental de l’orizzonte
soverchia quella dove ’l sol declina, 120

così, quasi di valle andando a monte
con li occhi, vidi parte ne lo stremo
vincer di lume tutta l’altra fronte. 123
Allora il Discepolo alza gli occhi e, come al mattino l’oriente (dove sorge il sole) supera (in luminosità) l’occidente (dove il sole tramonta), così egli, salendo con gli occhi dal basso in sù, vede un punto nella parte più alta superare in splendore tutto il rimanente cerchio.

 

La ‘contemplazione’ si realizza nella Comprensione (Maria), ‘fissando lo sguardo sempre più in sù’, questo è l’insegnamento di Bernardo, l’Antico: essere totalmente ricettivi andando ‘Oltre’.

E come quivi ove s’aspetta il temo
che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,
e quinci e quindi il lume si fa scemo, 126

così quella pacifica oriafiamma
nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte
per igual modo allentava la fiamma; 129

e a quel mezzo, con le penne sparte,
vid’ io più di mille angeli festanti,
ciascun distinto di fulgore e d’arte. 132
E come (sulla terra) s’infiamma di più il punto in cui si aspetta il Sole, del cui carro Fetonte (v. inferno canto XVII, v.107) non riuscì a guidare il temo (il timone), mentre ai lati la luce scema, così quella oriafiamma (= vessillo di seta rossa con una fiamma in campo d’oro) di pace è risplendente al centro, e meno ai lati; e all’intorno con le ali aperte ci sono più di mille angeli in festa, ciascuno diverso per bellezza e compito.

Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
ridere una bellezza, che letizia
era ne li occhi a tutti li altri santi; 135

e s’io avessi in dir tanta divizia
quanta ad imaginar, non ardirei
lo minimo tentar di sua delizia. 138

Bernardo, come vide li occhi miei
nel caldo suo caler fissi e attenti,
li suoi con tanto affetto volse a lei, 141

che ’ miei di rimirar fé più ardenti.
 

Lì ai loro giochi e canti Dante vede gioire Quella Bellezza (Maria) che è motivo di letizia per tutti i beati. Se egli avesse tanta dovizia di parole quanta ne è possibile immaginare, non oserebbe tentare di descrivere neanche una piccolissima parte di quella meraviglia. Allorché Bernardo vede gli occhi del Discepolo fissi in Quella Luce, vi rivolge anche i suoi e con tale amore da rendere quelli di Dante ancora più desiderosi di rimirarLa.  

 

La Regina del Cielo, Binah di Kether, Maria (= l’amata dal Signore) è descritta come una oriafiamma, emblema di Pace in cui fuoco (Amore) e oro (Sapienza) risplendono; è circondata da più di mille angeli festanti (mille è il numero della perfezione, relativo al Cristo) che giocano e cantano la sua Magnificenza; quando finalmente gli occhi del Discepolo si fissano in Lei la Contemplazione ha inizio.



Indietro