PARADISO - CANTO XXXIII
«Vergine
Madre, figlia del tuo figlio,
Prima di giungere alla Visione Ultima,
cuore dell’esperienza dantesca, vorremmo porre l’attenzione sul fatto
che molti giovani credono di poter avere ‘esperienze mistiche’ assumendo
‘droghe’ (= sostanze capaci di alterare l’equilibrio psico-fisico di chi
le assume). “Drogandosi si hanno esperienze mistiche indotte
meccanicamente (fratture psichiche). La differenza tra un’esperienza
mistica e una ‘frattura psichica’ è questa: chi ha un collasso psichico
annega in quella stessa acqua in cui il mistico nuota”. (da ‘Il potere
del mito’ di Joseph Campbell ed. Tea).
Aldilà dei significati legati alla devozione
mariana del Poeta Dante mirabilmente espressi e commentati quasi
altrettanto mirabilmente nei secoli, significati relativi alla
concezione cristiana della figura storica di Maria Vergine, madre di
Gesù Cristo, Figlio di Dio, proclamata per dogma ‘Immacolata Concezione’
dal papa Pio IX l’8/12/1854 e poi, sempre per dogma, ‘Assunta in Cielo’
del papa Pio XII l’1/11/1950, dogmi che non hanno fatto altro che
ufficializzare le secolari credenze dei fedeli al riguardo, aldilà di
tutto ciò, che condividiamo ed apprezziamo, ora noi cercheremo, come al
solito, di interiorizzare anche l’ultima scena dell’ultimo atto della ‘Comedia’.
Se la ‘Vergine
Madre’ rappresenta la Grande Madre Binah, di Lei si può dire che è
figlia di
suo
figlio
in quanto, in relazione all’Albero, nella discesa della Shekinah, Binah
interagendo con Chokmah, genera Daath (e tutte le altre Sephiroth) ed è
quindi ‘Madre’ ma, nella risalita della Shekinah (così come è avvenuto
nel viaggio di Dante) egli giunge a Lei e alla Sua conoscenza solo
attraverso Daath; ed in questo senso Ella ne è ‘Figlia’. Se poi si
considera la ‘Grande Madre’ come il ‘Principio femminile, ricettivo’
nella personalità umana, sappiamo che solo Daath, la Coscienza, è in
grado di ‘fecondarla’ e in tal caso essa diventa l’Amata: quindi Madre,
Figlia e Sposa. Maria è poi definita da Dante
termine fisso (cioè
punto di riferimento) per la Redenzione dell’umanità; che l’uomo
partecipi alla Redenzione è proprio quanto richiesto dal ‘Tikkun’ (=
riparazione spirituale del mondo), essendoci stata una ‘shevirah’ (=
caduta o rottura dei vasi) in Geburah, nella colonna ricettiva, lì deve
avvenire la riparazione, individuale e collettiva (v. in
www.taozen.it
Testi sacri ‘Commento alla Genesi’ 3, 14-15).
Allorché la Coscienza Daath (il Cristo interiore)
si sviluppa nella natura umana (la Vergine, Malkah) fecondata dall’Amore
(lo Spirito Santo, la Grazia), dopo la discesa agli inferi (per la
conoscenza di se stessi con la riconversione dell’energia delle
qelipoth) e dopo la risalita del Purgatorio (la purificazione delle
Sephiroth), avvenute con l’ausilio della ragione (Virgilio), la
personalità può prendere contatto per mezzo dell’intuizione (Beatrice),
con i cieli del Paradiso (le Sephiroth purificate) e realizzare la
fioritura della Candida Rosa (la Sephirah Kether, la Corona), che
permette con la contemplazione (s. Bernardo) la Visione della Divinità.
La ‘Comprensione spirituale’, la Sephirah Binah dell’Albero di Ketker, è
il ‘mezzo’ (Binah deriva da ‘bein’ = mezzo) ultimo
indispensabile
che attua il contatto tra tutto quello che è al di sopra di Lei
(l’Assoluto) e quello che è al di sotto di Lei (il resto dell’Albero).
La Sephirah Binah come ‘Madre’ ha generato tutte le
Sephiroth sotto di Lei (nella discesa della Shekinah) e come ‘Figlia’ ne
ha recuperate tutte le virtù (nella risalita della Shekinah): perciò in
Lei sono
misericordia
(Chesed),
pietà
(Tiphereth) e
magnificenza
(Hod), e tutte le altre ‘virtù’ del piano fisico,
dell’astrale, del mentale e del Piano Spirituale.
Dante, Discepolo sul Sentiero che ha percorso tutto
l’Iter, ora giunto all’Esperienza Ultima
supplica
(dal latino ‘sub’ e ‘plex’ = in ginocchio) la Grande Madre di essere per
lui Comprensione e Mezzo di Realizzazione, cioè di esprimere tutta Se
Stessa: ‘Binah’.
Ancor ti
priego, regina, che puoi La facoltà
contemplativa del Discepolo, cioè la facoltà che permette di fissare
l’attenzione sulle cose divine e provarne consolazione e diletto, S.
Bernardo (per il significato del nome v. commento al canto XXXI vv.
94-102), prega poi la Grande Madre con tutto se stesso e conclude la
preghiera con la richiesta
di conservare sani gli affetti suoi
perché dopo l’esperienza della Visione non cada in superbia; alla sua
preghiera si uniscono quelle mute dei beati e di Beatrice: tutta la
Candida Rosa (Kether, Corona) chiude
le mani
in orazione (fa ‘corona’ nella Corona) per favorire, fissare e sigillare
la sua Ultima ‘Comprensione’.
Termina qui
la Visione dantesca di Maria.
Vogliamo ora
ricordare quello che s. Teresa d’Avila (1515-1582) ha descritta nelle
‘Opere complete’ -libro della vita- pagg. 378-379 ed. Paoline: ‘...Il
giorno dell’Assunta, stavo meditando sui molti peccati che avevo
confessato... allorché fui presa da un rapimento così grande che mi
trasse quasi fuori di me... mentre ero in questo stato mi sembrò di
vedermi rivestire di una veste bianchissima e splendente e al principio
non vidi chi me la ponesse. In seguito scorsi alla mia destra Nostra
Signora... vestita che fui e piena di grandissima felicità e gioia ...mi
parve che Nostra Signora mi prendesse le mani dicendomi che la
fondazione del monastero da me desiderata si sarebbe fatta... che già
suo Figlio ci aveva promesso di stare sempre con noi; come pegno che ciò
si sarebbe avverato, mi dava un gioiello. Mi parve infatti che mi
mettesse al collo una bellissima collana d’oro... Anche se non potei
distinguere nessuna delle sue fattezze in particolare, ma solo vederne
nel complesso la forma del viso, la bellezza di Nostra Signora era
straordinaria, così vestita di bianco, con grandissimo splendore, non
abbagliante, ma soave....’. Riportiamo
poi anche un brano tratto dall’ ‘Autobiografia di uno Yogi’ ed.
Astrolabio (v. in
www.teatrometafisico.it
copioni (ns/ riduzione teatrale):
Il giovane Yogananda è
in visita dal Maestro
Mahasaya, il "Devoto estatico", che è andato ad abitare nella stessa
casa che era stata quella in cui era morta sua madre e lo trova immerso
in meditazione.
Yogananda:
(si inchina) Signore,
posso parlarvi?
Mahasaya:
Siediti, ma aspetta
un poco, ti prego, sono in colloquio con la Madre Divina.
Yogananda: (al pubblico) Quella frase mi colpì terribilmente, mi
sentii disperato perché doppiamente orfano... avevo perduto la mia madre
naturale ed ero assolutamente incapace di sentire quella Celeste...
(cade in ginocchio davanti al Maestro) Santo Signore, intercedete per
me, chiedete alla madre Divina se posso sperare nella sua clemenza!
Mahasaya: (rimane alcuni minuti in silenzio, poi:) Supplicherò
per te l'Amata. (musica)
Yogananda: (al pubblico) Quella sera
nel piccolo attico che abitavo da studente, in meditazione, l’oscurità
della calda notte indiana si illuminò ad un tratto di una meravigliosa
visione: circondata da un alone luminoso, la Madre Divina era davanti a
me. Il suo viso teneramente sorridente era la bellezza stessa, e mi
disse: "Sempre ti ho amato e sempre ti amerò", mentre gli accenti
celestiali ancora vibravano nell’aria, Ella scomparve.
La mattina dopo
tornai dal maestro per ringraziarlo (si inchina a Mahasaya)....’
Ed ecco la visione della Grande Madre di Shri Ramakrishna
(1836-1886) tratta da ‘Alla ricerca di Dio’ ed. Ubaldini: ‘... un
giorno, in uno stato di spirito perfettamente normale e per nulla in
estasi, vidi tutto ad un tratto apparire dinanzi a me la forma luminosa
di una donna infinitamente graziosa. Il suo splendore illuminava tuttto
ciò che la circondava... lentamente essa avanzò verso di me con il suo
sguardo benevolo costantemente fisso su di me... compresi in un lampo
che doveva essere Sita, la cui intera vita si era svolta vicino a
Rama... sommerso dall’emozione, stavo per prosternarmi ai suoi piedi,
chiamandola ‘Madre’, quando essa entrò nel mio corpo, dicendomi che mi
trasmetteva il sorriso che era sulle sue labbra...’
A proposito delle varie esperienze
spirituali nelle varie religioni riportiamo un brano tratto da
‘L’immaginazione creatrice’ di Henry Corbin (1903-1978) Editori La
Terza, pagg. 55-56 che ci sembra particolarmente chiarificante:
‘La ‘direzione’ di Khezr (= il Maestro interiore)... conduce
ciascuno alla sua propria teofania di cui ciascuno è testimone peculiare
perché essa corrisponde al proprio “Cielo interiore” alla forma propria
del suo essere, alla propria individualità eterna....alla “parte
concessa” a ciascuno degli Spirituali... che è la parte dei Nomi divini
di cui ognuno di loro viene investito, il Nome sotto il quale egli
conosce il suo Dio e sotto il quale il suo Dio lo conosce, secondo la
corrispondenza del Signore d’amore e del suo vassallo... Si tratta di
questo: la Forma sotto la quale ciascuno Spirituale conosce Dio è anche
la forma sotto la quale Dio si rivela a se stesso in lui...’
E io ch’al
fine di tutt’ i disii Riportiamo
qui anche la descrizione della prima esperienza di Coscienza Cosmica di
Paramahansa Yogananda
(1893-1952) tratta
dall’ ‘Autobiografia di uno Yogi’ (idem): ‘Yogananda:
Tornato da Sri Yukteswar, dopo avergli chiesto perdono, ebbi, per sua
grazia, un'esperienza di Coscienza Cosmica: mi toccò lievemente il
petto, sopra il cuore, ed ecco che non respiravo più, anima e mente
persero i loro vincoli fisici e uscirono come un'ondata di fluida e
penetrantissima luce da ogni poro. Una luce gloriosa si espandeva sempre
di più dentro di me e cominciò ad avviluppare città, continenti, tutta
la terra, i sistemi solari e stellari, le nebulose e i fluttuanti
universi... l'intero cosmo fluttuava nell'infinità del mio essere...
conobbi il centro dell'empireo quale punto di percezione intuitiva nel
mio cuore. Udii la Voce creativa di Dio risuonare come Om, la vibrazione
del motore cosmico.
Sri Yukteswar mi
insegnò come richiamare a volontà la felice esperienza e come
trasmetterla ad altri...’
E’ mi
ricorda ch’io fui più ardito Ecco quello
che Krisna dice ad Arjuna di Se Stesso, l’Uno o il Molteplice, nel canto
IX della Bhagavad Gita vv. 13-19 (v. in
www.taozenn.it
Testi sacri il ns/ relativo commento):
“...Ma i Mahatma, dotati di natura
divina, con la mente fissa soltanto in Me, Mi adorano conoscendomi come
Causa indistruttibile di ciò che esiste... Ed altri pure, offrendo il
sacrifizio della sapienza, Mi adorano come l’Uno, o il Diverso, o il
Molteplice, dagli innumerevoli volti. Io Sono il Kratu, il Yajna, il
Svadra (tre specie di sacrifizi prescritti nelle Scritture indiane); Io
Sono la virtù delle erbe; Io il Mantra (la preghiera), Io il grasso del
sacrificio, Io Sono il fuoco, Io l’oblazione. Di tutto questo universo
Io Sono il Padre, la Madre, il Creatore e l’Avo; Io Sono il fine della
Sapienza, la Potenza purificatrice, Io Sono l’Om; Io il Rig, il Sama, il
Yajur (i tre principali Veda); la Mèta, il Sostenitore, il Signore, il
Testimonio; Io Sono la Dimora, il Rifugio, l’Amico, l’Origine, la
Dissoluzione, il Sostegno, il Ricettacolo, il Seme imperituro. Sono la
causa del calore, mando e arresto le piogge, sono l’immortalità e anche
la morte; Io sono l’Esistenza e la Non-esistenza, o Arjuna’. Nel ‘La nube
dell’inconoscenza’ (di anonimo inglese XIV sec. d. C.) - Piero Gribaudi
Editore, a pag. 26 troviamo: ‘Dio e solo Dio può appagare pienamente la
fame e la brama del nostro cuore che, trasformato dalla Sua grazia
redentrice, è in grado di comprenderlo attraverso l’amore... Nessuno
riesce a comprendere pienamente il Dio increato con la conoscenza, ma
ogni uomo può afferrarlo attraverso l’amore, anche se in maniera diversa
a seconda degli individui. Il perenne miracolo dell’amore è proprio
questo: una persona ricca d’amore può, attraverso tale suo amore,
abbracciare quel Dio che riesce ad appagare in maniera sovrabbondante
l’intera creazione. E tale miracolo continuerà senza fine, perché Colui
che amiamo è eterno...’ S. Teresa
d’Avila (‘Opere complete’ idem, pagg. 1036-37) dice: ‘...Quel che conta
è il fatto che il Signore la unisca a Sé (l’anima), ma lo fa rendendola
cieca e muta, come s. Paolo nel momento della conversione e togliendole
la possibilità di rendersi conto della grazia di cui gode... qui la cosa
è diversa: il nostro buon Dio vuole ormai levarle le squame dagli occhi,
affinché veda e comprenda qualcosa della grazia che Egli le concede, ma
in modo singolare. Una volta che essa sia introdotta in questa mansione
per mezzo di una visione intellettuale, tutt’e tre le Persone della
Santissima Trinità le si mostrano per una certa rappresentazione della
verità nel divampare di un incendio che investe subito il suo spirito
come una nube risplendente. Le tre Persone si vedono distintamente e
l’anima per una nozione ammirabile che le viene comunicata, comprende
con assoluta certezza che tutt’e tre sono una sola sostanza, una sola
potenza, una sola sapienza, un solo Dio. Così ciò che crediamo per fede,
l’anima qui lo percepisce, si può dire, con la vista, anche se non si
vede nulla né con gli occhi del corpo, né con quelli dell’anima, perché
non si tratta di visione immaginaria... lo stupore di quest’anima cresce
sempre di più, perché le sembra che da allora le tre divine Persone non
l’abbiano mai abbandonata, anzi vede chiaramente che stanno dentro di
lei; essa sente questa divina compagnia nella parte più intima, come in
un abisso molto profondo, che non sa spiegare...’ Riportiamo
ora due teofanie tratte dall’Antico Testamento (v. in
www.teatrometafisico.it
copioni, sceneggiature bibliche (Mosè ed Elia) le relative
interpretazioni cabalistiche).
Da
Esodo 3, 1-14: ‘Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero
... e arrivò al monte del Signore, l’Oreb. L’angelo del Signore gli
apparve in una fiamma di fuoco in mezzo ad un roveto. Egli guardò ed
ecco: il roveto ardeva nel fuoco ma quel roveto non si consumava. Mosè
pensò: ‘Voglio avvicinarmi a vedere questo meraviglioso spettacolo:
perché il roveto non brucia?’ Il Signore vide che si era avvicinato per
vedere e Dio lo chiamò dal roveto: “ Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi”.
Riprese: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo
sul quale tu stai è una terra santa!” E disse: “Io Sono il Dio di tuo
padre, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”. Mosé allora si velò il
viso, perché aveva paura di guardare verso Dio...’. Da 1Re 19, 9-14: ‘... Là entrò in una
caverna per passarvi la notte, quand’ecco che il Signore gli disse: “Che
fai qui, Elia?” Egli rispose: Sono pieno di zelo per il Signore degli
eserciti, perché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno
demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono
rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”. Gli fu detto: “Esci
e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ecco, il Signore passò.
Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le
rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento
ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il
terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco
ci fu un mormorio di un vento leggero. Come l’udì Elia si coprì il volto
con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco
sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui Elia?”. Egli rispose: “Sono
pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, perché gli Israeliti
hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno
ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di
togliermi la vita”.
(Come la condizione del Nostro
somiglia a quella di Elia!). Alla ‘fantasia’ giunta tanto in alto
manca ora la forza (per seguitare); ma a questo punto, come una sfera
mossa ordinatamente, la volontà e il desiderio dell’Iniziato sono
guidati solo da Chi muove il sole e l’altre stelle. FINE
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