PARADISO - CANTO IV
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Intra due cibi, distanti e moventi
modo, prima si morria di fame, liber'omo l'un recasse ai denti; 3
sì si starebbe un
agno intra due brame
di fieri lupi, igualmente temendo;
sì si starebbe un cane intra due dame: 6
per che, s’i’ mi
tacea, me non riprendo,
da li miei dubbi d’un modo sospinto,
poi ch’era necessario, né commendo. 9
uomo posto alla stessa distanza tra
due cibi ugualmente invitanti potrebbe morire di fame prima di gustarli;
allo stesso modo starebbe un agnello in terrore tra l’avidità di due
lupi; e così pure un cane tra due daini (senza decidere quale
inseguire); perciò Dante non si loda né si rimprovera di tacere,
sollecitato da (due) dubbi (e impedito a scegliere).
Abbiamo qui una raffigurazione
dell’Archetipo del Bivio (v. in
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la
Lezione-spettacolo relativa), Archetipo che si ripresenta regolarmente
ad ogni livello di coscienza tutte le volte che ci si trova davanti ad
una scelta; prima di compierla è sempre opportuno fermarsi a riflettere:
la pausa, prima di una selezione, la rafforza, la mette in rilievo e la
chiarifica.
Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto
m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,
più caldo assai che per parlar distinto. 12
Fé sì Beatrice qual
fé Danïello,
Nabuccodonosor levando d’ira,
che l’avea fatto ingiustamente fello; 15
e disse: "Io veggio
ben come ti tira
uno e altro disio, sì che tua cura
sé stessa lega sì che fuor non spira. 18
Nostro tace dunque, ma ha il
desiderio e le domande dipinte sul viso, più palesi che se parlasse.
Beatrice si comporta con lui come
Daniele
(= giudice divino) con
Nabuccodonosor
di
cui placò l’ira che l’aveva reso feroce (v. in
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appuntamenti –
ns/ commento cabalistico a ‘Daniele cap. 2’) e dice: “Io vedo bene come
due ansie di conoscenza ti turbano tanto da
non farti
esprimere…”
La personalità (Malkuth) che ha il
‘dono’ di colloquiare con il suo Sé interiore non deve far altro che
tacere ed aspettare, rimanendo tutta concentrata in Tiphereth-Daath (la
sua Beatrice, centro cuore-mente), riceverà le risposte che chiariranno
i suoi dubbi e la illumineranno. A questo proposito ricordiamo il
personaggio di Don Camillo di Giovanni Guareschi (v. ns/ interpretazione
cabalistica del film ‘Don Camillo’ in
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cineforum) che
quando ascolta in umiltà e sincerità il suo ‘Cristo’ diventa vero
sacerdote e vero pastore delle sue pecorelle (bianche e rosse), e con i
suoi colloqui semplici ed immediati riesce sempre a farci comprendere
come il ‘Figlio di Dio’ non sia un qualcosa di irraggiungibile ed
astratto ma una Presenza continuamente a noi vicina perché dentro di
noi.
Tu argomenti: "Se ’l buon voler dura,
la vïolenza altrui per qual ragione
di meritar mi scema la misura?". 21
Ancor di dubitar ti
dà cagione
parer tornarsi l’anime a le stelle,
secondo la sentenza di Platone. 24
Queste son le
question che nel tuo velle
pontano igualmente; e però pria
tratterò quella che più ha di felle. 27
Tu pensi: ‘Se la buona volontà
persiste (nel mantenere il voto), perché la violenza di un altro (che
impedisce di mantenere il proposito) diminuisce il merito?’ E poi ti fa
dubitare il fatto che le anime (dopo la morte) tornino alle stelle
proprio secondo la tesi di
Platone
(= dal greco ‘platis’ = ampio, grande). Questi sono i due dubbi che ti
assillano. Prenderò prima in considerazione (questo secondo dubbio
perché)
il
più pericoloso (per la fede)…”
D’i Serafin colui che più s’india,
Moïsè, Samuel, e quel Giovanni
che prender vuoli, io dico, non Maria, 30
non hanno in altro
cielo i loro scanni
che questi spirti che mo t’appariro,
né hanno a l’esser lor più o meno anni; 33
ma tutti fanno bello
il primo giro,
e differentemente han dolce vita
per sentir più e men l’etterno spiro. 36
Anche il
Serafino
(= luce ardente, splendente) più vicino alla Divinità e
Moïsè
(= salvato) e
Samuel
(= il Signore ascolta) e
Giovanni
(= dono del Signore; sia il Battista che l’Evangelista) e pure
Maria
(la Signora, la Madre), tutti quanti hanno la loro sede nello stesso
cielo di questi spiriti che hai veduto e sono beati per la stessa
eternità; tutti adornano il primo cielo, l’Empireo, la loro beatitudine
è diversa perché diversamente sentono l’Amore divino…”
In Atziluth, mondo Spirituale o
Causale, dove il male non ha possibilità di esistenza, pure nella
differenziazione delle varie Emanazioni (Sephiroth che ricaviamo dai
significati dei nomi elencati) Chockmah (Serafino),
Yesod (Moïsè),
Chesed
(Samuel), Thiphereth
(Giovanni),
Binah (Maria)
ecc., tutto è Uno e la beatitudine è totale per ogni parte del Tutto,
pure se si manifestata in modi diversi, come un arcobaleno che della
luce mostra i colori, o un’armonia musicale che si esprime in note, o
una danza in movimenti. Qui si
mostraro, non perché sortita
sia questa spera lor, ma per far segno
de la celestïal c’ ha men salita. 39
Così parlar
conviensi al vostro ingegno,
però che solo da sensato apprende
ciò che fa poscia d’intelletto degno. 42
Li hai potuti vedere qui (nel cielo
della Luna), non perché stanno proprio qui, ma per intendere che la loro
condizione spirituale è la meno alta. Per l’umana comprensione, che si
basa sul sensibile, è necessario questo linguaggio, adattato al vostro
intelletto…”
Il Nostro usa la ‘finzione poetica’
di far discendere le anime dall’Empireo nei vari cieli per poterci
colloquiare e per costruire un ‘Paradiso’ in simmetria con le altre due
cantiche, ma ovviamente
espressioni come alto o
basso, sopra o sotto, prima e dopo, ecc. nel mondo del senza tempo e del
non-spazio possono solo servire da metafora per rendere comprensibile a
noi qualcosa che senza l’intuizione sarebbe incomprensibile. L’Albero
cabalistico con la sua struttura costante nei quattro livelli di
coscienza (così in basso come in Alto) riesce per analogia a farci
scorgere con gli occhi dell’intelletto quello che altrimenti non
potremmo mai percepire.
Per
questo la Scrittura condescende
a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio e altro intende; 45
e Santa Chiesa con
aspetto umano
Gabrïel e Michel vi rappresenta,
e l’altro che Tobia rifece sano. 48
E’ questo il motivo per cui il Testo
Sacro, adattandosi alle vostre esigenze, attribuisce al Signore ‘piedi e
mani’, ma intende altro; e la Chiesa rappresenta gli angeli
Gabrïel
(= Forza divina) e
Michel (= Potenza
divina) e quello che guarì
Tobia
(= caro al Signore), cioè l’angelo Raffaele (= Guarigione divina) con
l’aspetto umano…”
Nel libro di Ezechiele (cap. 1, 5-21)
la descrizione del Cocchio divino, ripresa poi da Giovanni per il Trono
celeste (Apocalisse cap. 4, 6-11), fotografa l’Indescrivibile, ma le
parole, come dice Dante, intendono
altro.
Quando nel libro di Daniele (9, 20-27) o nel vangelo di Luca (1, 26-38)
si narra dell’angelo Gabriele, e ancora nel libro di Daniele (12, 1) e
nell’Apocalisse di Giovanni (12, 7-8) si nomina l’angelo Michele, e nel
libro di Tobia si racconta tutta la storia dello stesso Tobia, di suo
figlio Tobi e di Sara soccorsi dall’angelo Raffaele (‘…uno dei sette
angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del
Signore’ Tb. 12, 15), queste ‘Potenze’ sono descritte come figure umane,
ma si capisce bene che si tratta solo di un loro adattamento al piano
della manifestazione fisica, e che il ‘personaggio’ (dal greco
‘prosopon’= maschera)
che esse
assumono per mostrarsi, non è altro che un occultamento della loro Luce
altrimenti troppo abbagliante. Allorché una Sephirah o ‘Potenza’, come
nei casi succitati, si rivela all’Iniziato (o a chi ne ha la stessa
qualifica), si verifica in lui un tale ampliamento di Coscienza da
mutarlo al punto che non sarà mai più lo stesso, si pensi alle
conseguenze delle apparizioni della Vergine Maria (la Grande Madre
Cosmica) ai veggenti di Lourdes (1858), di Fatima (1915-17), o di
Medjugorie (1981…) ecc..
Quel che Timeo de l’anime argomenta
non è simile a ciò che qui si vede,
però che, come dice, par che senta. 51
Dice che l’alma a la
sua stella riede,
credendo quella quindi esser decisa
quando natura per forma la diede; 54
e forse sua sentenza
è d’altra guisa
che la voce non suona, ed esser puote
con intenzion da non esser derisa. 57
Quello che Platone (filosofo greco
incontrato nel Limbo - inferno IV, v. 134) dice nel Timeo
(titolo
di uno dei suoi Dialoghi, filosofo pitagorico di Locri), è che l’anima
proviene dalle stelle e, caduta da quelle quando ha preso il corpo, a
quelle ritorna. Ma forse intende dire in un senso diverso da quello che
appare…”
Abbiamo
qui affrontato e risolto in modo molto semplice (e sbrigativo) il
problema della preesistenza dell’anima e quindi della possibilità della
reincarnazione: Platone (e chi la pensa come lui) si sbaglia, oppure
quello che dice va inteso altrimenti.
S’elli intende
tornare a queste ruote
l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse
in alcun vero suo arco percuote. 60
Questo principio,
male inteso, torse
già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
Mercurio e Marte a nominar trascorse. 63
Se egli intende dire che il merito o
il demerito degli influssi è da attribuirsi a quei cieli, forse ha
ragione in qualche modo. Questa teoria degli influssi, male intesa, ha
causato molti errori nel mondo che ha cominciato a chiamare gli astri
con i nomi di Giove
(= dal latino ‘Juppiter’, da radice sanscrita ‘dyeu’ = splendere),
Mercurio (dal
latino ‘mercator’ = mercante)
e
Marte (dal latino
‘Mars’, dal greco ‘Ares’ = guerriero)…”
Da un lato il Nostro rifiuta
categoricamente la teoria della preesistenza delle anime (e quindi della
reincarnazione considerata eretica dalla Chiesa; ma a quel tempo si
poteva essere eretici senza rischiare le torture o il rogo
dell’Inquisizione? -operante già dal concilio di Verona del 1184-) da un
altro lato egli cerca di conciliare il pensiero di Platone col suo per
quanto riguarda almeno gli ‘influssi delle stelle’, considerati
determinanti nella vita dell’uomo, teoria accettata da tutti in
quell’epoca.
Dal ns/ punto di vista, se lo scopo
dell’incarnazione è un ‘Iter’ il cui fine è la conoscenza di Se Stessi,
dell’Io Sono, della Sephirah Daath, la Coscienza, basta guardarsi
intorno per capire che l’umanità è solo all’inizio del Viaggio e, a
parte pochissimi Grandi Maestri, il resto ha ancora tanta, ma tanta
strada da percorrere…
L’altra dubitazion che ti commove
ha men velen, però che sua malizia
non ti poria menar da me altrove. 66
Parere ingiusta la
nostra giustizia
ne li occhi d’i mortali, è argomento
di fede e non d’eretica nequizia. 69
Ma perché puote
vostro accorgimento
ben penetrare a questa veritate,
come disiri, ti farò contento. 72
L’altro dubbio che ti assilla è meno
rischioso, perché il suo pericolo non ti può allontanare da me (la
teologia cristiana). Che la Giustizia celeste possa essere considerata
ingiusta
dai mortali è argomento di fede, non di eresia. Ma perché possiate
penetrare meglio la verità (sul mancare ai voti), ti darò (altre)
spiegazioni…”
Se vïolenza è quando quel che pate
nïente conferisce a quel che sforza,
non fuor quest’alme per essa scusate: 75
ché volontà,
se non vuol, non s'ammorza, fa come natura face in foco, mille
volte vïolenza il torza. 78
Non si può essere scusati per aver
subìto violenza se non la si è contrastata; la volontà, se veramente non
vuole, non può essere violentata; è come il fuoco (che sale sempre)
anche se lo si vuol torcere in basso…”
Per che, s’ella si piega assai o
poco, segue la
forza; e così queste fero
possendo rifuggir nel santo loco. 81
Se fosse stato lor
volere intero,
come tenne Lorenzo in su la grada,
e fece Muzio a la sua man severo, 84
così l’avria ripinte
per la strada
ond’eran tratte, come fuoro sciolte;
ma così salda voglia è troppo rada. 87
Se la volontà si piega, molto o poco,
cede alla violenza. Così hanno fatto queste anime che avrebbero potuto
poi tornare in convento. Se la loro volontà fosse stata salda come
quella che tenne sulla graticola
Lorenzo
(= dell’alloro; diacono di Roma nel 258 d.C. tesoriere della Chiesa,
distribuì il tesoro ai poveri invece di consegnarlo alla richiesta
dell’imperatore Valeriano, che lo fece bruciare vivo), o che fece punire
(col fuoco) la sua mano a
Muzio
(= silenzioso; Scevola, che mancò di uccidere Porsenna - 508 a. C.),
sarebbero tornate là dove erano state tolte; ma una volontà simile è
assai rara…”
Qui Dante attraverso le parole di
Beatrice ci palesa la sua concezione del ‘libero arbitrio’ dell’uomo: la
nostra libertà di scelta è legata alla volontà che può essere assoluta,
totale, perché può giungere fino all’eroismo, v. eroi (Muzio),
santi e martiri (Lorenzo);
ma, come possiamo solo in parte modificare il nostro fisico (rafforzarlo
ad indebolirlo, ma non certo diventare più alti o più bassi ecc.), così
solo in parte possiamo accrescere le nostre doti psichiche
(astro-mentali), e se la volontà è un ‘talento’ del piano mentale, non è
detto che tutti abbiano questa dote molto sviluppata, anzi, una volontà
assoluta è
assai rara.
E per queste parole, se ricolte
l’ hai come dei, è l’argomento casso
che t’avria fatto noia ancor più volte. 90
Ma or ti
s’attraversa un altro passo
dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
non usciresti: pria saresti lasso. 93
Se mi hai ascoltato bene, dovresti
aver cancellato quei dubbi che ti avrebbero recato ancora noia. Ma ora
ti si presenta un’altra difficoltà che da solo non potresti superare, ti
stancheresti prima…”
Io t’ ho per certo ne la mente messo
ch’alma beata non poria mentire,
però ch’è sempre al primo vero appresso; 96
e poi potesti da
Piccarda udire
che l’affezion del vel Costanza tenne;
sì ch’ella par qui meco contradire. 99
Io ti ho fatto intendere per certo
che un’anima beata non può mentire perché sempre vicina al Vero; ma poi
hai udito da
Piccarda
(che si scava) che
Costanza
(che è tenace) conservò anche dopo le nozze il
velo del cor
(canto III, v. 117); e ciò sembra contraddire le mie parole…” Molte fïate
già, frate, addivenne
che, per fuggir periglio, contra grato
si fé di quel che far non si convenne; 102
come Almeone, che,
di ciò pregato
dal padre suo, la propria madre spense,
per non perder pietà si fé spietato. 105
“…Fratello, è successo assai spesso
che per fuggire un pericolo, controvoglia si fa ciò che non si dovrebbe;
come fece Almeone
(=Alcmeone
= alce impazzita)
che pregato
dal padre, per non perderne l’affetto, divenne spietato (e uccise la
madre Erifile che aveva rivelato il nascondiglio del marito Anfiarao
nella guerra dei Sette contro Tebe - cfr. Purgatorio canto XII, 49-51)…”
A questo punto voglio che tu pense
che la forza al voler si mischia, e fanno
sì che scusar non si posson l’offense. 108
Voglia assoluta non
consente al danno;
ma consentevi in tanto in quanto teme,
se si ritrae, cadere in più affanno. 111
Però, quando
Piccarda quello spreme,
de la voglia assoluta intende, e io
de l’altra; sì che ver diciamo insieme". 114
Ora voglio che tu capisca che in questo modo la volontà (di chi subisce)
si mescola alla forza (di chi fa violenza) e quindi non si possono
scusare come involontarie le offese (al Signore). La volontà assoluta
non acconsente al male; ma vi consente in quanto lo reputa male minore
(divenendo così relativa). Perciò quando
Piccarda
parla,
intende volontà assoluta, io invece intendo l’altra. Così entrambe
diciamo il vero”.
Sappiamo tutti che la volontà eroica
(che rifugge completamente dal male e perciò non vi consente in nessun
modo)
non è dote
comune, ma assai rara
e quindi pochissimi possono esercitarla; ma alla fine della vita ci
verrà chiesto conto di quello che avremmo potuto fare ed essere e non di
quello che non
avremmo potuto fare ed essere. E ci viene in mente il paragone con la
scuola ed i suoi esami (la vita è una scuola): al termine delle
elementari al bambino si richiede che sappia leggere, scrivere e far di
conto, non di presentare una tesi su Platone o Kant.
Cotal fu l’ondeggiar del santo rio
ch’uscì del fonte ond’ogne ver deriva;
tal puose in pace uno e altro disio. 117
"O amanza del primo
amante, o diva",
diss’io appresso, "il cui parlar m’inonda
e scalda sì, che più e più m’avviva, 120
non è l’affezion mia
tanto profonda,
che basti a render voi grazia per grazia;
ma quei che vede e puote a ciò risponda. 123
santo ruscello (della divina
Saggezza) da cui deriva ogni Verità escono queste parole che pacificano
i due dubbi del Nostro che così risponde: “O amata dal Signore, primo
Amore, o dea, le vostre parole mi inondano e riscaldano sempre di più;
la mia gratitudine non può essere sufficiente a rendervi benedizione per
benedizione, ma provvederà a ciò Colui che tutto può…”
Io veggio ben che già mai non si sazia
nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra
di fuor dal qual nessun vero si spazia. 126
Posasi in esso, come
fera in lustra,
tosto che giunto l’ ha; e giugner puollo:
se non, ciascun disio sarebbe frustra. 129
Mi rendo conto che l’intelletto umano
non è mai soddisfatto se non quando è illuminato dalla vera Verità.
Allorché La raggiunge si riposa in Essa come una fiera nella tana; e può
raggiungerla, altrimenti ogni desiderio (di conoscere il Vero) sarebbe
inutile…” Nasce per
quello, a guisa di rampollo,
a piè del vero il dubbio; ed è natura
ch’al sommo pinge noi di collo in collo. 132
Questo m’invita,
questo m’assicura
con reverenza, donna, a dimandarvi
d’un’altra verità che m’è oscura. 135
Per questa ansia (di Conoscenza)
nasce il dubbio al piede del Vero come un germoglio; ed è naturale che
ci spinga su, di colle in colle fino alla vetta (suprema). Ciò mi
sollecita con umiltà a chiedervi di un’altra verità che non mi è
chiara…”
L’ansia di conoscenza si accresce man
mano che l’intelletto penetra la verità: è proprio come scalare un
monte, più si sale più si desidera raggiungere la cima; ma solo la
Verità suprema potrà appagare l’anima assetata della Divinità.
Io vo’ saper se
l’uom può sodisfarvi
ai voti manchi sì con altri beni,
ch’a la vostra statera non sien parvi". 138
Beatrice mi guardò
con li occhi pieni.
di faville d’amor così divini,
che, vinta, mia virtute diè le reni, 141
e quasi mi perdei
con li occhi chini.
“…Desidero sapere se l’uomo può
soddisfare ad un voto mancato con altre buone azioni che non risultino
scarse sulla bilancia (della Giustizia)”.
A queste
parole Beatrice guarda Dante con gli occhi così pieni d’amore che egli
non può sostenerne la vista, perciò abbassa i suoi e quasi sviene.
Questa domanda di Dante a Beatrice ci
ricorda il colloquio di Abramo con il Signore in Genesi (18, 22-33 v.
ns/ interpretazione in
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Testi sacri) e il suo tentativo di intercessione per Sodoma e Gomorra:
“… e se uno sbaglia, manca al voto, insomma, se non ce la fa ad essere
un eroe, che succede? può riparare alla mancanza in qualche modo?” Lo
sguardo d’amore dovrebbe essere già la risposta, ma nel prossimo canto
ci verrà chiarito meglio il concetto.
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