PARADISO - CANTO V
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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"S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore
di là dal modo che ’n terra si vede,
sì che del viso tuo vinco il valore, 3
non ti maravigliar,
ché ciò procede
da perfetto veder, che, come apprende,
così nel bene appreso move il piede. 6
al suo Fedele:) “Se io nel fuoco
dell’Amore divino abbaglio la tua vista, non devi meravigliarti, ciò
dipende dalla Perfezione in cui i miei occhi si addentro sempre di più
(e che sempre di più mi illumina)…”
Il nostro Dante, che ha conosciuto il
suo oscuro mondo infero, che si è purificato salendo il monte
dell’espiazione, che è riuscito ad incontrare la sua Beatrice, che a Lei
si è affidato e che da Lei ora si fa istruire e guidare, può essere
omologato
alla
personalità (Malkuth), che ha sviluppato il centro della Coscienza,
(Daath), l’Io Sono, il Cristo interiore, che lo illumina
ora
sempre di più, man mano che egli procede nella meditazione e conoscenza
del suo Albero spirituale.
Io veggio ben sì
come già resplende
ne l’intelletto tuo l’etterna luce,
che, vista, sola e sempre amore accende; 9
e s’altra cosa
vostro amor seduce,
non è se non di quella alcun vestigio,
mal conosciuto, che quivi traluce. 12
Tu vuo’ saper se con altro servigio,
per manco voto, si può render tanto
che l’anima sicuri di letigio". 15
Io vedo bene che nel tuo intelletto
già risplende la Luce (della Verità) eterna che può essere accesa solo
dall’Amore; e se altra cosa attrae il desiderio umano, non è che il
riflesso male interpretato di quella Luce, che nella cosa traspare. Tu
vuoi sapere se un
manco voto
(voto mancato) può essere compensato
con altro merito che sollevi l’anima dalla colpa (verso la Giustizia
divina)”.
Il
manco voto
e se c’è una possibilità di compensazione, nocciolo del dubbio dantesco,
ci fa chiedere, al
dilà dei
voti monacali, come la questione
possa essere interiorizzata. Quand’è che noi manchiamo ai nostri voti?
Intanto ogni
qualvolta che ci ripromettiamo di correggere un nostro difetto e poi
ricadiamo nello stesso, non mantenendo la promessa. Può esserci
compensazione? Certamente no. Dovremo provare e riprovare fino a che il
difetto non sia realmente corretto. Prendiamo per esempio l’ira. Se
abbiamo deciso di controllarla e non lo facciamo, non è che cancelleremo
la nostra tendenza all’ira mostrandoci più generosi o più temperanti.
Prima o poi dovremo affrontare veramente il problema e mantenere il voto
che ci siamo fatti. E il discorso vale per qualunque altra promessa che
ci facciamo o che facciamo al nostro Sé. Ma come nella vita fisica non
possiamo compiere un lavoro superiore alle nostre forze se non
suddividendolo in piccole tappe, così anche nella crescita spirituale
possiamo progredire solo poco per volta…(ricordiamo la tecnica suggerita
da Beppe lo spazzino a Momo - v. in
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il relativo copione, tratto dal
romanzo di M. Ende e la nostra interpretazione cabalistica):
Beppe:
“Vedi, Momo, è così: certe volte si ha
davanti una strada lunghissima e si pensa che sia troppo lunga e che non
si riuscirà spazzarla tutta e allora si comincia a spazzarla in fretta,
sempre più in fretta... (pausa) allora ti manca il fiato e non ce la fai
più...(pausa) non è così che si deve fare.
Non si deve pensare alla strada tutta in una
volta, tutta intera... (si alza e prende la scopa) si deve pensare
soltanto al prossimo passo, al prossimo respiro, al prossimo colpo di
scopa. Sempre soltanto a quel gesto che viene subito dopo. (mostra:
passo, respiro, colpo - passo, respiro, colpo - passo, respiro, colpo -
pausa) Così. Allora c'è soddisfazione, allora si fa bene il lavoro…”
Sì cominciò Beatrice questo canto;
e sì com’uom che suo parlar non spezza,
continüò così ’l processo santo: 18
"Lo maggior don che
Dio per sua larghezza
fesse creando, e a la sua bontate
più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, 21
fu de la volontà la
libertate; di
che le creature intelligenti,
e tutte e sole, fuoro e son dotate. 24
queste parole Beatrice inizia a
trattare l’argomento, poi, senza interrompersi, continua il santo
ragionamento: “Il dono elargito dal Signore, più grande e più conforme
alla sua Bontà, e che vale di più, è quello del libero arbitrio,
concesso solamente alle creature intelligenti…”
Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
l’alto valor del voto, s’è sì fatto
che Dio consenta quando tu consenti; 27
ché, nel fermar tra
Dio e l’omo il patto,
vittima fassi di questo tesoro,
tal quale io dico; e fassi col suo atto. 30
Ora, partendo da ciò, capirai quanto
è importante il voto, in cui il Signore accetta la tua promessa; nel
patto tra la Divinità e l’uomo, questi sacrifica quel dono (il libero
arbitrio) e lo fa con un atto di volontà…”
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel c’ hai offerto,
di maltolletto vuo’ far buon lavoro. 33
Tu se’ omai del
maggior punto certo;
ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
che par contra lo ver ch’i’ t’ ho scoverto, 36
convienti ancor
sedere un poco a mensa,
però che ’l cibo rigido c’ hai preso,
richiede ancora aiuto a tua dispensa. 39
Dunque che cosa si può offrire in
sostituzione? Se credi di poter usare ancora nel bene quella libertà già
offerta (al Signore), sarebbe come far beneficienza con ciò che hai
rubato. E su questo punto ormai sei edotto; ma poiché la Chiesa a volte
dispensa dal voto, il che sembra contrario a quanto detto, conviene
rimanere ancora sull’argomento, che è
cibo rigido
(difficile da digerire).
Apri la mente a quel ch'io ti paleso
fermalvi entro; ché non fa scïenza, lo ritenere, avere inteso. 42
Due cose si
convegnono a l’essenza
di questo sacrificio: l’una è quella
di che si fa; l’altr’è la convenenza. 45
Apri la mente a ciò che sto per dirti
e conservalo, ché aver capito e non ricordare non fa scienza. Due cose
costituiscono l’essenza del
sacrificio
cioè del voto: l’offerta e il patto…”
Il
‘Sacrificio’ corrisponde nella Kabbalah al sentiero del Sacrificato,
l’Archetipo n. 12 (v. in
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copioni la relativa Lezione-spettacolo), a
cui è attribuita la lettera ‘lamed’ che ricorda proprio la figura del
Sacrificato, di colui che nel più completo disinteresse, oblio di sé,
devozione, si offre per la redenzione della società e degli uomini,
vittime del loro egoismo. Nella letteratura cabalistica si parla dei 36
(trenta valore numerico della lettera lamed e sei, valore numerico della
lettera vav) giusti ‘lamed vav tzaddiqim’ che in ogni generazione per la
loro autentica ‘giustizia’ riescono a
riequilibrare le forze negative dell’oscurità
e del male, garantendo la continuità del mondo; ma solamente chi ha in
sé la potenzialità di un ‘giusto’ può offrirsi in sacrificio, altrimenti
il sacrificio non porterà redenzione ma disordine e caos (v. in
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saggi ‘I Promessi sposi’ il personaggio di Gertrude, la monaca di Monza)
Nella
Bhagavad Gita, Krisna, il Maestro, istruisce così il suo discepolo
Arjuna sul sacrificio: “…Alcuni nel fuoco della devozione, acceso dalla
sapienza, tutte le attività dei sensi e le attività delle energie vitali
sacrificano per mezzo dell’astinenza… altri sono asceti dai rigidi
voti…altri, nutrendosi di scarso cibo, offrono gli aliti vitali negli
aliti vitali. Tutti questi intendono il sacrifizio e i loro peccati dal
sacrifizio sono distrutti…” (v. in
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Testi sacri il ns/ commento alla B. Gita). I sacrifici tolgono dunque i
peccati dal mondo, ma i sacrifici debbono essere fatti da chi è adulto e
pienamente cosciente di ciò che sacrifica e non debbono certo essere
imposti dai genitori, dall’ambiente o da interessi economici, cosa che
in passato succedeva assai spesso, così che tanti giovani diventavano
monache, frati o preti senza una reale loro volontà.
Quest’ultima già mai non si cancella
se non servata; e intorno di lei
sì preciso di sopra si favella: 48
però necessitato fu
a li Ebrei pur
l’offerere, ancor ch’alcuna offerta
si permutasse, come saver dei. 51
Quest’ultimo non si estingue se non
osservandolo e di questo ho parlato poco fa: perciò agli
Ebrei
(= discendenti di Eber = che proviene dall’altra parte dell’Eufrate;
cioè il popolo di Israele) fu comandato di fare sempre offerte (al
Signore; v. Levitico capitoli 1-7, in cui vengono date ai sacerdoti le
prescrizioni per il culto religioso ed i sacrifici; v. anche Numeri
capitolo 6, per il voto di nazireato), anche se esse potevano essere
permutate, come ben sai…”
L’altra, che per materia t’è aperta,
puote ben esser tal, che non si falla
se con altra materia si converta. 54
Ma non trasmuti
carco a la sua spalla
per suo arbitrio alcun, sanza la volta
e de la chiave bianca e de la gialla; 57
e ogne permutanza
credi stolta,
se la cosa dimessa in la sorpresa
come ’l quattro nel sei non è raccolta. 60
L’altro elemento del sacrificio
(l’offerta) che possiamo chiamare oggetto del voto, può essere di tale
natura che, se mutato con altro oggetto, non genera peccato. Ma che
nessuno muti il voto di suo arbitrio, senza il consenso delle chiavi
sacerdotali (cfr. Matteo 18,18: ‘Tutto quello che legherete sopra la
terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra
la terra sarà sciolto anche in cielo’ e relativa ns/ interpretazione in
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Testi sacri). E considera
insufficiente ogni mutamento in cui la nuova offerta non sia maggiore
(della vecchia) come il numero sei del quattro…”
Però qualunque cosa tanto pesa
per suo valor che tragga ogne bilancia,
sodisfar non si può con altra spesa. 63
Non prendan li
mortali il voto a ciancia;
siate fedeli, e a ciò far non bieci,
come Ieptè a la sua prima mancia; 66
cui più si convenia
dicer ’Mal feci’,
che, servando, far peggio; e così stolto
ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, 69
onde pianse Efigènia
il suo bel volto,
e fé pianger di sé i folli e i savi
ch’udir parlar di così fatto cólto. 72
Però la cosa più di valore (come il
voto di castità) per cui sulla bilancia (della Giustizia non c’è
contrappeso) non può essere compensata con altro voto. Che i mortali non
facciano voti alla leggera, vi tengano fede e non siano precipitosi come
Ieptè
(Iefte = il Signore liberi; condottiero di Israele contro gli Ammoniti;
per la vittoria fece voto di sacrificare la prima persona gli fosse
venuta incontro da casa sua: fu sua figlia e la sacrificò; Giudici 11,
29-40), che avrebbe fatto meglio a dire ‘ho sbagliato’, piuttosto che
mantenere la promessa, sbagliando di più; e altrettanto stolto si può
considerare il grande condottiero Agamennone che sacrificò (la figlia)
Efigenia
(= Ifigenia = che protegge le nascite; la sacrificò
per
ottenere dagli dei che cessasse la tempesta che impediva ai Greci la
partenza per Troia); Ifigenia
pianse
la sua bellezza perduta e piansero per lei tutti, sciocchi e saggi che
udirono parlare di un tale voto…”
Sono qui riportati due esempi di voti
considerati dal Nostro come errori o sbagli di persone stolte: di
Ieptè
(Iefte = il Signore liberi) e del condottiero greco (Agamennone) che
sacrificarono ingiustamente le loro figlie per mantenere due promesse
sconsiderate. A parte il fatto che a quei tempi il sacrificio umano era
ancora praticato e che
i ‘figli’
erano proprietà dei padri, certamente il sacrificio delle due fanciulle
può essere considerato eccessivo rispetto al motivo che l’ha provocato
(la vittoria in una battaglia per Iefte e la partenza per la guerra di
Troia per Agamennone) ma
soprattutto
perché quei sacrifici non sono stati loro
imposti dalla
Divinità come è accaduto invece per Abramo, che, benché con grande
dolore, era pronto a sacrificare
il
figlio suo Isacco al Signore che glielo aveva richiesto (v. in
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Testi sacri il ns/ Commento alla
Genesi cap. 22)
Siate, Cristiani, a muovervi più
gravi: siate come penna ad ogne vento, non crediate ch'ogne acqua
vi lavi. 75
Avete il novo e ’l vecchio Testamento, ’l
pastor de la Chiesa che vi guida; vi basti a vostro salvamento. 78
Che voi, Cristiani (seguaci del
Cristo), siate più saggi, e non come piume al vento, e non crediate di
poter essere assolti da ogni colpa. Avete i Testi sacri e il capo della
Chiesa come guida, che siano sufficienti alla vostra salvezza…”
Beatrice, la Coscienza dantesca,
esorta dunque chi è ‘seguace del Cristo, dell’Io Sono’, della Sephirah
Daath, a
saggiamente
non promettere se non si è certi di poter mantenere e consiglia, dopo
aver
meditato sulla Parola di un Testo sacro, di ascoltare il proprio ‘Papa’
interiore prima di fare un qualche voto.
Se mala cupidigia altro vi grida,
siate, e non pecore matte, che ’l Giudeo di voi tra voi non rida! 81
Non fate com’agnel
che lascia il latte
de la sua madre, e semplice e lascivo
seco medesmo a suo piacer combatte!". 84
Se una malvagia passione vi eccita,
(dominatela) siate uomini e non pazze pecore, tali che il
Giudeo
( = chi non riconosce il Cristo) non possa
ridere di voi! Non fate come l’agnello che appena svezzato ingenuo ed
esuberante, battaglia con se stesso!”.
Così Beatrice a me com’ïo scrivo;
poi si rivolse tutta disïante
a quella parte ove ’l mondo è più vivo. 87
Lo suo tacere e ’l
trasmutar sembiante
puoser silenzio al mio cupido ingegno,
che già nuove questioni avea davante; 90
e sì come saetta che
nel segno
percuote pria che sia la corda queta,
così corremmo nel secondo regno. 93
scrive tutto ciò che Beatrice gli
dice; la Donna, tutta palpitante di desiderio, si volge ora verso la
Luce più viva. Il suo silenzio e il suo aspetto mutato mettono a tacere
il Nostro pronto già ad altre domande; entrambi come un dardo che
raggiunge il traguardo prima che la corda (dell’arco che l’ha lanciato)
cessi di vibrare, entrano ora nel secondo cielo (quello di Mercurio).
Nella Kabbalah la Sephirah Hod (= lo
Splendore), che corrisponde a Mercurio, il cielo che ora accoglie Dante,
è detta l’Intelligenza Assoluta o Perfetta; essa rappresenta la ‘forma’
della consapevolezza astrale (Netzach, la Sephirah a lei reciproca ed
interagente ne rappresenta la ‘forza’); l’esperienza spirituale che le
corrisponde è quella della visione dello Splendore divino; il
Nome divino a
lei attribuito è: Elohim Tzabaoth, il Dio delle Schiere; con questo Nome
il Signore è chiamato da Davide (1Samuele 17, 45) quando affronta il
gigante filisteo Golia prima di abbatterlo.
Quivi la donna mia vid’io sì lieta,
come nel lume di quel ciel si mise,
che più lucente se ne fé ’l pianeta. 96
E se la stella si
cambiò e rise,
qual mi fec’io che pur da mia natura
trasmutabile son per tutte guise! 99
Giunti nella Luce di quel cielo,
Beatrice diventa tanto splendente di gioia che il pianeta stesso ne
acquista luminosità. E se l’astro (che non ha natura mutevole) si
trasfigura, immaginiamo quel che succede a Dante, la cui natura umana lo
rende mutevole per inclinazione! Come ’n
peschiera ch’è tranquilla e pura
traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
per modo che lo stimin lor pastura, 102
sì vid’io ben più di
mille splendori
trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:
"Ecco chi crescerà li nostri amori". 105
E sì come ciascuno a
noi venìa,
vedeasi l’ombra piena di letizia
nel folgór chiaro che di lei uscia. 108
Come i pesci in una vasca di acqua
limpida accorrono verso quello che vi viene gettato, perché lo credono
cibo, così il Nostro vede mille luci che si avvicinano a lui dicendo:
“Ecco chi aumenterà il nostro (spirito) d’amore (dandoci la possibilità
di illuminarlo)”. E ogni anima avvicinandosi, gli mostra col fulgore la
sua letizia. Pensa,
lettor, se quel che qui s’inizia
non procedesse, come tu avresti
di più savere angosciosa carizia; 111
e per te vederai
come da questi
m’era in disio d’udir lor condizioni,
sì come a li occhi mi fur manifesti. 114
Pensi il lettore all’angoscioso
desiderio di sapere che gli rimarrebbe se qui la narrazione avesse
termine; così il Nostro, avendole viste, è ansioso di conoscere le
condizioni di quelle luci.
"O bene nato a cui veder li troni
del trïunfo etternal concede grazia
prima che la milizia s’abbandoni, 117
del lume che per
tutto il ciel si spazia
noi semo accesi; e però, se disii
di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia". 120
Così da un di quelli
spirti pii
detto mi fu; e da Beatrice: "Dì, dì
sicuramente, e credi come a dii". 123
uno di quegli spiriti così parla: “O
benedetto, a cui la Grazia divina concede di vedere i seggi celesti
prima di aver terminato la scuola della vita, noi siamo accesi dalla
Luce (dell’Amore) che si diffonde ovunque, ma se vuoi chiarimenti,
chiedi e sarai soddisfatto”. E Beatrice a Dante: “Chiedi, chiedi
tranquillo e credi a loro come si crede alla Divinità”.
"Io veggio
ben sì come tu t’annidi
nel proprio lume, e che de li occhi il
traggi,
perch’e’ corusca sì come tu ridi; 126
ma non so chi tu
se’, né perché aggi,
anima degna, il grado de la spera
che si vela a’ mortai con altrui raggi". 129
Questo diss’io
diritto a la lumera
che pria m’avea parlato; ond’ella fessi
lucente più assai di quel ch’ell’era. 132
Dante a quello spirito che ha parlato
per primo e che è divenuto ancora più splendente dice: “Io vedo bene che
tu sei tutto raccolto nella tua luce, che la emani dagli occhi
lampeggianti quando sorridi, ma io non so chi tu sia, e perché ti trovi
proprio in questo cielo (a noi) nascosto (Mercurio, essendo vicino al
sole, è velato dai suoi raggi)”.
Sì come il sol che si cela elli stessi
per troppa luce, come ’l caldo ha róse
le temperanze d’i vapori spessi, 135
per più letizia sì
mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa;
e così chiusa chiusa mi rispuose 138
nel modo che ’l
seguente canto canta.
Come il sole si cela (a noi) dietro i
suoi raggi per troppa luce quando il calore dirada il vapore che ce lo
rende visibile, allo stesso modo si nasconde dietro la sua luce quel
beato e risponde al Nostro dicendogli ciò che udremo nel prossimo canto.
Per
l’Iniziato conoscere la propria Sephirah Hod, lo Splendore, significa
acquisire quella particolare forza d’animo che permette di perseverare
nelle grandi difficoltà e di comprendere con profonda consapevolezza
interiore che tutto avviene secondo il perfetto Piano divino. La sfera
di Hod, di Mercurio, è legata alla capacità magica dell’Adepto di
operare con l’immaginazione intellettuale, ma tale capacità va
bilanciata con quella della sfera di Netzach, di Venere, legata
all’Amore e alle sue influenze, tenendo sempre presente che, come dice
il detto alchemico ‘per fare l’oro ci vuole l’oro’, cioè che si possono
destare in noi determinate capacità solo se esse sono già latenti.
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