PURGATORIO - CANTO I
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Per correr miglior acque
alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro
a sé mar sì crudele; 3
e canterò di quel secondo regno dove
l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno. 6
Lasciato il regno infero,
mare
(dalla radice sanscrita mar = mortale, o dalla radice siriaca
marath = amaro) crudele ( dal latino crudus =
sanguinolento) difficile e sofferto, la
navicella
(‘mezzo’ per navigare) dell’ingegno
(= dal latino in- gignere= generare) del Nostro si
appresta a esplorare acque migliori; e` questo il regno ‘secondo’ dove
avviene la purificazione dell’anima, che la rende degna di salire al
cielo.
Ai tempi di
Dante, le
navicelle, mezzi per ‘navigare’, permettevano il
viaggio solo
per ‘acqua’, e anche quelle del linguaggio
figurato, corrispondenti alle capacita`dell’ingegno
di
‘generare’ idee, concetti, poesia e arte, dovevano essere sempre
ancorate alla ‘terra’ perché solo di terra ed
acqua si aveva esperienza, eppure Il Nostro con
la sua navicella
e` riuscito a raggiungere vette insuperabili di mare e cielo. Oggi le
nostre navicelle
del 21esimo secolo ci permettono di navigare anche nell’aria e oltre,
infatti abbiamo navicelle ‘spaziali’ che possono condurci sulla Luna, ma
non siamo ancora in grado di
esplorare i nostri personali mari e cieli
proprio perché lo sviluppo dell’anima non e` andato di pari passo con lo
sviluppo tecnologico. Abbiamo ignorato la discesa all’inferno o, se
l’abbiamo tentata, siamo rimasti invischiati dal suo fascino morboso,
(basti pensare alle nostre TV, tg, gionali e riviste e ai nostri films),
senza mai tentare di uscirne e di scalare davvero la montagna del
purgatorio (= luogo della purificazione, che rende puri = dal latino
purus, dal greco pyr = fuoco, il purificatore religioso per eccellenza);
lo studio personale ed interiorizzato della seconda cantica della Divina
Commedia (= Dramma a lieto fine del Se`) potrebbe offrire lo spunto per
una reale conoscenza di se stessi e conseguente crescita spirituale, e`
con questo spirito e con questa speranza che ci accingiamo ad affrontare
i prossimi trentatre canti… Ma qui la morta poesì resurga, o sante Muse, poi che
vostro sono; e qui Calïopè alquanto surga, 9
seguitando il mio
canto con quel suono di cui le Piche misere sentiro lo colpo tal,
che disperar perdono. 12 Il Poeta dichiara di
appartenere alle Muse (= dee della montagna, le nove figlie di Zeus e di
Mnemosine) e quindi le invoca perché facciano risorgere la poesia; in
particolare prega
Calïopè (= bella voce, Musa della poesia epica) di
accompagnare il suo canto con quella stessa musica che fece comprendere
alle Piche (= gazze, le nove Pieridi, figlie del re della Tessaglia
Pierio che osarono sfidare nel canto le Muse e, sconfitte, furono
tramutate appunto in gazze) di non essere degne di perdono.
Dolce color d’orïental zaffiro, che s’accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro, 15
a li occhi miei
ricominciò diletto, tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta che
m’avea contristati li occhi e ’l petto. 18 Il
dolce purissimo colore
oriental zaffiro (azzurro) che ora puo`
cogliere nell’aria fino all’orizzonte, rinnova il piacere degli occhi al
Nostro, appena uscito da quell’atmosfera di morte (infernale) che gli
aveva rattristato la vista e il cuore.
Lo bel pianeto che d’amar conforta faceva tutto rider l’orïente,
velando i Pesci ch’erano in sua scorta. 21
I’ mi volsi a man
destra, e puosi mente a l’altro polo, e vidi quattro stelle non
viste mai fuor ch’a la prima gente. 24 Il bel
pianeta che induce ad amare (Venere) illumina tutto l’oriente, velando
lo splendore della costellazione dei Pesci che l’accompagna. Dante si
volge a destra, fissando l’attenzione sull’altro
polo (Sud) e vede quattro stelle (le quattro
virtu` cardinali) viste dai progenitori (Adamo ed Eva) solo per poco
tempo (prima della caduta).
Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle: oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle! 27
Com’io da loro sguardo
fui partito, un poco me volgendo a l’altro polo, là onde ’l Carro
già era sparito, 30
vidi presso di me un veglio solo, degno di
tanta reverenza in vista, che più non dee a padre alcun figliuolo. 33
Qui il cielo puo` godere di quelle quattro luci,
mentre l’altro emisfero (quello del polo Nord, della terra abitata
dall’umanita`) ne e` tristemente privo, avendo perduto, con la caduta,
la luce delle quattro virtu` cardinali: Giustizia, Prudenza, Fortezza,
Temperanza (v. in
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teatro, le
4
lezioni-spettacolo
n. 8 - 9 - 11 - 14, dedicate a questi
Archetipi). Dante ha appena volto lo sguardo verso la direzione opposta,
la` dove l’Orsa maggiore non si vede piu`, quando gli appare un Vecchio,
dall’aspetto degno di tanta venerazione quanto di piu` non puo` esserlo
un padre per il figlio.
Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a’ suoi capelli
simigliante, de’ quai cadeva al petto doppia lista. 36
Li
raggi de le quattro luci sante fregiavan sì la sua faccia di lume,
ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante. 39
Questo vegliardo ha la barba lunga e brizzolata come i capelli che gli
ricadono in due ciocche sul petto. I raggi delle quattro stelle (le
virtu`) gli illuminano il volto che sembra splendere come un sole. "Chi siete voi che contro al cieco fiume fuggita avete la
pregione etterna?", diss’el, movendo quelle oneste piume. 42
"Chi v’ ha guidati, o che vi fu lucerna, uscendo fuor de la profonda
notte che sempre nera fa la valle inferna? 45
Son le leggi
d’abisso così rotte? o è mutato in ciel novo consiglio, che,
dannati, venite a le mie grotte?". 48 Ed ecco
che il Vecchio, muovendo il virtuoso mento ornato dalla barba, apostrofa
i due Viandanti: “Chi siete voi che avete lasciato la prigione eterna
risalendo il fiume infernale? Chi vi ha guidati fuori della notte
profonda che li` regna per sempre? Sono state capovolte le leggi
dell’abisso? O e` cambiato il celeste volere tanto che voi, dannati,
giungete fin qui alle mie grotte?
Lo duca mio allor mi diè di piglio, e con parole e con mani e con
cenni reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio. 51
Poscia rispuose
lui: "Da me non venni: donna scese del ciel, per li cui prieghi de
la mia compagnia costui sovvenni. 54 La Guida
allora con le parole, i gesti e i cenni rende riverenti le gambe e la
fronte del Discepolo, cioe` lo fa inginocchiare. Quindi risponde al
Vecchio: “Non sono venuto di mia volonta`; scese una
donna del cielo
e per le sue preghiere ho aiutato costui”. Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi di nostra
condizion com’ell’è vera, esser non puote il mio che a te si
nieghi. 57
Questi non vide mai l’ultima sera; ma per la sua
follia le fu sì presso, che molto poco tempo a volger era. 60 Sì
com’io dissi, fui mandato ad esso per lui campare; e non lì era altra
via che questa per la quale i’ mi son messo. 63
Mostrata ho
lui tutta la gente ria; e ora intendo mostrar quelli spirti che
purgan sé sotto la tua balìa. 66 “…Ma poiche` tu
vuoi maggiori spiegazioni della nostra condizione, non posso negartele.
Questo non e` morto, ma, per la sua pazzia, ci e`andato cosi` vicino che
ci e`mancato poco. Come ti ho detto, sono stato inviato a lui per
salvarlo e non c’era altra via che quella percorsa. Gli ho mostrato
tutti i dannati, ora lo guidero` nel regno di quelli che si purificano
sotto la tua custodia…”
Com’io l’ ho tratto, saria lungo a dirti; de l’alto scende virtù
che m’aiuta conducerlo a vederti e a udirti. 69
Or ti piaccia
gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa
chi per lei vita rifiuta. 72
Tu ’l sai, ché non ti fu per lei
amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch’al gran dì sarà
sì chiara. 75 “…Come sia riuscito a scortarlo
sarebbe cosa lunga da narrare; la virtu` che scende dall’alto mi ha
aiutato a condurlo fin qui, a vederti e udirti. Ti piaccia accettare la
sua venuta: egli e` alla ricerca della
liberta`,
quella liberta` (= stato che rende ‘liberi’ dal
latino ‘liberus’, esente da costrizioni) che e` tanto
cara
( dal sanscrito ka-ro = desiderabile, ma anche di ‘prezzo elevato’) a
chi per essa rinunzia alla vita. Tu lo sai, che per lei nella citta` di
Utica
(= I-thaca= i-sacia= santa) ti desti la morte, lasciandovi quel corpo
che risplendera` alla fine dei tempi…”
Non son li editti etterni per noi guasti, ché questi vive e Minòs me
non lega; ma son del cerchio ove son li occhi casti 78
di
Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega, o santo petto, che per tua
la tegni: per lo suo amore adunque a noi ti piega. 81
Lasciane
andar per li tuoi sette regni; grazie riporterò di te a lei, se
d’esser mentovato là giù degni". 84 Non sono
state per noi ‘violate le leggi eterne’, perché
costui e` vivo ed io non sono nel potere di
Minosse (cfr. inf. canto V, v. 4); sono del cerchio (Limbo) dove si
trova anche
Marzia (= la fiera) dagli occhi casti, che ti prega
di considerarla ancora come tua; per il suo amore, dunque sii benigno:
lasciaci visitare i tuoi sette regni, a lei riferiro` cio` che ti e`
gradito, se ti degni di essere ricordato laggiu`”. "Marzïa piacque tanto a li occhi miei mentre ch’i’ fu’ di
là", diss’elli allora, "che quante grazie volse da me, fei. 87
Or che di là dal mal fiume dimora, più muover non mi può, per
quella legge che fatta fu quando me n’usci’ fora. 90
E il Vecchio a lui: “Marzia
fu da me tanto amata sulla terra che io feci per lei tutto cio` che
volle. Ma ora che dimora al di la` del fiume doloroso (l’Acheronte, cfr.
inf. III v. 78), non puo` piu` nulla su di me, per la legge in vigore da
quando lasciai il Limbo…”
Egli fa parte di quei giusti che insieme
alle anime dei Patriarchi ebrei furono tratti fuori dell’inferno dal
Possente con
segno di vittoria coronato, cioe` dal Cristo,
subito dopo la morte (v. inferno, canto IV, v. 61).
Ma se donna del ciel ti move e regge, come tu di’, non c’è
mestier lusinghe: bastisi ben che per lei mi richegge. 93
Va
dunque, e fa che tu costui ricinghe d’un giunco schietto e che li
lavi ’l viso, sì ch’ogne sucidume quindi stinghe; 96
ché non
si converria, l’occhio sorpriso d’alcuna nebbia, andar dinanzi al
primo ministro, ch’è di quei di paradiso. 99
Ma se sei stato inviato da una
donna
(dal latino ‘domina’= Signora)
del ciel
(mondo spirituale) come dici, allora non sono necessarie le
blandizie, e` sufficiente la preghiera in suo nome. Va dunque, ma prima
fa che costui si cinga di un giunco liscio e lavagli il volto, per
cancellare ogni sudiciume; che non e` conveniente presentarsi al primo
ministro (l’angelo del purgatorio) che appartiene alla schiera celeste,
con l’occhio annebbiato dalle impurita` (infernali)…”
Questa isoletta intorno ad imo ad imo, là giù colà dove la batte
l’onda, porta di giunchi sovra ’l molle limo: 102
null’altra
pianta che facesse fronda o indurasse, vi puote aver vita, però
ch’a le percosse non seconda. 105
Poscia non sia di qua vostra
reddita; lo sol vi mosterrà, che surge omai, prendere il monte a
più lieve salita". 108 “…Questa isoletta
tutt’intorno nella parte piu` bassa, laggiu` dove e` percossa dall’onda,
produce giunchi nel fango molle, nessun’altra pianta con foglie o fusto
piu` robusto puo` crescervi, a causa del moto dell’onda. Ma non tornate
da questa parte. Il sole, che sta sorgendo, vi mostrera` come salire
piu` agevolmente sul monte”.
Questo
Vecchio, il custode del Purgatorio, e` Catone (= accorto) l’uticense
(della citta` santa, 95-46 a. C.), repubblicano,
noto per la sua intransigenza nella politica, il rigore dei costumi e il
valore; nemico di Cesare, parteggio` per Pompeo; sconfitti i pompeiani,
si diede la morte. Il suo darsi la morte non e` considerato dal Nostro
come ‘suicidio’, perché altrimenti l’avrebbe posto nel secondo girone
del settimo cerchio dell’inferno, ma come un atto di ‘forza virtuosa’,
compiuto su suggerimento divino, per dare un esempio di coerenza, virtu`
e
liberta`. (cfr.il ns/ commento al film ‘Morte di un maestro del
the’ in
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cineforum: ricordiamo
che
la ‘Cerimonia del the e` il raggiungimento di una
perfezione assoluta nell’azione del "servire" il the; e` l’espressione
di una totale armonia formale e sostanziale verso tutti gli uomini; e`
un’Arte che racchiude in se` il Principio della piu` alta Liberta` che
si oppone al male in tutte le sue forme e in particolare alla
‘tirannia’, fino a darsi la morte, se necessario, e questa Morte viene
allora ad essere omologata alla Vita, come massima espressione di
Integrita` e Purita` Spirituale).
Nel nostro discorso interiorizzato
Catone (l’accorto, il consapevole) rappresenta il ‘guardiano della
soglia’ che, dalla sephirah Malkuth (= il
Regno, mondo fisico) permette il passaggio alla
sephirah Yesod (= il Fondamento, la base del mondo astrale). Per poter
‘passare’ da un mondo all’altro
e` necessario
conoscere la ‘parola d’ordine’; la parola
d’ordine
‘Marzia’
(= la fiera) e` dal guardiano
rifiutata: non e` con ‘la fierezza’
che si inizia la scalata dell’Albero bianco, ma con la ‘conoscenza del
mondo spirituale’, con la ‘donna
del ciel’; questa e` la parola d’ordine accettata.
Poi, una volta concesso il ‘passaggio’, vengono date le istruzioni per
proseguire: 1) cingere la vita col giunco flessibile e semplice, senza
fronzoli, dell’umilta`; 2) lavare il viso dalla sporcizie del peccato,
per purificare la vista, il luogo del centro daatico, centro della
consapevolezza; 3) salire il monte dalla parte illuminata dal sole,
corrispondente al centro del cuore, su cui va messa l’attenzione.
Così sparì; e io sù mi levai sanza parlare, e tutto mi ritrassi
al duca mio, e li occhi a lui drizzai. 111
El cominciò:
"Figliuol, segui i miei passi: volgianci in dietro, ché di qua
dichina questa pianura a’ suoi termini bassi". 114
Scomparso il Guardiano, il Discepolo si alza senza parlare e si
avvicina al Maestro per istruzioni. E la Guida a lui: “Figliolo,
seguimi, torniamo indietro, che da questa parte si ritorna in basso”. L’alba vinceva l’ora mattutina che fuggia innanzi, sì che
di lontano conobbi il tremolar de la marina. 117
Noi andavam
per lo solingo piano com’om che torna a la perduta strada, che
’nfino ad essa li pare ire in vano. 120 L’alba
sta vincendo l’oscurita` notturna ed il Poeta puo` gia` scorgere il mare
in lontananza. I due Pellegrini vanno per la strada solitaria come chi
torna a cercare la via perduta, avendo creduto fino a quel momento di
andare inutilmente…
Quando noi fummo là ’ve la rugiada pugna col sole, per essere in
parte dove, ad orezza, poco si dirada, 123
ambo le mani in su
l’erbetta sparte soavemente ’l mio maestro pose: ond’io, che fui
accorto di sua arte, 126
porsi ver’ lui le guance lagrimose;
ivi mi fece tutto discoverto quel color che l’inferno mi nascose. 129
Quando giungono la` dove la rugiada permane per
l’orezza (l’ombra e l’umidita`), il Maestro
pone le mani aperte sull’erbetta bagnata e il Discepolo, avendo compreso
le sue intenzioni, gli offre le guance tutte rigate di lacrime, per
farvi tornare il colore naturale (roseo), nascosto dalla caligine
infernale.
Venimmo poi in sul lito diserto, che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto. 132
Quivi mi cinse sì
com’altrui piacque: oh maraviglia! ché qual elli scelse l’umile
pianta, cotal si rinacque 135
subitamente là onde l’avelse.
Arrivano dunque sulla spiaggia deserta,
che non vide mai navigare sulle sue acque qualcuno capace poi di tornare
indietro. E li`Virgilio cinge la vita del Discepolo come deciso
dall’Alto: e, meraviglia!, il giunco scelto per quello scopo, reciso,
rinasce subito la` dove e` stato divelto.
Ulisse (v.
inferno canto XXVI, v. 133) era stato capace di arrivare a vedere da
lontano la montagna del Purgatorio, ma non aveva potuto approdare ai
suoi piedi e,
come altrui piacque (idem v. 141), era stato
inghiottito dal mare con la nave ed i suoi; secondo Dante, Ulisse
con la sua
navicella
non aveva la qualificazione per accedere a quel monte, perché scopo del
suo viaggio non era la crescita spirtuale (ansia del Divino) ma solo
desiderio di arricchimento psichico (virtute
e conoscenza, idem v. 120), mancandogli inoltre del
tutto l’ umilta`, la purezza e la guida del Sole, cioe` ‘le tre doti’
offerte invece a lui da Catone per merito della sua guida Virgilio,
l’inviato dalla
donna del cielo.
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