PURGATORIO - CANTO XIII
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Noi eravamo al sommo de la scala,
dove secondamente si risega
lo monte che salendo altrui dismala. 3
Ivi così una cornice
lega dintorno
il poggio, come la primaia;
se non che l’arco suo più tosto piega. 6
Ombra non lì è né segno che si paia:
parsi la ripa e parsi la via schietta
col livido color de la petraia. 9
I due Pellegrini sono giunti in cima
alla scala, la` dove il monte, che purifica chi lo sale, e` tagliato per
la seconda volta. Li` si trova la seconda cornice che circonda
il Purgatorio, simile
alla prima, ma dalla circonferenza piu` stretta. Su di essa non si
vedono disegni o rilievi, la parete e il pavimento sono del colore
livido
(colore gelido, grigio-verdastro) della pietra.
"Se qui per dimandar gente s’aspetta",
ragionava il poeta, "io temo forse
che troppo avrà d’indugio nostra eletta". 12
Poi fisamente al
sole li occhi porse;
fece del destro lato a muover centro,
e la sinistra parte di sé torse. 15
Virgilio cosi` ragiona:
“Se qui aspettiamo che arrivi qualcuno per avere indicazioni, temo che
la nostra scelta ritardi troppo”. Poi fissa gli occhi al sole e,
facendo perno sul
corpo, procede verso
destra.
Gia` Omberto Aldobrandeschi nel canto
XI del Purgatorio, richiesto da Virgilio sulla strada per salire, aveva
consigliato di procedere ‘verso destra’, perché a destra si va con il
Sole, la Luce del cuore, la sephirah Tiphereth, che e` la sephirah
dell’Amore, e la strada dell’Amore non sbaglia mai.
"O dolce lume a cui fidanza i’ entro
per lo novo cammin, tu ne conduci",
dicea, "come condur si vuol quinc’entro. 18
Tu scaldi il mondo,
tu sovr’esso luci;
s’altra ragione in contrario non ponta,
esser dien sempre li tuoi raggi duci". 21
Intanto dice: “O dolce
luce, che ci dai fiducia per il nuovo cammino, guidaci come e` giusto
essere guidati in questo luogo. Tu scaldi il mondo, tu lo illumini, e se
non c’e` un motivo per cambiare direzione, i tuoi raggi ci siano sempre
di guida”.
Quanto di qua per un migliaio si conta,
tanto di là eravam noi già iti,
con poco tempo, per la voglia pronta; 24
e verso noi volar
furon sentiti,
non però visti, spiriti parlando
a la mensa d’amor cortesi inviti. 27
I due hanno gia`
percorso circa un miglio in poco tempo, per il gran desiderio (di
avanzare) quando, senza vederli, sentono volare degli Spiriti che con la
voce gentile li invitano alla mensa dell’Amore. La prima
voce che passò volando
’Vinum non habent’altamente disse,
e dietro a noi l’andò reïterando. 30
E prima che del
tutto non si udisse
per allungarsi, un’altra ’I’ sono Oreste’
passò gridando, e anco non s’affisse. 33
"Oh!", diss’io,
"padre, che voci son queste?".
E com’io domandai, ecco la terza
dicendo: ’Amate da cui male aveste’. 36
La prima voce che odono
dice forte:
’Vinum non habent’,‘Non
hanno piu` vino’ ( Gv. 2, 3 in cui Maria sollecita il primo miracolo di
Gesu`, durante le nozze di Cana) e lo ripete piu` volte dietro ai due. E
prima che questa voce cessi del tutto eccone una seconda che grida
passando :
’I’ sono Oreste’(=
dal greco ‘orestes’= abitante, amante delle vette)’ a ricordare la
generosa amicizia di Oreste e Pilade che in Micene si dichiaro` Oreste
per salvare da morte l’amico, dando inizio ad una gara di solidarieta`,
perché subito l’altro si paleso` per il vero Oreste). Il Discepolo
domanda alla Guida: “Che voci sono queste?” e intanto passa una terza
voce che dice; : ’Amate da cui male aveste’
(Mt. 5, 44: ‘amate i
vostri nemici e pregate per i vostri persecutori..’) v.in
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Testi sacri ns/ ‘Commento al Vangelo
di Matteo’.
E ’l buon
maestro: "Questo cinghio sferza
la colpa de la invidia, e però sono
tratte d’amor le corde de la ferza. 39
Lo fren vuol esser
del contrario suono;
credo che l’udirai, per mio avviso,
prima che giunghi al passo del perdono. 42
Ma ficca li occhi
per l’aere ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
e ciascun è lungo la grotta assiso". 45
E il Maestro a lui: “Su
questa cornice i penitenti espiano il peccato dell’invidia, per questo
gli esempi ricordati li esortano all’amore altruistico. Gli esempi (di
invidia punita) che li frenano sono tutto il contrario, e li ascolterai,
credo, prima di giungere al passaggio del perdono (che porta alla terza
cornice). Ma guarda con attenzione (davanti a te) e vedrai (questi)
penitenti seduti dinanzi a noi, lungo la roccia.”
L’invidia, secondo il filosofo Baruch
Spinoza (1632-1677) e` ‘quella disposizione che induce l’uomo a
rattristarsi dell’altrui bene e, al contrario, a godere del male
altrui’; secondo san Tommaso d’Aquino (1225-1274), l’invidioso e` colui
che pensa: ‘Ti odio perché tu hai cio` che io non ho e che desidero’.
Per il ‘Dizionario della lingua italiana’ di G. Devoto e G. C. Oli
l’invidia ‘il
malanimo provocato dalla vista dell’altrui soddisfazione’. In realta`
l’invidioso e` solo un orgoglioso frustrato che desidera emergere e non
ce la fa;
quindi l’invidia e`
impotenza,
insicurezza e
debolezza.
Il vizio dell’invidia e` relativo
alla scoria (qelipah) della sephirah Tiphereth (= Bellezza) che ha la
corrispondenza nel cuore, e la cui virtu` e` la Carita`, l’Amore. Il
colore dell’invidia e`
livido
(verdastro-violaceo), colore gelido, in
antitesi col fuoco, appunto della carita`. Nell’Albero cabalistico di
Tiphereth, quando c’e` squilibrio tra le due colonne, con la
preponderanza della colonna di destra, solare, maschile, del ‘dare’, si
produce la superbia (l’ego e` convinto di potere tutto, vuole dominare
gli altri), ed e` il vizio espiato nella prima cornice del Purgatorio.
Quando invece c’e` squilibrio, con la preponderanza della colonna di
sinistra, lunare, femminile, dell’ ‘avere’, si produce l’invidia (l’ego
e` convinto di non potere nulla, e desidera percio` essere al posto
degli altri), ed e` il vizio espiato qui, nella seconda cornice. Gli
invidiosi sono ‘ciechi’ rispetto alla spiritualita`, non credono in Se
Stessi, non riconoscono in se` il Principio divino, origine di ogni
sapienza, bellezza, ricchezza e salute e si struggono per porta via agli
altri cio` che essi credono (a ragione o a torto) di non essere capaci
di ottenere. L’unica liberazione dall’invidia e` ‘progredire
energicamente nell’amore’ perché, come dice Georges Bernanos
(1888-1948), “Il segreto della felicita` e` trovare la propria gioia
nella gioia dell’altro”. Il primo esempio di Carita` gridato dagli
Spiriti invisibili
’Vinum non habent’
suggerisce di ‘mutare l’acqua in vino’ cioe` di trasformare cio` che e`
passivo in attivo, in vino inebriante, spirituale. Il secondo esempio :
’I’ sono Oreste
(= dal greco ‘orestes’= abitante, amante delle vette) suggerisce di
diventare come Oreste,
di guardare, di rivolgersi al piano dello Spirito (Atzilutico). Il terzo
esempio:
’Amate da cui male aveste’
suggerisce di praticare l’Amore nella sua totalita`, ‘perdonando sempre,
sempre, tutto, tutto’ (Fra Cristoforo, dai ‘Promessi sposi’ di
A.Manzoni, che si rifa` a Mt. 18, 21-22). I tre esempi ci insegnano
dunque a riequilibrare l’Albero di Tiphereth e a svilupparlo per la sua
completa fioritura.
Allora più che prima li occhi apersi;
guarda’ mi innanzi, e vidi ombre con manti
al color de la pietra non diversi. 48
E poi che fummo un
poco più avanti,
udia gridar: ’Maria òra per noi’:
gridar ’Michele’ e ’Pietro’ e ’Tutti
santi’. 51
Il Discepolo spalanca gli occhi e guarda
davanti a se` e vede le anime dei penitenti coperte di mantelli dello
stesso colore (livido)
della pietra. E un poco piu` avanti sente gridare: ‘Maria
(= signora,
amata, Grande Madre), prega per noi’ e ‘Michele
(= forza del Signore) e
Pietro
(= roccia, pietra) e
tutti
i
santi
(= tutte le virtu` possibili), pregate per noi’.
Chi e` stato invidioso, ma si e`
pentito, e vuole cancellare in se` le tracce di questo vizio deve
‘invocare’ (= chiamare in aiuto, pregando) le potenze del suo Albero, in
particolare:
Maria,
la Grande Madre, Binah (la Comprensione), la cui virtu` e` il Silenzio;
Michele,
(= la Forza del Signore), Hod (lo Splendore), la cui virtu` e` la
Veridicita`; Pietro,
Malkuth, (il Regno), che ha le chiavi del regno dei cieli (Mt. 16,19);
la cui virtu` e` la Discriminazione; infine
tutti
i
santi,
cioe` anche le altre potenze dell’Albero, affinche` tutte
collaborino alla sua
‘purificazione’.
Non credo che per terra vada ancoi
omo sì duro, che non fosse punto
per compassion di quel ch’i’ vidi poi; 54
ché, quando fui sì
presso di lor giunto,
che li atti loro a me venivan certi,
per li occhi fui di grave dolor munto. 57
Non e` possibile che
sulla terra ci sia qualcuno tanto insensibile da non sentire compassione
per cio` che il Nostro ora vede, perché appena giunge a loro tanto
vicino da essere sicuro del loro stato, subito comincia a piangere per
la compassione.
Di vil ciliccio mi parean coperti,
e l’un sofferia l’altro con la spalla,
e tutti da la ripa eran sofferti. 60
Così li ciechi a cui
la roba falla,
stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna,
e l’uno il capo sopra l’altro avvalla, 63
perché ’n altrui
pietà tosto si pogna,
non pur per lo sonar de le parole,
ma per la vista che non meno agogna. 66
Sono tutti coperti di
cilicio (= cintura di setole che si indossa per penitenza), si
sorreggono l’un l’altro con la spalla e tutti si appoggiano alla roccia.
Stanno (costoro) come i ciechi bisognosi che chiedono l’elemosina nelle
feste, appoggiando le teste gli uni agli altri per suscitare pieta` non
solo con le parole, ma anche con l’aspetto.
E come a li orbi non approda il sole,
così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora,
luce del ciel di sé largir non vole; 69
ché a tutti un fil
di ferro i cigli fóra
e cusce sì, come a sparvier selvaggio
si fa però che queto non dimora. 72
E come ai ciechi non
arriva la luce del sole, cosi` qui, a queste anime, il cielo non
largisce la luce, perché hanno tutti gli occhi cuciti con un fil di
ferro, come si fa con un falco selvaggio e indocile.
Per la legge del contrappasso, gli
invidiosi che
usarono gli occhi per
guardare con odio l’altrui gioia o con torbida gioia l’altrui dolore,
ora sono ciechi e vestiti di cilicio; mancarono di carita` e ora
caritatevolmente si sostengono l’un l’altro.
A me pareva, andando, fare oltraggio,
veggendo altrui, non essendo veduto:
per ch’io mi volsi al mio consiglio
saggio. 75
Ben sapev’ei che volea dir lo muto;
e però non attese mia dimanda,
ma disse: "Parla, e sie breve e arguto". 78
Il Discepolo vorrebbe
andare a parlare con quelle anime, ma non osa farlo, lui vedente, per
non offendere la loro cecita`; senza dir nulla si volge alla Guida per
consiglio. Ed essa,
ben conoscendolo, previene la domanda e dice: “Chiedi, ma sii conciso e
arguto
(dal greco argos = lucente), penetrante”.
Virgilio mi
venìa da quella banda
de la cornice onde cader si puote,
perché da nulla sponda s’inghirlanda; 81
da l’altra parte
m’eran le divote
ombre, che per l’orribile costura
premevan sì, che bagnavan le gote. 84
Virgilio sta (rispetto a Dante) dalla
parte della cornice dove si puo` cadere perché senza riparo; dall’altra
parte ci sono le anime penitenti che piangono, per la tremenda cucitura
delle palpebre, tanto da far piangere.
Volsimi a loro e: "O gente sicura",
incominciai, "di veder l’alto lume
che ’l disio vostro solo ha in sua cura, 87
se tosto grazia
resolva le schiume
di vostra coscïenza sì che chiaro
per essa scenda de la mente il fiume, 90
ditemi, ché mi fia
grazioso e caro,
s’anima è qui tra voi che sia latina;
e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo". 93
Allora il Nostro si
rivolge loro dicendo: “ O anime sicure di giungere a vedere l’alta Luce,
oggetto del vostro solo desiderio, che presto la Grazia possa dissipare
le (ultime) scorie della vostra coscienza, cosicche` poi attraverso di
essa il fiume della Mente (divina) possa scendere (in voi); ditemi, e
cio`mi sarebbe assai gradito e caro, se c’e` qui qualche italiano (delle
citta` italiane) a cui potrei giovare, conoscendolo”.
"O frate mio, ciascuna è cittadina
d’una vera città; ma tu vuo’ dire
che vivesse in Italia peregrina". 96
Questo mi parve per
risposta udire
più innanzi alquanto che là dov’io stava,
ond’io mi feci ancor più là sentire. 99
Tra l’altre vidi
un’ombra ch’aspettava
in vista; e se volesse alcun dir ’Come?’,
lo mento a guisa d’orbo in sù levava. 102
“Fratello, ogni anima e`
cittadina di una sola vera citta` (la citta` celeste); ma tu (certo)
vuoi dire qualcuno che vivesse in Italia quando era in esilio in terra”.
A Dante sembra di sentire che la
risposta venga da un
po` piu` avanti, per cui avanza un poco. E vede, tra le altre, un’ombra
in attesa; che alza il viso in su`, come un cieco che dice: ‘Come?’
"Spirto", diss’io, "che per salir ti dome,
se tu se’ quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome". 105
"Io fui sanese",
rispuose, "e con questi
altri rimendo qui la vita ria,
lagrimando a colui che sé ne presti. 108
E Dante: “Spirito che
fai penitenza per ascendere, sei tu che mi hai risposto? Lasciati
conoscere per mezzo del nome e della citta` (d’origine). E lo spirito:
“Fui di Siena, e insieme a costoro
purifico qui la vita
peccaminosa; piangiamo rivolti al Signore, affinche` ci si mostri…”
Savia non fui, avvegna che Sapìa
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
più lieta assai che di ventura mia. 111
E perché tu non
creda ch’io t’inganni,
odi s’i’ fui, com’io ti dico, folle,
già discendendo l’arco d’i miei anni. 114
“…Il mio nome e` stato
Sapìa
(dal greco ‘saphes’ = saporosa
o dal greco ‘sophos’
= fine, raffinata; guelfa, esulto` per la sconfitta dei concittadini
ghibellini), ma saggia non fui, invece sono stata (invidiosa), molto
piu` contenta delle disgrazie altrui che della mia buona sorte. E perché
tu non creda chi io menta, ascolta se non fui pazza, come dico, quando
gia` ero in la` con gli anni…”
Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co’ loro avversari,
e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle. 117
Rotti fuor quivi e
vòlti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari, 120
tanto ch’io volsi in
sù l’ardita faccia,
gridando a Dio: "Omai più non ti temo!",
come fé ’l merlo per poca bonaccia. 123
“…I miei concittadini si
erano scontrati presso
Colle
(dal greco ‘kolonos’ = collina Valdelsa) con gli avversari e io pregavo
il Signore per (la loro sconfitta), cio` che Egli poi volle. Furono
sconfitti e messi in fuga, e vedendoli inseguiti, gioii ed arditamente
alzata la faccia al Cielo gridai: ‘Ora non ti temo piu`’ Come fece il
merlo vedendo un po` di sereno…”
La frase di sfida puo` essere
considerata piu` come ‘peccato di orgoglio’, che ‘peccato di invidia’,
ma come gia` detto, orgoglio e invidia sono due facce della stessa
medaglia, entrambi vizi della qelipah, scoria della sephirah Tiphereth.
Pace volli con Dio in su lo stremo
de la mia vita; e ancor non sarebbe
lo mio dover per penitenza scemo, 126
se ciò non fosse,
ch’a memoria m’ebbe
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per caritate increbbe. 129
“…Al termine della mia
vita cercai la pace divina, e ancora non avrei iniziato la mia penitenza
se il caritatevole
Pier Pettinaio
(= Pietro venditore di pettini; terziario francescano, morto nel 1289 in
odore di santita`), dispiaciuto dei miei peccati, non mi avesse
ricordato nelle sue preghiere, …” Ma tu chi
se’, che nostre condizioni
vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
sì com’io credo, e spirando ragioni?". 132
"Li occhi", diss’io,
"mi fieno ancor qui tolti,
ma picciol tempo, ché poca è l’offesa
fatta per esser con invidia vòlti. 135
Troppa è più la
paura ond’è sospesa
l’anima mia del tormento di sotto,
che già lo ’ncarco di là giù mi pesa". 138
“…Ma tu chi sei, che
domandi di noi, che non hai gli occhi cuciti, come credo, e che discorri
respirando?” E Dante a lei: “Anche io avro` gli occhi cuciti (alla mia
morte) ma per poco tempo, perché
essi non sono stati
tanto invidiosi. Quella che fa molta piu` paura alla mia anima e` la
pena della cornice di sotto (del peccato della superbia) di cui gia`
sento gravare il peso”.
Ed ella a me: "Chi t’ ha dunque
condotto qua
sù tra noi, se giù ritornar credi?".
E io: "Costui ch’è meco e non fa motto. 141
E vivo sono; e però
mi richiedi,
spirito eletto, se tu vuo’ ch’i’ mova
di là per te ancor li mortai piedi". 144
E
Sapia
a lui: “Chi dunque ti ha condotto qui, se credi di tornare sulla terra?”
E Dante: “Costui che e` con me e tace. Io sono ancora vivo; percio`,
spirito prescelto, chiedimi se vuoi che io faccia qualcosa per te sulla
terra”.
"Oh, questa è a udir sì cosa nuova",
rispuose, "che gran segno è che Dio t’ami;
però col priego tuo talor mi giova. 147
E cheggioti, per
quel che tu più brami,
se mai calchi la terra di Toscana,
che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami. 150
Tu li vedrai tra
quella gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch'a trovar la Diana; 153
ma più vi perderanno
li ammiragli".
E Sapia gli risponde: “Oh, questa e`
cosa davvero insolita, ma e` segno dell’Amore divino per te; percio`
ricordami nelle tue preghiere. E ti chiedo, nel nome di cio` che piu`
desideri, se ti troverai nella terra di Toscana, che tu parli bene di me
ai parenti. Li troverai tra la gente stolta che spera invano (di avere
un porto) in
Talamone
(dal greco ‘talao’ = sostegno; i Senesi acquistarono il borgo presso
Orbetello nella speranza di farne un porto, ma era lontano da Siena e in
zona malarica) e tentarono inutilmente di trovare (l’acqua di un fiume
sotterraneo inesistente)
Diana
(= la splendente); con grande delusione di quelli che ambivano a
diventare ammiragli(
capi di flotta)”.
Dante come esempio di penitente
invidiosa ci offre la nobildonna
Sapia
(dal greco ‘saphes’ = saporosa
o dal greco ‘sophos’
= fine, raffinata) che gioisce delle disgrazie altrui, ma che non e`
un’invidiosa che si macera per le fortune degli altri. Abbiamo cercato
nella Bibbia esempi di siffatti invidiosi ed non ne abbiamo trovati, a
parte il ‘Satana’ di Giobbe (cfr. ns/ inter. cab. in
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‘Giobbe’) che provoca lui stesso le
disgrazie alla sua vittima e (ovviamente) ne gioisce, ma non fa testo,
perché ‘lui’ e` tutti i vizi e non uno in particolare e anche se di
‘lui’ la Sapienza dice: ‘La morte e` entrata nel mondo per l’invidia del
diavolo’ (Sap. 2, 24). Abbiamo invece trovato alcuni esempi di invidiosi
della seconda categoria (di quelli che si dannano alla vista dell’altrui
bene): Caino pieno di risentimento per Abele (Gn. 4, 3-5: ‘… Il Signore
gradi` Abele e la sua offerta, ma non gradi` Caino e la sua offerta.
Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto’); i fratelli di
Giuseppe, che lo odiano perché
prediletto dal padre
Giacobbe (Gn. 37, 4-11: ‘…i suoi fratelli percio` erano invidiosi di
lui…’); Saul, re d’Israele invidioso del giovane Davide, futuro re: (1
Sam.18, 7-9: ‘Le donne danzavano e cantavano alternandosi: Saul ha
ucciso i suoi mille (filistei), Davide i suoi diecimila…Saul diceva:
“Hanno dato a Davide diecimila, a me ne hanno dato mille. Non gli manca
altro che il regno”. Cosi` da quel giorno in poi Saul si ingelosi` di
Davide’) cioe` ne divenne invidioso… ecc..
Ci sembra che il Nostro, punendo assai duramente il vizio
dell’invidia con la temporanea cecita`, poiche` fa continuamente
riferimento alla ‘vista’
(vv. 74, 83, 86, 101-102, 119, 131, 133) che
e` relativa alla coscienza, voglia qui affermare che
chi
e` invidioso e` completamente privo di
Coscienza; ma
proprio perché in se` non riesce a trovare
tracce importanti di questo vizio, ci offre dell’invidia
un esempio
‘saporito ma poco invidioso’. Possiamo dire
che egli in questo canto trasferisce ad una sua componente femminile
interiore Sapia, che e` certo ‘saporita’ e
‘raffinata’, ma non e` poi tanto livorosa, il compito di impartirsi
(impartirci) dolcemente una lezione su quella che deve essere la
vera aspirazione degli uomini: sviluppare Tiphereth, la sephirah
dell’Amore e della Carita` per arrivare a ‘vedere bene’, il che
significa diventare
cittadini della vera Citta` (Quella celeste,
la Sephirah Daath, la Coscienza);
coglie
poi anche l’occasione per castigare con
ironia le vane speranze degli ambiziosi che cercano la Salvezza, il
‘Porto’, il Sostegno (Talamone
= il sostegno) nel posto sbagliato (lontano e
insalubre) e
Diana = la splendente, cioe` l’Acqua di Vita
(Giovanni. 4, 14), dove non c’e`, (lontano dalla Citta` celeste),
questo accade perché probabilmente costoro sono ancora del tutto
‘ciechi’…
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