PURGATORIO - CANTO XIV
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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"Chi è costui che ’l nostro monte
cerchia prima
che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?". 3
"Non so chi sia, ma
so ch’e’ non è solo;
domandal tu che più li t’avvicini,
e dolcemente, sì che parli, acco’ lo". 6
“Chi e` costui che gira intorno al
Purgatorio, (da vivo), prima che la morte abbia liberato la sua anima, e
che apre e chiude gli occhi a suo piacimento?” “Non so chi sia, ma so
che non e` solo; chiedi tu che gli sei piu` vicino, ma con cortesia
accoglilo, affinche` si riveli”. (I due sono: Guido del Duca, che e`
stato giudice in Romagna e Rinieri da Calboli, guelfo, che e` stato
podesta` in alcuni comuni pure di Romagna)
Così due spirti, l’uno a l’altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini; 9
e disse l’uno: "O
anima che fitta
nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai,
per carità ne consola e ne ditta 12
onde vieni e chi
se’; ché tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu più mai". 15
Cosi`, sulla destra, due
penitenti che si sorreggono l’un l’altro, parlano del Nostro, poi alzano
la testa e uno dice: “ O anima che ancora hai il corpo materiale e che
vai verso il cielo, per carita` consolaci dicendo da dove vieni e chi
sei; perché la tua condizione suscita in noi tanta meraviglia, come cosa
mai successa prima”.
E io: "Per mezza Toscana si spazia un
fiumicel che nasce in Falterona, e cento miglia di corso nol
sazia. 18
Di sovr’esso rech’io questa persona: dirvi ch’i’
sia, saria parlare indarno, ché ’l nome mio ancor molto non
suona". 21 E Dante:
“A meta` della Toscana
(= terra degli etruschi, di origine osca, oscura), si snoda per oltre
cento
(100) miglia
(il miglio romano = mille passi) un fiume non troppo grande che nasce
dal monte Falterona
(dall’etrusco ‘fal’ = cupola e ‘truna’ = potere; percio`: potere del
cielo). Io vengo da una citta` bagnata da questo fiume. Dirvi chi sono
e` inutile, perché il mio nome non e` ancora abbastanza famoso”.
Se qualcuno
ci chiedesse
di interpretargli un sogno in cui due persone,
temporaneamente cieche, gli hanno chiesto il nome e da dove viene, e che
lui, in sogno, ha risposto che viene dalla terra ‘oscura’, dalla valle
dove scorre un
fiumicel
per oltre ‘centomila passi’, fiume che nasce dal
‘potere del cielo’, e che egli non puo` pronunciare
il proprio nome perché ancora
molto non suona,
gli diremmo che i due ciechi temporanei rappresentano due sue componenti
interiori che, ancora
incoscienti della loro funzione, lo spingono a
chiarificarsi
il ‘nome’ e la ‘provenienza’ cioe` a rispondere
‘qui e ora’ alle fondamentali domande esistenziali: Chi sei? Da Dove
vieni? Facendo il punto della sua vita. La risposta che il sognatore si
da` sintetizza la sua situazione del momento: sa che proviene dalla
terra ‘oscura’ che e` stata fecondata dall’acqua dello Spirito, (100 e`
il valore del Sole, il sentiero della Luce, 1000 il valore diDaath, la
Sephirah della Coscienza) ma che ancora non ha imparato a far risuonare
il suo (vero) Nome. "Se ben lo ’ntendimento
tuo accarno con lo ’ntelletto", allora mi rispuose quei che diceva
pria, "tu parli d’Arno". 24
E l’altro disse lui: "Perché nascose
questi il vocabol di quella riviera, pur com’om fa de l’orribili
cose?". 27 Allora
l’interlocutore di prima cosi` risponde: “Se capisco bene, tu parli
dell’Arno
( cavita` piena d’acqua = fiume)” E l’altro penitente a lui: “Perché
nasconde il nome del fiume, come si fa per le cose
orribili (da una radice sanscrita ‘hars’ = che fanno drizzare i
capelli)?” E l’ombra che di ciò domandata
era, si sdebitò così: "Non so; ma degno ben è che ’l nome di tal
valle pèra; 30
ché dal principio suo, ov’è sì pregno
l’alpestro monte ond’è tronco Peloro, che ’n pochi luoghi passa oltra
quel segno, 33
infin là ’ve si rende per ristoro di quel che
’l ciel de la marina asciuga, ond’ hanno i fiumi ciò che va con
loro, 36
vertù così per nimica si fuga da tutti come biscia, o
per sventura del luogo, o per mal uso che li fruga: 39
ond’
hanno sì mutata lor natura li abitator de la misera valle, che par
che Circe li avesse in pastura. 42
E il penitente interrogato
risponde: “Non lo so, ma e` giusto che il nome di quella valle scompaia;
perché dalla sorgente, dove la catena montuosa (dell’Appennino) da cui
si e` staccato il monte Peloro
(= dal greco ‘peloros’= prodigioso, in Sicilia) e` tanto massiccia come
in pochi altri luoghi, fino al punto in cui si getta nel mare, per
rendergli l’acqua che il sole fa evaporare per alimentare i fiumi, (la`,
in quella terra) la virtu` e` evitata da tutti, come un serpente, o per
la disgrazia del posto, o per una cattiva abitudine, cosi` che gli
abitanti di quella valle si sono trasformati al punto da sembrare
allevati dalla maga Circe
(= dal greco ‘kirkos’ = a cerchio, come la discesa del ‘falco
predatore’); che, dopo averli catturati, mutava gli uomini in porci - v.
mito di Ulisse in
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miti e relativa ns/
interpretazione
cabalistica)…”
Tra brutti porci, più degni di galle
che d’altro cibo fatto in uman uso, dirizza prima il suo povero
calle. 45
Botoli trova poi, venendo giuso, ringhiosi più che
non chiede lor possa, e da lor disdegnosa torce il muso. 48
Vassi caggendo; e quant’ella più ’ngrossa, tanto più trova di can
farsi lupi la maladetta e sventurata fossa. 51
Discesa poi per
più pelaghi cupi, trova le volpi sì piene di froda, che non temono
ingegno che le occùpi. 54
“…Questo fiume (l’Arno) all’inizio dirige il suo corso fra i
porci
( = animali impuri, che contaminano chi viene a contatto con loro,
simbolo della gola; sono i casentinesi), degni solo di nutrirsi di
ghiande. Poi, proseguendo in giu`, trova i
botoli,
ringhiosi piu` di
quanto lo permetta la loro forza (= cani bastardi arrabbiati, simbolo
d’ira e lussuria; sono gli aretini) e si allontana da loro. Si cambia
poi (scendendo); e quanto piu` ingrossa tanto piu` trova i
cani
che
diventano lupi
(= simbolo di distruzione e ingordigia; sono i fiorentini). Scendendo
sempre piu` in giu` per fossati oscuri, trova le
volpi (=
animali simbolo di astuzia e malizia; sono i pisani) che non temono
trappola che le catturi…” Né lascerò di dir
perch’altri m’oda; e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta di ciò
che vero spirto mi disnoda. 57
Io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva del fiero fiume, e tutti li
sgomenta. 60 “…E non
smettero` di parlare, perché c’e` chi ascolta, e gli sara` utile, se
ricorda cio` che la verita` mi fa dire. Io vedo tuo nipote (Fulcieri,
nipote di Rinieri, fu podesta` in Firenze nel 1303, fu a favore dei
Guelfi Neri, contro i Bianchi), che diventa cacciatore di quei lupi,
sulla riva del fiume crudele e li atterrisce tutti…”
Vende la carne loro essendo viva; poscia li ancide come antica belva;
molti di vita e sé di pregio priva. 63
Sanguinoso esce de la
trista selva; lasciala tal, che di qui a mille anni ne lo stato
primaio non si rinselva". 66
“…Ancora vivi, vende la loro
carne, poi li uccide come una belva dei tempi passati (incivili),
togliendo a loro la vita e a se stesso la dignita`. Esce da quella
malvagia terra (sull’Arno, Firenze) coperto di sangue e la lascia in
tale stato che essa non potra` neanche in mille anni tornare come era
all’inizio”. Com’a l’annunzio di dogliosi
danni si turba il viso di colui ch’ascolta, da qual che parte il
periglio l’assanni, 69
così vid’io l’altr’anima, che volta
stava a udir, turbarsi e farsi trista, poi ch’ebbe la parola a sé
raccolta. 72 Come
alla notizia di fatti dolorosi si altera il viso di chi ascolta, da
qualunque parte venga il pericolo, cosi` Dante vede diventare triste e
turbato l’altro penitente, appena ascoltato questo discorso.
Seguitando
nella ‘metafora del sogno’ e analizzandolo nei dialoghi dei due
‘personaggi temporaneamente ciechi’ e del sognatore stesso, possiamo
trovare
assai interessante la sua reticenza nel manifestarsi e
nel nominare l’Arno’ e ‘Firenze’ solo con perifrasi: e` la sua ricerca
dell’umilta` e la sua vergogna dell’errore. Perché
le ragioni
della corruzione (orribile
cosa)
della ‘terra’ e dell’‘acqua’ del sognatore (da monte a valle, quindi
nella totalita`) vanno ricercate nel fatto che la virtu` originaria si
e` mutata in vizio a causa e (o) della sventura
(accadimento nefasto = caduta, rottura, shevirah) del
luogo (del vaso stesso) e (o) per malo uso (cattivo uso dell’energia); ecco quindi che le qualita` che
dovevano essere umane sono diventate animalesche, cosi` trasformate dal
‘falco predatore’ (l’avversario). Il ‘fiume’, l’ acqua, che avrebbe
dovuto alimentare le virtu` ha alimentato i vizi (i
porci = la
gola; i botoli ringhiosi
=
l’ira e la lussuria; i
lupi = la distruzione e
l’ingordigia; le volpi
= l’astuzia e la malizia). E, peggior cosa, proprio il ‘nipote’, un
discendente di uno dei due ‘ciechi’ cacciatore
di lupi (che ha
accumulato
ingordigia e distruzione, attributi della
qelipah scoria della sephirah Geburah, la Forza) e` quello che reca il
massimo danno a ‘Firenze’, al ‘Fiore’, a Tiphereth, la sephirah relativa
al cuore dello stesso sognatore. Lo dir de
l’una e de l’altra la vista mi fer voglioso di saper lor nomi, e
dimanda ne fei con prieghi mista; 75
per che lo spirto che di
pria parlòmi ricominciò: "Tu vuo’ ch’io mi deduca nel fare a te
ciò che tu far non vuo’ mi. 78
Le parole dell’uno e
l’atteggiamento dell’altro rendono il Nostro curioso, cosi` pregandoli,
chiede i loro nomi; per cui quello che ha iniziato il colloquio (Guido)
riprende a parlare: “Tu vuoi che io dica a te cio` che tu non vuoi dire
a me (il nome)…” Ma da che Dio in te vuol che
traluca tanto sua grazia, non ti sarò scarso; però sappi ch’io fui
Guido del Duca. 81
Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso, che
se veduto avesse uom farsi lieto, visto m’avresti di livore
sparso. 84 “…Ma
poiche` la volonta` del Signore ti riempie di grazia, non mi rifiutero`:
percio` sappi che io fui Guido
(= uomo di selva)
del Duca
(dal tardo greco ‘doukas = che conduce). Fui talmente bruciato
dall’invidia che vedere un uomo felice mi riempiva di livore…”
Di mia semente cotal paglia mieto; o gente umana,
perché poni ’l core là ’v’è mestier di consorte divieto? 87
Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore de la casa da Calboli,
ove nullo fatto s’è reda poi del suo valore. 90
“…Questa pena e` il raccolto di
cio` che ho seminato; perché l’umanita` desidera cio` che non
puo` avere? Questo (accanto a me) e`
Rinier
(= dal tedesco ‘reiner’ = invincibile) e` il pregio e l’onore di
Calboli
( dal latino calvus = teschio; dei ‘crani’), dove nessuno ha ereditato
il suo valore…”
Veniamo poi
a sapere, sempre nel racconto del ‘sogno’, che ‘i due ciechi temporanei’
sono: Guido del Duca
(il silvano che conduce = il capo silvestre)
e Rinier
di Calboli
(l’invincibile dei crani = il capo invincibile) che si possono riferire
l’uno al Malkuth, il Regno, e l’altro a Chesed, la Giustizia del
sognatore. E non pur lo suo sangue è fatto
brullo, tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno, del ben
richesto al vero e al trastullo; 93
ché dentro a questi termini è
ripieno di venenosi sterpi, sì che tardi per coltivare omai
verrebber meno. 96
“…E (nelle terre) tra il Po
( dal celtico ‘bod’ = profondo), il monte, il mare e il
Reno (= che
scorre), non solo la sua discendenza e` rimasta priva dei beni necessari
(carita` e cortesia)
alla vita e alla sua bellezza, ma in quei
confini tutto e` pieno di erbacce velenose, ormai impossibili da
estirpare…” Ov’è ’l buon Lizio e Arrigo
Mainardi? Pier Traversaro e Guido di Carpigna? Oh Romagnuoli
tornati in bastardi! 99
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco, verga gentil di picciola
gramigna? 102 Dove
sono finiti
Lizio
(da ‘Eliseo’ = il Signore salva; nobile romagnolo di costumi virtuosi) e
Arrigo
(= Enrico = ricco, forte) Mainardi
(da ‘mio Bernardo’ = dei forti come l’orso; era amico di Guido)? E
Pier (= roccia)
Traversaro
(= che congiunge; Signore di
Ravenna, morto nel 1225) e Guido
(= il silvano) di Carpigna
(= che spicca; morto nel 1283)?
Oh, Romagnoli
(della terra dei romani),
divenuti bastardi! Quando a Bologna
(=terra preziosa) tornera` un Fabbro
(che inventa, che fa)? Quando in Faenza
(che e` a favore) tornera` un Bernardin
(forte come l’orso) di Fosco
(= dell’oscuro), nobile, benche` nato da piccola famiglia?
Non ti maravigliar s’io piango, Tosco, quando rimembro, con Guido da
Prata, Ugolin d’Azzo che vivette nosco, 105
Federigo Tignoso e
sua brigata, la casa Traversara e li Anastagi (e l’una gente e
l’altra è diretata), 108
le donne e ’ cavalier, li affanni e li
agi che ne ’nvogliava amore e cortesia là dove i cuor son fatti sì
malvagi. 111 Non ti
meravigliare se io piango, o Toscano, quando ricordo con
Guido (=
il silvano) da Prata
(dei pronti, preparati), Ugolino
(= il senno) d’Azzo
(provvisto di ascia, tagliente) che visse con noi,
Federico (che
governa in pace) Tignoso
(cocciuto, perseverante) e la sua compagnia, la casa
Traversara (di
chi congiunge) e gli Anastagi
(da greco: ana= su, stao = sto,
che fanno risorgere) famiglie ora prive di eredi; (non ti meravigliare
se rimpiango) le donne, i cavalieri, le preoccupazioni e i piaceri che
accendevano in noi amore e cortesia la` dove ora i cuori son divenuti
malvagi…” O Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua famiglia e molta gente per non esser
ria? 114
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia; e mal fa
Castrocaro, e peggio Conio, che di figliar tai conti più
s’impiglia. 117 “…O
Bretinoro (castello dei ‘berti’, degli ‘splendenti’ dove visse Guido)
perche` non sparisci, visto che la tua famiglia e la tua gente se ne e`
andata per non diventare cattiva? Fanno bene
i Bagnacaval
(= guado per passare col cavallo) a non aver figli, e fanno male i
Castrocaro
(che hanno il castello quadrato) e i Conio
(che incidono) che si ostinano a generare simili eredi…”
Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio lor sen girà; ma non però che
puro già mai rimagna d’essi testimonio. 120
O Ugolin de’
Fantolin, sicuro è ’l nome tuo, da che più non s’aspetta chi far
lo possa, tralignando, scuro. 123
Ma
va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta troppo di pianger più che di
parlare, sì m’ ha nostra ragion la mente stretta". 126
Faranno bene (a non avere figli)
i Pagan
( = villaggi dove abitavano gli idolatri) dopo la morte del loro ultimo
discendente
(Maghinardo, malvagio come un demonio) ma non ci
saranno piu` testimoni positivi della loro gente. Anche
Ugolin (=
senno) dei Fantolin
(= piccoli fanti) ha la fama sicura, perché non c’e piu` nessuno che
possa macchiarla. Ma ora, o Toscano, va via, perché preferisco piuttosto
piangere che parlare, tanto il discorso mi ha rattristato”.
Riferendosi
alle pregio e all’onore di
Rinier di Calboli
(Chesed dell’Albero del sognatore ) Guido del
Duca (suo Malkuth)
elenca tutta una serie di personaggi che sono stati ‘grandi’ in Romagna,
la terra dei romani, cioe` di coloro che hanno fondato nelle generazioni
passate (vite passate) l’impero, il ‘Regno’, che hanno formato cioe` la
personalita` del sognatore, di Dante stesso:
Lizio
(= che salva = che ha sviluppato Tiphereth);
Arrigo Mainardi (=
ricco e forte = che ha sviluppato Geburah); Pier
Traversaro (= la roccia
che unisce i contrari= che ha armonizzato Malkuth);
Guido da Carpigna (= il silvestre che raccoglie = che ha accresciuto pure il
Malkuth). Egli
rimpiange della citta` di
Bologna
(Malkuth
prezioso), Fabbro
(= il creativo, che opera in Hod) e della citta` di
Faenza (Malkuth
favorevole) Bernardin di Fosco
(= il forte dell’oscuro, che opera in Geburah). E ricorda, sempre
piangendo, Guido da Prata
(= il silvestre pronto = il fisico a servizio) e
Ugolino d’Azzo
(= la mente acuta); Federico Tignoso
(= la capacita` di perseverare nella pace), la
Casa Traversa (= la dote di mediare) e gli Anastagi (= la virtu` di risorgere). Queste ‘casate’, queste qualita`,
attualmente sono ora prive di ‘eredi’ cioe` di tutte
quelle
‘doti’
sempre necessarie alla Vita di tutto l’Albero e
in particolare alla sua “Bellezza’, al centro Tiphereth. Prima di
terminare il colloquio Guido del Duca
ricorda ancora il castello di Bretinoro
(splendente, Hod) dove ha abitato, e dove non c’e` piu` nessuno e
Bagnacaval (il guado, Yesod) che nessuno piu` passa; mentre ancora
i castelli di Castrocaro
(quadrato, Malkuth) e di Conio
(incisione, Geburah) generano eredi; infine invita i
Pagan (= i
villaggi, i piccoli centri dell’albero nero) a desistere dal
prolificare, ed esorta Ugolin de` Fantolin
(= il senno dei piccoli centri) a rimanere senza macchia.
Noi sapavam che quell’anime care ci sentivano andar; però, tacendo,
facëan noi del cammin confidare. 129
Poi fummo fatti soli
procedendo, folgore parve quando l’aere fende, voce che giunse di
contra dicendo: 132
’Anciderammi qualunque m’apprende’; e
fuggì come tuon che si dilegua, se sùbito la nuvola scoscende. 135
I due Pellegrini
proseguono il viaggio e sapendo che quelle anime
care (amabili)
li sentono andare e tacciono, sono certi di essere sulla giusta via.
Procedendo rimangono soli e odono una voce che viene loro incontro, come
un tuono che fenda l’atmosfera: ‘Mi uccidera` chiunque mi catturi’
(cosi` dice Caino dopo aver ucciso Abele, Gn. 4, 14) e poi si spegne
come un lampo che sparisce, coperto subito da una nuvola.
Come da lei l’udir nostro ebbe triegua, ed ecco l’altra con sì gran
fracasso, che somigliò tonar che tosto segua: 138
"Io sono
Aglauro che divenni sasso"; e allor, per ristrignermi al poeta, in
destro feci, e non innanzi, il passo. 141
Appena la prima voce tace,
eccone un’altra che, con gran fracasso
(scuotimento) tanto da somigliare ad un altro tuono, dice : “Io sono
Aglauro
(dal greco aglaos = aurea, dalla bell’aura) tramutata in sasso (figlia
di Cecrope, re d’Atene, invidiosa, si oppose all’amore della sorella
Erse per Ermes, che la trasformo` in pietra)” Allora Dante fa un passo a
destra, stringendosi a Virgilio.
Già era l’aura d’ogne parte queta;
ed el mi disse: "Quel fu ’l duro camo che dovria l’uom tener dentro a
sua meta. 144
Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo de l’antico
avversaro a sé vi tira; e però poco val freno o richiamo. 147
Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira, mostrandovi le sue bellezze
etterne, e l’occhio vostro pur a terra mira; 150
onde vi batte
chi tutto discerne".
Tornata l’aria silenziosa, la Guida
dice: “Questi sono gli esempi che dovrebbero trattenere l’uomo
(dall’invidia) entro i limiti del lecito. Ma voi abboccate all’amo
dell’antico avversario (il diavolo) che vi adesca, e percio` a poco vale
il freno o il rimprovero. Il Cielo vi chiama e vi avvolge, mostrando le
sue eterne bellezze, ma i vostri occhi guardano in basso; per questo
Colui che tutto vede vi punisce”.
I due esempi di peccati di invidia
puniti, l’uno ricavato dalla storia biblica di Caino, l’altro della
mitologia greca, dovendo educare i penitenti invidiosi che sono stati
ciechi alla spiritualita` e che ora per contrappasso sono
temporaneamente privati della vista, anche dal Nostro sono solo ‘uditi’
e non ‘visti’, ma entrambi sono equiparati al fulmine-tuono che scuote e
risveglia: lo scuotimento che avviene nel cuore, in Tiphereth, produce
quella rinnovamento coscienziale
che permette di proseguire sicuri il viaggio,
purche` ci si accosti fiduciosamente alla Ragione, Guida sicura nei
momenti di timore, e si accettino di buon grado i suoi consigli e
rimproveri.
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