PURGATORIO - CANTO XV
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Quanto tra l’ultimar de l’ora terza
e ’l principio del dì par de la spera
che sempre a guisa di fanciullo scherza, 3
tanto pareva già
inver’ la sera
essere al sol del suo corso rimaso;
vespero là, e qui mezza notte era. 6
Al
tramonto del sole, l’astro che giuoca (con i pianeti) come un fanciullo,
mancano ancora tre ore di luce, percio` nel purgatorio sono circa le tre
del pomeriggio, sulla terra (in Italia) e` mezzanotte.
E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso,
perché per noi girato era sì ’l monte,
che già dritti andavamo inver’ l’occaso, 9
quand’io senti’ a me
gravar la fronte
a lo splendore assai più che di prima,
e stupor m’eran le cose non conte; 12
ond’io levai le mani
inver’ la cima
de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio,
che del soverchio visibile lima. 15
I raggi colpiscono in
pieno i visi dei due Viandanti, che girando intorno al monte, si
dirigono ora verso il tramonto (ad ovest) ed ecco che, improvvisamente,
il Nostro si sente molto di piu` inondato di luce e se ne stupisce non
conoscendone la causa, per cui si fa riparo con le
mani inver’ la cima de le ciglia
(agli occhi) per ridurre quella luminosita`.
Come quando da l'acqua o da lo specchio
salta lo raggio a l'opposita parte,
salendo sù per lo modo parecchio 18
a quel che scende, e
tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta,
sì come mostra esperïenza e arte; 21
così mi parve da
luce rifratta
quivi dinanzi a me esser percosso;
per che a fuggir la mia vista fu ratta. 24
Come quando un raggio
colpisce l’acqua o lo specchio e rimbalza dalla parte opposta con la
stessa intensita` e si discosta dello stesso angolo dalla verticale,
come insegna l’esperienza e la scienza, cosi` Dante ha avvertito di
essere colpito dal riflesso di una luce, per cui ha distolto subito lo
sguardo.
"Che è quel, dolce padre, a che non posso
schermar lo viso tanto che mi vaglia",
diss’io, "e pare inver’ noi esser mosso?". 27
"Non ti maravigliar
s’ancor t’abbaglia
la famiglia del cielo", a me rispuose:
"messo è che viene ad invitar ch’om
saglia. 30
Tosto sarà ch’a veder queste cose
non ti fia grave, ma fieti diletto
quanto natura a sentir ti dispuose". 33
E (subito) domanda alla
Guida: “Amato padre, come mai non riesco a ripararmi da cio` che sembra
venire verso di noi?” Virgilio cosi` risponde: “ E` un messaggero (un
angelo) che viene ad invitarci a salire (alla terza cornice). Non ti
meravigliare se la Luce degli abitanti celesti ancora ti abbaglia:
presto la loro Luce, che la Natura (= la Vita) ti concede di vedere, non
ti
dara` piu` disagio,
ma diletto”.
Il Discepolo sul Sentiero sta
lasciando la cornice che ospita i penitenti del peccato dell’invidia
il cui custode e`
l’Angelo della ‘Misericordia’ o della Carita`, Virtu` che corrisponde
alla sephirah Tiphereth (Bellezza) chiamata ‘Intelligenza Mediatrice’,
perché e` la piu` centrale dell’Albero, relativa al cuore della
personalita` e
al suo Sole
astrologico, ma la Luce di questo Angelo ancora
abbaglia
(dal latino ‘baljus’ = lampeggiante) gli occhi di chi non e`
completamente purificato, tuttavia quella stessa luce, ‘abbagliandolo’,
tra poco gli cancellera` la seconda ‘P’ dalla fronte. Quando tutte le
‘P’ saranno cancellate, in cima al monte del Purgatorio, i suoi occhi
diverranno capaci di sostenere la potenza della luce angelica, perché la
sephirah Daath, la Coscienza (centro corrispondente all’occhio
interiore) situato in mezzo alle sopracciglia (la
cima delle ciglia
del v. 14) avra` raggiunto lo sviluppo adeguato.
Poi giunti fummo a l’angel benedetto,
con lieta voce disse: "Intrate quinci
ad un scaleo vie men che li altri eretto". 36
Noi montavam, già
partiti di linci,
e ’Beati misericordes!’ fue
cantato retro, e ’Godi tu che vinci!’. 39
Giunti dinanzi
all’angelo benedetto, questo li invita lietamente: “Entrate da questa
parte, c’e un passaggio piu` agevole”. I due salgono e dietro di loro
sentono voci che cantano le beatitudini: ‘…Beati i misericordiosi,
(perché troveranno misericordia) e beati (i puri di cuore) perché
vinceranno (vedranno il Signore)!’
L’Angelo della Misericordia ha lietamente permesso al Nostro di
passare dalla seconda alla terza cornice, dove vengono purificati i
penitenti ‘irosi’, le parole del canto che li accompagna nella salita
sono tratte dalle Beatitudini del vangelo (Mt. 5, 7-8; per la ns/
interpretazione cabalistica v. Commento al vangelo di Matteo in
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Testi sacri). Lo mio
maestro e io soli amendue
suso andavamo; e io pensai, andando,
prode acquistar ne le parole sue; 42
e dirizza’ mi a lui
sì dimandando:
"Che volse dir lo spirto di Romagna,
e 'divieto' e 'consorte' menzionando?". 45
Andando i due Viandanti
soli per l’erta, il Discepolo si rivolge al Maestro per approfittare dei
suoi insegnamenti: “Che cosa intendeva dire Guido del Duca, il
romagnolo, menzionando
divieto
e
consorte
(canto XIV, v. 87) dove dice che all’uomo e` ‘vietato’ desiderare cio`
di cui e` padrone un altro e che non puo` essere a lui ‘compagno’
nel possesso (v. Dt.
5, 21)?”
Per ch’elli a me: "Di sua maggior
magagna
conosce il danno; e però non s’ammiri
se ne riprende perché men si piagna. 48
Perché s’appuntano i
vostri disiri
dove per compagnia parte si scema,
invidia move il mantaco a’ sospiri. 51
E Virgilio a lui: “Egli conosce bene
il danno che provoca il peccato di cui si e` maggiormente macchiato
(l’invidia), e pertanto non ti deve stupire se (vi) rimprovera per non
farvi soffrire. Perché i desideri (umani) si concentrano proprio su
quelle cose (materiali) che quanto piu` sono invidiate tanto meno, se
divise, ne toccano a ciascuno …”
Ma se l’amor de la spera supprema
torcesse in suso il disiderio vostro,
non vi sarebbe al petto quella tema; 54
ché, per quanti si
dice più lì ’nostro’,
tanto possiede più di ben ciascuno,
e più di caritate arde in quel chiostro". 57
“…Ma se l’amore per il
piano Spirituale portasse in alto il vostro desiderio, non ci sarebbe
nulla da temere; perché in Cielo il ‘nostro’,
cioe` il Bene e la Carita`, cresce col numero di coloro che vi
partecipano”. "Io son
d’esser contento più digiuno",
diss’io, "che se mi fosse pria taciuto,
e più di dubbio ne la mente aduno. 60
Com’esser puote
ch’un ben, distributo
in più posseditor, faccia più ricchi
di sé che se da pochi è posseduto?". 63
E Dante: “Io sono meno
soddisfatto (della risposta avuta) di quanto lo ero prima di domandare e
sono (ora) pieno di dubbi. Come puo` essere che un
bene
distribuito
fra tanti li renda tutti piu` ricchi di quanto lo sarebbero pochi
possessori?” Ed elli a
me: "Però che tu rificchi
la mente pur a le cose terrene,
di vera luce tenebre dispicchi. 66
Quello infinito e
ineffabil bene
che là sù è, così corre ad amore
com’a lucido corpo raggio vene. 69
Ed ecco la risposta:
“Poiche` tieni la mente ancorata alle cose terrene, fai buio dove e`
luce. Quell’Infinito ed Ineffabile Bene che sta in Cielo
(Potere-Saggezza) va verso l’Amore come la luce si precipita ad
illuminare cio` che la riflette…”
Tanto si dà quanto trova d’ardore;
sì che, quantunque carità si stende,
cresce sovr’essa l’etterno valore. 72
E quanta gente più
là sù s’intende,
più v’è da bene amare, e più vi s’ama,
e come specchio l’uno a l’altro rende. 75
“…Egli si concede tanto
quanto e` l’ardore della Carita` che incontra, cosicche` quanto piu`
cresce la Carita` nelle creature, tanto piu` aumenta su di loro la
Potenza e la Saggezza divina. E
piu` numerosi si e`
in Cielo, piu` si espande l’Amore, come gli specchi che rimandano l’un
l’altro la luce…”
Il concetto espresso dalla Guida al
Discepolo e` reso assai bene dall’Albero cabalistico visto come cerchio:
la personalita`(Malkuth) in Assiah, sul piano fisico, ha la coscienza
di un puntino della
circonferenza, dove ogni puntino e` egoico ed e` ‘altro’ dagli altri
puntini; quando il Discepolo acquisisce la coscienza dei suoi corpi
sottili, astrale (Yetzirah) e mentale (Briah), che sono come corone
all’interno del cerchio, la coscienza si espande: gia` sull’astrale
qualcosa e` in comune con gli ‘altri’, poi sul mentale, piu` interno,
c’e`
molto di piu` da
condividere con ‘loro’, infine al centro della cerchio, dove si trova il
piano Divino, Causale (Atziluth), Tutto e` Uno.
Un esempio dell’amplificazione
dell’astrale-mentale rispetto al fisico l’abbiamo nell’ascolto della
musica: possiamo sentire un bel brano da soli e godercelo, ma in gruppo,
al concerto, il godimento e` amplificato e nessuno ci perde, tutti ci
guadagnano e si arricchiscono. Se questo avviene nelle sale da concerto,
o in teatro, tanto piu` nei luoghi di esperienza mistica (santuari,
eremi, ecc..) dove all’esperienza astro-mentale si aggiunge anche
qualcosa di spirituale. (Stiamo parlando sempre di ‘luoghi’ dove si va
per ampliare la coscienza non di luoghi dove si va per perderla, e
questi ultimi non li nominiamo neppure, perché vogliamo commentare il
Purgatorio e non l’inferno…)
E se la mia ragion non ti disfama,
vedrai Beatrice, ed ella pienamente
ti torrà questa e ciascun’altra brama. 78
Procaccia pur che
tosto sieno spente,
come son già le due, le cinque piaghe,
che si richiudon per esser dolente". 81
Com’io voleva dicer ’Tu m’appaghe’,
vidimi giunto in su l’altro girone,
sì che tacer mi fer le luci vaghe. 84
“…E se il mio ragionamento non ti soddisfa, (presto) vedrai
Beatrice che pienamente appaghera` ogni tuo desiderio (di conoscenza).
Intanto fa in modo che al piu` presto (ti) siano cancellate, come le due
precedenti, le cinque piaghe (le cinque ‘P’ dei peccati) che ancora ti
rimangono, e che vengono risanate dal pentimento”. Mentre il Nostro sta
per dire: “Tu mi hai soddisfatto” si accorge di essere giunto sul terzo
cerchio del Purgatorio, per cui tace, incuriosito dal nuovo ambiente.
Quello che la Ragione non riesce a
spiegare completamente verra` ampliato poi dall’intuizione, che e` il
fuoco del mentale (Briah), la cui punta e` gia` in contatto con il mondo
dello Spirito (Atziluth). Ivi mi parve
in una visïone
estatica di sùbito esser tratto,
e vedere in un tempio più persone; 87
e una donna, in su
l’entrar, con atto
dolce di madre dicer: "Figliuol mio,
perché hai tu così verso noi fatto? 90
Ecco, dolenti, lo
tuo padre e io
ti cercavamo". E come qui si tacque,
ciò che pareva prima, dispario. 93
Poi Dante si sente come
rapito in visione estatica: gli appare un tempio con gente, ed una Donna
che sull’ingresso dice con dolce amorevolezza di madre: “Figlio, perché
ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati ti cercavamo” Poi
la visione sparisce.
La prima visione del Nostro nella
terza cornice,
esempio di ‘mitezza’,
virtu` che si oppone all’ira, e` tratta dal vangelo di Luca (Lc. 2, 48),
e` l’episodio di ‘Gesu` tra i dottori’, dove si racconta che, essendosi
Giuseppe e Maria recati a Gerusalemme per la festa di Pasqua (=
Passaggio dell’Angelo – Esodo 12, 11-12; cfr. in
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sceneggiature bibliche ‘Mose`’ e
relativa interpretazione cabalistica-) e avendo essi smarrito il
dodicenne Gesu`, l’hanno poi ritrovato nel Tempio tra i dottori, mentre
li ascolta e li interroga. Tentiamo qui un’interpretazione cabalistica
della vicenda: Maria (l’amata dal Signore), la personalita`, terra
(vergine), Malkuth (il Regno),
ha concepito ‘per
opera dello Spirito Santo’, per Grazia Divina, il Figlio, la Coscienza
(in Yesod, il Fondamento); a lei e` stato ‘aggiunto’ Giuseppe (= il
Signore aggiunga) per poterLo allevare nelle regole terrene, sul piano
fisico, quale padre ‘putativo’, presunto, cioe` quale componente
maschile-razionale, necessaria insieme a quella femminile-sentimentale,
alla ricezione di ogni intuizione. Queste due componenti della
personalita` si recano (come ogni anno, ogni primavera, al tempo del
rinnovamento, a Gerusalemme, (= citta` Santa, nel cuore di se stessi),
per la ‘Pasqua’, per il ‘passaggio dell’Angelo’ per ottenere la
‘salvezza’ e portano con loro Gesu`, il Figlio dodicenne; (12
e` il numero dell’
Archetipo del Sacrificio - v.
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Archetipi la lezione-spettacolo
ad esso relativa)
che ha compiuto un
primo ciclo completo di anni, che ha raggiunto un primo ‘sviluppo’; Egli
non e` il ancora il Figlio della maturita`, il Cristo, lo diventera`
dopo il battesimo di Giovanni (Lc. 3, 21-22), ora e` solo ‘fanciullo’ ma
E` Gesu`(= il Signore salva), e quindi
e` gia` la
‘Salvezza’, la Coscienza Bambina; il suo posto e` proprio nel Tempio,
tra i sacerdoti, in Tiphereth, percio` suo Padre non puo` che essere
Chesed,
la Misericordia, e
sua Madre Geburah, la Mitezza (proprio come nella visione dantesca). In
Tiphereth Egli, fin dai ‘12 anni’ si prepara per la sua Missione, ‘il
Sacrificio’, attraverso il quale giungera` ad essere Daath, la
Coscienza. Allora il Suo vero ‘Padre’ verra` ad essere Chokmah,
l’Intelletto Illuminante, la Saggezza, e sua vera ‘Madre’ Binah,
l’Intelligenza Santificatrice,
la Comprensione: le
due Sephiroth del piano Divino, Atzilutico
che danno origine
alle due colonne dell’Albero; ma per arrivare a questo dovra` prima
morire in Croce, discendere agli inferi, risorgere ed ascendere in
Cielo.
Indi m’apparve un’altra con
quell’acque
giù per le gote che ’l dolor distilla
quando di gran dispetto in altrui nacque, 96
e dir: "Se tu se’
sire de la villa
del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,
e onde ogne scïenza disfavilla, 99
vendica te di quelle
braccia ardite
ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto".
E ’l segnor mi parea, benigno e mite, 102
risponder lei con
viso temperato:
"Che farem noi a chi mal ne disira,
se quei che ci ama è per noi
condannato?". 105
Poi a Dante appare un’altra scena in
cui una donna, in lacrime per lo sdegno, dice: “ O
Pisistrato
(= persuasore dell’esercito; illuminato tiranno di Atene 561-528 a. C. )
se tu sei il re della citta` in cui ogni scienza brilla, e
alla quale gli dei si
contesero l’onore di dare il nome (si tratta di Atene, infatti Atena
nella gara, sconfisse Poseidone e le diede il nome), vendicati di colui
che oso` abbracciare nostra figlia”. E il re, benevolo e mite a lei
risponde: “Che faremo a chi ci odia se condanniamo chi ci ama?”
Volendo interiorizzare anche questa
seconda visione dantesca, ecco che abbiamo qui un ‘re’
benigno e mite
(Chesed, La Giustizia) che ‘persuade’ la moglie, la sua controparte
femminile (Geburah, la Forza, ‘l’esercito’) a valutare con ‘mitezza’
colui
(il Tiphereth) che ha
osato abbracciare la
figlia
(Yesod), considerando il suo un ‘atto d’amore’ ed esortandola a non
capovolgerlo di valenza (condannare l’amore significherebbe tramutarlo
in odio).
Poi vidi genti
accese in foco d’ira
con pietre un giovinetto ancider, forte
gridando a sé pur: "Martira, martira!". 108
E lui vedea
chinarsi, per la morte
che l’aggravava già, inver’ la terra,
ma de li occhi facea sempre al ciel
porte, 111
orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
che perdonasse a’ suoi persecutori,
con quello aspetto che pietà diserra. 114
Ed ancora a Dante appare
una terza scena: Persone invase dall’ira stanno lapidando un giovinetto
e intanto gridano: “Al martirio, al martirio”. E il giovane, a terra,
ormai prossimo alla morte, con gli occhi rivolto al Cielo, prega, in
tanta sofferenza, che il Signore perdoni i persecutori, col volto in cui
si legge solo pieta`.
La terza visione dantesca ricorda il
giovane diacono Stefano (= corona, ghirlanda del martirio)
descritto negli Atti
degli Apostoli (At. 7, 59-60), primo martire del cristianesimo, la cui
mitezza eroica riesce a perdonare tutto e tutti, anche chi lo sta
uccidendo. Qui la sephirah Geburah (la Forza), il cui vizio e` l’ira e
la cui virtu` e` la
Mitezza, e` portata alla massima perfezione, al Kether del suo Albero,
alla ‘Corona’ dove collassa nell’Assoluto.
Comparando
le tre visioni, possiamo trovare in esse tre diverse ‘mitezze’, da
collocare anch’esse sull’Albero. La prima visione ci descrive la
‘mitezza’ della madre verso il figlio, dovuta all’amore piu` normale,
l’amore materno, il piu` comune e ovvio: e` la mitezza di primo grado,
astrale, yetziratica. La seconda descrive la ‘mitezza’ che nasce
dall’amore verso il prossimo, l’amore per l’altro, ragionato,
ricambiato: e` la mitezza di secondo grado, briatica, mentale. La terza
visione descrive la ‘mitezza’ che nasce dall’amore per il nemico: e` la
mitezza di terzo grado, la piu` difficile a trovarsi, la Mitezza
Atzilutica, spirituale. Dante, Discepolo sul Sentiero, ‘si’ e` qui
offerto la possibilita` di conoscere l’Albero di Geburah nella sua
totalita`…
Quando l’anima mia tornò di fori
a le cose che son fuor di lei vere,
io riconobbi i miei non falsi errori. 117
Lo duca mio, che mi
potea vedere
far sì com’om che dal sonno si slega,
disse: "Che hai che non ti puoi tenere, 120
ma se’ venuto più
che mezza lega
velando li occhi e con le gambe avvolte,
a guisa di cui vino o sonno piega?". 123
Appena il Discepolo
emerge da quelle visioni non reali, ma vere, alla realta` delle cose
esterne, la Guida che lo vede come destato da un sonno, gli chiede: “Che
ti succede, che sembri vacillare, e intanto hai percorso quasi
mezza lega
(= circa mille passi) con gli occhi chiusi e trascinandoti come uno che
e` impacciato dal vino e dal sonno?”
"O dolce padre mio, se tu m’ascolte,
io ti dirò", diss’io, "ciò che m’apparve
quando le gambe mi furon sì tolte". 126
Ed ei: "Se tu avessi
cento larve
sovra la faccia, non mi sarian chiuse
le tue cogitazion, quantunque parve. 129
E Dante a lui: “O dolce
padre, se mi ascolti ti raccontero` cio` che ho visto quando ero in
quello stato”. E Virgilio: “Se anche tu avessi cento maschere sul volto,
vedrei sempre i tuoi pensieri, anche se piccoli…”
Ciò che vedesti fu perché non scuse
d’aprir lo core a l’acque de la pace
che da l’etterno fonte son diffuse. 132
Non dimandai "Che
hai?" per quel che face
chi guarda pur con l’occhio che non vede,
quando disanimato il corpo giace; 135
ma dimandai per
darti forza al piede:
così frugar conviensi i pigri, lenti
ad usar lor vigilia quando riede". 138
“… Hai avuto quelle
visioni perché tu possa aprire il cuore alle acque della Pace, versate
dall’Eterna Fonte. Non ho domandato
"Che hai?”
per il motivo per cui domanda chi non vede oltre la realta` tangibile,
quando il corpo dorme,
ma per stimolare i
tuoi piedi. Cosi` conviene stimolare i pigri, lenti a tornare allo stato
di veglia”.
La Ragione spiega alla personalita`
che nulla gli e` sfuggito delle sue
visioni interiori, ma
che ora e` il momento di andare avanti, seguitare il cammino, per
ulteriori esperienze di purificazione.
Noi andavam per lo vespero, attenti
oltre quanto potean li occhi allungarsi
contra i raggi serotini e lucenti. 141
Ed ecco a poco a
poco un fummo farsi
verso di noi come la notte oscuro;
né da quello era loco da cansarsi. 144
Questo ne tolse li
occhi e l’aere puro.
I due proseguono il viaggio, ormai
nel vespero
( dal greco ‘hesperos’ = stella della sera),
protesi a guardare in avanti, per quanto lo consenta la luce serale. Ed
ecco avanzare verso di loro un
fummo
(un vapore) scuro come la notte; che non possono evitare, che toglie
loro la vista e l’aria pura.
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