PURGATORIO - CANTO XX
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Contra miglior voler voler mal pugna;
onde contra ’l piacer mio, per piacerli,
trassi de l’acqua non sazia la spugna. 3
Contro il suo volere, essendo la volontà di quello che è stato
papa (Adriano V, che gli ha ordinato di andare via), più forte della
sua, Dante ubbidisce e si allontana non completamente soddisfatto
(avrebbe preferito sapere più cose da lui).
A
quale personaggio interiore del Nostro corrisponde questo ex-papa,
avaro, il cui pontificato è durato solo 38 gg, che si è pentito alla
fine della vita, di cui Dante, inginocchiandosi (canto XIX v. 127), ha
riconosciuto la superiorità ed ora anche che ha un
miglior voler
del suo? Ovviamente al suo ‘Papa’ interiore. L’Archetipo del ‘Papa’ (v.
in
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Archetipi, la relativa
Lezione-spettacolo) il cui numero è il 5 (4 +1), ha come
simbolo il
‘pentagramma’ in cui lo ‘spirito’ deve dominare i quattro elementi; suo
compito è accordare la destra con la sinistra, risolvere i problemi con
la saggezza e la lungimiranza, rispondere
alle domande
esistenziali, rispettare la Tradizione e accogliere il Nuovo. Certo un
papa che dura solo 38 gg. (30 per la numerologia è il numero relativo al
‘Sacrificio’ e 8 il numero relativo alla Giustizia), che quindi ha
‘sacrificato la giustizia’, non è un vero papa, tuttavia se da quel
breve periodo è riuscito ad estrarre
‘che
lì non s’acquetava il core’
(canto XIX v. 109) cioè che neanche diventare ‘papa’ rende felici e che
la sete di beatitudine si appaga solo nello Spirito, merita reverenza
(inginocchiarsi) e obbedienza. Mossimi; e
’l duca mio si mosse per li
luoghi spediti pur lungo la roccia,
come si va per muro stretto a’ merli; 6
ché la gente che
fonde a goccia a goccia
per li occhi il mal che tutto ’l mondo
occupa, da
l’altra parte in fuor troppo s’approccia. 9
Così Dante si allontana
e con lui la Guida; camminano nella zona libera rasente la roccia, come
quando si va lungo un muro accostati ai merli; perché quei penitenti che
scontano con le lacrime il peccato (di avarizia e cupidigia) tanto
diffuso su tutta la terra, giacciono dalla parte esterna (della
cornice).
Perché questo andare muro muro dei
due Pellegrini? Intanto perché vicino alla parete si evita di cadere,
poi perché il percorso interno di un anello è più breve e d infine
perché prima o poi vicino alla roccia ci deve essere il passaggio per la
cornice superiore. Questo oculato salire a spirale sul monte del
Purgatorio ci suggerisce
una tecnica di
visualizzazione:
vediamo la nostra
Luce interiore che, partendo dal coccige (Malkuth, il Regno) sale lungo
la colonna vertebrale per la conoscenza dei centri (sephiroth) su di
essa localizzati (v. in
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appuntamenti ‘Introduzione alla
Kabbalah): e visualizziamo così la nostra spirale luminosa che in cerchi
sempre più stretti arriva fino al centro Daath, la Coscienza, in
corrispondenza del punto in mezzo agli occhi. Cancellando ad ogni centro
le nostre P, (le nostre tendenze ai sette vizi capitali) attueremo la
purificazione necessaria per la visione del nostro Paradiso interiore.
Maladetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte l’altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa! 12
O ciel, nel cui
girar par che si creda
le condizion di qua giù trasmutarsi,
quando verrà per cui questa disceda? 15
Ecco poi un’invettiva
del Nostro contro l’avarizia: “Che tu sia maledetta
antica lupa che
più di tutti gli altri vizi catturi ‘prede’ (i peccatori) per la tua
vorace fame
che non ha limiti! O cielo, nei cui giri si crede, a quanto pare, che la
condizione mondana possa mutare, quando verrà Quello (il Veltro) che
riuscirà in questa impresa?”
‘Lupa’ in latino significa ‘donna
dissoluta’ il suo simbolismo è legato al male, alla distruzione,
all’ingordigia e alla morte. In Ezechiele (22, 27) è detto dei lupi che
‘dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi
guadagni’; e in Sofonia (3,3): che quelli ‘della sera non hanno
rosicchiato al mattino’. Nel Nuovo Testamento il lupo è identificato col
diavolo che distrugge il gregge (i fedeli), è identificato con la
crudeltà, l’astuzia, l’eresia e l’ostinazione. Nel canto I dell’inferno
(vv. 49-50) Dante ha incontrato
una lupa che di tutte brame sembrava carca
nella sua magrezza
e Virgilio poco dopo gli ha promesso che il
Veltro
la ricaccerà nell’inferno (v. ns/ relativo commento).
Noi andavam con passi lenti e scarsi,
e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
pietosamente piangere e lagnarsi; 18
e per ventura udi’
"Dolce Maria!"
dinanzi a noi chiamar così nel pianto
come fa donna che in parturir sia; 21
e
seguitar: "Povera fosti tanto,
quanto veder si può per quello ospizio
dove sponesti il tuo portato santo". 24
I due camminano con passi lenti e
radi, attenti a non calpestare i penitenti che piangono e si lamentano,
ed ecco che Dante ode una voce che, come fa una donna che deve
partorire, invoca nel pianto: “ O dolce
Maria
(= Signora), tu fosti talmente povera! E lo si può vedere da quella
misera mangiatoia in cui mettesti la tua Creatura Santa (= il
Bambinello: ‘…Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in
fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro
nell’albergo’ (Luca 2, 7)”.
Seguentemente intesi: "O buon Fabrizio,
con povertà volesti anzi virtute
che gran ricchezza posseder con vizio". 27
Queste parole m’eran sì piaciute,
ch’io mi trassi oltre per aver contezza
di quello spirto onde parean venute. 30
E ancora: “O buon
Fabrizio
(= che lavora; Fabrizio Luscinio, console romano nel 282 a. C., rifiutò
di farsi corrompere da Pirro, morì povero) preferisti essere povero e
virtuoso piuttosto che ricco e disonesto”. Al Nostro piacciono tanto le
parole udite che cerca di conoscere chi le ha proferite.
Esso parlava ancor
de la larghezza
che fece Niccolò a le pulcelle,
per condurre ad onor lor giovinezza. 33
"O anima che tanto
ben favelle,
dimmi chi fosti", dissi, "e perché sola
tu queste degne lode rinovelle. 36
Non fia sanza mercé
la tua parola,
s’io ritorno a compiér lo cammin corto
di quella vita ch’al termine vola". 39
La voce intanto continua
a parlare della generosità di
Niccolò
(=
vincitore, santo
vescovo di Bari che di nascosto diede la dote a tre fanciulle per
evitare che si prostituissero) che salvò dal disonore la giovinezza di
(tre) vergini. Così Dante gli si rivolge: “O anima che parli così bene,
dimmi chi sei stato (in vita) e perché solo tu rinnovi il ricordo di
questi atti lodevoli. La tua risposta sarà ricompensata se tornerò a
vivere la mia breve vita (sulla terra)”.
Gli esempi ricordati in questa
cornice, due di risplendente
povertà,
Maria
(la vera Signora),
e
Fabrizio
(che lavora su se stesso) e uno di generosa liberalità,
Niccolò
(vincitore dei vizi), insegnano a chi è stato
‘avido, avaro e pieno di cupidigia’ come si dovrebbe far fiorire la
sephirah Hod (= Splendore) coltivando in sé la sua virtù. Dante (= colui
che persevera) che deve cancellare in sé ancora la quinta ‘P’
dell’avarizia, coglie l’occasione per approfondire chi è che ha parlato
e perché
solo quell’anima
penitente ricorda, lamentandosi
come fa donna che in parturir sia,
quei particolari
personaggi, quasi che li ‘partorisse’ lei stessa.
Ed elli: "Io
ti dirò, non per conforto
ch’io attenda di là, ma perché tanta
grazia in te luce prima che sie morto. 42
Io fui radice de la
mala pianta
che la terra cristiana tutta aduggia,
sì che buon frutto rado se ne schianta. 45
E quello: “Io ti
risponderò non perché mi aspetti un aiuto dal mondo, ma perché tu
risplendi di grazia, benché ancora vivo. Io sono stato la
radice (il
progenitore) di quella pianta cattiva che
aduggia
(intristisce) la terra cristiana, così che è assai difficile aspettarsi
da essa buon frutto…”
Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
potesser, tosto ne saria vendetta;
e io la cheggio a lui che tutto giuggia. 48
Chiamato fui di là
Ugo Ciappetta;
di me son nati i Filippi e i Luigi
per cui novellamente è Francia retta. 51
“…Ma se
Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
(= Donai, Lile, Gand e Bruges, le maggiori città delle Fiandre, città
conquistate con l’inganno dai suoi discendenti) potessero, ne farebbero
vendetta, cosa che io chiedo a Colui che tutto giudica. Il mio nome fu
Ugo
(= pensiero) Ciappetta
(= Capeto = scalpello), i miei discendenti sono i
Filippi
(= amanti dei ‘cavalli’,
della potenza) e i
Luigi
(= valorosi), da cui è ora retta la
Francia
(= terra dei coraggiosi)…”.
Il penitente, dopo aver chiarito che
non risponde per l’interessato ‘do ut des’ terrestre, ma per aver
riconosciuto davanti a sé la
luce
della grazia
divina, per prima cosa si accusa di essere la
radice della mala pianta
che ha
adduggiato
la cristianità intera, poi rivela il suo nome: è stato
Ugo Ciappetta
(pensiero-scalpello,-
che ha scolpito
l’avarizia), la cui discendenza ha prostituito l’energia del suo
‘Albero’ tramutando quello che doveva essere ‘potenza’ (Filippi),
‘valore’ (Luigi) e
‘coraggio’ (Francia)
in avidità e cupidigia.
Il Qohelet (5, 9) così bolla l’avaro:
‘Chi ama il denaro mai si sazia di denaro’; san Paolo nella lettera ai
Colossesi (3, 5) dice che ‘…l’avarizia insaziabile è idolatria’; nella
prima lettera a Timoteo (6,10): ‘…l’attaccamento al denaro è la radice
di tutti i mali…’; San Gregorio Magno nell’opera ‘Moralia’ elenca sette
figlie dell’avarizia: la durezza dell’anima, l’inquietudine della mente,
la violenza, l’inganno, lo spergiuro, la frode, il tradimento. Ma forse
c’è una figlia che le contiene tutte, ed è l’usura. L’usura ‘strappa la
carne e la vita della vittima’ come vorrebbe
poter fare Shylock,
l’usuraio del ‘Mercante di Venezia’ di Shakespeare (v. in
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cineforum ns/ relativa interpretazione cabalistica) ma questo
peccato il Nostro lo ha già liquidato all’inferno (canto XVII) e qui non
può essere contemplato neppure in una versione meno grave..
Figliuol fu’ io d’un beccaio di
Parigi: quando
li regi antichi venner meno
tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi, 54
trova’ mi stretto ne le mani il freno
del governo del regno, e tanta possa
di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno, 57
ch’a la corona
vedova promossa
la testa di mio figlio fu, dal quale
cominciar di costor le sacrate ossa. 60
“…Fui figlio di un
beccaio
(= macellaio) di Parigi ( notizia non vera, perché suo padre fu Ugo il
Grande, conte di Parigi, che alla morte di Luigi V, lo fece incoronare
re); quando i re antichi (la dinastia dei Carolingi) si estinse,
l’ultimo essendosi fatto frate, mi trovai saldo nelle mani il
freno
(lo scettro) del regno; avevo tanto potere
nuovo e tanti amici
che mio successore divenne mio figlio
(Roberto II) e dopo di lui tanti altri miei discendenti furono
‘consacrati re’…”
Mentre che la gran dota provenzale
al sangue mio non tolse la vergogna,
poco valea, ma pur non facea male. 63
Lì cominciò con
forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia, per ammenda,
Pontì e Normandia prese e Guascogna. 66
Carlo venne in
Italia e, per ammenda,
vittima fé di Curradino; e poi
ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. 69
“…Finche`
il dominio della Provenza (= pro-vincia = pro-victa = legata; dote di
Beatrice, figlia del duca di Provenza) non tolse ogni residuo pudore
alla mia discendenza, che valeva poco, ma non era ancora malvagia. Lì
ebbe inizio la sua rapacità con forza e inganno; e poi per riparare
(ironico) si prese
Pontì
(=Ponthieu = pagus pontivus = ‘borgo marino’, relativo a Yesod) la
Normandia
(= terra del nord, relativa a Tiphereth) e la
Guascogna
(= terra dei baschi; basco = bizzarro; relativo a Hod)
Carlo
(= forte; I d’Agio`) venne in
Italia
(= terra dei vitelli o dei tori, animali sacrificali; relativa a
Tiphereth) e, per riparare i delitti commessi, sacrificò
Corradino
(=
consigliere, relativo
a Hod; di Svevia, appena sedicenne, nel 1268) e, sempre per un’ulteriore
riparazione, spedì
in
cielo san Tommaso
(= gemello = incompleto, relativo al Malkuth); filosofo della
Scolastica; lo fece avvelenare)…”
Il dominio sulla ‘Provenza’, dote di
donna, su ciò che è legato, obbligato, (con la frode e la violenza)
trasforma l’iniziale avarizia in
rapina
.
Estinta la dinastia dei ‘Carolingi’
(= da Carlo = forte; dei forti) con Ugo Capeto inizia quella dei
‘Capetingi’ (= degli scalpelli), di quelli che ‘scolpiscono’ la
cupidigia sfrenata e ne fanno la loro ‘corona’. Avendo acquisito la
‘provincia’, la forza (dote) della componente femminile dell’albero,
quest’ultimo, nero (la mala pianta), diventa ‘rapace’; cosicché dopo
aver rapinato le province francesi (coraggiose, relative a Geburah),
Carlo,
cattivo
frutto della mala pianta
viene in
Italia
(= terra dei sacrifici, relativa a Tiphereth) e vi sacrifica
Corradino
(relativo ad Hod) ed vi avvelena
Tommaso
(relativo al Malkuth), cioè continua col suo operato ad avvelenare tutto
l’albero.
Tempo vegg’io, non molto dopo ancoi,
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
per far conoscer meglio e sé e ’ suoi. 72
Sanz’arme n’esce e
solo con la lancia
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 75
Quindi non terra, ma
peccato e onta
guadagnerà, per sé tanto più grave,
quanto più lieve simil danno conta. 78
“…E vedo già un tempo,
non molto lontano in cui un altro
Carlo
(= forte; di Valois, che invaderà Firenze nel 1301) uscirà dalla
Francia
(= terra dei coraggiosi) per far conoscere meglio sé ed i suoi. Armato
solo della lancia di
Giuda
(il tradimento) farà scoppiare la pancia a
Fiorenza
(= che fiorisce; caccerà i Guelfi bianchi). Da questo otterrà per se non
territori, ma vergogna ed onta, cosa tanto più grave, in quanto non le
considera dannose…”
Ma non basta, ancora la forza
negativa (di Carlo)
della mala pianta,
dopo aver rapinato la
Francia
(Gheburah), farà
scoppiar
, distruggerà
Fiorenza
(la città che fiorisce, Tiphereth), cioè il cuore dell’albero.
L’altro, che già uscì preso di nave,
veggio vender sua figlia e patteggiarne
come fanno i corsar de l’altre schiave. 81
O avarizia, che puoi
tu più farne,
poscia c’ ha’ il mio sangue a te sì tratto,
che non si cura de la propria carne? 84
“…Poi vedo un altro
(Carlo II, lo Zoppo), fatto prigioniero con la sua nave (a Napoli)
vendere sua figlia, come fanno i corsari con le schiave (diede la figlia
giovanissima in sposa all’anziano Azzo VIII d’Este). O avarizia, che
puoi farci di peggio, visto che hai sottomesso la mia stirpe a tal punto
che non si cura nemmeno dei figli?…”
Un altro ‘frutto’ guasto dell’albero
nero della famiglia di Ugo (Carlo II) si dimostra tanto avaro da vendere
e prostituire addirittura la figlia .. ma si può fare ancora di peggio.
Perché men paia il mal futuro e 'l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto. 87
Veggiolo un’altra
volta esser deriso;
veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso. 90
“…Ma affinché il male
futuro e le azioni sembrino meno gravi (ecco il peggio): vedo il
fiordaliso
(simbolo della monarchia francese, con Filippo IV, nel 1303) entrare in
Alagna
(Anagni= priva di
agnelli); (di nuovo) il
Cristo
(= l’unto del Signore) sarà catturato nella persona del suo vicario
(papa Bonifacio VIII). Lo vedo di nuovo deriso, lo vedo bere l’aceto e
il fiele, e tra i vivi ladroni essere di nuovo ucciso…”
Veggio il novo Pilato sì crudele,
che ciò nol sazia, ma sanza decreto
portar nel Tempio le cupide vele. 93
O Segnor mio, quando
sarò io lieto
a veder la vendetta che, nascosa,
fa dolce l’ira tua nel tuo secreto? 96
“…Poi, vedo il nuovo
Pilato
(da pile = gola; relativo a Chesed;
ancora Filippo IV)
tanto crudele e mai sazio, infierire contro i ‘Templari’ per
impossessarsi delle loro ricchezze. Quando potrò vedere, o Signore,
la tua vendetta che,
essendo nascosta, rende dolce la tua ira nel segreto (della tua
mente)?…”
Il peggio del peggio questo albero
nero lo
attua in
Alagna
(relativo a Tiphereth, dove dovrebbe risiedere l’Agnello di Dio), quando
vi rinnova la cattura, la tortura e l’uccisione del
Cristo
(la Coscienza dell’albero), perché oltraggia
il ‘Salvatore’; e si preclude poi ogni possibilità di salvezza,
appropriandosi con il delitto e la crudeltà delle ‘ricchezze’(dei
Templari), delle energie, che dovrebbero essere adoperate per la
costruzione del
Tempio.
Tanto crimine non
potrà che provocare la Giustizia del Cielo.
Ciò ch’io dicea di quell’unica sposa
de lo Spirito Santo e che ti fece
verso me volger per alcuna chiosa, 99
tanto è risposto a
tutte nostre prece
quanto ’l dì dura; ma com’el s’annotta,
contrario suon prendemo in quella vece. 102
“…(Per rispondere poi
alla tua domanda) ecco, quello che io dicevo della Sposa dello Spirito
Santo (Maria) e che ti ha rivolto a me per chiarimenti (cioè quegli
edificanti esempi di povertà e liberalità), sono ricordati nelle nostre
preghiere di giorno, di notte al loro posto ricordiamo il contrario
(esempi di avarizia punita)…”
Noi repetiam Pigmalïon allotta,
cui traditore e ladro e paricida
fece la voglia sua de l’oro ghiotta; 105
e la miseria de
l’avaro Mida,
che seguì a la sua dimanda gorda,
per la qual sempre convien che si rida. 108
“…Noi ricordiamo
Pigmalion
(= pugno irsuto; relativo a Chesed;
re di Tiro, uccise il
cognato e lo zio) che la brama di ricchezze rese traditore, ladro e
parricida; e la miseria dell’avaro
Mida
(= seme; relativo a Yesod; che ottenne dagli dei di trasformare in ora
quello che toccava e morì di fame), la cui ingordigia provoca ancora
risate a non finire…”
Del folle Acàn ciascun poi si ricorda,
come furò le spoglie, sì che l’ira
di Iosüè qui par ch’ancor lo morda. 111
Indi accusiam col
marito Saffira;
lodiamo i calci ch’ebbe Elïodoro;
e in infamia tutto ’l monte gira 114
Polinestòr ch’ancise
Polidoro;
ultimamente ci si grida: "Crasso,
dilci, che ’l sai: di che sapore è
l’oro?". 117
“…Ognuno (di noi) poi rammenta il folle
Acan
( relativo a Geburah; il giudeo che rubò parte del bottino di Gerico) e
sembra che l’ira di
Iosüè
(=
il Signore salva;
Giosuè 7, 19-26) lo punisca anche qui. Poi accusiamo
Saffira
(= preziosa, pietra; relativa a Malkuth) e il marito (Anania; -Atti
degli Apostoli 5, 1-11-
che tennero per se`
parte del ricavato di una vendita di un podere, derubando gli Apostoli);
lodiamo i calci presi da
Eliodoro
(= solare al bianco, oscuro al nero; relativo a Tiphereth; Secondo libro
dei Maccabei 3, 23-28; che fu preso a calci da un cavallo montato da un
angelo mentre tentava di saccheggiare il Tempio di Gerusalemme); e tutti
noi di questa cornice ripetiamo che con infamia
Polinestor
(= parlatore; relativo ad Hod)
uccise
Polidoro
(= ricco di doni; Polinestore,
re
di Tracia, uccise per derubarlo il giovinetto Polidoro, che avrebbe
dovuto proteggere); infine ci gridiamo: ‘Crasso
(= grasso; relativo a Netzach; ricchissimo triunviro, sconfitto a Carre
nel 53 a. C. dai Parti, gli fu versato oro fuso in bocca), tu che lo
sai, dicci, che sapore ha l’oro?’…”
Talor parla l’uno alto e l’altro
basso, secondo
l’affezion ch’ad ir ci sprona
ora a maggiore e ora a minor passo: 120
però al ben che ’l
dì ci si ragiona,
dianzi non era io sol; ma qui da presso
non alzava la voce altra persona". 123
“…A volte noi parliamo più forte o più piano a seconda del
sentimento che ci sprona a dire con più o meno vigore; poco fa non ero
io solo a ricordare quei buoni episodi, ma solo io lo facevo a voce
alta”.
Gli esempi di avarizia punita che
vengono ricordati dai penitenti ‘di notte’ per i nomi dei personaggi
citati costituiscono nel loro insieme un albero cabalistico capovolto,
quello del vizio dell’avarizia illustrato in tutte le sue componenti
negative:
Pigmalione
(pugno) è la scoria di Chesed;
Acam
è la scoria di Geburah;
Eliodoro
(sole), quella di Tiphereth;
Crasso
(ricco) quella di Netzach;
Polinestore
(parlatore) quella di Hod;
Mida
(seme) quella di Yesod; e Saffira (pietra)
quella di Malkuth.
Noi eravam
partiti già da esso,
e brigavam di soverchiar la strada
tanto quanto al poder n’era permesso, 126
quand’io senti’,
come cosa che cada,
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
qual prender suol colui ch’a morte vada. 129
I due Pellegrini si sono
allontanati da Ugo Capeto e vanno per quanto è loro permesso andare,
quando il Nostro sente tremare la montagna come se dovesse cadere; ne è
raggelato come uno che va a morte. Certo non si
scoteo sì forte Delo,
pria che Latona in lei facesse ’l nido
a parturir li due occhi del cielo. 132
Poi cominciò da
tutte parti un grido
tal, che ’l maestro inverso me si feo,
dicendo: "Non dubbiar, mentr’io ti
guido". 135
Certamente l’isola di
Delo
(= manifesta) non si scuoteva tanto prima che la dea
Latona
(che si nasconde) la scegliesse come luogo per partorirvi i due figli
(Apollo e Diana, dei del Sole e della Luna). Subito dopo si leva un
grido tale che il Maestro si avvicina al Discepolo e gli dice: “Non
temere ci sono io a guidarti”.
’Glorïa in excelsis’ tutti ’Deo’
dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,
onde intender lo grido si poteo. 138
No’ istavamo
immobili e sospesi
come i pastor che prima udir quel canto,
fin che ’l tremar cessò ed el compiési. 141
Poi
ripigliammo nostro cammin santo,
guardando l’ombre che giacean per terra,
tornate già in su l’usato pianto. 144
Tutti dicevano: “Gloria a Dio nel più
alto dei cieli” E` quello che ode Dante quando riesce a capire quel
grido. I due rimangono immobili ed esitanti, come i pastori che per
primi udirono quel canto degli angeli (Luca 2 ,14), finche` il tremore
cessa e così termina
la preghiera.
Allora riprendono il
santo viaggio, attenti alle anime in terra, tornate alla solita
penitenza.
Nulla ignoranza mai
con tanta guerra
mi fé desideroso di sapere,
se la memoria mia in ciò non erra, 147
quanta pareami
allor, pensando, avere;
né per la fretta dimandare er’oso,
né per me lì potea cosa vedere: 150
così m’andava timido
e pensoso.
Il Discepolo è tanto desideroso di
sapere che cosa sia accaduto, ma per la fretta non osa domandare al
Maestro,
ma non è in grado di
capirlo da solo, così va, timido e pensoso.
Qualcosa di ‘tremendo’ è successo in questa cornice del
Purgatorio; una manifestazione della Potenza Celeste che ha scosso il
monte e raggelato il Nostro; ma che cosa sia ce lo dirà nel prossimo
canto…
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