PURGATORIO - CANTO XXII


Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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Già era l’angel dietro a noi rimaso,
l’angel che n’avea vòlti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso; 3

e quei c’ hanno a giustizia lor disiro
detto n’avea beati, e le sue voci
con ’sitiunt’, sanz’altro, ciò forniro. 6
Ormai l’angelo (della Giustizia, custode della quinta cornice) è rimasto indietro; è l’angelo che ha accompagnato i Pellegrini dalla quinta cornice  al passaggio della sesta e  che ha cancellato la quinta ‘P’ dalla fronte del Nostro; ha anche cantato la quarta beatitudine ‘Beati coloro che hanno (fame e) sete di giustizia, perché saranno saziati’ (Mt. 5, 6; v. in www.taozen.it  Testi sacri ‘Il commento al vangelo di Matteo), tralasciando però le parole ‘che hanno fame’ (saranno recitate dall’angelo della sesta cornice).
E io più lieve che per l’altre foci
m’andava, sì che sanz’alcun labore
seguiva in sù li spiriti veloci; 9

quando 
Virgilio incominciò: "Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore; 12

onde da l’ora che tra noi discese
nel limbo de lo ’nferno Giovenale,
che la tua affezion mi fé palese, 15

mia benvoglienza inverso te fu quale
più strinse mai di non vista persona,
sì ch’or mi parran corte queste scale. 18
Il Nostro va su (sale per il passaggio che conduce alla sesta cornice) e, sentendosi sempre più leggero, segue gli altri due (Virgilio e Stazio, spiriti veloci) senza alcuna fatica, e intanto Virgilio dice a Stazio: “L’amore che è acceso di  virtù ne accende sempre un altro, quando la sua fiamma è manifesta; per questo, dal momento che Giovenale (= giovanile, dal latino ‘iuvare’, che giova; poeta satirico latino 47-130 d.C.) scese nel Limbo e mi manifestò la tua ammirazione, il mio ben volere nei tuoi riguardi fu più forte di quello mai provato per uno sconosciuto, così che ora questa scala mi sembrerà corta…”

 

Nell’inferno (canto V, v.103) Dante, nel cerchio dei lussuriosi,  ha fatto dire a Francesca da Rimini che racconta la sua storia infelice: ‘Amor che nullo amato amar perdona’; qui fa completare e chiarire a Virgilio il concetto aggiungendo ‘acceso di virtù’, specificando cioè che l’amore, essendo fuoco, accende d’amore l’oggetto del suo amore, ma perché produca fuoco reintegrativo, e non distruttivo, come nel caso di Francesca, esso deve essere ‘virtuoso’ e non ‘vizioso’. L’amorevole ‘virtuosa’ ammirazione di Stazio manifestata a Virgilio da Giovenale ‘giova’ a Stazio, l’Intelligenza illuminante, a Virgilio, la Ragione,  e soprattutto a Dante, il Discepolo sul Sentiero, la personalità che, attraverso ‘una sorta di illuminazione’ (v. ns/ interpretazione nel canto XXI del personaggio ‘Stazio’)  recupera quanto di positivo e di valido c’è nella ‘Ragione’ o ‘Razionalità’ la quale, pur non potendo attingere per la sua natura al piano spirituale (Atziluth) permette, attraverso la memoria, di usufruire anche delle indispensabili conoscenze ed esperienze del passato.
Ma dimmi, e come amico mi perdona
se troppa sicurtà m’allarga il freno,
e come amico omai meco ragiona: 21

come poté trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
di quanto per tua cura fosti pieno?". 24
“…Ma dimmi, e perdonami da amico se la familiarità mi fa eccedere, e parla con me da amico: come ha potuto l’avarizia svilupparsi in te, con tutta la saggezza di cui eri ricolmo, grazie ai tuoi studi?”
Queste parole Stazio mover fenno
un poco a riso pria; poscia rispuose:
"Ogne tuo dir d’amor m’è caro cenno. 27

Veramente più volte appaion cose
che danno a dubitar falsa matera
per le vere ragion che son nascose. 30
A queste parole Stazio dapprima sorride, poi risponde: “Ogni tua parola è per me segno d’affetto. Spesso le cose che si vedono danno un giusto motivo di dubitare, perché le vere ragioni sono nascoste…”
La tua dimanda tuo creder m’avvera
esser ch’i’ fossi avaro in l’altra vita,
forse per quella cerchia dov’io era. 33

Or sappi ch’avarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
migliaia di lunari hanno punita. 36
“…La tua domanda mi conferma che tu credi che io da vivo fossi avaro per il fatto che mi hai trovato in quella cornice. Ma io sono stato il contrario dell’avaro, sono stato un prodigo, punito per questo vizio per migliaia di mesi…”

 

La prodigalità si accompagna spesso alla dissolutezza (v. nel vangelo di Luca, cap. 15, 11-32  la parabola del ‘Figliuol prodigo’) ma quasi sempre all’arroganza e alla superbia. Confucio nei ‘Dialoghi’ dice che “il prodigo è arrogante, l’avaro è meschino”; infatti se le virtu` che si oppongono all’avarizia sono la generosità, la liberalità, la magnanimità, ecc.. pure queste  virtù, portate all’eccesso, diventano vizi: sciupio, spreco, dilapidazione, sperpero, ecc… e disprezzo per chi è povero e  per coloro che hanno costruito la ricchezza del ‘prodigo’… Nell’Albero cabalistico, come detto in precedenza, anche il vizio della prodigalità si attribuisce alla scoria della sephirah Hod (Splendore); il dio che compete questa sephirah è Ermes - Mercurio, il protettore dei commerci, delle ricchezze, della salute, che è raffigurato in genere con in mano il Caduceo, un ‘Albero cabalistico’ formato dai due serpenti in lotta che egli riuscì ad armonizzare gettando in mezzo a loro la propria verga; è quindi il protettore della pace; inoltre i suoi piedi sono alati, perché è il messaggero degli dei, ed è anche detto lo ‘Psicopompo’ perché, per la mitologia classica, accompagna le anime all’Averno, è quindi anche il protettore del sonno e dei sogni.
E se non fosse ch’io drizzai mia cura,
quand’io intesi là dove tu chiame,
crucciato quasi a l’umana natura: 39

’Per che non reggi tu, o sacra fame
de l’oro, l’appetito de’ mortali?’,
voltando sentirei le giostre grame. 42
“…Ma quando compresi quel passo dell’Eneide (III, 56-57) dove rimproveri la natura umana, che dice: ‘Maledetta fame dell’oro, perché non reggi l’ingordigia dei mortali?’, io cambiai comportamento; altrimenti ora sarei nel IV cerchio dell’inferno a spingere i massi e a scambiare ingiurie…”
Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali
potean le mani a spendere, e pente’ mi
così di quel come de li altri mali. 45

Quanti risurgeran coi crini scemi
per ignoranza, che di questa pecca
toglie ’l penter vivendo e ne li stremi! 48
“…Allora mi accorsi che il troppo spendere era un eccesso (come il poco spendere) e mi pentii di quel peccato, come degli altri. Quanta gente sarà condannata ad esser rapata (i prodighi risorgeranno col cranio rasato) per troppa ignoranza, che impedisce di pentirsi in vita o al momento del trapasso!…”
E sappie che la colpa che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
con esso insieme qui suo verde secca; 51

però, s’io son tra quella gente stato
che piange l’avarizia, per purgarmi,
per lo contrario suo m’è incontrato". 54
“…E sappi che la colpa di un peccato e anche il peccato suo contrario qui si puniscono insieme; perciò io stavo tra gli avari per purificarmi, ma ero lì per il peccato opposto (la prodigalità)”.
"Or quando tu cantasti le crude armi
de la doppia trestizia di Giocasta",
disse ’l cantor de’ buccolici carmi, 57

"per quello che Clïò teco lì tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta. 60

 Se così è, qual sole o quai candele
ti stenebraron sì, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele?". 63
E Virgilio, l’autore delle ‘Bucoliche’, a lui: “Ma quando componesti i versi che riguardano il doppio lutto di Giocasta (= la madre e sposa di Edipo, descritta nella Tebaide - v. in  www.teatrometafisico.it  i copioni ‘Edipo re’ e  ‘Antigone’ e relative interpretazioni cabalistiche) almeno per i versi a te ispirati da Clio (la musa della storia), non eri convertito alla fede (cristiana) e senza di essa non vale essere giusti. Ma se è così, quale sole e quali candele, cioè quale Luce ti illuminò tanto da farti seguire il  pescatore (Pietro; ricordiamo che il ‘pesce’ era il simbolo di riconoscimento dei cristiani)?”
Ed elli a lui: "Tu prima m’invïasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio m’alluminasti. 66

Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte, 69

quando dicesti: ’Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenïe scende da ciel nova’. 72
E Stazio a lui: “Tu per primo mi indirizzasti verso il Parnaso (dal greco ‘parnassos’ da ‘larnassos’, = arca, monte su cui ‘l’arca’ di Deucalione si fermò dopo il diluvio – versione simile a quella biblica del Diluvio Universale –) a bere alla fonte della poesia, e poi mi illuminasti su Nostro Signore. Facesti come quello che va di notte che porta il lume dietro e non fa luce a sé ma a quelli che lo seguono, come quando dicesti (Bucolica IV, 6-7): ‘Il tempo si rinnova, torna la giustizia e la prima età dell’uomo e dal cielo scende nuova progenie (= il ‘Rinnovatore’: nel Medioevo  questa frase fu interpretata come profezia della nascita del Cristo)…”

L’Intelletto intuitivo (Stazio) riconosce alla Ragione (Virgilio)  il grande merito di averlo prima indirizzato verso il Parnaso, verso l’Arca, il ‘luogo’ della salvezza, e poi di averlo sollecitato verso la rinascita interiore, verso la conoscenza dell’Io Sono (il Cristo) indicandogli con una semplice frase la possibilità del rinnovamento in tre passaggi: accettare il cambiamento, tornare alla giustizia e alla semplicità, andare  oltre, guardando al Cielo.
Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perché veggi mei ciò ch’io disegno,
a colorare stenderò la mano. 75

Già era ’l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l’etterno regno; 78

e la parola tua sopra toccata
si consonava a’ nuovi predicanti;
ond’io a visitarli presi usata. 81
“…Per te fui poeta, per te mi feci cristiano: ma perché tu comprenda meglio ciò a cui ho accennato, entrerò nei particolari. Il mondo era già tutto pervaso dalla nuova fede, seminata dai Messaggeri del Regno eterno, e le tue parole, a cui ho accennato prima, si armonizzavano con i nuovi predicatori, così presi l’abitudine di frequentarli…”
Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti; 84

e mentre che di là per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette. 87
“…Poi continuarono a sembrarmi davvero santi, e quando Domiziano (dal greco ‘domos’: signore della casa; imperatore dall’81 al 96) li perseguitò, li compiansi con grande dolore e, vivo, li aiutai; i loro costumi onesti mi allontanarono da tutte le altre sette (religiose)…”
E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi
di Tebe poetando, ebb’io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu’ mi, 90

lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo. 93
“…Prima di terminare la Tebaide fui battezzato, ma, per paura, fui un cristiano occulto, fingendo a lungo di essere pagano; questo peccato di accidia mi ha fatto girare nella quarta cornice del purgatorio per più di 400 anni…”  

Anche se, da quello che si ricava dalle notizie storiche, il poeta Stazio non fu ne` ‘prodigo’ ne` ‘cristiano’, tuttavia lo era per Dante che lo credeva tale, e di conseguenza lo è anche per noi. Egli ci confessa di essere stato un prodigo, ma soprattutto un accidioso che, benché ormai ‘cristiano’, ebbe paura di manifestarlo e perciò ha dovuto espiare per 400 anni il suo peccato. Il  400 è il numero attribuito all’Archetipo del Folle (v. la relativa Lezione-spettacolo  in www.teatrometafisico.it  Archetipi). Folle perché  aldilà dell’intelligibile, irrazionale e assurdo; figura dell’Errante, che va, ma non sa perché va; Folle perché ha conosciuto la Verità (il Cristo) ed ha rifiutato di testimoniarLa.
Tu dunque, che levato hai il coperchio
che m’ascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soverchio, 96

dimmi dov’è Terrenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
dimmi se son dannati, e in qual vico". 99
“..Tu dunque che mi hai svelato il gran bene di cui ti ho parlato, mentre ancora saliamo, dimmi, se lo sai, dove sono Terrenzio (= il tornitore, che lavora il legno; relativo al piano fisico, assianico; poeta comico latino; 195-159 a. C.), Cecilio (= invisibile, relativo al piano astrale, yetziratico; poeta comico latino; 220-160 a. C.), Plauto ( da ‘platis’ = grande, relativo al piano mentale, briatico; altro poeta comico latino; 250-184 a. C.), Varro (=Vario, molteplice, relativo a tutti e tre i piani suddetti; poeta tragico, amico di Virgilio), dimmi se sono  dannati e in quale cerchio”.

Stazio chiede a Virgilio notizie di coloro che hanno fatto parte del suo mondo poetico, cioè di ‘quei personaggi interiori’ che hanno contribuito a farlo essere quello che è stato ed anche quello che è ora.
"Costoro e Persio e io e altri assai",
rispuose il duca mio, "siam con quel Greco
che le Muse lattar più ch’altri mai, 102

nel primo cinghio del carcere cieco;
spesse fïate ragioniam del monte
che sempre ha le nutrice nostre seco. 105

A lui Virgilio: “Costoro e Persio (= dal greco ‘perzo’ che abbatte, relativo alla sephirah Geburah; satirico 37-62) ed io e tanti altri stiamo con quel Greco (= antico, relativo alla sephirah Chesed, Omero) che le Muse favorirono più di ogni altro, nel primo cerchio della cieca prigione; spesso parliamo del monte (il Parnaso) che ospita le nostre nutrici (le Muse)…”
Euripide v’è nosco e Antifonte,
Simonide, Agatone e altri piùe
Greci che già di lauro ornar la fronte. 108

Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deïfile e Argia,
e Ismene sì trista come fue. 111

Védeisi quella che mostrò Langia;
èvvi la figlia di Tiresia, e Teti,
e con le suore sue Deïdamia". 114
“…Con noi ci sono i famosi poeti greci: Euripide (dal greco ‘euripos’: che porta l’acqua, relativo alla sephirah Yesod; 485-406 a. C.), Antifone (dal greco ‘antifonos’, che risponde, relativo alla sephirah Hod; IV sec. a. C.), Simonide (dall’ebraico: il Signore ha esaudito, relativo alla sephirah Netzach; 555-468 a. C.), Agatone (dal greco ‘agatos’: il buono, relativo alla sephirah Chesed; contemporaneo di Euripide). Ed anche i tuoi personaggi (della Tebaide): Antigone (dal greco ‘antigonos’,benefica, ma anche ‘al posto della madre’, relativa alla sephirah Malkuth, figlia di Edipo), Deifile ( dal greco ‘fileo’: che ama il nemico, relativa alla sephirah Geburah; moglie di Tideo, uno dei 7 contro Tebe), Argia (dal greco ‘argos’: bianca, relativa alla sephirah Yesod; moglie di Polinice), Ismene (= che conosce la magia, relativa alla sephirah Hod). Ed ancora vi si trovano Issifile (che mostrò la fonte di Langia, relativa a Yesod, agli assedianti di Tebe) e Manto, la figlia di Tiresia (= colui che si rallegra nei segni, il vate, relativo a Yesod) e Teti (dal greco ‘tete’: la nutrice; relativa alla sephirah Malkuth, madre di Achille) e Deidamia (dal greco ‘deios’: che brucia, relativa alla sephirah Tiphereth; amata da Achille) e le sue sorelle.

 

Alla richiesta di Stazio di notizie sulla sorte dei poeti da lui amati, Virgilio lo rassicura: non sono dannati, ma come lui vivono nel Limbo, dove non soffrono per pene relative a peccati, ma per la mancanza di fede. Con loro si trovano anche tanti altri grandi del passato e alcuni personaggi della Tebaide. Virgilio ne cita i nomi e noi da quei nomi ricaviamo i soliti riferimenti alle virtu` delle sephiroth dell’Albero cabalistico di Dante; quelle virtù che hanno contribuito nel passato (o nelle vite passate), con la loro energia ben qualificata, alla costruzione della sua personalità; doti che lo hanno arricchito sui tre piani: fisico, astrale e mentale, facendo di lui il nostro ‘Dante’, il Dante della Divina Commedia. Per Malkuth: la salute; per Yesod: l’indipendenza che fa decidere il ‘Ritorno al Padre’, cioè la risalita dell’Albero; per Hod: l’abilità in ogni campo e la scienza; per Netzach: l’abbondanza, la donazione; per Tiphereth: la dedizione all’Opera; per Geburah: il coraggio e l’amore per il nemico; per Chesed: l’obbedienza e il retto comando ecc.. Tutte virtù che costruiscono un buon Albero bianco. Ma se poi non avviene l’incontro con il Divino (l’Io Sono, Coscienza, Daath), cioè con la Grazia del piano spirituale (Atzilutico), rimangono purtroppo nel ‘Limbo’ in attesa di tempi migliori…
Tacevansi ambedue già li poeti,
di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti; 117

e già le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in sù l’ardente corno, 120

quando il mio duca: "Io credo ch’a lo stremo
le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo". 123
Tacciono i due poeti (Stazio e Virgilio) e intanto i tre sono giunti, terminate le scale,  nella sesta cornice, e si guardano intorno nello spazio aperto; e già sono passate le prime quattro ore del giorno e la quinta sta guidando il carro del sole (sono circa le 10,30 del mattino) quando la Guida dice: “Credo che ci convenga procedere verso destra, come facciamo sempre”.
Così l’usanza fu lì nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
per l’assentir di quell’anima degna. 126

Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
ch’a poetar mi davano intelletto. 129
Così l’abitudine fa da guida ai Nostri, anche quell’anima degna (Stazio) tacendo, acconsente. Virgilio e Stazio vanno avanti, Dante dietro, ascoltando i loro insegnamenti che lo ispirano a poetare.
Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni; 132

e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, così quello in giuso,
cred’io, perché persona sù non vada. 135
Ma ecco che i ragionamenti sono interrotti dalla vista di un ‘albero’ che sta in mezzo al cammino: è ricco di frutti profumati e appetitosi, simile ad un abete ( dal latino ‘abies’ = ab-eo, che va dall’alto in basso) che si erge a cono capovolto, con la punta in basso (che va dal basso in alto, per permettere la risalita dell’Albero), ma  nessuno vi deve salire finché non è purificato.
Dal lato onde ’l cammin nostro era chiuso,
cadea de l’alta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso. 138

Li due poeti a l’alber s’appressaro;
e una voce per entro le fronde
gridò: "Di questo cibo avrete caro". 141
Accanto all’albero, a chiudere il passaggio, scende dalla roccia un’acqua trasparente che ne bagna le foglie. I Pellegrini si avvicinano all’albero e da esso esce una voce che avverte: “Avrete carestia di questo cibo”.

La sesta cornice del Purgatorio punisce i golosi per i quali cibi e bevande furono strumento di piacere. Per la legge del contrappasso, ad essi pomi e liquor chiaro, cioè frutta e acqua sono offerti alla vista ma negati al gusto, come strumento di pena e purificazione. Per la Kabbalah il vizio della gola, insieme alla tirannia (che è la ‘gola’ del potere)  è relativo alla scoria (qelipah) della sephirah Chesed (Giustizia) le cui virtù sono l’obbedienza e il retto comando; Chesed rappresenta la sephirah centrale della colonna di destra, maschile; è il ‘padre amorevole’ che comanda per educare e proteggere, che si nutre del ‘giusto’ per sostentarsi e poter conservare ciò che gli è stato affidato, di cui prevede e  progetta il futuro; Chesed è complementare ed interagente di Geburah (Forza), la sephirah centrale della colonna di sinistra, femminile, la ‘madre guerriera’ che brandisce il falcetto contro il vizio e l’egoismo, e aziona la frusta contro la pigrizia e la disonesta`.
Poi disse: "Più pensava Maria onde
fosser le nozze orrevoli e intere,
ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde. 144

E le Romane antiche, per lor bere,
contente furon d’acqua; e Danïello
dispregiò cibo e acquistò savere. 147
La voce che proviene dall’albero continua: “Maria (= la Signora; nell’episodio delle nozze di Cana Gv. 2, 1-12  v. in
www.taozen.it  Testi sacri il commento al vangelo di Giovanni) si preoccupava che le nozze fossero onorevoli e complete e  non per la sua bocca che ora risponde (alle vostre preghiere; cioè non si preoccupava certo di non poter gustare il vino). Le antiche Romane (= che allattano) si accontentavano di bere solo acqua; Danïello (Daniele = il Signore è il mio giudice) rifiutò il cibo contaminato del re Nabucodonosor (Dn. 1, 3-16; v. in  www.taozen.it  Testi sacri il ns/  commento al libro di Daniele) ed ottenne dal Signore la Sapienza…”
Lo secol primo, quant’oro fu bello,
fé savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello. 150

Mele e locuste furon le vivande
che nodriro il Batista nel diserto;
per ch’elli è glorïoso e tanto grande 153

quanto per lo Vangelio v’è aperto".

“…Nell’antica età dell’oro (gli uomini) si sfamavano con le ghiande che erano saporite e si dissetavano  con l’acqua del ruscello che era come nettare. Miele e locuste nutrirono il Batista (= Battista, che battezza) nel deserto (Mt. 3, 4; v. in www.taozen.it Testi sacri il ‘Commento al vangelo di Matteo’) ed egli è tanto grande come è detto nel citato Vangelo”.

La voce che proviene dall’albero ci offre cinque esempi di temperanza che ammaestrano i golosi; tali esempi possono essere omologati alle tappe che si percorrono salendo sulla via centrale dell’Albero di Chesed. Gli uomini dell’età dell’oro possono essere collocati sul Malkuth (il Regno), come punto di partenza dell’umanità; il Batista, l’Eremita del deserto, su Yesod (il Fondamento;  le Romane (che allattano) su Tiphereth (la Bellezza)  e Daniele che riceve la Sapienza e Maria (che assiste alle Nozze) in Daath, la sephirah della Coscienza; cioè: allorché tutto il peccato di gola è stato purificato, si raggiunge la Coscienza di Chesed.

 

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