PURGATORIO - CANTO XXV
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Ora era onde ’l salir non volea
storpio; ché
’l sole avëa il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio: 3
per che, come fa
l’uom che non s’affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge, 6
così intrammo noi
per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia. 9
L’ora tarda non permette di
indugiare, il sole ha lasciato il cerchio del meridiano alla
costellazione del
Toro
e la notte a quella dello
Scorpione
(sono le due del pomeriggio); quindi, come fa l’uomo che, se è spinto
dalla necessità,
non si ferma e va per
la sua strada qualunque cosa gli appaia dinanzi, così i tre Pellegrini
entrano nel passaggio e vanno su per la scala la cui strettezza li fa
andare separati, uno dietro l’altro.
Il tema del tempo che passa è una
delle costanti del Purgatorio dantesco: i penitenti hanno fretta di
purificarsi; la Guida, Virgilio,
di compiere il suo
dovere nel tempo che gli è stato concesso; il Discepolo, Dante, di
imparare al più presto ciò che gli consente di incontrare la sua
Beatrice per poter accedere al Paradiso. Anche l’iniziato che percorre i
Sentieri della Conoscenza dell’Albero sa che non c’è tempo da perdere:
la nostra vita terrena è breve ed ignoriamo ‘quando’ la nostra Lachesi
terminerà
il suo ‘filo’.
I percorsi che
possiamo fare
da vivi non potremo
certo farlo da morti, perché lo stato di coscienza di veglia (assianico)
è quello che risulta essere il
più completo per noi:
infatti su di esso possiamo esercitare pienamente la nostra ‘volontà’,
cosa che, salvo eccezioni, non possiamo certo fare nei mondi sottili
astro-mentali, relativi allo stato di sonno con sogni (yetziratico) o
allo stato di sonno senza sogni (briatico), stati di coscienza in cui
probabilmente
ci ritroveremo dopo
morti.
E quale il cicognin che leva l’ala
per voglia di volare, e non s’attenta
d’abbandonar lo nido, e giù la cala; 12
tal era io con
voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l’atto
che fa colui ch’a dicer s’argomenta. 15
E come il piccolo della cicogna apre
e poi richiude l’ala
perché desidera volare, ma ha paura di lasciare il nido, così il Nostro
ha voglia di porre una domanda, ma non osa; però infine fa cenno di
voler chiedere.
Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: "Scocca
l’arco del dir, che ’nfino al ferro hai
tratto". 18
Allor sicuramente apri’ la bocca
e cominciai: "Come si può far magro
là dove l’uopo di nodrir non tocca?". 21
Virgilio, il dolce
padre, pur andando veloce, gli dice: “Lascia andare la corda dell’arco,
visto che l’hai tirata fino alla freccia”. Allora il Discepolo comincia
a parlare: “Come è possibile diventare magri in un luogo dove non c’è
necessità di nutrirsi?”
Se consideriamo che tutta la Divina
Commedia corrisponde ad un evento in cui il Nostro si trova in uno stato
di ‘sogno’ diventa facile rispondere alla sua domanda. In ‘sogno’ è
possibile provare beatitudine o disperazione, gioia o dolore, coraggio o
paura, amore o odio, freddo o caldo, fame e sete o sazietà
ecc…, cioè tutta la
gamma conosciuta di sensazioni; ed in sogno si può vedere se stessi e
gli altri come si era da bambini, o come si è da giovani o da vecchi,
grassi o magri, in ambienti conosciuti o ignoti; perché nel sogno il
sentimento-pensiero si ‘cosifica’ in immagini che sembrano
reali (e lo sono, nel
sogno).
"Se t’ammentassi come Meleagro
si consumò al consumar d’un stizzo,
non fora", disse, "a te questo sì agro; 24
e se pensassi come,
al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
ciò che par duro ti parrebbe vizzo. 27
E Virgilo a lui: “ La
cosa non ti parrebbe tanto difficile da capire se rammentassi come
Meleagro
(= nero e bianco; fu uno degli Argonauti; le Parche alla nascita avevano
decretato che la sua vita sarebbe durata quanto un tizzone che esse
avevano acceso; la madre Altea lo spense e lo nascose. Ma avendole poi
egli ucciso due fratelli, essa gettò il tizzone nel fuoco e lui morì) si
consumò al consumarsi di un tizzone; e se pensassi a come
l’immagine allo
specchio
(= da una radice indoeuropea ‘spek’ = guardare) si muove al movimento
dello specchiato, ciò che ti sembra difficile, ti sembrerebbe facile…”
La risposta della Ragione (Virgilio)
alla domanda della personalità (Dante) concorda con quanto detto sopra:
Meleagro
(nero-bianco, ombra e luce) vive nella realtà
mitologica (o ‘testo sacro’), che è la narrazione da parte di alcuni
vati (poeti ispirati) dei
‘sogni collettivi’
dell’umanità (v. ns/ introduzione a I King e Kabbalah in
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Archetipi) e quindi il suo tessuto è
fatto della stessa materia del ‘sogno’; e
anche lo
specchio,
che ci fa ‘vedere’ come ci vedono gli altri, (ma non come noi, per noi,
sappiamo di essere) anch’esso in un certo qual modo appartiene al mondo
del ‘sogno’ perché
ciò che lì vediamo
muovere quando si muove lo specchiato è solo un’immagine ‘irreale’ su di
un corpo liscio che riflette la luce, cioè un sogno.
Ma perché dentro a
tuo voler t’adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage". 30
"Se la veduta
etterna li dislego",
rispuose Stazio, "là dove tu sie,
discolpi me non potert’io far nego". 33
“…Ma affinché
tu ti tranquillizzi,
ecco qui
Stazio
(= da s-tatio = mai anziano, mai vecchio, cioè ‘il sempre giovane’ che
abbiamo definito ‘piccola illuminazione’ v. canto
XXI) io lo chiamo e
lo prego di guarire le tue ferite (di chiarire i tuoi dubbi)”. Stazio a
lui risponde: “ Perdonami di non poterti dire di no, mentre tu sei
presente, gli spiegherò io la Legge divina.”.
Poi cominciò: "Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die. 36
Sangue perfetto, che
poi non si beve
da l’assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve, 39
prende nel core a
tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch’a farsi quelle per le vene vane. 42
Quindi rivolto a Dante:
“Figliolo, se la tua mente si fa attenta e ricettiva alle mie parole,
esse ti chiariranno il ‘come?’ che tu chiedi. Il sangue maschile
perfetto,
che non viene utilizzato per nutrire il corpo e che avanza come un cibo
sulla tavola, acquisisce nel ‘cuore’ una virtu` formativa di tutte le
membra umane così come quel sangue che scorre nelle vene e diventa
vene…”
Stazio, la ‘piccola Illuminazione’,
di Dante, chiamato in causa da Virgilio, la Ragione, accetta di buon
grado il difficile compito di spiegare il mistero dei ‘corpi sottili’ e
come si formino nel feto umano. Non è cosa dimostrabile né
materialmente, né razionalmente, e
presuppone un atto di
fede nel ‘Divino”. Ancor
digesto, scende ov’è più bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr’altrui sangue in natural vasello. 45
Ivi s’accoglie l’uno
e l’altro insieme,
l’un disposto a patire, e l’altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme; 48
e, giunto lui,
comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
ciò che per sua matera fé constare. 51
“…Dopo una ulteriore
digestione scende in quelle parti che non si nominano (gli organi
genitali maschili) e da lì si riversa sul sangue altrui (sul mestruo
della donna) nel vaso naturale (l’utero). Lì un sangue si unisce
all’altro, uno (passivo) disposto a subire, l’altro (attivo), pronto ad
agire a causa del luogo
perfetto
da cui sgorga (il cuore) e, congiunto a
quello, comincia ad operare, prima coagulando, e poi dando vita a ciò
che ha fatto coagulare…”
Anima fatta la virtute attiva
qual d’una pianta, in tanto differente,
che questa è in via e quella è già a riva, 54
tanto ovra poi, che
già si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond’è semente. 57
“…La potenza attiva del
seme maschile poi, divenuta anima vegetativa, come quella della pianta,
ma differente in quanto essa è in trasformazione mentre la pianta è già
compiuta, tanto opera che presto si muove e sente come una creatura
marina (es. una medusa) e da lì comincia a costruire gli organi, di cui
è seme…”
Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtù ch’è dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende. 60
Ma come d’animal
divegna fante,
non vedi tu ancor: quest’è tal punto,
che più savio di te fé già errante, 63
sì che per sua
dottrina fé disgiunto
da l’anima il possibile intelletto,
perché da lui non vide organo assunto. 66
“…A quel punto poi,
figliolo, si sviluppa la virtù che deriva dal cuore di colui che genera,
dove la natura forma gli organi
(dell’anima
sensitiva). Ma ancora non comprendi come da animale (la creatura)
divenga fante
(infante, che ancora non parla, da ‘in
fari’): questo è un punto difficile che ha fatto sbagliare uno più
saggio di te (Averroè 1126-1198, filosofo arabo che nega l’immortalità
della singola anima) cosicché nella sua dottrina ha separato
l’intelletto dall’anima, vedendo che ad esso non era associato alcun
organo…”
Apri a la verità che viene il petto;
e sappi che, sì tosto come al feto
l’articular del cerebro è perfetto, 69
lo motor primo a lui
si volge lieto
sovra tant’arte di natura, e spira
spirito novo, di vertù repleto, 72
che ciò che trova
attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
che vive e sente e sé in sé rigira. 75
“…Apri dunque il tuo cuore alla
verità (che ti sto per dire) e sappi che appena nel feto si è completato
il cervello, il
Primo Motore
(il Signore) lieto di tanta meraviglia di natura si occupa di lui e vi
infonde uno spirito nuovo, pieno di virtù che attira a sé quello che
trova nel feto e ne fa una sola anima, che vive, sente, e può riflettere
su di sé…”
Secondo la dottrina di Alberto Magno
(1206-1280) e di S. Tommaso (suo discepolo, 1225-1274), che Dante
accoglie,
all’anima vegetativa
e sensitiva che provengono dal seme
perfetto
(= senza difetti) umano (dalla natura umana), ad un certo momento,
quando il cervello del nascituro è pronto, interviene il
Primo Motore, il
‘Signore’ infondendogli l’anima intellettuale individuale o ‘scintilla
di Sé’ che, dopo la morte, unita alle altre due, diviene immortale. Ma a
che cosa corrisponde questa ‘Scintilla Divina’ che dona l’immortalità
alla sua creatura se
non all’‘Io Sono’ di Esodo 3, 13-14
e al ‘…prima che
Abramo fosse, Io Sono’ del vangelo di Giovanni 8, 58? Nella Kabbalah
questo
Primo Motore
corrisponde alla Sephirah Chokmah (= Sapienza o Primo aspetto del Divino
o ‘Inizio’), il ‘Padre Superno’, reciproco ed interangente con Binah (=
Comprensione) la ‘Madre Superna’ che, insieme a Daath (Coscienza), il
‘Figlio’, formano la triade sephirotica che origina tutte le altre
7 Sephiroth
dell’Albero.
E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sol che si fa vino
giunto a l’omor che de la vite cola. 78
Quando Làchesis non
ha più del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l’umano e ’l divino: 81
l’altre potenze
tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto più che prima agute. 84
“…E perché tu ti
stupisca meno delle mie parole pensa al calore del sole che si fa vino
congiunto al succo della vite. Quando
Lachesi
(= da ‘lancano’ = ho in sorte; la seconda delle Parche, quella che fila)
ha terminato il filo, (l’anima) si distacca dalla carne e prende con sé
sia
la componente umana
che
la divina;
le facoltà umane
(vegetativa e sensitiva) rimangono inerti, ma la memoria, l’intelligenza
e la volontà (facoltà di origine divina) rimangono attive e si
acuiscono…” Sanza
restarsi, per sé stessa cade
mirabilmente a l’una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade. 87
Tosto che loco lì la
circunscrive,
la virtù formativa raggia intorno
così e quanto ne le membra vive. 90
“…Senza fermarsi
(l’anima) cade in modo mirabile a una delle due rive, (alla riva
dell’Acheronte se destinata alla dannazione, alla riva del Tevere se
destinata alla salvezza), e qui conosce subito il suo destino. E come il
luogo la circonda, la virtù formativa le emana intorno, come quando
viveva nel corpo fisico…”
Alla morte del corpo fisico Malkuth
(Regno), l’energia delle altre sei sephiroth inferiori Yesod
(Fondamento), Hod (Splendore), Netzach (Vittoria), Tiphereth (Bellezza),
Geburah (Forza), Chesed (Giustizia), la cui energia
può essere
qualificata in ‘bene’ o ‘male’, viene automaticamente giudicata: se
‘recuperabile’ è avviata al Tevere (da ‘stha’ che sostiene), destinata
alla purificazione e alla costruzione dei successivi Alberi (alle
successive reincarnazioni), se invece viene giudicata ‘non
recuperabile’, è avviata all’Acheronte (.(acos = dolore, reo = scorro =
al luogo del dolore),
destinata alla
espiazione del male commesso,
poi riciclata.
E come l’aere,
quand’è ben pïorno,
per l’altrui raggio che ’n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno; 93
così l’aere vicin
quivi si mette
e in quella forma ch’è in lui suggella
virtüalmente l’alma che ristette; 96
e simigliante poi a
la fiammella
che segue il foco là ’vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella. 99
“…E come il cielo,
quando è piovoso, si orna di diversi colori per i raggi del sole che
riflette, così qui l’atmosfera intorno all’anima si plasma in quella
forma (di corpo) che le è propria; e come il fuoco è seguito dalla
fiammella, così la sua nuova forma segue lo spirito…” Però che
quindi ha poscia sua paruta,
è chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta. 102
Quindi parliamo e
quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ’ sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi. 105
Secondo che ci
affliggono i disiri
e li altri affetti, l’ombra si figura;
e quest’è la cagion di che tu miri". 108
“…L’anima prende
visibilità per mezzo di questo corpo (inconsistente), perciò è chiamata
ombra; allo stesso modo essa forma gli organi dei sensi, finanche la
vista. Così noi parliamo e ridiamo, piangiamo e sospiriamo come hai
potuto sentire su (questo) monte del Purgatorio. Le ombre reagiscono ai
desideri e agli affetti che le muovono (e quindi possono soffrire per la
fame), che è ciò di cui tu ti stupisci”.
E già venuto a l’ultima tortura
s’era per noi, e vòlto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura. 111
Quivi la ripa fiamma
in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra; 114
ond’ir ne convenia
dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temëa ’l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso. 117
Intanto i tre, girando
verso destra, sono giunti all’ultima cornice, ora sono attirati da altri
interessi. Qui la parete di roccia lancia fiamme all’esterno e dal bordo
della cornice spira un vento che le trattiene (alla parete), così i tre
procedono l’uno dietro l’altro nel passaggio consentito; il Discepolo
teme da una parte il fuoco e dall’altra il precipizio (teme di cadere
giù).
Terminata la spiegazione di Stazio, i
Pellegrini giungono finalmente sulla settima cornice dove si espiano i
peccati di ‘lussuria’ vizio che è la scoria della sephirah Netzach (=
Vittoria) la cui virtù è la castità. Questa sephirah è situata alla base
della colonna
maschile di destra,
della Grazia, è reciproca ed interagente con Hod (Splendore), che è
situata alla base della colonna femminile di sinistra, della Severità.
Lo duca mio dicea: "Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
però ch’errar potrebbesi per poco". 120
’Summae Deus
clementïae’ nel seno
al grande ardore allora udi’ cantando,
che di volger mi fé caler non meno; 123
e vidi spirti per la
fiamma andando;
per ch’io guardava a loro e a’ miei passi,
compartendo la vista a quando a quando. 126
La guida gli dice: “Qui
occorre stare attentissimi, perché un nonnulla può far commettere un
errore”. Intanto all’interno del fuoco si sentono voci cantare: ‘Dio di
Somma Clemenza’ (il canto del mattutino che tra l’altro invoca la
protezione contro la lussuria);
il Nostro desidera
voltarsi verso quelle voci e vede gli spiriti dei penitenti andare tra
le fiamme; così egli prosegue, ponendo la sua attenzione e
distribuendola di momento in momento, sia a loro che ai suoi passi. Appresso il
fine ch’a quell’inno fassi,
gridavano alto: ’Virum non cognosco’;
indi ricominciavan l’inno bassi. 129
Finitolo, anco
gridavano: "Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tòsco". 132
Le voci, finito il canto
gridano forte: ‘Non conosco uomo’ (Vangelo di Luca 1, 34; è l’obiezione
di Maria all’Angelo dell’Annunciazione); poi ricominciano l’inno, ma a
bassa voce. Terminato l’inno, ecco che gridano ancora: ‘Diana
(= due volte luminosa, la casta) rimase nel bosco e ne cacciò
Elice
(= la spirale;
la ninfa che si era
lasciata sedurre da Giove) perché aveva conosciuto il veleno di
Venere
(= amore sessuale, desiderio). Indi al
cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne. 135
E questo modo credo
che lor basti
per tutto il tempo che ’l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti 138
che la piaga da
sezzo si ricuscia.
Gli spiriti tornano a cantare l’inno, poi di nuovo a citare i
nomi di mogli e mariti che vissero casti secondo le regole del
matrimonio. Probabilmente seguiteranno così per tutto il tempo della
loro purificazione. E` necessario che la ferita (prodotta dal peccato
della lussuria) sia curata con questo mezzo, il fuoco e con questi
alimenti (spirituali, gli esempi).
La pena del contrappasso punisce i
peccatori che arsero nelle fiamme della lussuria,
con il fuoco della
purificazione; alla preghiera per rimanere puri si alternano esempi di
castità. Tre sono gli esempi che vengono citati: Maria, la purezza per
eccellenza, è la castità della Vergine che concepisce senza peccato,
della natura umana fecondata dallo Spirito, che partorisce l’Io Sono, la
Coscienza;
Diana
(la due volte luminosa), che non permette la contaminazione del ‘bosco
sacro’ (degli alberi di Briah, mentale e Yetzirah, astrale), è la
castità a livello astro-mentale; le mogli e i mariti che vivono ‘casti’
infine rappresentano la purezza sul piano fisico…
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