PURGATORIO - CANTO XXVIII
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
www.taote.it
www.taozen.it
www.teatrometafisico.it
Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch’a li occhi temperava il novo giorno, 3
sanza più aspettar,
lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che d’ogne parte auliva. 6
Dante, desideroso di penetrare nella
divina foresta (del Paradiso terrestre) fitta e piena di vita, che
mitiga la luce del nuovo giorno, lascia il bordo (del monte) e si
inoltra per la pianura piano piano, camminando sul prato tutto
profumato.
Un’aura dolce, sanza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
non di più colpo che soave vento; 9
per cui le fronde,
tremolando, pronte
tutte quante piegavano a la parte
u’ la prim’ombra gitta il santo monte; 12
Un’aria delicata e
costante gli sfiora la fronte, dolcemente, come un vento soave;
per essa le foglie
(degli arbusti) tremolando si piegano tutte dal lato dell’ombra del
santo monte;
non però dal loro esser dritto sparte
tanto, che li augelletti per le cime
lasciasser d’operare ogne lor arte; 15
ma con piena letizia
l’ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime, 18
tal qual di ramo in
ramo si raccoglie
per la pineta in su ’l lito di Chiassi,
quand’Ëolo scilocco fuor discioglie. 21
ma non si piegano tanto
da interrompere le attività degli uccellini che stanno sulle loro cime,
anzi, questi con gioia salutano le prime ore del mattino cantando tra
quelle fronde che fanno loro da accompagnamento, come quello che si può
udire nella pineta di
Chiassi
(
= Classe, = luogo dell’adunata; presso Ravenna) quando
Eolo
(= da ‘eolos’= veloce) libera lo
scilocco
( dall’arabo ‘shuluq’ = vento caldo di
sud-est, lo scirocco).
Nel canto VII Dante ci ha descritto
‘la valletta fiorita’ dove ha trovato riposo, in preparazione della
faticosa salita del Purgatorio; ora che le sette ‘P’ gli sono state
cancellate egli giunge finalmente nel giardino che fu il Paradiso
Terrestre: una divina foresta, fitta, con fiori, uccellini e uno
‘stormir di fronde’ simile a
quello che si ode a
Chiassi
nel ‘luogo dell’adunata’ quando il vento ‘veloce’ e caldo sale da
sud-est. E’ questo Paradiso Terrestre un suo ‘luogo mentale’ in cui i
pensieri vengono ‘raccolti’, ‘classificati’, ordinati e scaldati,
resi armonici e
ricettivi, disposti ad accogliere gli uccellini e le loro attività (cioè
i pensieri più aerei e sottili), un vero ‘luogo’ di beatitudine
naturale, preludio a quello Celeste che gli è stato promesso e che
presto conoscerà.
Già m’avean trasportato i lenti passi
dentro a la selva antica tanto, ch’io
non potea rivedere ond’io mi ’ntrassi; 24
ed ecco più andar mi
tolse un rio,
che ’nver’ sinistra con sue picciole onde
piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo. 27
Il Nostro, andando a
lenti passi, si è già tanto inoltrato nel bosco da non poter più
scorgere il punto di partenza; (ora è lui, re e sacerdote di se stesso -
v. canto XXVII, v. 142 - che va avanti, Virgilio e Stazio lo seguono) ed
ecco che un ruscello, che con le sue piccole onde piega verso sinistra
le erbe che crescono sulla sua riva, gli impedisce il cammino. Tutte
l’acque che son di qua più monde,
parrieno avere in sé mistura alcuna
verso di quella, che nulla nasconde, 30
avvegna che si mova
bruna bruna
sotto l’ombra perpetüa, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna. 33
Tutte le acque che
(sulla terra) appaiono limpidissime, a paragone dell’acqua di quel
ruscello sembrano tutte celare delle impurità, eppure esso scorre sempre
in ombra, senza la luce, né del sole, né della luna.
Il ruscello di questo ‘luogo mentale’
ne rappresenta la Vitalità; la sua limpidezza
bruna bruna
è la misteriosa
(oscura) penetrabilità che vivifica questa ‘terra’ e ne collega le varie
parti;
v. al termine del
canto lo schema della quadruplice divisione dell’Albero di Dante: nel
mondo mentale (briatico), la terra è la ‘logica’; l’acqua la capacità di
fare i collegamenti; l’aria la possibilità di entrare nel simbolo e il
fuoco l’intuizione che conduce al mondo spirituale (Causale,
Atzilutico).
Coi piè
ristetti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran varïazion d’i freschi mai; 36
e là m’apparve, sì
com’elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare, 39
una donna soletta
che si gia e
cantando e scegliendo fior da fiore
ond’era pinta tutta la sua via. 42
Fermo sulla riva, il
Nostro passa il fiumicello solo con lo sguardo, per ammirare la grande
varietà di vegetazione, ed ecco che gli appare, come appare
all’improvviso un qualcosa che per la meraviglia distrae da ogni altro
pensiero, una donna che se ne va tutta sola, cantando e scegliendo fior
da fiore
tra tutti quelli che
ornano la sua via.
"Deh, bella donna, che a’ raggi
d’amore ti
scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti
che soglion esser testimon del core, 45
vegnati in voglia di
trarreti avanti",
diss’io a lei, "verso questa rivera,
tanto ch’io possa intender che tu canti. 48
Tu mi fai rimembrar
dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
la madre lei, ed ella primavera". 51
E Dante
a lei: “Oh bella
donna, che ti scaldi ai raggi dell’amore, se è vero che la bellezza del
sembiante
rispecchia quella del
cuore, possa tu desiderare di venire più vicino a questo ruscello,
affinché io abbia modo di udire il tuo canto. Tu mi ricordi
Proserpina
allorché
la madre la perse e
lei perse se stessa”.
Proserpina
è la Persefone greca; simbolo della Primavera; mentre giocava in un
prato fiorito, fu rapita da Ades che la volle sposa; poiché la madre
Demetra, dea delle messi, per il dolore aveva reso sterile la terra,
Zeus allora decise che avrebbe trascorso nell’Ade col suo sposo i sei
mesi dell’autunno-inverno; e gli altri sei mesi della primavera-estate,
con la madre, sulla terra. Come si
volge, con le piante strette
a terra e intra sé, donna che balli,
e piede innanzi piede a pena mette, 54
volsesi in su i
vermigli e in su i gialli
fioretti verso me, non altrimenti
che vergine che li occhi onesti avvalli; 57
e fece i prieghi
miei esser contenti,
sì appressando sé, che ’l dolce suono
veniva a me co’ suoi intendimenti. 60
Come una donna che
ballando si gira con i piedi aderenti e vicini e poi mette appena un
piede davanti all’altro, così questa fanciulla tra i fiori
vermigli
e gialli
si volge al Nostro con gli occhi pudichi abbassati e, accontentando la
sua preghiera, gli si avvicina tanto che egli può ora udire anche le
parole del suo canto.
Ogni movimento di questa giovane
donna esprime grazia e armonia, ed i colori dei fiori che la circondano
vermigli
e
gialli
rappresentano: il vermiglio l’amore intenso, e il giallo la saggezza,
inoltre questa figura femminile racchiude in sé anche la modestia, la
cortesia e la musicalità.
Tosto che fu là dove l’erbe sono
bagnate già da l’onde del bel fiume,
di levar li occhi suoi mi fece dono. 63
Non credo che
splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere, trafitta
dal figlio fuor di tutto suo costume. 66
Giunta là dove l’erba è
bagnata dal ruscello, gli fa dono dello sguardo degli occhi. Una luce
tanto splendente non era nemmeno negli occhi di
Venere
quando fu colpita dalla freccia del figlio (Cupido, allorché si innamorò
di Adone). Ella ridea
da l’altra riva dritta,
trattando più color con le sue mani,
che l’alta terra sanza seme gitta. 69
Tre passi ci facea
il fiume lontani;
ma Elesponto, là ’ve passò Serse,
ancora freno a tutti orgogli umani, 72
più odio da Leandro
non sofferse
per mareggiare intra Sesto e Abido,
che quel da me perch’allor non s’aperse. 75
La bella donna, dritta
sull’altra riva del ruscello, ride, intrecciando i fiori che quella
terra (di montagna) fa nascere spontanei. Il piccolo fiume la tiene
separata da Dante di tre passi; ma l’Elesponto
(= Ellesponto, mare di Elle, la figlia di Atamante, che morì
attraversandolo), la cui irruenza, là dove lo passò
Serse
(= xerses = guerriero), abbassa ogni orgoglio umano, non suscitò tanto
odio in
Leandro
(= uomo delicato)
di
Abido
(= da ‘bitos’= profondità) che,
innamorato della
sacerdotessa di Venere Ero, di
Sesto
(relativo al sei), lo attraversava a nuoto tutte le notti per
raggiungere l’amata (ma una notte il vento spense la torcia che Ero
accendeva sulla torre per guidarlo; lui affogò e lei si gettò dalla
torre),
quanto ne suscita
quel piccolo ruscello nel Nostro, perché
non lo fa passare.
Le numerose doti della giovane donna,
grazia, bellezza, cortesia, modestia, gioia ecc.. suscitano in Dante
l’irresistibile
desiderio di raggiungerla al più presto ed è tale l’ansia da rendergli
‘odioso’ il ruscello che lo separa da lei… Eppure ciò che separa è anche
ciò che congiunge (v. in canto XXVII v. 36) e una volta che si è deciso,
per arrivare
al bene desiderato,
di superare l’ostacolo, questo va amato e non odiato, altrimenti si fa
la fine di Leandro che superava l’ostacolo che lo separava da Ero ogni
notte, ed ogni notte raggiungeva l’amata, ma non riusciva a farla sua
definitivamente.
"Voi siete
nuovi, e forse perch’io rido",
cominciò ella, "in questo luogo eletto
a l’umana natura per suo nido, 78
maravigliando tienvi
alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti,
che puote disnebbiar vostro intelletto. 81
E tu che se’ dinanzi
e mi pregasti,
dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta
ad ogne tua question tanto che basti". 84
E la donna comincia a
dire: “Voi siete nuovi del posto e forse nella meraviglia siete colti da
qualche timore perché io rido qui, nel luogo che fu scelto a dimora
dell’uomo; ma il salmo ‘Delectasti’ (dal Salmo 9, 5 : ‘…Perché mi
rallegri, Signore con le tue meraviglie…) che può rischiarare il vostro
intelletto, vi illuminerà (in quanto descrive la gioia che suscita la
visione del creato). Ma tu che mi stai dinanzi e mi hai pregato (di
avvicinarmi), dimmi se vuoi sapere altro; io sono venuta per rispondere
alle tue domande, per quanto è necessario.
Apprenderemo
nel canto XXXIII che il nome di questa donna, figura allegorica dello
stato edenico umano prima della caduta, è Matelda (= che combatte con
forza); per noi essa, per il suo nome,
corrisponde al
Geburah (= la Forza) di Dante, sephirah che compete il mentale razionale
e su cui si è verificata la ‘caduta’; sarà lei infatti ad immergere il
Nostro nelle doppie acque del fiume che ora li separa, per cancellare
definitivamente anche il ricordo dei suoi peccati e per fargli ricordare
il bene compiuto. Inoltre Matelda corrisponde anche alla cinerah
(sentiero) n. 11, relativo all’Archetipo della Forza, rappresentato da
una Donna (= signora) giovane e bella che con apparente delicatezza
domina un feroce leone e gli tiene aperte le mascelle (v. in
www.teatrometafisico.it
Archetipi la relativa
Lezione-spettacolo): è l’energia psichica purificata, potere dell’anima
corporea che controlla e coordina gli impulsi in lotta nella
personalità, è la ragione e il sentimento uniti per sottomettere
l’istinto; è l’irradiazione del pensiero-volontà, la saggezza e la
scienza umana che assoggettano le forze della natura.
"L’acqua", diss’io, "e ’l suon de la foresta
impugnan dentro a me novella fede
di cosa ch’io udi’ contraria a questa". 87
Ond’ella: "Io dicerò
come procede
per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,
e purgherò la nebbia che ti fiede. 90
Lo sommo ben, che
solo esso a sé piace,
fé l’uom buono e a bene, e questo loco
diede per arr’a lui d’etterna pace. 93
E Dante a lei: “L’acqua
(che scorre) e il fruscio della vegetazione mi rendono titubante su una
certezza acquisita da poco, perché contraddicono quanto ho appreso (da
Stazio, canto XXI, v. 37-45)”. Ed ella a lui: “Ti spiegherò come avviene
ciò che ti fa dubitare e diraderò la nebbia che ti turba. Il Signore,
Sommo Bene, che solo in Se Stesso esulta, fece l’uomo buono ( cfr.
‘Creazione dell’uomo’ in Genesi 1, 31: ‘Il Signore vide quanto aveva
fatto, ed ecco, era cosa molto buona…’ e relativa ns/ interpretazione
in
www.taozen.it
Testi sacri) e lo fece volto al bene,
e gli offrì questo luogo come pegno di eterna pace…” Per sua
difalta qui dimorò poco;
per sua difalta in pianto e in affanno
cambiò onesto riso e dolce gioco. 96
Perché ’l turbar che
sotto da sé fanno
l’essalazion de l’acqua e de la terra,
che quanto posson dietro al calor vanno, 99
a l’uomo non facesse
alcuna guerra,
questo monte salìo verso ’l ciel tanto,
e libero n’è d’indi ove si serra. 102
“…A causa della ‘caduta’
l’uomo rimase qui ben poco: per il suo peccato mutò il piacere onesto e
il dolce riso in dolore e lacrime (Gn. 3, 14-23 id.). Affinché all’uomo
non nuocessero le perturbazioni delle esalazioni che si verificano in
terra e in acqua, e che, per quanto possono, seguono il calore, questo
monte fu fatto salire alto verso il cielo e
reso
privo di
perturbazioni fin dall’ingresso …”
La caduta della coppia primigenia
Adamo-Eva (l’individuo all’inizio dell’incarnazione), ha ostacolato
quella che doveva essere la realizzazione del Piano Divino, cioè il
passaggio diretto
della personalità dal
Paradiso Terrestre a
quello Celeste. Per evitare che i miasmi inferi prodotti dei vizi
dall’albero nero contaminassero
quel ‘luogo’ di
naturale beatitudine, esso è stato isolato
ed innalzato sul
monte della Purificazione, sull’Albero delle Virtù,
e più propriamente
posto sulla cima del mentale bianco, là dove si è prodotta la ‘caduta’.
Or perché in circuito tutto quanto
l’aere si volge con la prima volta,
se non li è rotto il cerchio d’alcun
canto, 105
in questa altezza ch’è tutta disciolta
ne l’aere vivo, tal moto percuote,
e fa sonar la selva perch’è folta; 108
“…Ora, poiché tutta l’aria gira in
cerchio con il primo cielo (Primo Mobile del Paradiso), se il cerchio
non è interrotto da ostacoli, questo movimento si riflette nel monte che
si erge nell’aria libera, e fa risonare la selva che è folta;…”
e la percossa pianta
tanto puote,
che de la sua virtute l’aura impregna
e quella poi, girando, intorno scuote; 111
e l’altra terra,
secondo ch’è degna
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
di diverse virtù diverse legna. 114
“…e la vegetazione è
tanto possente che impregna l’aria del suo potere generativo e l’aria
poi lo diffonde intorno; l’altra
terra (dove abitano
adesso gli uomini), a seconda della disposizione e clima, concepisce e
genera piante diverse a seconda dei semi…”
Non parrebbe di là poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
sanza seme palese vi s’appiglia. 117
E saper dei che la
campagna santa
dove tu se’, d’ogne semenza è piena,
e frutto ha in sé che di là non si
schianta. 120
“…Saputo questo, (la gente) non si
dovrebbe
meravigliare se sulla
terra nascono piante senza inseminazione visibile. Inoltre devi sapere
anche che la selva santa dove ti trovi è ricolma di ogni genere di semi
ed ha in se` frutti sconosciuti sulla terra…”
Il vento che riflette l’aria del
‘primo cielo del Mondo Atzilutico, nel ‘Paradiso Terrestre’ non è altro
che il Pensiero del Sé che si riflette nel mentale della personalità e
che, se non trova ostacoli, ne fa ri-suonare
la
selva,
la vegetazione; infatti se Quello trova la giusta ricettività e
disposizione, cioè l’elemento adatto, questo
concepisce e figlia,
vale a dire produce pensieri creativi, dando origine ad opere d’arte,
invenzioni, musica, ecc.. Sapendo tutto ciò, non ci si dovrebbe
meravigliare
se improvvisamente
sulla terra (mondo di Assiah) nascono nuove concezioni o si realizzano
nuove scoperte, perché tutto il ‘nuovo’ del mondo fisico proviene,
attraverso i mondi intermedi del mentale (Briah) e dell’astrale
(Yetzirah),
dal mondo spirituale
(Atziluth) quando l’Albero dell’essere umano è reso armonico e ricettivo
tanto da concepire e produrre quello che per secoli o millenni è
sembrato impossibile.
L’acqua che vedi non surge di vena
che ristori vapor che gel converta,
come fiume ch’acquista e perde lena; 123
ma esce di fontana
salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
quant’ella versa da due parti aperta. 126
Da questa parte con
virtù discende
che toglie altrui memoria del peccato;
da l’altra d’ogne ben fatto la rende. 129
“…Il ruscello che vedi
non sgorga da una sorgente alimentata dal vapore mutato in pioggia dal
freddo, come un fiume che aumenta o cala la sua portata, ma riceve
l’acqua da una fonte eterna che per Volere Divino si rigenera pur
dividendosi in due direzioni. Da una parte ha il dono di togliere la
memoria del peccato, dall’altra fa recuperare la memoria del bene
compiuto…”
Quinci Letè; così da l’altro lato
Eünoè si chiama, e non adopra
se quinci e quindi pria non è gustato: 132
a tutti altri sapori
esto è di sopra.
E avvegna ch’assai possa esser sazia
la sete tua perch’io più non ti scuopra, 135
darotti un
corollario ancor per grazia;
né credo che ’l mio dir ti sia men caro,
se oltre promession teco si spazia. 138
“…Si deve
bere da entrambi i lati. Da una parte questo ruscello prende il nome di
Leté
(= oblio) dall’altra
Eünoè
(= ben-fatto). Questo è superiore, ma per fare effetto deve prima essere
bevuto l’altro. E benché tu possa essere soddisfatto per ciò che ho
detto, pure, graziosamente, aggiungerò dell’altro; non credo che le mie
parole ti siano meno gradite se vanno oltre la mia promessa…”
All’interno della mente di ognuno di
noi, per volontà del Sé, esiste un ‘ruscello’, un’acqua particolare a
cui dobbiamo prima o poi abbeverarci. Come detto in precedenza,
l’elemento astrale (acqueo) del mentale è la capacità di ‘collegare’
(come fa il ruscello che scorre) i vari pensieri nel ri-cordo (che è una
funzione del cuore dell’Albero): ad un certo momento per poter accedere
all’esperienza del Divino, si deve ‘dimenticare il male’ commesso, il
cui rimorso offuscherebbe la Luce
e la Pienezza
dell’Esperienza e ‘ricordare il bene’ compiuto, che invece L’aumenta:
realizzare questo obiettivo è il compito del ruscello Lete-Eunoé, e
berlo e riceverne il doppio battesimo è quanto si accinge a verificare
il Nostro su di sé.
Quelli ch’anticamente poetaro
l’età de l’oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro. 141
Qui fu innocente
l’umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice". 144
Io mi rivolsi ’n
dietro allora tutto
a’ miei poeti, e vidi che con riso
udito avëan l’ultimo costrutto; 147
poi a la bella donna
torna’ il viso.
“…Quelli che anticamente hanno
scritto poemi sull’età dell’oro e sul suo stato felice, forse hanno
sognato sul Parnaso
questo luogo. (Parnaso = Par(n)a (di)so =
paradiso, dall’ebraico ‘pardes’ = giardino del Signore). Qui all’inizio
la natura umana fu innocente, qui è sempre primavera, qui è ogni frutto,
questo è il nettare di cui tutti favoleggiano”. Dante allora si volge
indietro verso i due poeti e li vede sorridere (Virgilio nella IV
Bucolica ha cantato l’età dell’oro), poi si rivolge di nuovo alla bella
donna.
Spesso l’umana Ragione (il nostro
Virgilio) nelle difficoltà e prove della vita terrena ricorda vagamente,
ma con accorata nostalgia, i passati tempi felici, forse della prima
infanzia o addirittura del periodo prenatale o di una vita precedente, e
dimentica che ogni notte, nel sonno più profondo, raggiunge proprio
quello stato di beatitudine che corrisponde all’età dell’oro in cui
tutto era ‘Uno’, senza distinzioni. Però il Paradiso notturno
si ri-vela alla
Ragione mentre lei è addormentata e quindi non ne è cosciente. Forse è
questa inconsapevolezza che fa sorridere il Virgilio dantesco e forse
anche il nostro…
Albero di Dante
(Causale) Atziluth
|