PURGATORIO - CANTO VI
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente, repetendo le volte, e tristo
impara; 3
con l’altro se ne va tutta la gente; qual va
dinanzi, e qual di dietro il prende, e qual dallato li si reca a
mente; 6
el non s’arresta, e questo e quello intende; a cui
porge la man, più non fa pressa; e così da la calca si difende. 9
Tal
era io in quella turba spessa,
volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
e promettendo mi sciogliea da essa. 12
Quando i giocatori della
zara
(= dall’arabo zahr = dado; gioco d’azzardo) si separano, il perdente
rimane a rammaricarsi, ripassando i lanci e imparando dalla sconfitta;
l’altro, il vincente, se ne va attorniato dalla gente (che spera di
ricevere qualcosa), egli non si ferma ma, regalando (gli spiccioli) a
qualcuno, si difende dalla ressa. Allo stesso modo il Nostro cerca di
districarsi dalla folla delle anime ascoltandoli e promettendo
(suffragi).
Quiv’era l’Aretin
che da le braccia
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
e l’altro ch’annegò correndo in caccia. 15
Quivi pregava con le
mani sporte
Federigo Novello, e quel da Pisa
che fé parer lo buon Marzucco forte. 18
Ed ecco i personaggi
(che si fanno riconoscere): l’Aretino
(un giudice in Siena) ucciso da
Ghin
(= Ghino, da Ugo = pensiero,
di Tacco=
innalzato, che vendico` i suoi parenti da quel giudice condannati); poi
c’e` un altro (Guccio, sempre da Ugo = pensiero, dei Tarlati= dei
tormentati) che annego`, fuggendo. Uno, poi,
Federigo
(= potente in pace)
Novello (=
giovane) prega con le mani tese e un altro da
Pisa
il cui padre
Marzucco ( da
Mario = forte), si mostro` appunto
forte
(non vendicativo
Vidi conte Orso e l’anima divisa
dal corpo suo per astio e per inveggia,
com’e’ dicea, non per colpa commisa; 21
Pier da la Broccia
dico; e qui proveggia,
mentr’è di qua, la donna di Brabante,
sì che però non sia di peggior greggia. 24
L’elenco dei postulanti
continua: c’e` tra di essi il conte
Orso
(= il ‘compagno d’armi’ scontroso) ucciso per vendetta; poi ancora c’e`Pier
(= roccia, sasso)
de la
Broccia
(= Brosse = brusca, dal latino ‘bruscus’ (spazzola di) pungitopo;
ciambellano del re
Filippo III di Francia), ucciso per odio o invidia, non per colpa
commessa: fu impiccato
per le accuse della
regina Maria di
Brabante
(= signora battagliera, vigorosa); a lui provveda questa
donna
(= domina, signora) se non vuol far parte della peggior schiera (dei
dannati).
I ‘vasi svuotati’ (v. ns/
interpretazione interiorizzata dei ‘negligenti morti di morte violenta’
nel purgatorio, canto V),
fotografati
nei personaggi
incontrati da Dante in questo canto, per i significati dei loro nomi,
sono tutti relativi alla sephirah Geburah (
Ghin di Tacco
= pensiero innalzato;
Guccio de Tarlati =
pensiero tarlato;
conte
Orso
=
compagno d’armi
scontroso;
Federigo Novello
= potente in pace;
Pier de la Broccia
= sasso acuminato; Maria di
Brabante
= signora battagliera;
Marzucco
= forte; ecc..) e tutti ‘recuperati’ dall’Albero bianco per il loro
pentimento anche se tardivo, e con ancora tanti grossi debiti da pagare
(espiare). Ma ora il Nostro, che si e` paragonato ad un giocatore
d’azzardo vincente (altro riferimento alla sephirah Geburah), deve
chiarirsi un dubbio: e` possibile mutare con la ‘carita`’ del presente
(dei vivi), l’errore del passato (dei morti)?; cioe`: nell’ottica della
teoria della reincarnazione, e` possibile accorciare il proprio karma,
la catena delle cause-effetti?
Come libero fui da tutte quante
quell’ombre che pregar pur ch’altri prieghi,
sì che s’avacci lor divenir sante, 27
io cominciai: "El
par che tu mi nieghi,
o luce mia, espresso in alcun testo
che decreto del cielo orazion pieghi; 30
e questa gente prega
pur di questo:
sarebbe dunque loro speme vana,
o non m’è ’l detto tuo ben manifesto?". 33
Lasciati quelli che lo pregano di
poter ottenere preghiere per la loro purificazione, Dante chiede al
Maestro chiamandolo
luce
(dal greco leukos = sacro): “Mi sembra che nel tuo poema (Eneide, canto
VI, v. 376 – v. ns/ riduzione teatrale in
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e relativa
interpretazione cabalistica) tu abbia negato la possibilita`, per la
preghiera umana, di mutare le disposizioni celesti; e invece questa
gente anela proprio a quello: sarebbe dunque la loro una speranza vana o
ho frainteso le tue parole?”
Ed elli a me: "La mia scrittura è piana;
e la speranza di costor non falla,
se ben si guarda con la mente sana; 36
ché cima di giudicio
non s’avvalla
perché foco d’amor compia in un punto
ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla; 39
e là dov’io fermai
cotesto punto,
non s’ammendava, per pregar, difetto,
perché ’l priego da Dio era disgiunto. 42
E la Guida al Discepolo:
“ Quello che ho scritto e` chiaro; ma pure la loro speranza non e` vana,
se si approfondisce il concetto; l’altezza della Giustizia divina non e`
sminuita dal fatto che l’amore (dei vivi) possa ‘pagare’ in un attimo il
‘debito’ (dei morti) che debbono aspettare qui; ma allora (ai miei
tempi, prima della venuta del Cristo), non era possibile emendare con la
preghiera i peccati umani perché la preghiera non arrivava in cielo…”
Come detto in precedenza, dopo il
peccato originale o rottura dei Vasi,
solo con la venuta
dell’Io Sono, lo sviluppo della sephirah Daath, della Coscienza
Cristica, e` possibile la Reintegrazione, la Salvezza, la Restaurazione
(Tikkun); Essa e` dovuta all’incontro (Nozze
Mistiche) della Sposo
(il Se`) con la Sposa (la natura umana) e non e` certo la ‘ragione’ a
compiere questa Unione, ma solo la Conoscenza dell’Io Sono, ‘Se Stesso’
(Nosce Te Ipsum) . Che poi ora i vivi (il presente) possano riscattare
gli errori dei morti (il passato) e quindi ridimensionare le leggi
karmiche di causa-effetto, cio` dipende proprio dalla venuta del Cristo,
Daath, dalla sua discesa agli inferi e dalla sua risalita al Cielo
con
quella apertura del
velo (Paroketh) che impediva all’umanita` caduta di superare l’Abisso
tra i mondi inferiori (fisico, astrale e mentale) Assiah, Yetzirah,
Briah, e il mondo (spirituale) Atziluth.
Veramente a così alto sospetto
non ti fermar, se quella nol ti dice
che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto. 45
Non so se ’ntendi:
io dico di Beatrice;
tu la vedrai di sopra, in su la vetta
di questo monte, ridere e felice". 48
“…Tuttavia dinanzi ad un
dubbio cosi` profondo non fermarti (alla mia spiegazione) fatti dare
chiarimenti da quella che fa da congiunzione tra me, la Ragione e la
Verita` Celeste, parlo di
Beatrice
(= colei che rende beati; Beatrice rappresenta la ‘ragione celestiale’
che dimora nel mondo spirituale, Atziluth - cfr. inferno canto II v.
72); la potrai vedere in cima a questo Monte, sorridente e felice”: dopo
la purificazione, il Discepolo sara` in grado di accogliere
l’Intuizione.
E io: "Segnore, andiamo a maggior
fretta, ché
già non m’affatico come dianzi,
e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta". 51
"Noi anderem con
questo giorno innanzi",
rispuose, "quanto più potremo omai;
ma ’l fatto è d’altra forma che non
stanzi. 54
E Dante a lui: “Signore allora andiamo piu` in fretta, che non
mi affatico piu` come prima, e vedo che ormai il monte fa ombra (e`
pomeriggio inoltrato).” E Virgilio in risposta: “Noi andremo avanti
quanto piu` potremo per tutto il giorno, ma le cose stanno in modo
diverso da come credi…”
Alla fretta e all’ansia del Discepolo
risponde la calma e la prudenza del Maestro. Ogni cosa umana e` legata
al tempo e c’e` un tempo per ogni cosa (cfr. Qoelet 3, 1-8): il tempo
della salita del Monte del Purgatorio non puo` essere ridotto dalla foga
o dalla precipitazione del neofita…
Prima che sie là sù, tornar vedrai
colui che già si cuopre de la costa,
sì che ’ suoi raggi tu romper non fai. 57
Ma vedi là un’anima
che, posta
sola soletta, inverso noi riguarda:
quella ne ’nsegnerà la via più tosta". 60
“… Prima di poter
giungere sulla cima del Monte vedrai di nuovo (il sole) che ora si
nasconde dietro la roccia, motivo per cui ora il tuo corpo non fa piu`
ombra. Ma osserva la` quell’anima: se ne sta sola in disparte e guarda
verso di noi; sara` lei ad indicarci la via piu` rapida”.
Venimmo a lei: o anima lombarda,
come ti stavi altera e disdegnosa
e nel mover de li occhi onesta e tarda! 63
Ella non ci dicëa
alcuna cosa,
ma lasciavane gir, solo sguardando
a guisa di leon quando si posa. 66
I due Pellegrini si
avvicinano al personaggio indicato (da Virgilio) che appare altero e
sdegnoso ma nel movimento degli occhi onesto e calmo. Costui non parla,
ma si guarda intorno come un leone in riposo.
Pur Virgilio si
trasse a lei, pregando
che ne mostrasse la miglior salita;
e quella non rispuose al suo dimando, 69
ma di nostro paese e
de la vita ci
’nchiese; e ’l dolce duca incominciava
"Mantüa ...", e l’ombra, tutta in sé
romita, 72
surse ver’ lui del loco ove pria stava,
dicendo: "O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra!"; e l’un l’altro
abbracciava. 75
Solo Virgilio gli si accosta e lo
prega di mostrare la via (per salire il Monte) e quello, senza
rispondere alla sua domanda, chiede ai Pellegrini della loro patria e
della loro vita. Virgilio ha appena incominciato a dire: “
Mantua..(=Mantova
-v. inferno canto XX,
v. 93)” che quello, prima tutto chiuso in se`, si dirige subito verso di
lui dicendogli: “O Mantovano, io sono Sordello della tua stessa terra” e
i due si abbracciano. Solo perché concittadino, pure se vissuto ben
dodici secoli dopo, Sordello dimostra affetto a Virgilio, e offre al
Nostro l’occasione per criticare severamente le lotte interne
dell’Italia.
Il personaggio qui incontrato,
Sordello
(da una radice indoeuropea swer =sussurro) da Goito (= paese dei ‘Goti’
= da una radice celtica ‘geut’ = diffondere, spandere; = che diffonde
sussurri) e` un poeta trovatore, noto per le sue avventure amorose; uomo
di corte, dovette recarsi in esilio in Provenza, mori` nel 1269 a
Napoli. Possiamo attribuire a questo personaggio l’Archetipo n. 6 , del
Bivio o dell’Innamorato (v. in
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Archetipi, la
relativa lezione-spettacolo), per la sua arte poetica (‘diffonde
sussurri’) e per le duplici caratteristiche di severita` e dolcezza, e
anche per il suo aspetto ‘leonino’, solare, proprio dell’Amore e della
Bellezza. Specifica qualita` dell’Innamorato e` la ‘Liberta`di scelta’ e
quando questa qualita` abbraccia la Ragione (Virgilio) e ne riconosce la
comune
‘patria’ il Discepolo
sul Sentiero
compie grandi
progressi. L’Archetipo n. 6 pone l’Iniziato al Bivio della scelta tra
Via attiva o passiva, ma anche tra Virtu` e vizio, tra Bene e male tra
Altruismo ed egoismo. Consideriamo l’Italia (= terra dei tori, ricca di
bestiame, di energia)
come ‘Nazione’: il
Regno, il Malkuth dell’Albero cabalistico; a lei la possibilita` di
costruire l’Albero bianco o quello nero; ma
cio` che il Nostro
vede della sua ‘situazione politica’ non fa presagire nessuna ‘scelta’
giusta a livello ‘nazionale’.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello! 78
Quell’anima gentil
fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa; 81
e ora in te non
stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
di quei ch’un muro e una fossa serra. 84
Il gesto sincero, patriottico e
affettuoso di
Sordello
suscita dunque in Dante un’invettiva contro l’Italia
che egli definisce
nave
nella tempesta senza
nocchiero,
non
donna
(= signora) di provincie, ma luogo di prostituzione: i suoi abitanti si
fanno guerra in continuazione, sbranandosi tra loro; mentre un’anima
nobile solo a sentire nominare la patria da un concittadino (gli) fa
festa
( da fanum = tempio), cioe` consacra (a lui o rende sacro per lui) quel
giorno.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s’alcuna parte in te di pace gode. 87
Che val perché ti
racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz’esso fora la vergogna meno. 90
Poi il Poeta continua:
invita la
serva Italia
a guardare le sue regioni sul mare e poi quelle interne, e a vedere se
riesce a trovarne una in pace. Quindi la paragona ad una cavalla a cui
l’imperatore
Iustinïano
(= giusto), che ha
raccorciato
il freno,
con il codice (del 533) ha dato giuste leggi, ma essendo
la sella vota,
senza cavaliere, le leggi non servono e,
anzi, se non ci fossero del tutto, sarebbe cosa meno vergognosa.
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota, 93
guarda come esta
fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella. 96
Il Poeta rimprovera poi
il clero, quella
gente
(Papa e Chiesa) che dovrebbe
esser devota,
cioe` obbediente al comando del Signore (Mt. 22, 21: ‘…Rendete dunque a
Cesare quello che e` di Cesare, ecc..’) e che invece, preferendo essa
stessa reggere le briglie (della cavalla), non permette a chi dovrebbe
detenere il potere temporale di
seder in sella,
di governare, rendendo cosi` la ‘cavalcatura’
fella,
traditrice, perché non corretta dagli speroni.
O Alberto tedesco ch’abbandoni
costei ch’è fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni, 99
giusto giudicio da
le stelle caggia
sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che ’l tuo successor temenza n’aggia! 102
Ch’avete
tu e ’l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto. 105
Il Nostro poi si rivolge
all’Imperatore
Alberto (=
illustre, d’Asburgo) che, come il padre (Rodolfo) si occupa per
cupidigia solo della sua patria, trascurando il giardino dell’Impero
(l’Italia), e che quindi non compie il suo dovere, ma lascia che la
‘cavalla’ diventi
indomita e selvaggia
per non cavalcarla; Dante augura una severa punizione celeste al suo
sangue, che
almeno renda il suo successore timoroso.
Vieni a veder
Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti! 108
Vien, crudel, vieni,
e vedi la pressura
d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com’è oscura! 111
Invita poi l’Illustre
(ma indegno) Imperatore a verificare di persona la situazione dei suoi
fedeli
Montecchi
(= montani – il monte e` relativo al Malkuth)
e Cappelletti
(militari – la guerra e` relativa a Geburah),
Monaldi (saggi –
la saggezza e` relativa a Chesed )
e Filippeschi
(cavalieri – il cavalierato e` relativo a Netzach), famiglie di
avversari guelfi e ghibellini, gia` vinti o timorosi di sconfitta; lo
invita a rendersi conto dello stato di oppressione dei suoi signori e a
ripararne i danni; lo invita a vedere il disastro di
Santafiora
(= fiore – santo, relativo a Thiphereth; regione del monte Amiata, feudo
degli Aldobrandeschi, a cui Siena aveva tolto gran parte dei territori).
Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e dì e notte chiama:
"Cesare mio, perché non m’accompagne?". 114
Vieni a veder la
gente quanto s’ama!
e se nulla di noi pietà ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama. 117
Ancora il Poeta esorta
l’Imperatore
Alberto
a visitare
Roma
(la capitale dell’impero, la sposa, Malkah)
che piange giorno e notte la sua vedovanza chiamando lui, il suo
Cesare
(= il suo capo, lo sposo); lo sollecita a constatare l’odio che
serpeggia tra la gente e, se proprio e` incapace di compassione, lo
invita a vergognarsi almeno della sua
reputazione.
E se licito m’è, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? 120
O è preparazion che
ne l’abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l’accorger nostro scisso? 123
Poi il Poeta si rivolge
allo stesso Signore del Cielo, chiamandolo
sommo Giove
(= dio di Giustizia) che si e` lasciato crocifiggere per l’umanita`(la
croce e` simbolo di espansione verso l’Alto nel braccio verticale e
verso l’altro nel braccio orizzontale), chiedendoGli se sta ‘guardando
altrove’ o se il Suo Piano e` rivolto ad un Bene totalmente
incomprensibile all’umana natura.
Ché le città d’Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene. 126
Fiorenza mia, ben
puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
mercé del popol tuo che si argomenta. 129
Perché ormai le citta`
d’Italia
sono tutte rette da tiranni e ogni villico che si mette in politica
diventa un
Marcello
(= un seguace di Marte, oppure un martello, tutto pronto alla lotta
fratricida).
Nell’invettiva rivolta all’Italia
quale ‘nave senza nocchiere’ o
‘cavalcatura senza
cavaliere’ vengono contrapposti due poteri: quello del Papa e della sua
Chiesa (gente che dovrebbe esser devota e occuparsi delle cose dello
spirito, e non lo fa) e quello dell’Imperatore (Alberto, illustre
tedesco che dovrebbe occuparsi dell’Impero, e non lo fa). Mancando i due
‘poteri’ ai loro doveri, l’Impero va a rotoli. Nell’Albero cabalistico
‘Papa’ e ‘Imperatore’ sono due Archetipi omologati a due cineroth
(sentieri) della Kabbalah (v. in
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Archetipi, le
relative lezioni-spettacolo) ciascuno con il proprio specifico compito:
se il ‘Papa interiore’ viene meno ai sui compiti, la personalita` si
ritrova a tramutare le sue qualita` ‘papali’ quali: religiosita`, fede,
riservatezza, pieta`, comprensione, pazienza, discernimento, ecc.. in
dissimulazione, rancore, bigotteria, intolleranza, fanatismo, ecc… Se
poi e` l’ ‘Imperatore interiore’ a venir
meno ai suoi compiti,
allora la personalita` si ritrova ad invertire le sue qualita`
‘imperiali’ quali: energia, volonta`, giustizia, concentrazione,
fermezza, costanza, ecc.. in ostinatezza, dispotismo, ingiustizia,
tirannia, brutalita` ecc.. I vizi del Papa e dell’Imperatore portano la
‘nazione’ alle guerre intestine delle famiglie tra loro (delle varie
sephiroth tra loro)
Montecchi
(Malkuth, il Regno) contro
Cappelletti
(Geburah, la Forza);
Monaldi (Chesed
la Giustizia) contro
Filippeschi
(Netzach, la Vittoria) ecc.; queste lotte
determinano caos e
rovina, con la decadenza di
Santafiora
(Tiphereth, la Bellezza) e la vedovanza di Roma (Malkah la sposa).
Ma questa divagazione (ovviamente,
detto ironicamente) non tocca la citta` di
Fiorenza,
grazie alla sua gente, che e` molto ‘attiva’ (nel male).
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l’arco;
ma il popol tuo l’ ha in sommo de la
bocca. 132
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: "I’ mi
sobbarco!". 135
(In altri luoghi) molti che hanno la
giustizia nel cuore, sono prudenti per non sbagliare, ma i fiorentini
sono prontissimi ad esprimere giudizi affrettati. (In altri luoghi)
molti rifiutano gli incarichi pubblici, ma i fiorentini, senza esserne
richiesti, si offrono spontanei per incarichi non di loro competenza.
Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace e tu con senno!
S’io dico ’l ver, l’effetto nol nasconde. 138
Atene e Lacedemona,
che fenno
l’antiche leggi e furon sì civili,
fecero al viver bene un picciol cenno 141
verso di te, che fai
tanto sottili
provedimenti, ch’a mezzo novembre
non giugne quel che tu d’ottobre fili. 144
Che dunque questa citta`
(Firenze) si rallegri, ne ha ben ragione: e` ricca, pacificata, saggia
(sic).
E i fatti lo
confermano… Essa e` superiore ad
Atene
(sacra ad Atena)
e
Lacedemona
(Sparta, fondata da Lacedemone)
maestre di leggi e di
civilta`, per i suoi
provedimenti
cosi`
sottili
che, emanati a
ottobre, son gia` decaduti a meta` novembre…
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato, e rinovate membre! 147
E se ben ti ricordi
e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume, 150
ma con dar volta suo
dolore scherma.
In tanti mutamenti di gente, di leggi,
monete, incarichi e costumi, Firenze sembra una malata che, pure su di
un letto di piume, non trova pace e maschera la sua sofferenza
rigirandosi nel letto.
Di tutto
l’Albero rappresentato dalla nazione
Italia
il cuore e`
Fiorenza
(= il fiore), il centro relativo alla Bellezza e all’Amore che e`
‘infermo’ e che dovrebbe essere ‘sanato’. Dante infatti paragona la sua
Fiorenza
ad una malata che non
puo` trovar posa,
perché priva di governanti saggi e invasa da gente tutta pronta a
prendere incarichi (‘I
mi sobbarco’)
senza averne la giusta qualificazione. Il centro
Tiphereth
per la sua centralita`, come il cuore del corpo
umano, ha la funzione di motore, che distribuisce l’energia a tutto
l’organismo secondo regole ben precise (cfr. il
ns/ racconto n. 27 ‘L’Alimentazione’ in
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‘I King e Kabbalah’); una malattia del cuore
reca sofferenza e degenerazione a tutto l’Albero; la sua poverta`, le
sue discordie interne, la sua stoltezza (= capovolgimento dell’ironico
tu ricca, tu con
pace, tu con senno) non possono che ‘accorare’ chi
di tali mortali ‘malanni’
prende coscienza.
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