PURGATORIO - CANTO VIII
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c' han detto ai dolci amici addio; 3
e che lo novo
peregrin d’amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more; 6
quand’io incominciai
a render vano
l’udire e a mirare una de l’alme
surta, che l’ascoltar chiedea con mano. 9
E` gia` giunta
l’ora del tramonto,
quella
che risveglia la
nostalgia a chi e` in mare, lontano da coloro a cui ha detto addio;
quella che suscita rimpianto in chi e` appena partito, allorche` in
lontananza ode lo squillo di una campana che sembra piangere il giorno
che si spegne; cosi` il Nostro ormai non ascolta piu` (le parole di
Sordello) e pone l’attenzione ad un’anima alzatasi in piedi, che chiede
di parlare a gesti.
Ella giunse e levò ambo le palme,
ficcando li occhi verso l’orïente,
come dicesse a Dio: ’D’altro non calme’. 12
’Te lucis ante’ sì
devotamente le
uscìo di bocca e con sì dolci note,
che fece me a me uscir di mente; 15
e l’altre poi
dolcemente e devote
seguitar lei per tutto l’inno intero,
avendo li occhi a le superne rote. 18
Quest’anima unisce e alza le due
mani, rivolgendo gli occhi ad oriente, come se dicesse al Signore: “Non
mi interessa altro”. E dalla sua bocca esce: “Te lucis
ante..” (l’inno per
ottenere la protezione contro i pericoli e le tentazioni della notte),
di ‘compieta’ (dell’ultima
ora canonica), ma il
canto e` cosi` devoto e con note cosi` dolci, e seguito subito da tutte
le altre anime con la stessa dolcezza e devozione e con gli occhi (di
tutti) volti al cielo, da rendere il Viandante dimentico di se stesso.
L’atmosfera melanconica,
crepuscolare, nostalgica, quasi di rimpianto, e` particolare nel canto
VIII, ma e` anche la caratteristica propria del purgatorio quale ‘luogo’
di purificazione, di ripensamento, di ripiegamento su di se` e di
riflessione sul proprio operato. La preghiera della sera, l’inno di S.
Ambrogio, chiede protezione per i pericoli della notte, del ‘sonno’:
dell’incoscienza, della fragilita` del corpo astro-mentale non
supportato dalla coscienza del fisico, ecc.,
e di protezione c’e`
bisogno, visto che il serpente antico gira sempre da queste parti! Il
Discepolo sul Sentiero che e`gia` sicuro della sua salvezza perché
conosce l’Io Sono, il Cristo, Daath, non deve dimenticare che
‘l’avversario’ e` ancora ‘attivo’ e quando la luce del sole, cioe` la
vigilanza viene meno, conviene prepararsi ai suoi eventuali assalti
notturni. Aguzza qui,
lettor, ben li occhi al vero,
ché ’l velo è ora ben tanto sottile,
certo che ’l trapassar dentro è leggero. 21
Dante invita il lettore
a concentrarsi sulla Verita`, perché ora il velo che la ‘rivela’ e`
talmente sottile che puo` essere attraversato.
Viene qui data una tecnica di
meditazione pratica: ‘aguzzare gli occhi al vero’
significa concentrare lo sguardo e l’attenzione nel punto in mezzo alle
sopracciglia (sul centro Daatico) la` dove il
velo
e` tanto sottile
che puo` essere
trapassato
dentro. Io vidi
quello essercito gentile
tacito poscia riguardare in sùe,
quasi aspettando, palido e umìle; 24
e vidi uscir de
l’alto e scender giùe
due angeli con due spade affocate,
tronche e private de le punte sue. 27
Ed ecco che quel
gruppetto deferente, divenuto silenzioso, si volge in su, come
aspettando, pallido e umile; dal cielo intanto scendono due angeli con
le spade di fuoco, ma senza punta.
I due ‘angeli’ muniti della spada di
fuoco ricordano ‘i cherubini con la spada dalla fiamma folgorante’ posti
a guardia del giardino di Eden (Gn. 3, 24), per evitarne l’accesso agli
‘indegni’; li` erano simbolo di allontanamento definitivo, qui sono
simbolo di speranza. Il Poeta precisa che le loro spade sono senza
punta: quindi proteggono e non aggrediscono. La punta della spada serve
a trafiggere il
nemico, qui
il nemico e` stato
gia` sconfitto, ma
conviene tenerlo in
continuo timore…
Verdi come fogliette pur mo nate
erano in veste, che da verdi penne
percosse traean dietro e ventilate. 30
L’un poco sovra noi
a star si venne,
e l’altro scese in l’opposita sponda,
sì che la gente in mezzo si contenne. 33
Le vesti dei due angeli
sono di color verde tenero, come quello delle foglie appena nate; le
ali, dalle piume
anch’esse verdi,
ventilando, le fanno ondeggiare. Uno degli angeli si dispone un po`
sopra i due Pellegrini, l’altro dalla parte opposta della valletta: le
anime restano cosi` protette, nel mezzo.
Ben discernëa in lor la testa bionda;
ma ne la faccia l’occhio si smarria,
come virtù ch’a troppo si confonda. 36
"Ambo vegnon del
grembo di Maria",
disse Sordello,
"a guardia de la valle,
per lo serpente che verrà vie via". 39
Gli occhi del Viandante, riescono a
vedere bene i biondi capelli degli angeli, ma non i volti, per
l’eccessiva loro virtu` (luce e bellezza). E
Sordello
(subito) dice: “Vengono entrambi dal seno di
Maria, a guardia di questa valle, (per proteggerla) dal serpente che
arrivera` tra poco”.
Ricordiamo che in Gn. 3, 15, dopo la
caduta, al serpente fu detto: “Io porro` inimicizia tra te e la donna,
tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccera` la testa ecc.
…”
nella ‘donna’ viene
profeticamente adombrata Maria, quindi i due angeli verdi che provengono
dal suo grembo
sono in diretto collegamento col di Lei ‘Figlio’. Nel nostro discorso
interiorizzato, cabalistico, Maria corrisponde alla sephirah Binah,
omologata alla Grande Madre della colonna di sinistra dell’Albero, e il
Figlio, il Cristo, alla sephirah Daath, all’Io Sono, della colonna
centrale dell’Albero, i due angeli (dal greco angelos = messaggeri) che
provengono dal
grembo di Maria,
sono quindi ‘messaggeri’ del Cristo, della componente coscienziale del
Discepolo sul Sentiero,
e gli forniscono
l’aiuto e la protezione necessaria nel momento del pericolo, momento che
finche` si e` vivi,
puo` sempre arrivare,
visto che il ‘nemico’, il serpente, e` proprio il mentale razionale
egoico (v. ns/ ‘Commento alla Genesi’
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Testi sacri)
Ond’io, che non sapeva per qual
calle, mi
volsi intorno, e stretto m’accostai,
tutto gelato, a le fidate spalle. 42
E Sordello anco: "Or
avvalliamo omai
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
grazïoso fia lor vedervi assai". 45
Dante rabbrividendo, si guarda
intorno e, non sapendo da dove il serpente possa arrivare, si stringe
alla Guida. E Sordello dice ancora: “Ora scendiamo nella valle da queste
anime (di prìcipi); parleremo con loro, vedervi sara` per loro assai
grazïoso
(dal latino gratus = gradito)”
Solo tre passi credo ch’i’ scendesse,
e fui di sotto, e vidi un che mirava
pur me, come conoscer mi volesse. 48
Temp’era già che
l’aere s’annerava,
ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei
non dichiarisse ciò che pria serrava. 51
Ver’ me si fece, e
io ver’ lui mi fei:
giudice Nin gentil, quanto mi piacque
quando ti vidi non esser tra ’ rei! 54
Il Viandante crede di far solo tre
passi, e subito si trova di sotto (nella valletta); quindi scorge uno
che lo fissa come a volerlo individuare. E` gia` quasi buio, ma non
tanto da non far riconoscere i due. Quello si avvicina a Dante e Dante a
lui: e` il giudice
Nino
(da Ugolino = pensiero,Visconti, morto nel 1296); il Nostro gioisce nel
saperlo salvo!
Come visto nel canto VII, la
valletta fiorita
puo` essere interiorizzata come
‘luogo’ di
riflessione per incontrare i propri ‘prìncipi negligenti’ e recuperarli;
Dante incontra qui il suo
giudice Nin,
il
suo ‘pensiero giudicante’ e gioisce nel sapere che puo` essere
riscattato. Nullo bel
salutar tra noi si tacque;
poi dimandò: "Quant’è che tu venisti
a piè del monte per le lontane acque?". 57
"Oh!", diss’io lui,
"per entro i luoghi tristi
venni stamane, e sono in prima vita,
ancor che l’altra, sì andando, acquisti". 60
Dopo essersi salutati in
ogni modo cortese,
Nino
domanda: “Quanto
tempo e` che sei giunto ai piedi del Monte attraverso le acque lontane
(nel mondo dei morti)?”
E Dante a lui: “Sono
arrivato qui solo stamattina attraverso i luoghi del dolore (l’inferno),
ma sono ancora nella prima vita (vivo), e compio questo viaggio per
acquistare la vita eterna”.
E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed elli in dietro si raccolse
come gente di sùbito smarrita. 63
L’uno a Virgilio e
l’altro a un si volse
che sedea lì, gridando: "Sù, Currado!
vieni a veder che Dio per grazia volse". 66
Udita la risposta,
Sordello
e
l’altro indietreggiano, come ad un tratto smarriti. Sordello si volge a
Virgilio, l’altro grida ad uno che sta seduto li` accanto: “Vieni,
Currado
(= Corrado = saggio consigliere) a vedere cio` che permette la grazia
del Signore”.
Il
giudice Nin
(Il
pensiero giudicante) quasi non crede alle parole di Dante
(per il fatto che e`
vivo) e chiama come a testimone
Currado
(il saggio consigliere): quando il ‘pensiero che giudica’ chiama a
testimoniare il ‘saggio consigliere’ per comprendere un fatto per lui
incomprensibile, vuol dire che non e` piu` abbarbicato al suo ‘giudizio’
e che
e` gia` pronto ad
aprirsi all’intuizione.
Poi, vòlto a me: "Per quel singular grado
che tu dei a colui che sì nasconde
lo suo primo perché, che non lì è guado, 69
quando sarai di là
da le larghe onde,
dì a Giovanna mia che per me chiami
là dove a li ’nnocenti si risponde. 72
Nino si volge poi a
Dante
e lo prega cosi`:
“Per la particolare gratitudine che devi a Colui che cela i suoi Piani
tanto che non li si puo` comprendere, quando sarai al di la` del gran
mare (tornato nella terra dei vivi) di` a (mia figlia)
Giovanna
(= grazia del Signore) di pregarLo per me, lei che e` innocente…”
Non credo che la sua madre più m’ami,
poscia che trasmutò le bianche bende,
le quai convien che, misera!, ancor brami. 75
Per lei assai di
lieve si comprende
quanto in femmina foco d’amor dura,
se l’occhio o ’l tatto spesso non
l’accende. 78
Non le farà sì bella sepultura
la vipera che Melanesi accampa,
com’avria fatto il gallo di Gallura". 81
“…Sono convinto che sua
madre (Beatrice d’Este) non mi ami piu`, visto che ha mutato le
bianche bende
(= si e` risposata), cosa che, poverina, la fara` assai soffrire (dovra`
subire l’esilio). Per lei si comprende quanto poco duri il fuoco d’amore
in una donna se non e` alimentato dalla presenza (dell’amato). La
famiglia
Melanese
del
nuovo marito (Visconti di Milano) che ha (nello stemma) il simbolo della
vipera, non adornera` la sua tomba come avrebbe fatto la mia famiglia
(dei Visconti) della
Gallura
che ha (nello stemma) il simbolo del gallo ”.
Il (principe negligente)
giudice Nin,
il pensiero giudicante, pentito, e forte della testimonianza di
Currado
(pensiero saggio) chiede poi a Dante (= colui che persevera nella
ricerca) di essere recuperato attraverso le ‘preghiere’ della figlia
Giovanna
(= la Grazia), sapendo di non poterle avere dalla moglie che, vedova, si
e` risposata preferendo cosi` la ‘vipera’
al ‘gallo’.
La moglie del giudice, controparte femminile del ‘pensiero giudicante’
e` proprio la ricettivita`. La sua infedelta` ne ostacola il recupero,
soprattutto se consideriamo la simbologia della vipera (tradimento,
veleno, ambiguita`) e quella del gallo (generosita`, solarita`,
bellezza), e sappiamo che la ‘ricettivita` del pensiero giudicante’ ha
preferito la prima al secondo. Ma di questo paghera` le conseguenze con
l’esilio, cioe` con l’allontanamento dalla patria (con ritardare il
recupero della sua energia)…
Così dicea, segnato de la stampa,
nel suo aspetto, di quel dritto zelo
che misuratamente in core avvampa. 84
Li occhi miei
ghiotti andavan pur al cielo,
pur là dove le stelle son più tarde,
sì come rota più presso a lo stelo. 87
Cosi` parla Nino,
segnato nell’aspetto dal giusto amore che arde discreto nel suo cuore.
Intanto gli occhi del Nostro si dirigono verso il cielo, nel punto
(verso il polo antartico) dove le stelle girano piu` lentamente perché
piu` vicino all’asse di rotazione.
E ’l duca mio: "Figliuol, che là sù guarde?".
E io a lui: "A quelle tre facelle
di che ’l polo di qua tutto quanto arde". 90
Ond’elli a me: "Le
quattro chiare stelle
che vedevi staman, son di là basse,
e queste son salite ov’eran quelle". 93
E la guida a lui:
“Figlio, che guardi lassu`?”
E Dante: Quelle tre
stelle che illuminano tutto il polo”. E Virgilio: “Le quattro stelle
luminose che vedevi stamattina, stanno tramontando, e queste sono salite
dove erano quelle”.
Sette sono le virtu` che debbono
essere coltivate da chi sale il Monte del Purgatorio, le quattro
cardinali (dal latino cardo= pernio, cardine), cardini della probita`, e
le tre teologali
(dal greco theos =
divino), che permettono la conoscenza del Mondo Spirituale; esse gia`
splendono nel cielo ma occorre farle proprie, calare la loro luce sulla
‘terra’.
Com’ei parlava, e
Sordello a sé il trasse
dicendo: "Vedi là ’l nostro avversaro";
e drizzò il dito perché ’n là guardasse. 96
Da quella parte onde
non ha riparo
la picciola vallea, era una biscia,
forse qual diede ad Eva il cibo amaro. 99
Mentre ancora Virgilio
sta parlando, Sordello lo attira a se` indicando col dito : “ Guarda la`
il nostro avversario”.
Intanto dalla parte
senza riparo della valletta avanza una biscia, forse la stessa che ha
offerto ad
Eva
(= dall’ebraico ‘hawwah’ = madre dei viventi) il frutto velenoso.
Il serpente antico, l’avversario, il
tentatore, la
biscia
(dal tardo latino: bistia) il mentale razionale egoico (elemento aria)
e` la ‘besti-accia’ che da sempre ha indotto l’uomo alla disobbedienza e
all’orgoglio (v. Gn. 3, 1-13 e ns/ relativo commento), ma senza
l’accoglimento della sua ‘malizia’ da parte della ricettivita`, del
sentimento, di
Eva,
‘madre dei viventi’ (elemento acqua), la ‘caduta’ di Adamo
(=dall’ebraico ‘adamah’= fatto di terra), della personalita`, (elemento
terra) sarebbe stata impossibile; tuttavia, una volta che essa e` ‘ac-
caduta’, sta a lei compiere il primo passo per la ‘risalita’.
Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia,
volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso
leccando come bestia che si liscia. 102
Io non vidi, e però
dicer non posso,
come mosser li astor celestïali;
ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso. 105
Sentendo
fender l’aere a le verdi ali,
fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta,
suso a le poste rivolando iguali. 108
La
bestia maledetta avanza tra l’erba e i fiori, volgendo la testa ora di
qua, ora di la` e leccandosi il dorso, come a lisciarsi. Dante non puo`
raccontare come i falchi celesti (gli angeli) si muovano, perché non lo
vede; ma vede bene che sono calati entrambi. Sentendo il rumore del
movimento delle ali verdi (degli angeli), il serpente fugge e gli angeli
tornano alle loro postazioni.
A questo punto, quando il Discepolo
sul Sentiero e` pronto per la purificazione, per tenere a bada la
biscia
e` sufficiente che gli ‘angeli agitino le ali
e le vesti verdi’; cioe`: il solo pensiero e la speranza della
‘protezione’ dell’Io Sono, del Cristo, Daath, la Coscienza donano la
protezione necessaria e liberano da ogni tentazione, ma la personalita`
deve mantenersi costantemente umile, trepidante e in ‘guardia’.
L’ombra che s’era al giudice raccolta
quando chiamò, per tutto quello assalto
punto non fu da me guardare sciolta. 111
Intanto
Currado
che, chiamato, si e` avvicinato al giudice Nino, per tutto il tempo
dell’assalto degli angeli al serpente, non ha smesso di guardare il
Viandante.
"Se la lucerna che ti mena in alto
truovi nel tuo arbitrio tanta cera
quant’è mestiere infino al sommo smalto", 114
cominciò ella, "se
novella vera
di Val di Magra o di parte vicina
sai, dillo a me, che già grande là era. 117
Fui chiamato Currado
Malaspina; non
son l’antico, ma di lui discesi;
a’ miei portai l’amor che qui raffina". 120
"Oh!", diss’io lui, "per li vostri
paesi già mai
non fui; ma dove si dimora
per tutta Europa ch’ei non sien palesi? 123
Quindi comincia a
dirgli: “Che la Luce che ti guida al cielo possa trovare nel tuo libero
volere la buona disposizione per giungere sino alla meta. Se hai notizie
della zona di
Val di Magra
(= da una radice indoeuropea ‘mak’ = sviluppato in lunghezza, sottile;
nella Lunigiana) fammele conoscere, perché un tempo li` ero potente. Il
mio nome fu
Currado
(= consigliere saggio)
Malaspina ( = che
puo` pungere dolorosamente; di Villafranca, morto nel 1294) non sono il
Vecchio, ma discendo da lui; ho amato i miei con l’amore che qui si
purifica.” E Dante a lui: “Non sono mai stato nei vostri territori, ma
essi sono conosciuti in tutta
Europa
(dal greco
euros= terra del vento)…”
La fama che la vostra casa onora,
grida i segnori e grida la contrada,
sì che ne sa chi non vi fu ancora; 126
e io vi giuro, s’io
di sopra vada,
che vostra gente onrata non si sfregia
del pregio de la borsa e de la spada. 129
“…La fama della vostra
casa, esaltata da paesi e signori, e` tale che la conosce anche chi non
vi e` mai stato; e per il mio viaggio, io vi giuro che la vostra gente a
ragione e` considerata generosa e valorosa…” Uso e natura
sì la privilegia,
che, perché il capo reo il mondo torca,
sola va dritta e ’l mal cammin
dispregia". 132
Ed elli: "Or va; che ’l sol non si ricorca
sette volte nel letto che ’l Montone
con tutti e quattro i piè cuopre e
inforca, 135
che cotesta cortese oppinïone
ti fia chiavata in mezzo de la testa
con maggior chiovi che d’altrui sermone, 138
se corso di giudicio
non s’arresta".
L’abitudine e l’inclinazione al bene
la onorano a tal punto che, per quanto il
capo reo
(il principe delle tenebre) corrompa il mondo, lei sola continua per la
via del bene, disprezzando il male”. E Corrado a lui: “Ora va, perché il
sole non tornera` sette volte nella costellazione dell’Ariete (non
passeranno
sette anni) che
questa cortese opinione non ti sia fissata nella mente, non dalle
impressioni degli altri, (ma
dalla tua esperienza
personale), se non si ferma il giudizio (divino)”.
Currado
(= il consigliere saggio) e` stato ‘principe’ negligente, ma ora si
interessa alla sua
Val di Magra
( alla sua ‘terra sottile’, - al suo mentale) e ne riceve
rassicurazione: in tutta
Europa (dal greco
‘euros’= terra del vento, relativo al mentale) la sua ‘casa’ e`
conosciuta come ‘generosa e valorosa’ e, malgrado l’opera distruttrice
del capo reo
(del solito serpente), si comporta assai ‘bene’. Soddisfatto per la
rassicurazione,
Currado
invita il Viandante a proseguire il cammino,
avra` modo entro 7 anni di sperimentare la bonta` della ‘casata’ del
‘consigliere saggio’ sulla sua pelle.
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