PURGATORIO - CANTO IX
Interpretazione cabalistica di Franca
Vascellari
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La concubina di Titone antico
già s’imbiancava al balco d’orïente,
fuor de le braccia del suo dolce amico; 3
di gemme la sua
fronte era lucente,
poste in figura del freddo animale
che con la coda percuote la gente; 6
e la notte, de’
passi con che sale,
fatti avea due nel loco ov’eravamo,
e ’l terzo già chinava in giuso l’ale; 9
quand’io, che meco
avea di quel d’Adamo,
vinto dal sonno, in su l’erba inchinai
là ’ve già tutti e cinque sedavamo. 12
L’Aurora (Eos), lasciato l’amante
suo, il mortale
Titone
(= vecchio),
antico,
perché vecchissimo, (essa ha chiesto agli dei per lui l’immortalita`, ma
non la giovinezza) gia` sorge
al balcone d’oriente,
in Italia; la sua fronte risplende per la costellazione dello Scorpione;
intanto nel Purgatorio la notte ha gia` fatto due passi e sta per
concludere il terzo (sono circa le 21); il Nostro, avendo il corpo
fisico (Adamo
= fatto di terra), terrestre, vinto dal sonno, si addormenta sull’erba
(nella valletta fiorita), dove sono seduti gli altri quattro (Virgilio,
Sordello, Nino e Corrado).
Ne l’ora che comincia i tristi lai
la rondinella presso a la mattina,
forse a memoria de’ suo’ primi guai, 15
e che la mente
nostra, peregrina
più da la carne e men da’ pensier presa,
a le sue visïon quasi è divina, 18
in sogno mi parea
veder sospesa
un’aguglia nel ciel con penne d’oro,
con l’ali aperte e a calare intesa; 21
ed esser mi parea là
dove fuoro
abbandonati i suoi da Ganimede,
quando fu ratto al sommo consistoro. 24
Nel tempo in cui la
rondinella inizia il suo triste canto al primo mattino, forse in ricordo
della sua storia (in origine la rondine era una donna, Procne, che
desiderosa di rivedere la sorella Filomena, chiese al marito Tereo di
andarla a prendere, questi durante il viaggio la violento`, poi le
taglio` la lingua per non esserne accusato; per arrestare la serie di
vendette scaturite da quelle violenze, gli dei trasformarono Procne in
rondine, la sorella in usignolo e il marito in upupa); in quell’ora in
cui la nostra mente, piu` staccata dalla carne, libera dai pensieri, e`
nei sogni quasi divina,
a Dante appare la visione di una aquila alta nel cielo e con le ali
dalle piume dorate aperte, pronta a calare; e gli sembra di trovarsi la`
dove (sul monte Ida)
Ganimede
(= che dona letizia; Figlio di Troo) fu rapito (da Zeus trasformato in
aquila) ed elevato alle assemblee celesti ( fu fatto coppiere degli
dei).
Perché mai Dante ricorda qui la
rondine, che per tutte le tradizioni e`simbolo di speranza, di fedelta`e
di resurrezione, mettendo in evidenza la tristezza del suo canto? Forse
perché si paragona alla rondine Procne che rimpiange la forma umana
perduta, come lui stesso rimpiange quello stato di beatitudine in cui la
mente e` quasi divina
e puo` sperimentare stati coscienziali impensabili nello stato di
veglia. O forse perche` nel ‘Purgatorio’ la nostalgia, il rimpianto, la
trepida attesa, sono i sentimenti propri del passaggio dalla morte
(peccato) alla vita (perdono e Grazia), e il Poeta continuamente ce li
ripropone.
Fra me
pensava: ’Forse questa fiede
pur qui per uso, e forse d’altro loco
disdegna di portarne suso in piede’. 27
Poi mi parea che,
poi rotata un poco,
terribil come folgor discendesse,
e me rapisse suso infino al foco. 30
Ivi parea che ella e io ardesse;
e sì lo ’ncendio imaginato cosse,
che convenne che ’l sonno si rompesse. 33
Dante pensa: ‘Forse
costei sta qui per abitudine o forse disdegna di portare quassu` con gli
artigli le prede di altri luoghi’. Ma poi gli sembra che essa, dopo aver
volteggiato un po`, come un fulmine gli precipiti addosso e lo rapisca
fino alla sfera del fuoco (tra Terra e Luna). E gli sembra di ardere con
lei a tal punto d’incendio, da svegliarsi. Non
altrimenti Achille si riscosse,
li occhi svegliati rivolgendo in giro
e non sappiendo là dove si fosse, 36
quando la madre da
Chirón a Schiro
trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
là onde poi li Greci il dipartiro; 39
che mi scoss’io, sì
come da la faccia
mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto,
come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia. 42
Come dal sonno si desto`
Achille (= aquila) volgendo lo sguardo intorno, non sapendo dove fosse,
perché sua madre (Teti, saputo che sarebbe morto nella guerra di Troia)
l’aveva rapito mentre dormiva tra le braccia del centauro
Chirone
(= abile con le mani), suo maestro, a
Sciro
( da sciron = ombrello, riparo), dove poi i
Greci
(Ulisse e Diomede lo trovarono e) lo
costrinsero a partecipare alla guerra, cosi` dal sonno si riscuote
Dante, e impallidisce come uno che, spaventato, rabbrividisce.
Dallato m’era solo il mio conforto,
e ’l sole er’alto già più che due ore,
e ’l viso m’era a la marina torto. 45
"Non aver tema", disse il mio segnore;
"fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
non stringer, ma rallarga ogne vigore. 48
Accanto a lui ora e`
solamente la Guida; il sole e` alto, gia`sorto da due ore (sono le otto
del mattino), davanti ai suoi occhi e` la vista del mare. “Non temere”
lo rassicura Virgilio: “Sta tranquillo, siamo a buon punto, non
scoraggiarti, ma rafforza la tua ansia di ricerca…”
Tu se’ omai al purgatorio giunto:
vedi là il balzo che ’l chiude dintorno;
vedi l’entrata là ’ve par digiunto. 51
Dianzi, ne l’alba
che procede al giorno,
quando l’anima tua dentro dormia,
sovra li fiori ond’è là giù addorno 54
venne una donna, e
disse: "I’ son Lucia;
lasciatemi pigliar costui che dorme;
sì l’agevolerò per la sua via". 57
“…Sei giunto ormai all’ingresso del
Purgatorio: la` c’e` il costone che lo racchiude tutt’intorno ed ecco
l’entrata dove sembra interrotto. Poco fa, nell’alba che precede il
giorno, mentre dormivi, nella valletta fiorita e` apparsa una donna e ha
detto: ‘Io sono
Lucia
(= venuta dalla luce) prendero` costui che dorme e gli rendero` piu`
facile il cammino’…”
Sono passate circa 11 ore da quando
Dante si e` addormentato nella valletta fiorita e il momento in cui si
e` risvegliato dinanzi alla porta del Purgatorio, e nel sonno il Nostro
ha avuto la visione dell’aquila corrispondente all’aiuto datogli da
Lucia, donna celeste, mentre dorme. Come interpretare tutto cio` dal
punto di vista della Kabbalah?
Per prima cosa
prendiamo in considerazione il fatto che, dopo i tre giorni di viaggio
senza sosta, chiunque abbia la necessita` di riposarsi; il viaggio di
Dante ha avuto inizio con la discesa all’inferno il 7 aprile di sera ed
e` continuato fino alla notte del 10 nell’antipurgatorio. Anche un
viaggio iniziatico, necessita di pause, ricordiamo cio` che e` detto
nell’esagramma n. 17
dell’I King
‘Il Seguire’: “In
mezzo al lago sta il tuono: l’immagine del seguire. Cosi` il nobile al
tempo del crepuscolo rincasa per ristorarsi e riposare”. (v. in
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‘I King e Kabbalah’ il ns/ commento a
tale esagramma). Una
pausa di ‘sonno’ al
momento opportuno rigenera le forze del Discepolo sul Sentiero e rinnova
la sua volonta` di ricerca; qui egli dorme per 11 ore. Undici e` il
numero
della cinerah
(sentiero) dell’Archetipo della ‘Forza’, la cui conoscenza
e
penetrazione
permettono
all’Iniziato di dominare le proprie energie a tutti i livelli, a
cominciare da quello fisico (v. la relativa lezione-spettacolo in
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Archetipi). ‘L’Aquila’, in genere, e`
simbolo di maesta`, di autorita`, di potere spirituale, di coraggio, di
vittoria; nel sogno dantesco puo` essere omologata al centro Daath
(Coscienza), Luce, potenza celeste in conflitto con le forze oscure, che
rapisce il suo ‘prescelto’, la personalita` resasi degna del Suo
intervento diretto, per sollevarlo ai piu` alti stati coscienziali.
Anche Lucia (= che proviene dalla Luce) puo` essere omologata alla
stessa sephirah Daath. Alcuni commentatori fanno notare che,
anagrammando la parola ‘Lucia’, si ottiene ‘Acuil’ che ha quasi la
stessa pronuncia di aquila, solo che l’Aquila fa giungere Dante fino
alla sfera di Fuoco, oltre il Purgatorio e il Paradiso terrestre, invece
Lucia lo trasporta solo fino alla porta del Purgatorio. ‘L’Aquila’ e
‘Lucia’ sono certamente
aspetti della stessa
Potenza, ma ‘Lucia’ agisce sulla ‘terra’ (Assiah) del piano astrale
(base del Purgatorio), l’Aquila sul ‘fuoco’ (Atziluth) del piano
mentale. (v. in
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appuntamenti, Divina Commedia,
Albero), ma questo raggiungimento per Dante e` ancora
solo un ‘sogno’.
Ricordiamo inoltre che
nei vv. 22-24
il Nostro si paragona
al giovane
Ganimede
rapito
dall’aquila-Zeus; in quel mito possiamo ritrovare l’allegoria del ratto
dell’anima dal corpo al momento della morte e la successiva sua ascesa
al cielo; Ganimede (= che procura gioia; dal greco gamos = letizia; e
medo = curo, procuro) divenendo ‘coppiere degli dei’, cioe` colui che
distribuisce il ‘nettare’ alle Potenze (sephiroth), procura gioia a
tutto l’Albero; e non e` certo un’impresa da poco…
Nei vv. 34-42 poi Dante si paragona
ad Achille (che pure vuol dire ‘aquila’) e ricorda
il mito in cui la
madre Teti (= dispensatrice di cibo; v. in
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teatro mitologico ‘Il pomo della discordia’ e relativa int.
cab.), lo nasconde e lo fa inutilmente travestire da donna per evitare
che partecipi alla guerra di Troia, come se volesse farci intendere che
l’aquila e` lui stesso, una sua specchiatura, e che le sue qualita`
precipue (maesta`, coraggio, autorita`, ecc.) non possono essere
occultate da un travestimento, offerto da un malinteso senso di materna
autoprotezione, ma che, al momento giusto, quello della morte, egli
dovra` essere pronto per la battaglia finale.
Sordel rimase e l’altre genti forme;
ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro,
sen venne suso; e io per le sue orme. 60
Qui ti posò, ma pria
mi dimostraro
li occhi suoi belli quella intrata aperta;
poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro". 63
“…Sordello e gli altri rimasero li`;
fattosi giorno, lei ti prese e venne su, e io dietro a lei. Qui ti ha
deposto, poi i suoi begli occhi mi hanno indicato l’ingresso, quindi lei
ed il sonno sono andati via”.
A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta
e che muta in conforto sua paura,
poi che la verità li è discoperta, 66
mi cambia’ io; e
come sanza cura
vide me ’l duca mio, su per lo balzo
si mosse, e io di rietro inver’ l’altura. 69
Lettor, tu vedi ben com’io innalzo
la mia matera, e però con più arte
non ti maravigliar s’io la rincalzo. 72
Come un uomo,
rassicurato nel dubbio, muta la paura in conforto per aver conosciuto la
verita`, cosi` il Discepolo cambia atteggiamento; appena il Maestro lo
vede senza piu` timore, inizia la salita, e Dante gli va dietro. Poi si
rivolge al lettore dicendo che, poiche` la materia del suo poema diventa
piu` alta, egli deve innalzare anche lo stile della sua poesia.
Noi ci appressammo,
ed eravamo in parte
che là dove pareami prima rotto,
pur come un fesso che muro diparte, 75
vidi una porta, e
tre gradi di sotto
per gire ad essa, di color diversi,
e un portier ch’ancor non facea motto. 78
Cosi` i due si
avvicinano al punto dove il costone sembra interrotto come se ci fosse
una fessura in un muro: li` c’e` una porta e tre gradini di colore
diverso per accedervi, e (a guardia), un portiere
silenzioso. E come
l’occhio più e più v’apersi,
vidil seder sovra ’l grado sovrano,
tal ne la faccia ch’io non lo soffersi; 81
e una spada nuda
avëa in mano,
che reflettëa i raggi sì ver’ noi,
ch’io dirizzava spesso il viso in vano. 84
Il Nostro, guardando
sempre con piu` attenzione, vede quel ‘portiere’ seduto sul gradino piu`
alto, ma il suo volto e` tanto splendente da non poterne sostenere la
vista; ha in mano una spada nuda, che riflette i raggi a tal punto da
non poter alzare lo sguardo.
"Dite costinci: che volete voi?",
cominciò elli a dire, "ov’è la scorta?
Guardate che ’l venir sù non vi nòi". 87
"Donna del ciel, di
queste cose accorta",
rispuose ’l mio maestro a lui, "pur dianzi
ne disse: "Andate là: quivi è la porta"". 90
"Ed ella i passi vostri in bene avanzi",
ricominciò il cortese portinaio:
"Venite dunque a’ nostri gradi innanzi". 93
Quel ‘portiere’ comincia
a dire: “Parlate da li`: che volete? Dov’e` la vostra guida? Badate che
il salire non vi rechi danno”. E il Maestro a lui: “Una Donna scesa dal
cielo, pratica di questi mondi sottili, poco fa ci ha indicato questa
porta per proseguire il viaggio”. E il gentile ‘portiere’ a lui: “Possa
lei indirizzare bene i vostri passi; venite dunque avanti, dinanzi ai
gradini”.
Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
bianco marmo era sì pulito e terso,
ch’io mi specchiai in esso qual io paio. 96
Era il secondo tinto
più che perso,
d’una petrina ruvida e arsiccia,
crepata per lo lungo e per traverso. 99
I due avanzano; il primo
gradino e` di marmo bianco, tanto lucido che il Discepolo vi si puo`
specchiare. Il secondo e` piu` nero che rosso scuro, di pietra ruvida,
screpolato per lungo e di traverso. Lo terzo,
che di sopra s’ammassiccia,
porfido mi parea, sì fiammeggiante
come sangue che fuor di vena spiccia. 102
Sovra questo tenëa
ambo le piante
l’angel di Dio sedendo in su la soglia
che mi sembiava pietra di diamante. 105
Il terzo gradino posto
sugli altri, sembra porfido, ma di un rosso purpureo, come il sangue che
esce da una vena. Su di esso sono i piedi dell’Angelo del Signore,
seduto sulla soglia che sembra di diamante.
Per li tre gradi sù di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: "Chiedi
umilemente che ’l serrame scioglia". 108
Divoto mi gittai a’
santi piedi;
misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,
ma tre volte nel petto pria mi diedi. 111
La Guida accompagna il
Discepolo su per i tre gradini, poi lo consiglia: “Chiedi umilmente che
ti apra la serratura” . Il Discepolo si getta devotamente ai piedi
dell’Angelo, chiede misericordia e che gli sia aperta la porta,
battendosi il petto tre volte.
Sette P ne la fronte mi descrisse
col punton de la spada, e "Fa che lavi,
quando se’ dentro, queste piaghe" disse. 114
Cenere, o terra che
secca si cavi,
d’un color fora col suo vestimento;
e di sotto da quel trasse due chiavi. 117
L’una era d’oro e
l’altra era d’argento;
pria con la bianca e poscia con la gialla
fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento. 120
Allora l’Angelo portiere incide con
la punta della spada sette ‘P’ sulla fronte
del Discepolo,
dicendo: “Fai in modo di lavare (levare) queste piaghe quando sarai
dentro”. Poi dal suo abito color cenere o terra secca, tira fuori due
chiavi. Una e` d’oro, l’altra d’argento;
prima usando
l’argentea, poi quella dorata, apre la porta, per la gioia del Nostro.
E`
opinione dei critici che il canto IX del purgatorio raffiguri il
sacramento della Penitenza (dal latino ‘paenitere’= non essere
soddisfatti = rammaricarsi per qualcosa che si e` fatto o non fatto,
cioe` di aver ‘peccato’ = dal latino ‘peccatum’ = inciampato, sbagliato)
in cui si conoscono i propri peccati (le 7 P, simbolo dei sette vizi
capitali) per cui l’angelo diventa il confessore; la sua veste cinerea
rappresenta l’umilta`; la spada nuda e` la giustizia; i tre gradini
sono: il primo gradino, il lucido esame di coscienza; il secondo, il
profondo pentimento; il terzo, l’ardore di purificazione; quindi la
soglia di diamante diventa la fermezza del sacerdote; la chiave d’oro,
il suo potere; quella d’argento, la sua prudenza, ecc. Ed ovviamente
questi significati allegorici sono tutti perfetti. Ma possiamo anche
interiorizzare l’episodio e vederlo come presa di coscienza
dell’Iniziato della sephirah Yesod (il Fondamento), per cui l’Angelo
dalla veste cinerea diventa il Guardiano della soglia di tale ‘centro’,
a cui il Pellegrino, che e` riuscito a vederlo in ‘quella veste’, con
‘quella spada’ e ‘quelle chiavi’, e che ha costruito in se` ‘quei tre
particolari gradini e la soglia di diamante’, puo`, battendosi il petto
tre volte, chiedere che gli si apra la ‘porta’ per proseguire il
Viaggio.
"Quandunque l’una d’este chiavi falla,
che non si volga dritta per la toppa",
diss’elli a noi, "non s’apre questa
calla. 123
Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa
d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
perch’ella è quella che ’l nodo digroppa. 126
Da Pier le tegno; e
dissemi ch’i’ erri
anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,
pur che la gente a’ piedi mi s’atterri". 129
Ancora l’Angelo dice: “
Quando una delle due chiavi fallisce o non gira bene, il passaggio non
si apre.
Una chiave, l’aurea,
e` piu` preziosa, ma l’altra, prima di girare, richiede arte e ingegno,
perché e` quella che scioglie il nodo del peccato. Le ho avute da
Pier
(= Pietro = la roccia su cui si fonda il cristianesimo) che mi ha
raccomandato di aprire piu` che tener chiuso (quest’ingresso, per la
misericordia), purche` il richiedente sia umile”.
Le spiegazioni del Guardiano
chiariscono l’uso delle ‘chiavi’ e la loro origine: per perdonarsi
occorre poterlo fare (averne la qualifica, cioe`avere la chiave aurea) e
saperlo fare (aver acquisito la tecnica per farlo, cioe` avere la chiave
d’argento), le chiavi si guadagnano sul piano fisico, sul Malkuth (si
ottengono da Pietro, la roccia) e, nella Giustizia, e` bene essere
piuttosto misericordiosi che severi.
Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,
dicendo: "Intrate; ma facciovi accorti
che di fuor torna chi ’n dietro si
guata". 132
E quando fuor ne’ cardini distorti
li spigoli di quella regge sacra,
che di metallo son sonanti e forti, 135
non rugghiò sì né si
mostrò sì acra
Tarpëa, come tolto le fu il buono
Metello, per che poi rimase macra. 138
Poi l’Angelo spinge la sacra porta e
aggiunge: “Entrate, ma ricordate: chi si volta indietro ritorna fuori”.
Gli spigoli di quel portone sacro, forti e risuonanti di metallo, girano
nei cardini con un cigolio piu` forte di quello che fece la rupe
Tarpea,
che rimbombo` allorche` fu cacciato il tribuno
Metello
(quando Cesare, contro il suo parere, si approprio` dell’erario
custodito nel Campidoglio).
Io mi rivolsi
attento al primo tuono,
e ’Te
Deum laudamus’
mi parea udire
in voce mista al dolce suono. 141
Tale imagine a punto
mi rendea ciò
ch’io udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si stea; 144
ch’or sì or no
s’intendon le parole.
Dante tende l’orecchio per ascoltare il primo suono del
Purgatorio e ode il
’Te
Deum laudamus’
misto al dolce suono (della porta che si apre). E gli sembra di essere
in chiesa, quando suona l’organo e la voce si ode solo a tratti.
La raccomandazione dell’Angelo di non
voltarsi indietro una volta entrati ricorda l’episodio di Gn. 19, 26:
“Ora la moglie di Lot
guardo` indietro e
divenne una statua di sale’ (v. in
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Testi sacri ‘Commento alla Genesi) e il mito di “Orfeo ed
Euridice” (v. in
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il copione e relativa int. cab.). La
porta (stretta) che stride sui cardini sta ad indicare le difficolta`
che si incontrano nel decidere di percorrere il Sentiero iniziatico e
soprattutto nel perseverare nella decisione intrapresa. Il paragone con
la rupe
Tarpea
(= boscosa) ricorda che il ‘tesoro’ che sta al di la` della ‘porta’ di
Yesod
non va ‘rubato’ dal
nostro ‘Cesare’ (l’ego) ma custodito gelosamente dal nostro tribuno
(difensore, testimone) buono (Metello=
che combatte).
Oltrepassata la soglia, si puo` finalmente iniziare a sentire il canto
‘della lode del Signore’ ma bisogna rafforzare l’animo, altrimenti il
canto potra` essere intermittente.
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