Maurizio: dal Genesi 11
(
Divagazioni interpretative di Maurizio)

 
 

·        Babele in lingua accadica significa “Porta di Dio”: in realtà, differentemente da quanto emerge nel racconto biblico, il simbolismo della torre è in genere molto positivo, perché rappresenta l’Asse del Mondo che unisce il Cielo e la Terra, la colonna vertebrale, l’Albero della Vita, la Scala, ogni struttura ascendente, ogni percorso evolutivo, ogni collegamento con l’Alto, eccetera. Nell’area mesopotamica lo ziggurat – nome derivante dalla radice assira ‘zkr’ che significa ‘innalzare’, ‘elevare’ – è una torre piramidale con terrazze sovrapposte ad ampiezza decrescente verso l’alto, e alla sommità un santuario o tempio vero e proprio, la ‘dimora degli dei’. Tuttavia il testo della Genesi fa una sorta di gioco di parole fra Babele, identificabile anche con Babilonia, e la radice semitica ‘bbl’, che significa ‘confusione’. Perché?

·        Se relativamente a Genesi 10, che contiene i i nomi delle genealogie dei figli di Noè, avevamo tentato delle riflessioni sul valore ‘mantrico’ dei fonemi a partire dalla produzione dei suoni e dai modi della pronuncia, in questo capitolo è dato riscontrare ulteriori allusioni al linguaggio. Tutti quanti sappiamo che definire un discorso come un ‘bla-bla’, significa ritenerlo privo di  fondamento; sappiamo anche che la ‘balbuzie’ indica una difficoltà di articolazione della parola, tale da renderne difficile, faticosa, a volte poco intelligibile, la comprensione. Ebbene, stranamente questi termini sembrano anch’essi in relazione fonetica e di significato con la radice semitica bbl: bla-bla, balbuzie, e possiamo aggiungere blaterare. Probabilmente l’uso della consonante bilabiale ‘b’, unito a quello dell’alveolare liquida ‘l’, interpreta in forma onomatopeica la pronuncia e l’articolazione delle parole: infatti la labiale b si produce con l’uso delle labbra, mentre l’alveolare l è articolata per mezzo della lingua; a ben riflettere le due componenti anatomiche hanno grande rilevanza sia nella lallazione infantile, primo rudimento di linguaggio, che nell’espressione linguistica adulta: non a caso ‘lingua’ ha anche il significato di ‘idioma’, e con lo stesso senso ci si riferisce alle ‘labbra’ in Genesi 11, dove nel versetto 1 è detto letteralmente: “Or tutta la terra fu un labbro solo…” volendo alludere ad un unico linguaggio. 

·        Nel Sutra del Loto, testo di tradizione buddhista che fa largo uso di simboli e metafore, viene descritta una ‘Torre Preziosa’ dalle dimensioni eccezionali che, emergendo dalla terra, si innalza nell’aria. In questa Torre il Buddha Shakyamuni riunisce l’assemblea dei discepoli, degli ascoltatori, degli dei, degli uomini e delle creature mitiche, per esporre il suo più alto insegnamento. Nella Torre c’è un altro Buddha di nome Taho (che significa ‘Molti Tesori’), personaggio identificabile con la Torre stessa, il quale conferma la veridicità delle parole di Shakyamuni. Taho rappresenta la conoscenza oggettiva, ‘esteriore’, ‘sostanziale’, ‘terrestre’, mentre Shakyamuni quella soggettiva, ‘interiore’, ‘essenziale’, ‘celeste’. L’insegnamento pronunciato del Buddha in questa occasione, insomma, è talmente nuovo e così difficilmente afferrabile da necessitare di una conferma: nonostante, infatti, sia presente nel Sutra l’essenza spirituale del buddhismo, c’è bisogno di una attestazione ‘esterna’, ‘oggettiva’, ‘visibile’. Analogamente, ma in senso opposto, la Torre di Babele è presentata in Genesi 11 come una struttura, un’attestazione esteriore cui, però, manca lo spirito, l’’essenza’, e, priva di questo elemento indispensabile, è destinata al crollo.

·        Anche nel misticismo ebraico, particolarmente nella corrente cabalistica (per esempio nei lavori dei maestri Cordovero e Luria), abbiamo riferimenti ad una positiva Torre mistica che vola nell’aria. Questa Torre ‘volante’ contiene lo spirito dell’Insegnamento proprio come quella buddhista, qui sotto l’aspetto del Sefer Torà, la ‘forma di luce’ della Legge. Talvolta essa viene identificata con la Sefirah Malkuth nel momento in cui ‘ascende’ verso il Cielo, talaltra con Yesod – il Fondamento, sede dello Zaddiq, l’Uomo Giusto, oppure addirittura con Binah, o Chokmah o Kether. Il valore della Torre fra Terra e Cielo, insomma, è rappresentato dalla Legge Mistica custodita al suo interno. Per questi motivi essa talvolta è utilizzata nell’ebraismo quale metafora del nome del Signore (Proverbi 18, 10: “Torre fortissima è il nome del Signore: il giusto vi si rifugia ed è al sicuro.”) e nel cabalismo persino come una raffigurazione del Messiah, così come nel cristianesimo lo è della Madre di Dio (Turris eburnea).

·        Il termine per ‘torre’ utilizzato nella Bibbia in genere e nel capitolo in questione in particolare, è ‘migdal’: la radice ‘gdl’ indica ‘crescita’, ‘aumento’; in definitiva sembra si alluda ad un processo di evoluzione, così come per lo ziggurat. Particolare interessante: la parola, di altra lingua ma praticamente identica, ‘amigdala’, in greco antico ‘mandorla’, è stata scelta per designare una zona del cervello facente parte del sistema limbico. Anche non considerando il senso mistico che spesso viene attribuito alla forma ‘a mandorla’ nelle varie tradizioni - dall’Oriente (terzo occhio) all’Occidente (mandorla mistica che, nell’iconografia cristiana circonda le figure dei santi, di Gesù o della Madonna) - presumibilmente attestante la presenza di una ‘porta dimensionale’ verso la trascendenza, la ‘seconda nascita’, l’’iniziazione’,  potrebbe essere di grande interesse approfondire il significato dell’area cerebrale anzidetta. La zona limbica di cui fa parte l’amigdala, infatti, sembra  -  secondo le moderne ricerche sul cervello – avere fondamentale importanza nel raccordare le tre zone funzionali rappresentate dalla corteccia anteriore, posteriore e dal sistema reticolare. Questo ruolo di ‘medium’ favorente l’unione e la comunicazione (e pertanto in linea con il simbolismo del centro), potrebbe essere relazionabile all’alchemica conjunctio oppositorum, la fusione di opposte valenze, proprio come quelle di essenza e sostanza, conoscenza soggettiva e oggettiva. Ritornando alla ‘Porta di Dio’, ricordiamo che il solstizio d’inverno (momento dell’anno in cui ‘rinasce’ la luce) è considerato nelle antiche tradizioni anch’esso come una ‘porta dimensionale’, definita in Grecia ‘Porta degli Dei’, attraverso la quale si entra in contatto con le forze spirituali: appellativo sorprendentemente sovrapponibile alla nostra Bab-El e anche al significato della ‘mandorla’- amigdala – migdal – torre. 

·        Come abbiamo già osservato la Torre volante contiene in sé la Torà. Il contenuto è ciò che conferisce valore alla struttura formale. Allo stesso modo le parole sono un ‘bla-bla’ se non hanno al loro interno l’intenzione; non basta, infatti, l’espressione verbale in sé per attestare la veridicità della parola: è necessario che essa abbia valore intrinseco. Babele non è ‘Porta di Dio’ ma ‘confusione’ quando è una costruzione vuota. Questo sembra essere uno dei messaggi di Genesi 11: l’indicazione dell’errore di una umanità che costruisce il suo destino soltanto ‘esteriormente’, senza una vera ricerca interiore. A questo errore, nel capitolo, fanno da contrappeso positivo le toledot (discendenze) di Sem, culminanti – dopo progressiva distillazione genealogica - in Abramo (=di nobile lignaggio) e nella sua sposa Sarai (=mia principessa): notiamo che ad ogni nome sono aggiunti dei numeri che indicano il ‘peso’ della vita delle persone, delle tribù, delle dinastie citate. All’espressione verbale, insomma, alle parole, sia pure ‘mantriche’, sono aggiunti dei ‘valori’ in forma numerica. Ricordiamo l’affinità fonetica nelle lingue latine fra ‘numero’ e ‘nume’, affinità che non sembra casuale: il numero nelle culture antiche era considerato un’entità divina, un’essenza ‘numinosa’. In relazione a ciò nella cabala abbiamo la tecnica della Ghematrìa, basata sulle corrispondenze fra lettere e numeri. La scrittura ebraica non utilizza i numeri arabi, e fa uso delle lettere per indicare anche le cifre; così, nel testo in lingua ebraica di Genesi 11, ai nomi dei discendenti di Sem sono aggiunti i numeri delle loro età, ma anch’essi espressi in lettere. Abbiamo, insomma, due ordini di concetti per ognuna delle toledot: l’uno (il nome) rappresentante, probabilmente, i significati più ‘esterni’, l’altro (il numero) quelli più ‘interni’ e nascosti di un’unica realtà.



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