Maurizio: dal Genesi 16
(
Divagazioni interpretative di Maurizio)

 

1.      Anche in questo capitolo incontriamo usanze tribali che alla nostra sensibilità possono apparire primitive. Naturalmente per comprenderle bisogna rapportarsi ai tempi e alle condizioni di quei popoli nomadi fra i quali gli abramiti possono annoverarsi. Come già visto, una delle urgenze più importanti in quelle culture è la sopravvivenza, il riconoscimento in un ceppo tribale, l’ampliamento numerico della discendenza e la possibilità da parte di quest’ultima di controllare porzioni territoriali sempre più vaste: dobbiamo infatti considerare che nel profondo di ogni popolo nomade, potremmo dire nel suo inconscio, c’è l’anelito insopprimibile alla stabilità, allo stanziamento territoriale, ad una ‘terra promessa’. Per questo motivo osserviamo che durante tutto il racconto del libro della Genesi le teofanìe, cioè i colloqui dei Patriarchi con Dio, non fanno che proporre predizioni di genealogie infinite e di eterno radicamento nel territorio.

2.      Considerato quanto detto, non deve meravigliarci l’episodio di Agar, la schiava egiziana cui viene affidato il compito di partorire per conto della padrona: la cosa essenziale, infatti, è offrire ad Abramo una genealogia. Abramo, come già visto precedentemente, significa ‘nobile’, ma più esattamente ‘di nobile padre’; ulteriore indicazione – se ce ne fosse il bisogno – del fatto che la cultura di cui egli fa parte è di tipo patrilineare e non matriarcale, cioè simbolicamente caratterizzata dal predominio della mente razionale, analitica, separativa. Certamente sia la preoccupazione del Patriarca a proposito della mancanza di un proprio erede diretto, sia la proposta di Sarai di utilizzare lo stratagemma della schiava, sembrano delineare una mancanza di fede da parte della coppia: il Dio, infatti, ha elargito predizioni e promesse precise, anche con abbondanza di particolari, che non darebbero adito a dubbi sull’esistenza di una genealogia futura. Non sembrerebbe esserci il bisogno di un espediente per assicurarsene una.

3.       ‘Agar’ vuol dire ‘fuga’ o ‘fuggitiva’: già nel nome troviamo indicato il destino del personaggio; tuttavia viene spontaneo fare ancora una volta un accostamento con la caratteristica nomade delle tribù ebraiche che, per ciò stesso, tendono a trovarsi frequentemente proprio nella condizione di ‘fuggitive’. Certamente se gli eredi di Abramo fossero figli di Agar, cioè ‘figli della fuga’, ciò sarebbe una contraddizione rispetto alla promessa di stabilità e di realizzazione future fatta dal Dio.

4.       ‘Agar’, in effetti, rappresenta proprio una ‘fuga’ per la nobile coppia: una fuga dal problema della mancanza di un successore, un tentativo di aggirare l’ostacolo. Abbiamo già visto nel capitolo precedente –  alle cui ‘divagazioni interpretative’ rimandiamo - come il desiderio di sopravvivenza e la preoccupazione sull’estinzione del ‘seme’ possano corrispondere in senso simbolico e interiorizzato al desiderio d’Illuminazione, ciò che nella tradizione orientale viene chiamato Bodhicitta. In questo senso si può osservare che quando il discepolo sul sentiero autoconoscitivo si scoraggia e dispera di riuscire a raggiungere l’agognata meta, l’Anuttara-Samyak-Sambodhi (Supremo e Perfetto Risveglio), allora tende ad accontentarsi di qualche realizzazione inferiore: conoscenze, poteri, riconoscimenti sociali, eccetera. Ciò può avvenire anche in forma inconsapevole: non si rende conto di avere di fatto rinunciato, di aver perso la fiducia in sé stesso, di essersi fermato e cristallizzato su posizioni non in linea con il suo percorso di ricerca.

5.      Ciò non significa che Agar non sia portatrice di un valore: si tratta però di qualcosa di inferiore rispetto alla ‘principessa’ (questo il significato del nome) Sarai. Non può, insomma, prenderne il posto soppiantandola: l’esteriore non può soppiantare l’interiore, la parte non può rimpiazzare l’intero, la periferia non può sostituire il centro. Tuttavia si deduce dal racconto che Agar debba rappresentare simbolicamente una facoltà importante: genera un figlio ad Abramo e riceve lei stessa una predizione di discendenze innumerevoli da parte di un messaggero divino. Di che ‘facoltà’ si tratta? Per capirlo analizziamo gli indizi offerti dal racconto biblico:

a)       Agar fugge fino ad arrivare presso una sorgente d’acqua nel deserto, sulla strada di Sur. La parola utilizzata per ‘sorgente’ è ayin, che significa anche ‘occhio’. Ricordando la provenienza egiziana della schiava, non possiamo fare a meno di notare che il riferimento all’’occhio’ è frequente in quella tradizione, con grande investimento di valori simbolici: l’Occhio di Horus è forse la raffigurazione stessa dei Misteri dell’antico Egitto, in particolare della conoscenza iniziatica.

b)      ‘Sur’ vuol dire ‘muraglia’, ‘vallo’. Dalla cabala sappiamo che, sull’Albero della Vita, esiste una Sefirah che sta oltre un Abisso, un Velo - che possiamo anche interpretare come una separazione, un muro – tanto da essere occultata. Si tratta, naturalmente di Daath, la ‘Conoscenza’. Secondo tanti ricercatori nell’ambito occultista e nella moderna ‘new age’ – e anche noi diamo credito a questo accostamento con la fisiologia esoterica orientale – Daath corrisponderebbe all’Ajna chakra, il cosiddetto ‘terzo occhio’, l’occhio chiaroveggente della conoscenza superiore.

c)      Agar, dopo l’incontro con l’angelo, si rivolge al ‘Signore’ dicendo: “Tu sei El Roi”, che significa ‘Dio della Visione’, e pronuncia un’enigmatica frase – una sorta di koan - sullo stesso argomento del ‘vedere’ tradotta in vario modo dagli interpreti. Eccone alcune versioni:

·        “Qui dunque sono riuscita ancora a vedere, dopo la mia visione?”

·        “Ho veramente io veduto colui che mi vede?”

·        “Da qui dunque ho ancora visto di dietro chi mi vide?”

d)      Il luogo dove avviene il suddetto episodio si chiamerà poi, afferma sempre il testo, ‘Pozzo di Lacai-Roi’, che significa Pozzo del ‘(Dio) Vivente che mi vede’.

Da tutto quanto precede, ricaviamo che Agar è fortemente collegabile al simbolismo della visione e della chiaroveggenza, intendendo con ciò il potere della conoscenza, particolarmente quella iniziatica e misterica. La schiava infatti, sempre per il suo essere egiziana, suggerisce una chiave di lettura interessante: Abramo è stato in Egitto e ne è ripartito carico di beni; abbiamo già visto che quelle ricchezze sono interpretabili come una metafora delle conoscenze iniziatiche possedute dai sacerdoti egiziani. Agar, dunque, può rappresentare dottrine e conoscenze rese ‘schiave’, cioè assoggettate, rielaborate e utilizzate da Abramo, che abbiamo visto essere il fondatore e l’iniziatore di un nascente approccio filosofico e religioso. Tuttavia se il Patriarca facesse affidamento soltanto su ciò che ha appreso in Egitto, verrebbe meno l’originalità della sua dottrina, che sarebbe il mero risultato di una preparazione ‘esteriore’, non il frutto genuino di Sarai, sua ‘Anima’ e interiorità.

6.      Ismaele significa ‘Dio ascolterà’. L’angelo suggerisce ad Agar questo nome per il figlio presso il Pozzo anzidetto, che  si trova fra Kades e Bered, termini che significano rispettivamente ‘(luogo) santo’ e ‘(luogo della) grandine’. Già qui, nel posto della visione,  viene così delineato un contrasto fra purezza e santità da un lato,  difficoltà e lotta dall’altro. Ismaele, precisa il messaggero divino, sarà come un asino selvatico, cioè un uomo difficile, selvaggio, indomabile, e vivrà nella contrapposizione. Concepito con uno stratagemma ‘razionale’, avrà in sé tutte le caratteristiche dell’analisi, della mente separativa. Tuttavia ‘Dio ascolterà’ la rivendicazione della schiava Agar, cioè dell’antica conoscenza iniziatica d’Egitto: essa  sopravviverà nel figlio, si moltiplicherà, darà frutti, anche se questi frutti saranno difficilmente comprensibili e condivisibili da tutti, prosperando nella difficoltà e nel contrasto. A questo proposito possiamo osservare che normalmente qualsiasi approccio filosofico, religioso o politico allo stato nascente tende a contrapporsi – quanto meno dal punto di vista dialettico – alla condizione vigente, ‘ufficiale’, condivisa dai più. Simbolicamente, se Abramo può considerarsi un iniziatore religioso che perfeziona il suo approccio attraverso la fusione con l’antica conoscenza egiziana, è normale che i suoi primi risultati rivestano l’aspetto della contestazione, della discussione, della contrapposizione rispetto alla cultura dominante. In Ismaele, dunque, possiamo vedere la figurazione di tutti i movimenti rivoluzionari che, distaccandosi dalle posizioni comuni e di potere, propongono un approccio nuovo.

7.      Abramo diventa padre di Ismaele a 86 anni. Sommando le lettere ebraiche del nome Elohim secondo il procedimento della Gematria, ricaviamo lo stesso numero: aleph (1) + lamed (30) + heh (5) + yod (10) + mem (40) = 86. Elohim è il dio della creazione e, essendo grammaticalmente un sostantivo plurale, rappresenta la molteplicità delle forze divine. La coincidenza dei numeri sottolinea la protezione divina di cui gode Abramo e anche il ruolo assegnatogli nella ri-creazione e ‘rettificazione’ del mondo.



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