Riflessioni di Giorgio Rollo
sul “Tao Te Ching”
Aforisma Quindicesimo
“Abili al punto di non rivelarsi
e sottili e del buio
indagatori
erano i saggi antichi ed evocarli
solo attraverso immagini è
possibile.”
Gli antichi saggi erano dediti,
oltreché allo studio della morale, anche delle scienze matematiche e
fisiche. Venivano molto spesso richiesti a corte per svolgervi le loro
attività. Naturalmente a corte avevano un raggio di azione più vasto, ma
controllato. Essi erano soggetti ai vari funzionari che presiedevano al
potere, e per ciò non avevano una libertà ed autonomia ampie, come può
dare invece il tenersi lontano dai centri di autorità. Perciò in questo
caso Lao Tse loda il saggio che si sia potuto tenere lontano dai centri
di potere.
I saggi antichi erano anche
indagatori del buio, ovvero di tutte le ramificazioni del sapere che non
si vedono ad occhio nudo, ma che, per vederle, occorre la luce della
mente, quali: l'astronomia la matematica e la fisica.
Siccome erano uomini di
intuizione, mal si può convenire ad essi una definizione concettuale.
Poiché essi trascendono il dominio dell'essere e del non essere, non
appartengono più ad un mondo binario, perciò per delinearli
sommariamente bisogna ricorrere al regno delle immagini. Dove le
immagini rimandano al mito, ed il mito è una porta di accesso della
mente al regno della metafisica.
“Eran guardinghi come chi un torrente
guadi l'inverno e cauti come
il pavido
che teme il prossimo;
come degli ospiti
riguardosi, e del ghiaccio che si fonde
più sfuggevoli ancora.”
Seneca, citato dall'autore
dell'”Imitazione di Cristo”, dice così : “Tutti i giorni fui tra gli
uomini: ne ritornai meno uomo.” Con immagini appropriate, prese dalla
natura, Lao Tse ci dimostra che il saggio è guardingo, cauto, riguardoso
e sfuggevole quando deve avere a che fare con i suoi simili. Questo
perché il saggio è in continua tensione verso l'alto, ed è pervenuto a
questo grado di maturità, grazie ad un'introspezione continua.
Egli domina la sua sfera
emotiva ed immaginativa ed in sua vece fa parlare la sua mente.
Cabalisticamente sull'Albero Sephirotico va posto in Briah, ‘luogo’
dell'intelletto puro, che attinge il suo sapere dal regno
dell'Incondizionato, dell'Intuizione Pura (Causale - Aziluth).
Ora la maggior parte delle
persone vive di emozioni e di immaginazione, raramente perviene ad un
grado tale di consapevolezza da poter esercitare signoria su se stessa,
e ancor più raramente usa la sua intelligenza a fini superiori. Dunque
il commercio con tali individui non porta altro che detrimento al
saggio, che vive in una sua sfera quasi di isolamento.
“Come grezzi
tronchi eran schietti e
forti, ed eran vuoti
come conca di valle;
impenetrabili
come acqua che sia torbida”.
E' detto nei santi Evangeli che il
parlare dell'uomo deve essere un esplicito “sì” oppure un categorico
“no”. Si devono evitare le circonlocuzioni del dire per giungere alla
radice del pensiero. Così Lao Tse afferma che il saggio deve essere
schietto nel parlare, dunque evitare ogni retorica o sofisma, per essere
franco e leale e dunque forte nell'esprimersi.
Egli deve essere “anche
vuoto”, ovvero aver fatto “tabula rasa” di tutto il suo sapere, e da
erudito che era (nozionismo), diventare persona semplice, ossia di
“dotta ignoranza”. Quella sola che ci permette di continuare a veder
altre cose e situazioni e, dunque immagazzinare nuove realtà, questa
volta filtrate dalle categorie del sapere, come parametri per rendere
personale il discorso e non artificioso.
Il saggio è “impenetrabile ”
perché, essendo avvolto dal Mistero che contempla, risulta persona fuori
dal comune e dunque diversa. Egli è immerso nel Mistero, agisce in modo
inusuale, non lo guida soltanto la ragione, ma anche il “senso
superiore” o così detto “sesto senso”, perché egli è un connubio tra
realtà contingenti e realtà metafisiche, il che fa sì che il saggio si
muova nell'aura del divino.
“Come essa,
chi in quiete con il tempo
si fa limpido,
chi nella quiete è in moto, poi
produce”.
Col passare degli anni l'uomo si fa
più ragionevole; poiché sedate le tempeste ormonali della giovinezza
egli diventa uomo di riflessione. Allo stesso modo il suo pensiero, da
torbido che era, diventa cristallino. Questo gli permette di operare con
sagacia e lungimiranza, padrone del suo tempo, perché non più vissuto
con l'ansia della finitudine.
Quando tutti i muscoli sono
inattivi il cervello vibra. E nella quiete della meditazione l'uomo
contemplativo raggiunge le Essenze intelligibili, e diversamente
dall'uomo “faber”, che svolge la sua opera nel tempo, egli produce
nell'eternità.
Traccia gli archetipi e gli assiomi
che serviranno come squadra e compasso per la realizzazione delle opere
materiali che l'uomo “faber” esegue.
“Chi si attiene alla Via, non si vuol
colmo:
non è pieno e perciò pienezza
attinge;
rinnovamento alcuno non cercando”.
Chi segue la Somma Perfezione è
umile, in quanto ad ogni istante misura la disparità che c'è fra lui,
essere limitato, e l'Onnipotenza Divina. Da ciò risulta che egli si
senta sempre povero e bisognoso, quindi atto a ricevere, mai colmo
perché sente l'irraggiungibilità della Somma Perfezione; sempre teso
verso questa fonte che continuamente disseta la sua insaziabile sete di
Assoluto. Però nella sua condizione di misero trova la pienezza in
quanto si conosce. Conoscendosi frena le fantasticherie della mente e si
concentra su ciò che è veramente necessario;
da
qui ne deriva che egli “pienezza attinge”, in quanto conoscendosi,
è padrone di
sé, e dunque nella finitudine bastante a se stesso.
Egli, essendo persona dedita
all'interiorità non ricerca il nuovo sapendo che nulla di nuovo esiste
sotto il sole, e per questo limita la sua ricerca agli eterni ed
immutabili Archetipi che sono sempre eguali a qualsiasi latitudine come
in qualsiasi periodo storico.
|