IL NOVIZIATO DI Wilhelm Meister - Di Goethe

 

 

1777: La missione teatrale di Wilhel Meister;

1796: Gli anni di noviziato di Wilhelm Meister;

1829:Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister.

Attraverso queste tre date ci si rende conto di come il Meister abbia accompagnato Goethe per tutta la vita insieme con il Faust. La Missione teatrale, creduto perduto, fu pubblicato postumo nel1917 grazie al ritrovamento a Zurigo di una copia manoscritta. Quello di cui noi ci occupiamo è il secondo dei romanzi, che è di gran lunga il migliore, e che altro non è che un rifacimento del primo.
Prima di raccontarvi la complicata trama di questa storia-teatrante, vi diciamo subito che per noi tale "lavoro (lettura dell'opera e saggio) ha avuto uno scopo preciso, quello di "disintossicarci" da una precedente lettura: la Recherche del Proust. Il decadentismo del Tempo perduto proustiano ci aveva lasciati in un deserto senza sole. Nonostante il suo Tempo ritrovato ed un po' di poesia disseminata qua e là, la nostra anima (la nostra psiche) era stata condotta in una landa desolata e lì era rimasta, in totale abbandono. Occorreva dunque che l'opera di un grande genio ci procurasse, prima un'acqua limpida capace di toglierci quella sete di Bello che aveva provocato Marcel ed il suo tempo perso, e poi un sole d'intelletto con cui riscaldarci l'anima. Il Meister era la medicina giusta: vi comunichiamo con gioia che siamo "guariti". Se per certi versi possiamo giustificare chi vede  in Goethe un pagano, un gaudente, un nemico della religione, è altresì innegabile che le opere di questo genio siano una "guida verso la salda moralità" (Gottfried Keller).  Il Manzoni (che Goethe considerava il maggior romantico italiano e di cui aveva tradotto l'ode Il cinque Maggio) nella consapevolezza di quanto gli fosse debitore, quando mandò all'autore del Faust una copia dell' Adelchi, gli scrisse come dedica un  passo dell' Egmond (sofferto dramma di Goethe scritto in dodici anni): "Tu non mi sei straniero. Fu il tuo nome che mi brillava incontro nella mia prima giovinezza come una stella del cielo. Quante volte ti ho ascoltato, interrogato".  (Goethe - I giganti - Mondadori, pag. 129). La medicina che ci ha guariti da quell'intossicazione, in un sola parola, può essere chiamata Poesia.  Ma veniamo alla trama.

     Meister, figlio d'un commerciante, da bambino viene affascinato da un teatrino di burattini che vestono i panni di Saul, Davide, Golia ecc. Da giovane sarà dunque inevitabilmente catturato dal teatro. Si innamora di Marianna, una spumeggiante attrice. Si amano fino al giorno in cui il giovane si convince di essere stato tradito. Abbandona la fanciulla e inizia un viaggio d'affari per conto del padre.  Incontra due attori, Laerte e Filina, e Federico, amico di lei. Il quartetto un giorno assiste alla rappresentazione di piazza  di un gruppo di zingari. Fra questi spiccano due strani personaggi: Mignon (una ragazza italiana che viene maltrattata e di cui si ignorano le origini) ed un arpista cieco che sta sempre in sua compagnia. Meister riscatta Mignon e la prende sotto la sua protezione.  La ragazza si affeziona al suo protettore. Intanto nella stessa città arriva una vecchia conoscenza di Meister, Melina, con cui il nostro si impegna nel teatro. Durante uno spostamento, tutta la compagnia teatrale viene assalita dai banditi, Meister per difendere i suoi amici viene ferito. Per sua fortuna una amazzone si prende cura di lui. Appena si rimette, accompagna la comitiva da un impresario, un certo Serlo, che dapprima tentenna e poi accetta gli attori e li istruisce ben bene. La sorella di lui, Aurelia, diviene amica di Meister e gli confida le sue disgrazie: è stata abbandonata dal suo compagno, Lotario, ed è rimasta sola con il figlio, Felix (Felice). Intanto, morto il padre, Meister decide di far parte della compagnia. Accantona gli affari (che lascia in cura ad un amico d'infanzia il cui padre era socio del suo) e inizia a recitare e nello stesso tempo a organizzare la rappresentazione del sogno della sua vita: Amleto. E' un successo. In seguito Aurelia si ammala, ma prima di morire prega Meister di portare a Lotario una lettera di addio. Il nostro novizio si reca in un castello presso cui vive il destinatario della missiva e consegna la lettera. E' in questo castello che le vicende di tutti i personaggi principali cominciano ad intrecciarsi in modo vertiginoso: la vecchia Barbara, serva di quella Marianna che Meister ha abbandonato, rivela a questi che Felice è figlio non di Aurelia, ma suo e della stessa Marianna morta fedele al suo amore e povera. Mignon intanto muore, e durante il funerale un illustre ospite del castello  riconosce in lei la nipote scomparsa da bambina, e nell'arpista cieco suo fratello. Questi intanto è molto cambiato e, a causa  di un equivoco, si toglie la vita nella convinzione di avere contribuito ad un presunto avvelenamento di Felice.  Meister si innamora di Teresa, altra ospite del castello amata anche da Lotario, e nello stesso tempo scopre che la sorella di questi, Natalia, altri non è che la misteriosa amazzone che lo ha soccorso dopo l'assalto dei banditi. Alla fine Meister sposa proprio Natalia.
E questa sarebbe la medicina disintossicante? direte voi. No, diciamo noi, questo altri non è che un grande pretesto, o meglio il contenitore della medicina. E cercheremo in qualche modo di farvene sentire gli effetti benefici attraverso le nostre impressioni, ma soprattutto tramite qualche brano significativo dell'opera, la cui lettura, speriamo, spingerà all'approfondimento di tutto il Noviziato di W. Meister.

     Fin dalle prime frasi del "libro primo" del romanzo, attraverso la descrizione della vecchia Barbara che aspetta Marianna, la "sua bella padroncina", e poi tramite l'ingresso di questa, ci rendiamo subito conto di quanto si pretenda da noi: ci si chiede non di leggere, ma di assistere ad una delle più bizzarre rappresentazioni teatrali camuffata da romanzo. Il  Noviziato  è un teatro. Ma non solo. Esso è anche una fiaba infinita, sia per lo stile letterario che per i contenuti, e come tutte le fiabe che si rispettano è pedagogica. Italo Calvino, (v. il Visconte dimezzato e Il Cavaliere inesistente ecc.) l'ha sicuramente letta e studiata.
Marianna è in ritardo. Finalmente, però, finito di recitare, con gli stessi abiti da scena si presenta alla sua serva vestita da ufficiale ed anziché starla a sentire, recita qualche frase che ha molto della realtà che in quel momento sta vivendo. E proprio qui si tocca con mano quanto si diceva: Marianna smette di recitare la parte da ufficiale per vestire i panni di se stessa: da teatro a teatro, dunque. La parte che nel Noviziato  le è riservata e quella di un'attrice che è fidanzata con Norberg ma ama Meister. Quando da lì a poco cambierà scena e ci ritroveremo in casa di Wilhelm, a sua madre che gli ricorda come la pace della famiglia sia messa in pericolo dalla passione che lui ha per il teatro, risponde con una dichiarazione d'amore per l'arte teatrale: il lusso della casa (tendaggi, ornamenti, figure, panierini, tappezzerie di seta, ecc.) gli sembra del tutto inutile: "tutti questi ornamenti ricercati… tutt'al più potrei paragonarli con un sipario di teatro. Ma che differenza! Anche se bisogna aspettare a lungo,  tuttavia sappiamo che alla fine il sipario si alzerà e che vedremo le cose più varie,  dilettevoli, istruttive, e che elevano il cuore"  (Goethe - Opere - Sansoni ed. 1983, pag. 591 - traduzione Bruno Arzeni). L'arte teatrale, dunque, come mezzo di elevazione, di istruzione e di diletto. Le nostre prime impressioni sono confermate: siamo a teatro, e l'io narrante è una sorta di narratore che fa parte della rappresentazione. Insomma, il Maister si sta rappresentando in Goethe, che aprendo il suo cuore ci permette di assistervi come davanti ad uno specchio. Scatole cinesi teatrali. E pensare che ad accendere la passione per il teatro era stata proprio la madre, quando in un Natale della sua infanzia gli aveva regalato una rappresentazione di marionette. Un mondo magico si era presentato per la prima volta davanti ai suoi occhi. Avrebbe voluto assistere ad una seconda rappresentazione il giorno dopo, ma qui Goethe regala una battuta pedagogica all'  "attore" che recita la parte del padre di Wilhelm: "I piaceri, solo quando sono rari hanno un valore per l'uomo, ma, divenuti quotidiani, né il bambino né il vecchio sanno più debitamente apprezzarli" (id. pag. 594). La seconda rappresentazione ci fu, ma questa volta Wilhelm volle sapere come accadeva quel miracolo. Diede un'occhiata dietro l'impalcatura e, nonostante sua madre lo tirasse indietro, riuscì a vedere come in una cassetta venivano ammucchiati amici e nemici, Davide e Golia, Saul, Gionata e tutti gli altri. Poi un bel giorno il teatrino non venne più smontato e Meister trascorse molte ore libere coi suoi burattini. Se quella cesta è la pre-esistenza ed i burattini rappresentano ognuno di noi, nasce certo un sorriso ironico al pensiero che un misterioso burattinaio possa mettere su i suoi spettacolini per divertire un pubblico composto anch'esso da marionette, e così via dicendo. L'oriente mistico ha immaginato che i burattinai potessero essere i tre guna (I tre principi qualitativi della materia primordiale), e cioè Tamas (Inerzia, tendenza oscurante, ignoranza, ecc.), Rajas (Attività, energia, desiderio, passione), Satwa (Equilibrio, armonia, luce dell'intelletto, purezza, sostanza intelligente). Jung, invece, in presenza di un uomo "costretto" da misteriosi fili a inevitabili comportamenti, parlava di Archetipi attivati. Una cosa è certa, quel gran teatro che è questa nostra terra, vede ciascuno di noi così strettamente legato a tutti gli altri, ed il groviglio di fili è talmente inestricabile, da autorizzare a pensare che ogni essere vivente è allo stesso tempo burattino e burattinaio di se stesso;  così, come in un'apparecchiatura elettronica, un insignificante condensatore risulta essere indispensabile alla "recita" del suo circuito. Una cosa abbiamo notato ultimamente in questo pazzo teatrino del mondo: la proliferazione di burattini maestri e filosofi da strapazzo, che guidati da pazzi fili, anziché andare alla ricerca della Verità, partendo dal presupposto che grazie ad un'ottica politica “La” possiedono già, invitano masse di burattini discepoli ad assorbirla ed a smettere a loro volta di cercare: la meta è stata raggiunta definitivamente. In passato, i grandi filosofi, prima ricercavano la Verità con l'intelletto, poi si confrontavano, infine, dopo avere scelto il meglio per la comunità, passavano alla scrittura di un trattato sulla Politica. Il perno di esso era il bene di tutti. Ora, le figure che provocano tristezza e a volte pietà non sono tali maestruncoli e filosofetti, ma le masse che sguazzano nell'oceano di Tamas e che continueranno a farlo fino alla tomba.
Cos'è Wilhelm Meister se non un burattino nelle mani di Goethe? Tale e quale ognuno di noi. Ebbene, stimoliamo la nostra curiosità, cerchiamo di sbirciare oltre il sipario per vedere quel che succede. Cominciamo a tagliare il groviglio di fili che tolgono ogni forza alla nostra volontà. Alla fine ci accorgeremo che un solo filo, quello che ci lega all'Assoluto, alla Vita Universale, a Dio, a chiamateLo come vi pare, può avere una giustificazione di essere, perché è quello che, aldilà di ogni nostra volontà o azione, ci fa essere. Dal momento in cui Wilhelm sbirciò dietro le quinte del teatrino dei burattini trovò quest'unico filo importantissimo, che, a ben leggere il Noviziato, lo indirizzò sempre verso il bene, la moralità, il bello, il giusto. E seguire tale percorso era una sorta di ricerca del Regno dei Cieli attraverso i suoi sani pensieri, le sue giuste emozioni, le altrettanto giuste azioni; di tutto il resto gliene fu dato in  abbondanza e sovrappiù. Egli moltiplicava i talenti sia materialmente che spiritualmente.
I primi tentativi di recite vere con gli amici, a Meister crearono molti problemi: non era così semplice come aveva pensato. Tuttavia, questi tentativi di rappresentazioni non furono senza vantaggi: "Era un esercizio della memoria e del corpo e il nostro modo di parlare e di comportarci guadagnò una disinvoltura superiore a quella che in generale possono acquistare i ragazzi". Insomma, la mal riuscita piccola recita preparava i giovani ad affrontare meglio la grande recita, quella che sarebbe accaduta sul palcoscenico della vita. Il voler dedicare tutto se stesso al teatro faceva di Meister un individuo che aveva un solo ed unico scopo: recitare nella vita la propria parte nel migliore dei modi possibili, ovvero assolvere al meglio il proprio dovere. Pur essendo un buono, Wilhelm non può essere lontanamente sfiorato dalla satira nichilista del Candide di Voltaire. L'adoratore del niente sa solo distruggere, perché solo così può supportare la sua teoria, e per avere quanti più consensi possibili deve assolutamente cancellare la volontà ai giovani, deve tagliare le gambe all'emergente intelletto. E' quello che oggi fanno i cuginetti di Voltaire affiggendo improbabili manifesti del non essere, o meglio del nulla, attraverso opere letterarie, teatrali, cinematografiche e qualche volta anche scientifiche. Sì, scientifiche: un'astrofisica alquanto bruttina, dall'alto della sua sapienza, ha dichiarato che Dio non esiste, perché durante le migliaia di ore passate nell'osservare il cielo, non l'ha mai incontrato. Come dire, l'uomo non esiste, perché col microscopio elettronico riesco a vedere solo atomi in movimento. Ma burattini siamo in tanti: oltre ai prepotenti ed arroganti Golia, ai gelosi Saul, vi sono anche le insignificanti astrofisiche, quelle che per paura di conoscere se stesse scappano nel mondo delle nuvole. Di solito tutte le persone che con accanimento dedicano la loro vita a dimostrare (!) che Dio non esiste, cercano solo sciocche giustificazioni ai loro pensieri, comportamenti, azioni che vanno contro natura, contro buon senso,  contro ogni qualsiasi logica. Alibi, cercano solo alibi. Ma soprattutto intendono salvare la fallimentare loro vita, spesa in un costante assurdo paradossale suicidio, che approvato da molti loro seguaci produrrebbe come una mano pietosa sulla spalla d'un cadavere vivente. Anime morte che accusano la vita; ombre che detestano la luce; iene che si cibano di carogne e che sono riconoscibili da quel ghigno particolare che pare un sorriso ma che sorriso non é. Sono degli stolti perché tifano per ciò che non esiste, per il nulla. Ma sono anche i più timorosi di tutti. Il nulla li spaventa, e volendolo esorcizzare lo accarezzano, lo cantano, ne scrivono, lo predicano, lo annunciano: ecco a voi…E qui si fermano perché l'annunciato non si potrà mai presentare: non esiste. Ma allora di che cosa scrivono?  Non scrivono un bel niente, sono solo creatori di gorghi psichici, novelli pescatori di anime che seduti ai bordi di tali buchi neri aspettano che i pesciolini sprovveduti si lascino risucchiare, e, paradosso dei paradossi, il nulla avanza, un nulla inesistente si gonfia. Come nel gioco delle tre carte al mercato, cercano di portare a termine l'impossibile impresa di far sparire l'ESSERE sotto il bicchiere del niente. Ma ciò non è da pazzi, pazzesco è che qualcuno ci caschi. Poveri burattini divenuti preda di uomini senza attitudini!
Dopo avere avuto un incontro con Melina, Wilhelm, dando sfogo ai propri pensieri, disse fra sé: "Chi è nato con qualche attitudine trova in essa la ragione e il piacere stesso dell'esistenza…Tu non senti il tutto che arde e si corrisponde nel tutto e che solo lo spirito riesce a intuire, a concepire e a tradurre in realtà. Tu non sai che nell'uomo vive una sacra scintilla che se non trova alimento, se non si rianima,  vien coperta sempre più dalla cenere dei quotidiani bisogni e dell'indifferenza e che tuttavia ben tardi o quasi mai  si spegne del tutto. Ma nella tua anima tu non senti forza alcuna per ridestarla e qualora anche l'abbia ridestata nessuna ricchezza nel tuo cuore per darle alimento" (id. pag. 613). Sì, i nichilisti sono i più poveri del mondo perché nessuna ricchezza alberga nel loro cuore. Sono bacini prosciugati, terra arida, sterile, che nulla può produrre, perché hanno rinnegato l'Acqua di Vita: "Non ci son forse stati sempre uomini così completamente abbandonati da ogni sentimento della vita da dir questa e l'esser delle creature mortali un nulla, una miserevole parvenza, un gioco di polvere?" (Id). Sì, ci sono sempre stati, Goethe, e forse sempre ci saranno. Ma per fortuna, di tanto in tanto, nascono quei pochi che, con la loro luce, li fanno arretrare come tenebre sorprese dall'alba.
Ci preme ora ricordare un piccolo discorso che, in compagnia di Laerte, Filina ed altri, Guglielmo fa sul teatro come mezzo pedagogico. Avevano assistito ad una sorta di dialogo mimato fra un contadino ed un minatore. Quest'ultimo, dapprima mal visto dall'altro perché cercava di estrarre tesori dal suo campo, alla fine lo convince dell'utilità della sua professione. "Da questo piccolo dialogo - disse poi Guglielmo a tavola - abbiamo l'esempio più immediato di quanto il teatro potrebbe essere utile a tutte le classi e qual vantaggio potrebbe trarne lo stato  se si portassero sulla scena le azioni,  i mestieri, le imprese degli uomini, illustrandone il lato migliore per cui debbono essere onorate e difese dallo stato stesso.  Ora invece al teatro si suol rappresentare l'aspetto ridicolo della vita umana: il commediografo è una specie di controllore  maligno, con l'occhio sempre vigile agli errori del prossimo e si direbbe contento solo quando può scoprirgliene qualcuno" (id. pag. 634 - sottolineatura nostra). Come possiamo constatare, Goethe era angustiato dallo stesso problema che oggi angoscia molti di noi: perché l'arte deve veicolare così tanta spazzatura? Perché il cinema deve ridurre questa nostra Italietta ad un grottesco ammasso di imbecilli? Perché non si usano i media per educare ma per dis-educare. L'ironia, la satira deve essere intelligente e stimolante, non fine a se stessa. I programmi spazzatura della tv, oggi mirano solo ad uno scopo: "audience". Quanti talenti mal impiegati; quante intelligenze volte alla distruzione più che alla edificazione di un mondo migliore; quante bravure sciupate; ma soprattutto quanta moralità distrutta in nome del dio denaro. Da tutto ciò non poteva che nascere violenza a tutti i livelli, perché la spazzatura mediatica muove gli istinti e atrofizza la ragione. Persino i comici sono violenti: hanno fatto dell'insulto la sola unica arma per far ridere; usano le parolacce perché sono a corto di argomenti; fanno pessime imitazioni di personaggi famosi le cui imprese sono spesso quotate in borsa, arrecando loro gravi danni economici; prendono in giro  persino i capi delle religioni (soprattutto le miti), cercando di dare così la spallata finale a quel poco di freno rimasto alla folle corsa di questa società occidentale verso il vuoto assoluto. Nessuno più si pone dei limiti. Per la stragrande maggioranza degli occidentali, democrazia significa poter fare tutto quello che passa non per il cervello, ma per i piedi. Che pena! "Ah, se si potesse trasfondere nella massa un sentimento di simpatia per tutto ciò che è umano, se si potesse accenderla, scuoterla con la rappresentazione della felicità e dell'infelicità, della saggezza e della follia e anche della stupidità e della stoltezza, se si potesse imprimere un moto puro, libero, vivo alla sua anima intorpidita!" (Id. pag.639). Grande, grande Goethe. Sagge parole. Se oggi uno dei pochi saggi rimasti in circolazione dice più o meno le stesse cose (parliamo di sua santità Benedetto XVI°), viene subito preso di mira dal primo comico da strapazzo,  e deriso. Ma cosa ha detto il Santo Padre rifacendosi al pensiero di San Paolo? Ha detto che "Il cristianesimo è aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà" (Convegno ecclesiale di Verona); ha gridato il suo "No a forme deboli e deviate d'amore e alle contraffazioni della libertà…  ed "a forme di unione che contribuirebbero a destabilizzare la famiglia".  No, tutto questo non piace, perché non sfascia nulla; non piace perché è sensato e ragionevole. La rivoluzione deve essere totale deve distruggere persino se stessa, e grazie a Dio lo sta facendo. Quando il suicidio sarà compiuto, forse qualche anima brutta, prima di togliersi definitivamente dai piedi di se stesso griderà, parafrasando l'assurdo "Dio è morto" di Nietzsche, "l'uomo è morto". Hanno rappresentato per mezzo delle arti quanto di più brutto, ignobile, piccolo è nella vita dell'uomo, a fronte del sogno di Wilhelm Meister:" Rappresentare per mezzo del teatro quanto di più bello, di nobile, e di grande è nella vita dell'uomo" (pag. 639).

     Questo immenso amore che Wilhelm (e quindi Goethe) ha per il teatro nasce dalla lettura delle opere di Shakespeare. Chi ha letto i capolavori immortali del grande drammaturgo inglese non può che condividere la grande impressione che esse produssero in Meister ed il tumulto che riuscirono a provocare nella sua anima: "Non sono poemi! Abbiamo l'impressione di trovarci aperti davanti gli immensi libri del destino  in cui spira il vento tempestoso della vita più agitata che rapidamente e con violenza li sfoglia qua e là. La sua forza e la sua delicatezza, il suo impeto e la sua tranquillità mi stupiscono e mi sconvolgono…" (pag. 681). 
I discorsi che nel Meister Goethe fa sul teatro sono numerosi ed interessanti. Noi non possiamo certo ricopiare per voi tutto il Noviziato.  Non ci rimane che invitarvi a leggerlo. Diciamo solo che, prima di mettere in scena con la sua compagnia l' Amleto shakespeariano, Wilhelm analizza la figura del principe di Danimarca come meglio non potevano fare Jung o Freud. Anzi nessuno ci vieta di pensare che entrambi, soprattutto il primo, abbia molto attinto al suo pensiero.  Questa è davvero arte, vera arte e vera cultura. Oggi sentiamo spesso dire "la cultura sta tutta di qua" oppure "la cultura sta tutta di là", ma dobbiamo amaramente ammettere che tranne poche eccezioni la cultura e l'arte sono rimaste nei classici del pensiero: Parmenide, Eraclito, Platone, Aristotele,Plotino, Agostino, Tommaso, Spinoza, Schelling, Pascal, Shakespeare, Dante, Omero, Jung, e davvero pochi altri. Tutti geni del bene, del bello, del giusto, del santo; tutte menti costruttive; tutti figli della serietà. Ed aveva certamente ragione Goethe quando faceva dire allo zio del novizio: "In verità, nulla nel mondo è possibile senza la serietà" (pag. 789).
Oggi non è che la serietà sia poca, essa è inesistente o tuttalpiù clandestina: se esce dalla clandestinità viene subito ricacciata nell'ombra dal folle chiasso nichilista che ormai è quasi legge.
Come potrete constatare, nei nostri saggi, come dei Don Chisciotte, combattiamo contro questa folla immensa di pale ruotanti che purtroppo non sono di mulini a vento: i nientisti hanno messo in moto turbine potenti come buchi neri che tutto divorano. Il nostro invito è quello di seguire il filo d'Arianna della ragione e, perché no, nella fede nel Dio di qualunque religione degna di questo nome, al fine di sfuggire a questi gorghi mortali e annichilenti. Attraverso lo studio di "anime belle" (per dirla con parola di Goethe) cerchiamo di stare alla larga da questi segnali di smarrimento.
Trascuriamo di parlare della fase finale (la più bella ed imprevedibile) per avvicinare quei pochi lettori di questo breve saggio ad una lettura positiva, quella del Noviziato di Wilhelm Meister.

 

Grazie, Natale Missale.



Indietro