IL NOVIZIATO DI
Wilhelm Meister - Di Goethe
1777: La
missione teatrale di Wilhel Meister;
1796: Gli anni
di noviziato di Wilhelm Meister;
1829:Gli anni
di pellegrinaggio di Wilhelm Meister.
Attraverso
queste tre date ci si rende conto di come il Meister abbia accompagnato
Goethe per tutta la vita insieme con il Faust. La Missione teatrale,
creduto perduto, fu pubblicato postumo nel1917 grazie al ritrovamento a
Zurigo di una copia manoscritta. Quello di cui noi ci occupiamo è il
secondo dei romanzi, che è di gran lunga il migliore, e che altro non è
che un rifacimento del primo.
Prima di raccontarvi la complicata trama di questa storia-teatrante, vi
diciamo subito che per noi tale "lavoro (lettura dell'opera e saggio) ha
avuto uno scopo preciso, quello di "disintossicarci" da una precedente
lettura: la Recherche del Proust. Il decadentismo del Tempo perduto
proustiano ci aveva lasciati in un deserto senza sole. Nonostante il suo
Tempo ritrovato ed un po' di poesia disseminata qua e là, la nostra
anima (la nostra psiche) era stata condotta in una landa desolata e lì
era rimasta, in totale abbandono. Occorreva dunque che l'opera di un
grande genio ci procurasse, prima un'acqua limpida capace di toglierci
quella sete di Bello che aveva provocato Marcel ed il suo tempo perso, e
poi un sole d'intelletto con cui riscaldarci l'anima. Il Meister era la
medicina giusta: vi comunichiamo con gioia che siamo "guariti". Se per
certi versi possiamo giustificare chi vede in Goethe un pagano, un
gaudente, un nemico della religione, è altresì innegabile che le opere
di questo genio siano una "guida verso la salda moralità" (Gottfried
Keller). Il Manzoni (che Goethe considerava il maggior romantico
italiano e di cui aveva tradotto l'ode Il cinque Maggio) nella
consapevolezza di quanto gli fosse debitore, quando mandò all'autore del
Faust una copia dell' Adelchi, gli scrisse come dedica un passo dell'
Egmond (sofferto dramma di Goethe scritto in dodici anni): "Tu non mi
sei straniero. Fu il tuo nome che mi brillava incontro nella mia prima
giovinezza come una stella del cielo. Quante volte ti ho ascoltato,
interrogato". (Goethe - I giganti - Mondadori, pag. 129). La medicina
che ci ha guariti da quell'intossicazione, in un sola parola, può essere
chiamata Poesia. Ma veniamo alla trama.
Meister,
figlio d'un commerciante, da bambino viene affascinato da un teatrino di
burattini che vestono i panni di Saul, Davide, Golia ecc. Da giovane
sarà dunque inevitabilmente catturato dal teatro. Si innamora di
Marianna, una spumeggiante attrice. Si amano fino al giorno in cui il
giovane si convince di essere stato tradito. Abbandona la fanciulla e
inizia un viaggio d'affari per conto del padre. Incontra due attori,
Laerte e Filina, e Federico, amico di lei. Il quartetto un giorno
assiste alla rappresentazione di piazza di un gruppo di zingari. Fra
questi spiccano due strani personaggi: Mignon (una ragazza italiana che
viene maltrattata e di cui si ignorano le origini) ed un arpista cieco
che sta sempre in sua compagnia. Meister riscatta Mignon e la prende
sotto la sua protezione. La ragazza si affeziona al suo protettore.
Intanto nella stessa città arriva una vecchia conoscenza di Meister,
Melina, con cui il nostro si impegna nel teatro. Durante uno
spostamento, tutta la compagnia teatrale viene assalita dai banditi,
Meister per difendere i suoi amici viene ferito. Per sua fortuna una
amazzone si prende cura di lui. Appena si rimette, accompagna la
comitiva da un impresario, un certo Serlo, che dapprima tentenna e poi
accetta gli attori e li istruisce ben bene. La sorella di lui, Aurelia,
diviene amica di Meister e gli confida le sue disgrazie: è stata
abbandonata dal suo compagno, Lotario, ed è rimasta sola con il figlio,
Felix (Felice). Intanto, morto il padre, Meister decide di far parte
della compagnia. Accantona gli affari (che lascia in cura ad un amico
d'infanzia il cui padre era socio del suo) e inizia a recitare e nello
stesso tempo a organizzare la rappresentazione del sogno della sua vita:
Amleto. E' un successo. In seguito Aurelia si ammala, ma prima di morire
prega Meister di portare a Lotario una lettera di addio. Il nostro
novizio si reca in un castello presso cui vive il destinatario della
missiva e consegna la lettera. E' in questo castello che le vicende di
tutti i personaggi principali cominciano ad intrecciarsi in modo
vertiginoso: la vecchia Barbara, serva di quella Marianna che Meister ha
abbandonato, rivela a questi che Felice è figlio non di Aurelia, ma suo
e della stessa Marianna morta fedele al suo amore e povera. Mignon
intanto muore, e durante il funerale un illustre ospite del castello
riconosce in lei la nipote scomparsa da bambina, e nell'arpista cieco
suo fratello. Questi intanto è molto cambiato e, a causa di un
equivoco, si toglie la vita nella convinzione di avere contribuito ad un
presunto avvelenamento di Felice. Meister si innamora di Teresa, altra
ospite del castello amata anche da Lotario, e nello stesso tempo scopre
che la sorella di questi, Natalia, altri non è che la misteriosa
amazzone che lo ha soccorso dopo l'assalto dei banditi. Alla fine
Meister sposa proprio Natalia.
E questa sarebbe la medicina disintossicante? direte voi. No, diciamo
noi, questo altri non è che un grande pretesto, o meglio il contenitore
della medicina. E cercheremo in qualche modo di farvene sentire gli
effetti benefici attraverso le nostre impressioni, ma soprattutto
tramite qualche brano significativo dell'opera, la cui lettura,
speriamo, spingerà all'approfondimento di tutto il Noviziato di W.
Meister.
Fin dalle
prime frasi del "libro primo" del romanzo, attraverso la descrizione
della vecchia Barbara che aspetta Marianna, la "sua bella padroncina", e
poi tramite l'ingresso di questa, ci rendiamo subito conto di quanto si
pretenda da noi: ci si chiede non di leggere, ma di assistere ad una
delle più bizzarre rappresentazioni teatrali camuffata da romanzo. Il
Noviziato è un teatro. Ma non solo. Esso è anche una fiaba infinita,
sia per lo stile letterario che per i contenuti, e come tutte le fiabe
che si rispettano è pedagogica. Italo Calvino, (v. il Visconte dimezzato
e Il Cavaliere inesistente ecc.) l'ha sicuramente letta e studiata.
Marianna è in ritardo. Finalmente, però, finito di recitare, con gli
stessi abiti da scena si presenta alla sua serva vestita da ufficiale ed
anziché starla a sentire, recita qualche frase che ha molto della realtà
che in quel momento sta vivendo. E proprio qui si tocca con mano quanto
si diceva: Marianna smette di recitare la parte da ufficiale per vestire
i panni di se stessa: da teatro a teatro, dunque. La parte che nel
Noviziato le è riservata e quella di un'attrice che è fidanzata con
Norberg ma ama Meister. Quando da lì a poco cambierà scena e ci
ritroveremo in casa di Wilhelm, a sua madre che gli ricorda come la pace
della famiglia sia messa in pericolo dalla passione che lui ha per il
teatro, risponde con una dichiarazione d'amore per l'arte teatrale: il
lusso della casa (tendaggi, ornamenti, figure, panierini, tappezzerie di
seta, ecc.) gli sembra del tutto inutile: "tutti questi ornamenti
ricercati… tutt'al più potrei paragonarli con un sipario di teatro. Ma
che differenza! Anche se bisogna aspettare a lungo, tuttavia sappiamo
che alla fine il sipario si alzerà e che vedremo le cose più varie,
dilettevoli, istruttive, e che elevano il cuore" (Goethe - Opere -
Sansoni ed. 1983, pag. 591 - traduzione Bruno Arzeni). L'arte teatrale,
dunque, come mezzo di elevazione, di istruzione e di diletto. Le nostre
prime impressioni sono confermate: siamo a teatro, e l'io narrante è una
sorta di narratore che fa parte della rappresentazione. Insomma, il
Maister si sta rappresentando in Goethe, che aprendo il suo cuore ci
permette di assistervi come davanti ad uno specchio. Scatole cinesi
teatrali. E pensare che ad accendere la passione per il teatro era stata
proprio la madre, quando in un Natale della sua infanzia gli aveva
regalato una rappresentazione di marionette. Un mondo magico si era
presentato per la prima volta davanti ai suoi occhi. Avrebbe voluto
assistere ad una seconda rappresentazione il giorno dopo, ma qui Goethe
regala una battuta pedagogica all' "attore" che recita la parte del
padre di Wilhelm: "I piaceri, solo quando sono rari hanno un valore per
l'uomo, ma, divenuti quotidiani, né il bambino né il vecchio sanno più
debitamente apprezzarli" (id. pag. 594). La seconda rappresentazione ci
fu, ma questa volta Wilhelm volle sapere come accadeva quel miracolo.
Diede un'occhiata dietro l'impalcatura e, nonostante sua madre lo
tirasse indietro, riuscì a vedere come in una cassetta venivano
ammucchiati amici e nemici, Davide e Golia, Saul, Gionata e tutti gli
altri. Poi un bel giorno il teatrino non venne più smontato e Meister
trascorse molte ore libere coi suoi burattini. Se quella cesta è la
pre-esistenza ed i burattini rappresentano ognuno di noi, nasce certo un
sorriso ironico al pensiero che un misterioso burattinaio possa mettere
su i suoi spettacolini per divertire un pubblico composto anch'esso da
marionette, e così via dicendo. L'oriente mistico ha immaginato che i
burattinai potessero essere i tre guna (I tre principi qualitativi della
materia primordiale), e cioè Tamas (Inerzia, tendenza oscurante,
ignoranza, ecc.), Rajas (Attività, energia, desiderio, passione), Satwa
(Equilibrio, armonia, luce dell'intelletto, purezza, sostanza
intelligente). Jung, invece, in presenza di un uomo "costretto" da
misteriosi fili a inevitabili comportamenti, parlava di Archetipi
attivati. Una cosa è certa, quel gran teatro che è questa nostra terra,
vede ciascuno di noi così strettamente legato a tutti gli altri, ed il
groviglio di fili è talmente inestricabile, da autorizzare a pensare che
ogni essere vivente è allo stesso tempo burattino e burattinaio di se
stesso; così, come in un'apparecchiatura elettronica, un insignificante
condensatore risulta essere indispensabile alla "recita" del suo
circuito. Una cosa abbiamo notato ultimamente in questo pazzo teatrino
del mondo: la proliferazione di burattini maestri e filosofi da
strapazzo, che guidati da pazzi fili, anziché andare alla ricerca della
Verità, partendo dal presupposto che grazie ad un'ottica politica “La”
possiedono già, invitano masse di burattini discepoli ad assorbirla ed a
smettere a loro volta di cercare: la meta è stata raggiunta
definitivamente. In passato, i grandi filosofi, prima ricercavano la
Verità con l'intelletto, poi si confrontavano, infine, dopo avere scelto
il meglio per la comunità, passavano alla scrittura di un trattato sulla
Politica. Il perno di esso era il bene di tutti. Ora, le figure che
provocano tristezza e a volte pietà non sono tali maestruncoli e
filosofetti, ma le masse che sguazzano nell'oceano di Tamas e che
continueranno a farlo fino alla tomba.
Cos'è Wilhelm Meister se non un burattino nelle mani di Goethe? Tale e
quale ognuno di noi. Ebbene, stimoliamo la nostra curiosità, cerchiamo
di sbirciare oltre il sipario per vedere quel che succede. Cominciamo a
tagliare il groviglio di fili che tolgono ogni forza alla nostra
volontà. Alla fine ci accorgeremo che un solo filo, quello che ci lega
all'Assoluto, alla Vita Universale, a Dio, a chiamateLo come vi pare,
può avere una giustificazione di essere, perché è quello che, aldilà di
ogni nostra volontà o azione, ci fa essere. Dal momento in cui Wilhelm
sbirciò dietro le quinte del teatrino dei burattini trovò quest'unico
filo importantissimo, che, a ben leggere il Noviziato, lo indirizzò
sempre verso il bene, la moralità, il bello, il giusto. E seguire tale
percorso era una sorta di ricerca del Regno dei Cieli attraverso i suoi
sani pensieri, le sue giuste emozioni, le altrettanto giuste azioni; di
tutto il resto gliene fu dato in abbondanza e sovrappiù. Egli
moltiplicava i talenti sia materialmente che spiritualmente.
I primi tentativi di recite vere con gli amici, a Meister crearono molti
problemi: non era così semplice come aveva pensato. Tuttavia, questi
tentativi di rappresentazioni non furono senza vantaggi: "Era un
esercizio della memoria e del corpo e il nostro modo di parlare e di
comportarci guadagnò una disinvoltura superiore a quella che in generale
possono acquistare i ragazzi". Insomma, la mal riuscita piccola recita
preparava i giovani ad affrontare meglio la grande recita, quella che
sarebbe accaduta sul palcoscenico della vita. Il voler dedicare tutto se
stesso al teatro faceva di Meister un individuo che aveva un solo ed
unico scopo: recitare nella vita la propria parte nel migliore dei modi
possibili, ovvero assolvere al meglio il proprio dovere. Pur essendo un
buono, Wilhelm non può essere lontanamente sfiorato dalla satira
nichilista del Candide di Voltaire. L'adoratore del niente sa solo
distruggere, perché solo così può supportare la sua teoria, e per avere
quanti più consensi possibili deve assolutamente cancellare la volontà
ai giovani, deve tagliare le gambe all'emergente intelletto. E' quello
che oggi fanno i cuginetti di Voltaire affiggendo improbabili manifesti
del non essere, o meglio del nulla, attraverso opere letterarie,
teatrali, cinematografiche e qualche volta anche scientifiche. Sì,
scientifiche: un'astrofisica alquanto bruttina, dall'alto della sua
sapienza, ha dichiarato che Dio non esiste, perché durante le migliaia
di ore passate nell'osservare il cielo, non l'ha mai incontrato. Come
dire, l'uomo non esiste, perché col microscopio elettronico riesco a
vedere solo atomi in movimento. Ma burattini siamo in tanti: oltre ai
prepotenti ed arroganti Golia, ai gelosi Saul, vi sono anche le
insignificanti astrofisiche, quelle che per paura di conoscere se stesse
scappano nel mondo delle nuvole. Di solito tutte le persone che con
accanimento dedicano la loro vita a dimostrare (!) che Dio non esiste,
cercano solo sciocche giustificazioni ai loro pensieri, comportamenti,
azioni che vanno contro natura, contro buon senso, contro ogni
qualsiasi logica. Alibi, cercano solo alibi. Ma soprattutto intendono
salvare la fallimentare loro vita, spesa in un costante assurdo
paradossale suicidio, che approvato da molti loro seguaci produrrebbe
come una mano pietosa sulla spalla d'un cadavere vivente. Anime morte
che accusano la vita; ombre che detestano la luce; iene che si cibano di
carogne e che sono riconoscibili da quel ghigno particolare che pare un
sorriso ma che sorriso non é. Sono degli stolti perché tifano per ciò
che non esiste, per il nulla. Ma sono anche i più timorosi di tutti. Il
nulla li spaventa, e volendolo esorcizzare lo accarezzano, lo cantano,
ne scrivono, lo predicano, lo annunciano: ecco a voi…E qui si fermano
perché l'annunciato non si potrà mai presentare: non esiste. Ma allora
di che cosa scrivono? Non scrivono un bel niente, sono solo creatori di
gorghi psichici, novelli pescatori di anime che seduti ai bordi di tali
buchi neri aspettano che i pesciolini sprovveduti si lascino
risucchiare, e, paradosso dei paradossi, il nulla avanza, un nulla
inesistente si gonfia. Come nel gioco delle tre carte al mercato,
cercano di portare a termine l'impossibile impresa di far sparire
l'ESSERE sotto il bicchiere del niente. Ma ciò non è da pazzi, pazzesco
è che qualcuno ci caschi. Poveri burattini divenuti preda di uomini
senza attitudini!
Dopo avere avuto un incontro con Melina, Wilhelm, dando sfogo ai propri
pensieri, disse fra sé: "Chi è nato con qualche attitudine trova in essa
la ragione e il piacere stesso dell'esistenza…Tu non senti il tutto che
arde e si corrisponde nel tutto e che solo lo spirito riesce a intuire,
a concepire e a tradurre in realtà. Tu non sai che nell'uomo vive una
sacra scintilla che se non trova alimento, se non si rianima, vien
coperta sempre più dalla cenere dei quotidiani bisogni e
dell'indifferenza e che tuttavia ben tardi o quasi mai si spegne del
tutto. Ma nella tua anima tu non senti forza alcuna per ridestarla e
qualora anche l'abbia ridestata nessuna ricchezza nel tuo cuore per
darle alimento" (id. pag. 613). Sì, i nichilisti sono i più poveri del
mondo perché nessuna ricchezza alberga nel loro cuore. Sono bacini
prosciugati, terra arida, sterile, che nulla può produrre, perché hanno
rinnegato l'Acqua di Vita: "Non ci son forse stati sempre uomini così
completamente abbandonati da ogni sentimento della vita da dir questa e
l'esser delle creature mortali un nulla, una miserevole parvenza, un
gioco di polvere?" (Id). Sì, ci sono sempre stati, Goethe, e forse
sempre ci saranno. Ma per fortuna, di tanto in tanto, nascono quei pochi
che, con la loro luce, li fanno arretrare come tenebre sorprese
dall'alba.
Ci preme ora ricordare un piccolo discorso che, in compagnia di Laerte,
Filina ed altri, Guglielmo fa sul teatro come mezzo pedagogico. Avevano
assistito ad una sorta di dialogo mimato fra un contadino ed un
minatore. Quest'ultimo, dapprima mal visto dall'altro perché cercava di
estrarre tesori dal suo campo, alla fine lo convince dell'utilità della
sua professione. "Da questo piccolo dialogo - disse poi Guglielmo a
tavola - abbiamo l'esempio più immediato di quanto il teatro potrebbe
essere utile a tutte le classi e qual vantaggio potrebbe trarne lo
stato se si portassero sulla scena le azioni, i mestieri, le imprese
degli uomini, illustrandone il lato migliore per cui debbono essere
onorate e difese dallo stato stesso. Ora invece al teatro si suol
rappresentare l'aspetto ridicolo della vita umana: il commediografo è
una specie di controllore maligno, con l'occhio sempre vigile agli
errori del prossimo e si direbbe contento solo quando può scoprirgliene
qualcuno" (id. pag. 634 - sottolineatura nostra). Come possiamo
constatare, Goethe era angustiato dallo stesso problema che oggi
angoscia molti di noi: perché l'arte deve veicolare così tanta
spazzatura? Perché il cinema deve ridurre questa nostra Italietta ad un
grottesco ammasso di imbecilli? Perché non si usano i media per educare
ma per dis-educare. L'ironia, la satira deve essere intelligente e
stimolante, non fine a se stessa. I programmi spazzatura della tv, oggi
mirano solo ad uno scopo: "audience". Quanti talenti mal impiegati;
quante intelligenze volte alla distruzione più che alla edificazione di
un mondo migliore; quante bravure sciupate; ma soprattutto quanta
moralità distrutta in nome del dio denaro. Da tutto ciò non poteva che
nascere violenza a tutti i livelli, perché la spazzatura mediatica muove
gli istinti e atrofizza la ragione. Persino i comici sono violenti:
hanno fatto dell'insulto la sola unica arma per far ridere; usano le
parolacce perché sono a corto di argomenti; fanno pessime imitazioni di
personaggi famosi le cui imprese sono spesso quotate in borsa, arrecando
loro gravi danni economici; prendono in giro persino i capi delle
religioni (soprattutto le miti), cercando di dare così la spallata
finale a quel poco di freno rimasto alla folle corsa di questa società
occidentale verso il vuoto assoluto. Nessuno più si pone dei limiti. Per
la stragrande maggioranza degli occidentali, democrazia significa poter
fare tutto quello che passa non per il cervello, ma per i piedi. Che
pena! "Ah, se si potesse trasfondere nella massa un sentimento di
simpatia per tutto ciò che è umano, se si potesse accenderla, scuoterla
con la rappresentazione della felicità e dell'infelicità, della saggezza
e della follia e anche della stupidità e della stoltezza, se si potesse
imprimere un moto puro, libero, vivo alla sua anima intorpidita!" (Id.
pag.639). Grande, grande Goethe. Sagge parole. Se oggi uno dei pochi
saggi rimasti in circolazione dice più o meno le stesse cose (parliamo
di sua santità Benedetto XVI°), viene subito preso di mira dal primo
comico da strapazzo, e deriso. Ma cosa ha detto il Santo Padre
rifacendosi al pensiero di San Paolo? Ha detto che "Il cristianesimo è
aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle
civiltà" (Convegno ecclesiale di Verona); ha gridato il suo "No a forme
deboli e deviate d'amore e alle contraffazioni della libertà… ed "a
forme di unione che contribuirebbero a destabilizzare la famiglia". No,
tutto questo non piace, perché non sfascia nulla; non piace perché è
sensato e ragionevole. La rivoluzione deve essere totale deve
distruggere persino se stessa, e grazie a Dio lo sta facendo. Quando il
suicidio sarà compiuto, forse qualche anima brutta, prima di togliersi
definitivamente dai piedi di se stesso griderà, parafrasando l'assurdo
"Dio è morto" di Nietzsche, "l'uomo è morto". Hanno rappresentato per
mezzo delle arti quanto di più brutto, ignobile, piccolo è nella vita
dell'uomo, a fronte del sogno di Wilhelm Meister:" Rappresentare per
mezzo del teatro quanto di più bello, di nobile, e di grande è nella
vita dell'uomo" (pag. 639).
Questo
immenso amore che Wilhelm (e quindi Goethe) ha per il teatro nasce dalla
lettura delle opere di Shakespeare. Chi ha letto i capolavori immortali
del grande drammaturgo inglese non può che condividere la grande
impressione che esse produssero in Meister ed il tumulto che riuscirono
a provocare nella sua anima: "Non sono poemi! Abbiamo l'impressione di
trovarci aperti davanti gli immensi libri del destino in cui spira il
vento tempestoso della vita più agitata che rapidamente e con violenza
li sfoglia qua e là. La sua forza e la sua delicatezza, il suo impeto e
la sua tranquillità mi stupiscono e mi sconvolgono…" (pag. 681).
I discorsi che nel Meister Goethe fa sul teatro sono numerosi ed
interessanti. Noi non possiamo certo ricopiare per voi tutto il
Noviziato. Non ci rimane che invitarvi a leggerlo. Diciamo solo che,
prima di mettere in scena con la sua compagnia l' Amleto shakespeariano,
Wilhelm analizza la figura del principe di Danimarca come meglio non
potevano fare Jung o Freud. Anzi nessuno ci vieta di pensare che
entrambi, soprattutto il primo, abbia molto attinto al suo pensiero.
Questa è davvero arte, vera arte e vera cultura. Oggi sentiamo spesso
dire "la cultura sta tutta di qua" oppure "la cultura sta tutta di là",
ma dobbiamo amaramente ammettere che tranne poche eccezioni la cultura e
l'arte sono rimaste nei classici del pensiero: Parmenide, Eraclito,
Platone, Aristotele,Plotino, Agostino, Tommaso, Spinoza, Schelling,
Pascal, Shakespeare, Dante, Omero, Jung, e davvero pochi altri. Tutti
geni del bene, del bello, del giusto, del santo; tutte menti
costruttive; tutti figli della serietà. Ed aveva certamente ragione
Goethe quando faceva dire allo zio del novizio: "In verità, nulla nel
mondo è possibile senza la serietà" (pag. 789).
Oggi non è che la serietà sia poca, essa è inesistente o tuttalpiù
clandestina: se esce dalla clandestinità viene subito ricacciata
nell'ombra dal folle chiasso nichilista che ormai è quasi legge.
Come potrete constatare, nei nostri saggi, come dei Don Chisciotte,
combattiamo contro questa folla immensa di pale ruotanti che purtroppo
non sono di mulini a vento: i nientisti hanno messo in moto turbine
potenti come buchi neri che tutto divorano. Il nostro invito è quello di
seguire il filo d'Arianna della ragione e, perché no, nella fede nel Dio
di qualunque religione degna di questo nome, al fine di sfuggire a
questi gorghi mortali e annichilenti. Attraverso lo studio di "anime
belle" (per dirla con parola di Goethe) cerchiamo di stare alla larga da
questi segnali di smarrimento.
Trascuriamo di parlare della fase finale (la più bella ed imprevedibile)
per avvicinare quei pochi lettori di questo breve saggio ad una lettura
positiva, quella del Noviziato di Wilhelm Meister.
Grazie, Natale
Missale. |