Holderlin: il poeta dilagante

 

"Piace alla folla ciò che dà il mercato / lo schiavo onora solo chi ha il potere. / E crede nel divino / solo chi è nel divino" (Friedrich Holderlin - Le liriche - editori Fabbri, pag. 131, da "Consenso umano").

 

Avevamo pensato di intitolare questo breve saggio "il poeta lacerato", oppure "il poeta della Natura", o ancora "il poeta filosofo", "il poeta musicante", "il poeta del divino", "il poeta testimone" ed in mille altri modi, perché Holderlin è tutto questo: lacerato, perché pur sentendosi dello spirito è costretto a vivere nella materia (E anche i poeti / che sono dello spirito / debbono essere del mondo (da "l'Unico" - op. cit. pag. 437); "della Natura" e "del divino" , perché s'espande nei boschi, nei monti, nei cieli come un fiume in piena, come fa Dio con la Vita; "testimone" perché rappresentante di-vino:"I poeti sono vasi sacri / dove si serba il vino della vita" (da "Buonaparte - pag. 119 op.cit.); "filosofo", perché la poesia, la sua poesia, attraverso il "canto" veicola la Verità, facendosi filo melodioso, "sentimento cosmico" che unisce nel Tutto tutte le misere individualità. E questo Tutto Divino altri non è che Natura, e quindi diciamo con Karl Lowith (cfr. Saggi su Heidegger - Se ediz. Pag. 96) che Holderlin canta "l'avvento della natura come sacro".
Dopo questo sguardo panoramico cerchiamo di fare conoscenza con Friedrich. Egli viene al mondo in un periodo in cui la "mente" della Germania è in fermento. Respira la stessa aria di Hegel, Schelling, Fichte, Goethe, Schiller, Beethoven, Gluck, Mozart e tanti altri poderosi pensatori e artisti. A soli due anni rimane orfano di padre, ed a nove orfano del patrigno. A diciotto anni entra nello stift (collegio teologico) di Tubinga dove si lega in amicizia con Hegel e Schelling. A ventisei anni lavora come precettore presso la famiglia del banchiere Gontard, della cui moglie, Susette Gontard, si innamorerà.  Il personaggio di Diotima, frequente nelle sue opere, sarà la trasfigurazione di essa.
Diotima, come tutti sanno, e quel personaggio femminile che Socrate introduce nel Simposio come colei che in tempi passati aveva svelato allo stesso filosofo i misteri di Eros. Diotima, sacerdotessa e indovina di Mantinea,
  gli aveva svelato che Amore è un Demone e che suo compito è di recare agli dei le preghiere e i sacrifici degli uomini, e di recare agli uomini i voleri degli dei ed i premi per i sacrifici. Sacerdozio, iniziazione, magia, divinazione, passano attraverso Eros. Insomma, un intermediario fra uomo e dei. Susette -Diotima  è dunque colei che fa "conoscere" il mistero dell'Amore a Holderlin.
L'amore di Friedrich è platonico, ma non passano dieci anni dall'iniziazione platonica ad esso che la mente di Holderlin si ottenebra. E' perciò
  che Friedrich nel 1805 verrà affidato al falegname Zimmer di Tubinga presso cui rimarrà fino alla morte sopravvenuta nel 1843.
Ma è venuta l'ora di dare uno sguardo alla sua poesia, definita da Hermann Hesse "stupenda…per quel personalissimo flusso sotterraneo di musica, di mistero ritmico e sonoro" (F. Holderlin - Poesie a cura di Giorgio Vigolo - Mondadori ed. '71, pag. LII). Però dobbiamo tener presente che noi ci occuperemo di una traduzione e che pertanto gran parte di quella musicalità e di quel ritmo andranno perduti.
Friedrich scopre presto, molto presto, che la sofferenza
  è il sacrificio richiesto, il lasciapassare per l'amore e la gloria. In una poesia della prima giovinezza (Allora, ora) racconta tutto questo dopo avere ricordato che la morte del padre e del patrigno avvenute in tenera età lo privarono di ogni difesa: perì la mia difesa, dirà e lamenterà che le sofferenze fossero cominciate troppo presto: cominciò la buferà così per tempo?, chiederà alla tuttavia giusta Provvidenza. Ma ecco che il paradiso perduto, quello dei giorni felici di giochi e di vita campagnola, gli si fa incontro: Ti vedo nuovamente - meraviglioso istante: ed ecco che si rivede mentre foraggia le galline, mentre pianta cavoli o garofani lieto di primavera, di raccolto, di brulicante autunno, mentre per il bosco ricerca i fiori di maggio, mentre si rivive rotolante nel fieno profumato. Ma poi si risveglia e rimanda se stesso nella cella del suo dolore e del suo pianto e si canta: era sete il tuo pianto: per l'amore e la gloria.  E qui, romanticamente e leopardianamente, affida a Dio il suo passato: Addio, ore d'oro d'un passato tempo, / sogni infantili di grandezza e fama; / addio, addio, compagni dei miei giochi: / piangete su di me, sul disprezzato.  E adesso ci pare il momento giusto per sottolineare come Holderlin possa anche essere considerato un romantico: egli si struggerà per questi perduti paradisi che lo faranno evadere dal qui e ora, da un presente reale che vale meno di un lontano ideale. Ma la sua fuga dalla realtà avviene spesso all'interno della realtà stessa, ove, tuffandosi e annichilendosi, coglie il sapore del Tutto, che, trasfigurato in versi, veicola Se Stesso e questo straripamento d'anima: l'individualità è cessata, l'io sono diventa Essere. E' questo che ha affascinato Heidegger: l' Essere come poesia. E vogliamo sottolineare questo momento filosofico-poetico riportando le splendide parole di Giorgio Vigolo che poco prima della conclusione della sua perfetta introduzione a Holderlin nella sopra citata opera così dice: " … La poesia di Holderlin in alcuni suoi passi comunica uno stato di grazia, di illuminazione, di veggenza, di purezza come i più alti testi mistici…poche voci poetiche come quella di Holderlin sanno riempire l'intervallo delle epoche  nella morte degli ideali, nell'assenza del divino, nel perduto contatto con la Natura.  Allora, in quella pausa della vita, in quel profondo della notte, egli attinge ogni volta, con candore e venerazione senza pari  il principio stesso e l'origine dell'attività spirituale nel suo assoluto scaturire come poesia; nel momento cioè,  in cui il divino albeggia nell'anima come ineffabile crepuscolo, e aderisce con una presenza immediata e assoluta al germoglio della parola, premendo su di essa con le forze dell'infinito" (Pag. CIII op. cit.). Sembrano parole esagerate, quelle del Vigolo, ma non lo sono, ed ecco perché: "Ma è terribile come qua e là / all'infinito ha disperso la vita, Dio" (Patmo - pag. 223, op. cit.), oppure: "Molta ho veduto bellezza: e cantato del Dio / l'immagine che vive / fra gli uomini" (l' Unico - pag. 213, id.), o ancora: "… Prima ancora che la madre: nelle braccia mi prendesse e mi nutrisse al suo seno / Tu già mi reggevi teneramente e un filtro celeste, / col sacro alito mi versavi nel germogliante petto / … / Urge e trabocca fuori della tua eterna pienezza / l'animante aura per le vene di tutta la vita" (Da All'Etere, pag. 17 op. cit.).
Ha ragione Stefan Zweig quando dice che  Holderlin solleva le parole in alte sfere grazie alla forza del suo entusiasmo e che esse hanno un "peso specifico diverso da quello che hanno nel nostro mondo". Si chiama poesia, caro Stefan, poesia vera, quella che nasce da vero amore. Friedrich amava  talmente la Natura che non ha potuto fare a meno di unirsi ad essa in estasi amorosa, e la sua poesia è  figlia di tale unione estatica. Ma tale amore era fortissimo, e vorticando come un uragano ha strappato la mente di questo grande poeta, che, senza ormai più anima perché interamente versata nella sua opera poetica, e senza ragione perché prosciugata dai venti dell'amore, si è ridotto a puro guscio vuoto: un corpo, una macchina che andava a… folle. Quel povero matto non era più Holderlin, ma una casa vuota in cui lui aveva abitato in quanto Essere e da cui la sua poesia l'aveva sfrattato. Conosciuta la Verità, non rimane che seguirla, e così ha fatto il nostro lirico: si è dato interamente ad essa allorché le si è presentata come poesia, ossia in quanto manifestazione dell'Essere, quell'Essere che ha ossessionato Heidegger per tutta la vita senza che si sia mai fatto afferrare da lui nonostante le innumerovoli pagine dedicategli. E qui ha piena giustificazione il "poeta filosofo" : Friedrich, come bene sintetizza Vigolo, "ha vissuto l'esperienza filosofica e metafisica come condizione dell'astratto e come metodo per giungere a riconoscere l'essenziale identità dello Spirito nel fuoco poetico" (pag. LX op. cit.). " Il linguaggio è la casa dell'essere" dice Heidegger nella sua Lettera sull '  "umanismo" (Pag. 31 ediz. Adelphi) aggiungendo "Nella sua dimora abita l'uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora".  Questo filosofo pensava certamente a Friedrich Holderlin quando scriveva queste cose, e quando il nostro poeta affermava che il divenire è la lingua degli dei, aveva già suggerito ad Heidegger il titolo della sua più importante opera: Essere e tempo, ossia Essere e divenire. Ma non solo: "Esaurienti prove storiche hanno ormai dimostrato in modo indubbio che Holderlin fu l'ispiratore, il propulsore, il suscitatore entusiastico dell'idealismo" (Vigolo). Detto tutto quanto sopra è facile capire come la poesia di Friedrich stia oltre la filosofia: l'io poetico divinizzato autorizza tale supremazia. Quello stesso io poetico che vedeva nel fluire di ogni cosa un ritorno all'Uno.  E qui viene in mente l'Eraclito del frammento 94 "Per i risvegliati c'è un cosmo unico e comune, ma ciascuno dei dormienti si involge in un mondo proprio" (Eraclito dell'origine - Feltrinelli, pag. 159). Quando l'intuizione intelletuale si fa poesia accesa dal fuoco dello spirito, l'Universale vien visto come Essere nel tempo: ogni cosa diventa soggetto dell'Essere, la Natura si ricompone in essenza nel Tutto. L'immanenza di tale Essere viene offerta così non più dalle mille chiacchiere stancanti della filosofia, ma dalla titanica poesia holderliniana. Con buona pace di Heidegger e dei mille suoi seguaci. All'Essere Friedrich vi giunge attraverso la poesia perché questa è un ponte lanciato dallo stesso Essere verso il poeta. E "mentre la filosofia - dice Holderlin - si vale sempre di una sola facoltà dell'anima… la logica, la poesia invece si vale delle diverse facoltà dell'uomo… Il nesso delle parti indipendenti delle diverse facoltà può essere denominato Ritmo nel più alto senso" (Citato da Vigolo, pag. LXX). Quindi possiamo riassumere: la poesia incorpora la filosofia; l' Essere sta a fondamento della poesia; per cui la poesia è emanata dall'Essere, è scintilla di Esso. Heidegger dirà nella piccola importantissima opera sopra citata: "Il pensiero…si lascia reclamare dall'essere per dire la verità dell'essere" (pag. 32). Oppure: "Il pensiero, detto semplicemente, è il pensiero dell'essere" (pag. 35). Ma il furore poetico di Holderlin parla chiaramente di un contatto dell'Essere, mentre il calore compositivo nel pensiero di Heidegger è dato da una febbre che non può certo essere paragonata a quella del mistico. E l'onestà intellettuale del filosofo lo porterà a dichiarare che in Essere e tempo (a suo dire solo nella prima parte) l'essere non è riuscito a manifestare il suo pensiero attraverso di lui in modo chiaro. Il linguaggio è sì, per Heidegger "avvento dell'essere", ma solo perché intuisce la verità cui è giunto Holderlin attraverso la poesia come linguaggio dell'Essere. E non è per capriccio se l'essere cui si riferisce Heidegger lo scriviamo minuscolo, mentre quello cui si rifersice Friedrich lo scriviamo maiuscolo: per il primo l'uomo è il pastore dell'essere, per il secondo l'Essere è l'Uno: "penseremmo il nulla - dice Friedrich in un abbozzo di prefazione a 'Iperione' - se per mezzo di quella infinita unificazione, quell'essere nell'unico senso della parola non esistesse" (citato dal Vigolo, pag. LXXI).  Negli aforismi di estetica Holderlin parlerà di un' intima profondità contemplativa che deve sostituire lo slancio dell'enfasi nel poeta. Sarà proprio tale profondità contemplativa a dare all'opera poetica  un tono dominante. Noi crediamo che Heidegger, di cui ci proponiamo di approfondire le opere e a cui pensiamo di dedicare anche qualche saggio, non abbia raggiunto tale profondità contemplativa. La poesia di Holderlin è serena e nello stesso tempo altissima perché crediamo  che il poeta abbia trovato il modo di essere l' essere, o se vogliamo: perché l' Essere ha trovato il giusto canale per fare affluire a Sé l'individualità di Friedrich, che in un aforisma aveva detto: "Si ha l'eterna serenità, si ha la gioia del dio, quando si pone il singolo nel posto che gli spetta nell'intiero".
Ma aldilà della filosofia, del profondo pensiero, dell'ispirazione folgorante, non possiamo non notare in Holderlin una tremenda solitudine ed una mancanza di affetti che lo porta dritto in braccio a madre natura, la vera buona madre che abbraccia il suo figlio con la bellezza di sé: "Ma tu, mia terra patria, abbracci in un riso di fiori / calda e lieta il tuo figlio…" (da il Viaggiatore). La madre di Friedrich non era stata certo amorevole con lui. Potendo disporre dell'eredità dei mariti morti, non dette mai a suo figlio l'indipendenza economica, ma lo tenne sempre sotto scacco inducendolo a fare quello che lei voleva, avviandolo per esempio alla carriera ecclesiastica. Ecco perché madre-Natura trasfigurata dalla sua poesia diventa il suo universo segreto: un fiore, un fiume, un monte non sono
  che abbracci della benigna madre. La Natura non è matrigna come per il Leopardi, essa è amata ed ama a sua volta, ma è anche rifugio dopo una fuga da un mondo in rovina: "E' troppa crudeltà intorno, e angoscia. / Tutto rovina e oscilla dove guardo. / Spesso come un ragazzo abbasso gli occhi / e cerco una caverna in cui salvarmi… (da Lo spirito del tempo). Questo, ovviamente, gli porterà una solitudine pesantissima: solitario mi trovo, come sempre, sotto il cielo - dirà nella stessa poesia. Ecco che la sua spina lo pungola e lo spinge sempre più in alto, lontano dagli umani affanni, e questo richiamo dell'Alto si fa potente: "Con troppa forza mi chiamate a voi, / vette del cielo. Alla tempesta, al chiaro / giorno, vi sento, alterne, divoranti, / mutevoli potenze degli Dei (da Il mio regno - la sottolineatura è nostra). E così, piano piano, la sua individualità verrà divorata da tali potenze. La poesia sarà il suo rifugio amico, e quando attraverso di essa spiccherà il volo, pronto per essere divorato, lascerà il suo corpo al buon Zimmer, falegname di Tubinga, che per dieci anni lo accudirà nella sua casa, nella stanza circolare della "torre", lasciando che dopo la sua morte,  si occupasse di lui la sua figliola Lotte per ben altri 26 lunghi anni. Il dialogo umano nel mondo non gli bastava più: voleva che gli uomini si esprimessero col canto. La sua poesia doveva aprire la strada all'avvento di esso, e aperto il sentiero poteva farsi da parte. Ma la sua follia, certa e indubitabile, a volte ci ricorda quella dell' Enrico IV di Pirandello: una pazzia dapprima vera e poi solo recitata fino alla tragedia finale."Molto ha vissuto l'uomo dal mattino, / da quando siamo dialogo : e udiamo l'uno dell'altro; / ma presto saremo canto" (da Festa di pace - pag. 401 op. cit.).
Nei giorni della follia Holderlin ripudierà il suo nome. A volte si firmerà, nelle ultime liriche,
Scardanelli, altre volte parlerà di se come del bibliotecario. Col suo manierismo scoraggerà tutti i numerosi visitatori che, diventato mito, venivano a trovarlo alla "torre", quasi che volesse dare attuazione a quanto aveva fatto dire ad Empedocle nella Morte di Empedocle: "Giorno per giorno dovrei assistere al ballo macabro in cui vi rincorrete l'un l'altro, in cui vi scimmiottate senza posa, inquieti, vagabondi, come ombre di sepolti?" (da La morte di Empedocle - a cura diDiego Fusaro -
www.filosofico.net/mortempe.htm  ); oppure: "per tempo deve congedarsi colui dalla cui bocca lo spirito ha parlato… lasciate che gli spiriti liberi, al tempo stabilito e con amore, agli dei si sacrifichino, prima che in prepotenza e superbia e vergogna si spengano" (id.). Ma mentre ad Empedocle il padre Etna porge il calice di fuoco, colmo fino all'orlo di spirito,  Madre-Natura porge a Holderlin l'amara bevanda della follia perché tagli finalmente ogni relazione con un mondo in cui non può che essere oramai estraneo.
Spesso eminenti psichiatri si sono occupati della follia di Friedrich. L'hanno catalogata schizofrenia catatonica, ma hanno anche considerato la sua arte come frutto di malattia mentale. E' come dire che Nietzsche non può essere considerato filosofo e poeta, perché la sua filosofia e la sua poesia sono frutto di patologia. La grandezza spesso sgomenta, ed ha ragione Friedrich Holderlin quando fa dire a Empedocle: "La natura pietosa priva della vergogna il malvagio, affinché la paura della grandezza non l'uccida.   

 Grazie, Natale Missale



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