Memorie dal sottosuolo
Dostoevskij
Ognuno di noi ha un sottosuolo che ospita la
parte malata della propria anima. Ognuno di noi ha registrate nella
mente memorie dal sottosuolo. Pochissimi di noi, però, sentono la
necessità di sbattere in faccia al mondo intero la propria spazzatura.
Prenderne atto, sì; sparpagliarla sui marciapiedi del mondo attraverso
l'opera d'arte, no. Conoscere il proprio lato oscuro è un dovere: ci
eviterà di proiettare tutti i nostri difetti sugli altri. Creare con la
nostra immaginazione dei personaggi capaci di incarnare la nostra ombra
e darli in pasto a gente fragile mentalmente è tanto pericoloso quanto
non voler conoscere il proprio lato oscuro.
Durante gli anni di prigionia in
Siberia Dostoevskij di angherie, violenze, prepotenze, vessazioni,
costrizioni, abusi, ecc.,
ne dovette subire tanti.
Queste memorie sembrano quelle tipiche di chi, avendo a lungo sopportato
cose di ogni genere senza potere reagire; avendo coltivato dentro
l'animo odi spaventosi per tutti i prepotenti; avendo conosciuto
un'umanità sadica e priva di ogni briciolo di cuore e di mente; avendo
conosciuto tutto questo, esplode letteralmente, dando vita a personaggi
su cui, come capri espiatori, verrà riversato tutto l'odio, il rancore,
il disprezzo, il disgusto accumulati in anni di internamento.
Quest'opera letteraria deve
essere vista in questa ottica. Solo così potrà essere accettata, perché
se no riuscirebbe di difficile comprensione il fatto che una persona che
ha conosciuto se stessa possa compiacersi dei propri difetti e del
proprio male senza nulla tentare per arginarlo. L'anonimo protagonista
di queste memorie sembra essere un topo di fogna che, lasciato
l'ambiente fetido e buio in cui ha vissuto fino a quel momento,
nonostante abbia visto la luce, la possibilità di scrollarsi di dosso
ogni negatività, preferisce ritornare nel sottosuolo.
Certo la vicenda può essere anche letta come metafora di una mente che
scopre di essere malata, di un cuore
che da solo non potrà mai
sconfiggere tale patologia, di un corpo (il servitore Apollon) che serve
poco e male i suoi due superiori (cuore e mente), di una saggezza (Lisa)
che si è prostituita e che sta per riprendere il suo posto di "comando"
nella persona, ma che non può essere più accettata perché ha mercificato
bellezza
e
purezza.
Non può certo sfuggire come l'opera letteraria, il
discorso narrativo, le parole che svelano le nefandezze del sottosuolo
siano fragili, nervose, vuote di spirito. L'anonimo narratore
ne è privo. Dostoevskij, da
quel geniale scrittore che è, riesce a creare un uomo-discorso: il vero
volto dell'anonimo è fatto di parole che ora degradano, ora offendono,
ora odiano, mortificano, disprezzano, invidiano, ecc.
Ma la dinamica creativa di questo uomo-discorso non è molto diversa da
quella con la quale ognuno di noi dà vita al proprio
personaggio del momento. Quell'anonimo io narrativo che proprio
all'inizio del racconto si presenta: "Sono
un uomo malato… Sono un uomo cattivo"-
potrebbe benissimo essere uno dei tanti personaggi
cui diamo vita in un giorno qualunque della nostra esistenza. Essendo
dotati di libero arbitrio possiamo spingere la nostra immaginazione in
ogni direzione possibile: se siamo malati, verso la malattia, se siamo
sani, verso la salute, Ed ecco nascere, da una parte l'automobilista
prepotente e indisciplinato, l'amico ingrato e traditore, la moglie
infedele e spendacciona, ecc; dall'altra l'impiegato coscienzioso, la
moglie fedele e risparmiatrice, il marito affettuoso e fedele,
l'automobilista rispettoso delle regole, ecc.
E
siamo noi stessi che possiamo creare, a seconda del momento, ora un
personaggio positivo, ora un altro negativo, perché sappiamo benissimo
che il bene e il male in noi sono presenti entrambi e che col nostro
libero arbitrio possiamo scegliere ora l'uno ora l'altro.
Sono un uomo malato
esordisce il narratore delle
memorie dal sottosuolo,
ed aggiunge
sono
un uomo cattivo. Come
dire: sono cattivo a causa della mia malattia. Forse è il fegato che è
malato, ma di curarsi - è lui ad affermarlo - non ha la minima voglia.
Poi incalza:
sono
anche
superstizioso all'estremo…
sono abbastanza istruito
per non essere superstizioso, ma sono superstizioso.
Il personaggio è delineato: è uno che ama farsi del male, che va contro
la logica e la ragione, che aborre il buon senso, è un trasgressivo e
cattivo per libera scelta, e le cattiverie le dirige innanzitutto verso
se stesso, perché spesso imbocca dei vicoli ciechi da cui sa bene che
uscirà con umiliazioni Se la sua cattiveria dipende da una malattia,
perché non curarsi? Perché non ha il minimo rispetto di se stesso e
degli altri? Qualche risposta se la dà:
"Ma
può forse, può forse rispettarsi seppure un po' chi perfino nel
sentimento stesso della propria umiliazione è giunto a trovare
godimento?"
(Dostoevskij - I capolavori:
Memorie dal sottosuolo
- Ediz. Newton, pag. 72). Ci ricorda tanto quel cantautore che in una
sua canzonetta si augurava una vita spericolata, maleducata e piena di
guai. Ognuno è libero di fare come crede. Ma in queste
memorie non vediamo
solo uno scrittore alle prese con un suo personaggio inquietante o un
pensatore che prima di Freud ha dato un'occhiata approfondita nei
meandri dell' Inconscio. Qui noi vediamo anche un uomo che cerca di
descrivere le dinamiche del
vizio. Il narratore di
queste
memorie
è un vizioso. Cerchiamo di spiegarci meglio. Il
vocabolario Devoto-Oli ci informa che
vizio
in una prima accezione è
pratica del male, intesa soprattutto come abituale incapacità del bene,
e che in una seconda
accezione è
abitudine radicata che provoca
nell'individuo il bisogno morboso di quanto per lui è o può essere
nocivo.
Dostoevskij
conosce bene la dinamica del vizio, perché lui è stato un accanito
giocatore. A questo proposito sarebbe interessante accostare le
Memorie dal sottosuolo
a
Il
giocatore, ma la
brevità del nostro
saggio
non ci consente di allargarci tanto. Cerchiamo dunque di conoscere
ancora più a fondo l'anonimo narratore di tali memorie. Egli gode quando
può amareggiare qualcuno.
La camera in cui vive
è schifosa, orrenda.
La sua domestica campagnola
manda sempre cattivo odore.
E' convinto che
non
solo un eccesso di coscienza, ma perfino qualunque coscienza è una
malattia. Egli è
convinto che quanto più uno ha coscienza del bene, del bello e del
sublime, tanto più è costretto a sprofondare nel fango. E' suscettibile
e ipocondriaco. E' capace di covare una vendetta o un odio per
quarant'anni.
Ma chi è l'uomo del
sottosuolo? Dostoevskij
ne dà
un'immagine precisa proprio all'inizio delle sue
Memorie: è l'uomo dalla
coscienza ipertrofica, un topo. Se un uomo così viene offeso, anche lui
vuol vendicarsi, come un uomo normale, ma poiché
intorno a lui si raccoglie una sorta di
broda fatale, una sorta di fanghiglia fetente consistente nei suoi
dubbi, nelle sue inquietudini… non gli resta che mandare tutto a quel
paese con la zampina e con uno studiato sorriso di disprezzo, al quale
lui stesso non crede, strisciare vergognosamente nella sua fessuretta.
Là, nel suo schifoso,
fetente sottosuolo, il
nostro topo offeso, battuto e deriso,
affonderà velocemente in
una fredda, velenosa e, soprattutto,
eterna rabbia… Sul letto di
morte ricorderà ancora tutto.
Purtroppo non possiamo neanche approfondire l'aspetto psicologico delle
Memorie.
Che Dostoevskij
sia un formidabile
anticipatore di Freud, non ci piove. Basta leggere questo romanzo per
rendersene conto. Egli sottopone il suo anonimo narratore e quindi se
stesso ad una sorta di autoanalisi spietata. Ciò che eprima di lui
veniva fatto nelle scuole di misticismo (la conoscenza della propria
parte ombrosa) attraverso la guida di maestri spirituali, viene qui
fatto da un laico, che senza alcun senso di colpa scava nella propria
interiorità oscura. Dostoevskij
scopre che dentro di noi
c'è una forza misteriosa che può costringere a determinate azioni
cattive, immorali, contro ogni monito della ragione. E a tal proposito
arriva ad affermare che l'uomo altro non è che un tasto di pianoforte,
perché non ha alcuna volontà. Le cose si compiono non per volontà
dell'uomo ma da sé, secondo leggi della natura.
Un
giorno, dice, la scienza scoprirà tutto ciò e
tutte
le azioni umane saranno enumerate matematicamente… tutto sarà enumerato
e segnato tanto esattamente, che al mondo non ci saranno più né azioni,
né avventure.
(Pag.
77 op. cit.). Non pare anche a voi che qui sia prefigurato quanto oggi
la scienza asserisce, e cioè che nei nostri geni, nel nostro DNA è tutto
scritto?
Noi non siamo contro la
scienza, sarebbe sciocco. Chissà, forse un giorno essa stessa scoprirà
che oltre il fisico vi è un meta-fisico che qualcosina conta: roba come
anima, spirito, DIO.
Ma
qui alle persone di buon senso, quelle che conoscono la loro ombra ma
che non la lasciano scorazzare in lungo e largo, né la sbattono in
faccia al mondo intero, deve scattare una perplessità e devono
chiedersi: ma se tutto è pre-determinato e pre-stabilito, vuol dire che
ognuno facendo quel che gli pare e piace fa solo il proprio sacrosanto
dovere? Ovviamente la risposta dovrebbe essere
no
per una semplice
considerazione: non è forse quello che vorrebbero quei molti studiosi
della psiche i quali imputano ogni nefandezza ed ogni reato a malattia
psichica o all'ambiente?
La
colpa è sempre di qualche malattia o dell'ambiente, mai dell'individuo.
Questi non ha colpe, non ha arbitrio, non ha volontà. Adesso ci si
mettono anche i biologi: è colpa di un determinato gene se uno ecc… Non
più l'uomo discendente dall'animale, ma l'uomo macchina, computer già
programmato fin nei più minuti dettagli. Noi crediamo che Dostoevskij si
faccia una grande e sonora risata in cuor suo quando fa dire al suo
anonimo narratore nelle
Memorie a proposito del
libero arbitrio: "Se
un giorno, per esempio, mi calcoleranno e mi dimostreranno
che,
se io ho fatto un gestaccio a qualcuno, è stato solo perché non potevo
fare diverasamente e che dovevo effettivamente fare un gestaccio, allora
cosa rimarrà a quel punto in me di
libero,
in particolare se sono un dotto e ho terminato da qualche parte un corso
di scienze?". Ci
siamo quasi arrivati, purtroppo. Molta gente oggi è diventata fatalista
supportata da alcune teorie scientifiche. La responsabilità soggettiva
non esiste più: la colpa di qualcosa è sempre della società. Non è
questo un invito rivolto a tutti coloro che vogliono fare sempre ciò che
gli frulla in testa? Non si sta dicendo loro: fate quello che vi pare,
tanto la colpa non sarà vostra ma della società?
Dostoevskij
fa
dire al suo anti-eroe delle
memorie
che
la ragione soddisfa solo le qualità razionali dell'uomo mentre la
volontà è la manifestazione della vita intera e che pertanto "io
voglio vivere in modo del tutto naturale per soddisfare tutta la mia
capacità di vivere, e non per soddisfare solo le mie qualità razionali,
cioè all'incirca una ventesima parte di tutta la mia capacità di
vivere". Beh, se far
del male è
vivere,
meglio crepare.
A volte gli
scrittori si lasciano andare, la penna…sfugge loro di mano e vanno al
cento per cento. Ma dopo, rileggono bene ciò che hanno scritto? Valutano
a pieno le conseguenze cui possono condurre i loro pensieri sciolti e
totali? Hanno considerato che, fiondati da un'arte poderosa, tali
pensieri possono far diventare eroe un anti-eroe ? E' vero, come dice il
nostro scrittore, che l'uomo è idiota, eh, sì siamo idioti,
e
frasi come questa: "Io
sto dalla parte del mio capriccio e perché mi sia garantito quanto
serve" - possono essere
da noi idioti prese per grandi verità.
Ma come idioti possiamo tuttavia tenere a
mente una cosa talmente semplice che anche uno di cervello limitato può
capirla: nel sottosuolo non c'è luce e chi parla da là sotto è un cieco.
Tutti abbiamo un sottosuolo, ma
tutti abbiamo anche terrazze illuminate. Perché parlare solo del buio e
mai della luce? Perché dare tanta importanza alla spazzatura e così poca
a tutto il resto? Perché parlare solo di ombre e mai di uomini?
Forse perché la cosiddetta
normalità non vende e non rende? Oppure perché quelli del sottosuolo
hanno deciso che il suolo è peggiore del sotto?
Ma sì, scendiamo pure da
basso qualche volta, però non costruiamoci camere fetide e schifose, non
attorniamoci di domestici puzzolenti, né
ecc.
ecc.
Nella prima parte delle Memorie il narratore senza nome e quindi
senz'anima spiega con precisione chirurgica la psiche del topo del
sottosuolo, e del suo anti-eroe riesce a farne un protagonista di
successo (tutto il mondo ha letto questo scritto). Nella seconda parte
comincia il racconto di avvenimenti, fatti di vita vissuti dall'uomo del
sottosuolo. Questi parla di vecchi compagni di scuola verso cui prova un
odio e una sete di rivincita smisurati; di come vuole partecipare ad un
pranzo di vecchi compagni di scuola anche se non invitato; di come viene
deriso, evitato, umiliato per i suoi comportamenti; di come li segue
persino in un bordello; di come sta per esplodere ma, da vero topo, con
i vecchi compagni non ci riesce; infine di come tale esplosione avviene
solo al cospetto di un essere più debole di lui ma solo in apparenza:
Lisa, una povera prostituta lo com-prende, capisce la sua solitudine, la
sua sofferenza, la sua meschinità persino, ed è disposta ad amarlo e a
lasciare la casa di malaffare perché da lui invitata a farlo. Ma lui ha
detto quelle cose sapendo di mentire, e dopo avere "rubato" l'amore di
Lisa, vergognosamente, la paga con cinque rubli. La ragazza lo abbandona
e scappa via lasciando, non vista,
l'azzurro biglietto della moneta sul tavolo. Questa seconda parte
descrive anche i rapporti odiosi che intercorrono fra il narratore e il
suo domestico Apollon. Essa si conclude con le parole dell'anonimo
spietato narratore che, portando fino in fondo la bandiera del
sottosuolo, ci ammonisce così: "Voi
(cioè tutti quelli che
pur essendo anche topi non vogliono esserlo esclusivamente e a tempo
pieno)
avete preso la vostra viltà per buonsenso,
e con ciò vi siente consolati
ingannando voi stessi. Cosicché io risulto perfino
più vivo di voi".
(Dostoevskij - Il romanzo del sottosuolo - a cura di Gianlorenzo Pacini
- Feltrinelli, pag. 322). Ancora qualche frase ed il racconto delle
memorie ha termine.
Un consiglio a tutti i topolini del sottosuolo:
di tanto in tanto uscite dal buco e andate in terrazza e respirate
l'aria fresca del giorno, ma soprattutto godetevi la luce. Troppo buio
fa male.
Grazie, Natale Missale
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