Tagore
l'Everest della poesia

 

Il muro si fende, la luce entro vi rompe come riso divino,

Vittoria, o Luce!

Il cuor della notte è trafitto!

Taglia in due, con la spada fiammeggiante,

il groviglio di dubbi e di falsi desideri!

Vittoria!

Vieni o Implacabile!

Vieni, tu terribile nel tuo candore.

O Luce, il tuo tamburo rulla al ritmo

Del fuoco,

la fiaccola rosseggiante è tenuta alta;

la morte muore nell'impeto dello splendore!

(Tagore - Fruit-gathering - traduz. Ed. Taglialatela-ed. Medita)

 

Rabindranath Tagore, il più giovane di 14 fratelli, nasce a Calcutta Il 6 Maggio del 1861 da famiglia aristocratica. Il Padre Deventranath, mistico e capo religioso, dà al figlio una profonda educazione spirituale. A 13 anni muore la madre. Prestissimo comincia a comporre versi e musica. A 17 anni si reca in Inghilterra (Londra, University College) dove rimane poco meno di due anni. Nel 1883 sposa Mrinalini Debi, che ha solo dieci anni, secondo le usanze indiane. Nel 1884  la cognata Kadambari Bevi muore suicida. Nel 1890 compie il 2° viaggio in Europa (Italia, Francia e Inghilterra). Il 25 Novembre del 1902 muore la moglie; nel 1904  muore la figlia, nel 1905  muore il padre, nel 1907 muore il figlio più giovane. Intanto ha già composto parecchie opere. 1912: terzo viaggio in Europa (Inghilterra), traduce in inglese Gitanjali (canti d'offerta) e grazie a Yeats viene conosciuto dalla cultura europea. Nel 1913 riceve il Nobel per la letteratura. Nel 1915 incontra Gandhi per la prima volta. 1916: ciclo di conferenze negli USA. Due anni dopo, conferenze in USA e Giappone. Fonda l'Università Vishva-Bharati inaugurata nel 1921 (per realizzarla impiega tutta la somma assegnatagli col Nobel). Nel '24 compie un viaggio intorno al mondo (Malesia, Cina, Giappone, Perù, Argentina, Italia). Lo stesso nel '26. Nel '32 visita in carcere Gandhi e sostiene la lotta di questi Nel '40 Gandhi incontra per l'ultima volta Tagore, e lo stesso anno l'Università di Oxford conferisce al poeta la laurea ad honorem. Il 7 Agosto del 1941, a ottant'anni, muore. Per tutta la sua vita ha prodotto opere di ogni genere: poesie, musiche, pitture, liriche, ecc..

      Per comprendere meglio questa grandissima anima poetica occorre dare uno sguardo all'anima di quella grande nazione che è l'India, culla della spiritualità di questa nostra terra. Per farlo ci serviamo dell'acuta osservazione che della sua patria fa lo stesso Tagore nel piccolo grande libro che è Sadhana (reale concezione della vita) - ed. Sarva. Il testo, che riassume "idee tratte dai discorsi in bengalese che sono solito fare agli studenti della mia scuola di Bolpur nel Bengala", consiste delle otto conferenze che il poeta tenne fra il 1912  e il 1913 alla Harvard University. Tagore divide questa sua opera in otto capitoli: La persona e l'universo, la coscienza dell'anima, il problema del male, il problema dell'io, la realizzazione dell'amore, la realizzazione del lavoro, la realizzazione della bellezza, la realizzazione dell'infinito   . Proprio nel capitolo primo - Relazione dell'individuo con l'universo - egli mette il dito nella piaga di tutte le civiltà occidentali che hanno stabilito nei loro popoli il principio del "divide et impera": ognuno ha eretto attorno a sé delle mura che rendono fortemente sospettosi tutti coloro che stanno aldilà di esse. Tagore stabilisce poi un parallelo fra  India e Occidente: la prima vive in armonia con la natura, il secondo ama soggiogarla. Se per un occidentale l'acqua serve solo a pulire il corpo, per un indiano purifica anche il cuore, perché egli riesce a creare con l'elemento un rapporto che va oltre l'esteriorità; "la terra non solo regge il suo corpo, ma gli allieta lo spirito, perché il contatto con essa è più che un contatto fisico, è una presenza vivente" (Pag. 16 op. cit.). L'indiano, ci dice Tagore, ricerca non già il potere di possesso, ma il potere di unione che porta a concepire, intuire l'Unità del mondo dovuta ad un Unico Eterno Spirito. L'indiano non dimentica mai il punto d'appoggio della natura universale che gli dà equilibrio, mentre l'occidentale lascia tale punto e cammina "sulla sola corda dell'umanità" e per questo è costretto a ricercare l'equilibrio ad ogni passo. Il primo ha pienezza d'esistenza; il secondo è vuoto e inconcludente, perché, come un'ape insensata, cerca di fare il miele senza andare per fiori e rimanendo solo con se stesso. Ed ecco che l'occidentale viene preso dalla frenesia e corre affannosamente appresso all'originalità ad ogni costo, ma le sue opere sono malate perché mancano di visione interiore e di connessione con l'Infinito. Insomma l'occidentale rincorre una finta verticalità egoica (ricchezze, potere, fama, prestigio), l'indiano rinuncia a queste false ricchezze per conseguirne una sola: la conoscenza di Lui in tutte le cose, perché, come dicono le Upanisad Ogni cosa è scaturita dalla Vita immortale e vibra con la vita, poiché laVita è immensa. Quindi l'Essere Supremo è onnipresente, ed è quindi il bene innato in tutte le cose.  E' così che l'indiano viene spinto da una tradizione millenaria alla conoscenza della propria anima, perché ciò costituisce il primo passo verso la liberazione suprema: l'unione con Dio: "Colui il cui spirito è arrivato all'unità con Dio, sta in mezzo agli uomini come il più sublime fiore dell'umanità" dice Tagore prima di concludere il discorso sul capitolo secondo dedicato alla "conoscenza dell'anima" (Id. pag. 45). Egli passa poi al capitolo successivo: "il problema del male". Una sua convinzione è che l'uomo non può veramente credere al male "come non può credere che le corde del violino siano state fatte espressamente per dare la squisita tortura della discordanza". Tagore sottolinea quindi come ci siano stati uomini che hanno sostenuto essere l'esistenza un male assoluto, ma non li prende nemmeno in considerazione perché ritiene il loro pessimismo "semplice cosa, sia intellettuale, sia sentimentale… il pessimismo, quasi una forma di dipsomania mentale, rifiuta il cibo sano per abbandonarsi alla inebriante bevanda dell'invettiva, e si crea un artificiale avvilimento che è sitibondo di sempre più tossiche bevande" (id. pagg. 54, 55). Per Tagore l'elemento positivo della natura umana è il Bene. Quando l'uomo comprende di essere molto più di quel che sembra comincia ad avere coscienza della sua natura morale e la sua visione della vita si trasforma: "la volontà prende in lui il posto dei desideri. Poiché la volontà è il desiderio supremo di una vita più grande" (pag. 56). Quella stessa volontà che moderni nichilisti falsi profeti vorrebbero cancellare con frasi ad effettto capaci solo di far sbocciare qualche spicciolo in tasca con la vendita di libri privi di ogni valore e volere. Questa sorta di a-poeti semina dissonanze perché oramai inebriata dal nulla nietzschiano a tal punto da non sapere più tirar fuori da sé un pizzico di bellezza. Ma i veri poeti son altri, "Un poeta è un vero poeta quando è capace di far sentire la bellezza di una sua idea agli altri uomini" (id. pag. 63) ci dice Tagore poco prima di conclure il capitolo sul male. E' così che il nostro spirito individuale rifiuta la felicità che lo Spirito Universale ci offre, ed è così che l'esistenza "ristretta al solo io genera conflitti e complicazioni dovunque, sconvolge l'equilibrio normale delle società, e dà origine a miserie d'ogni sorta. E infine le cose arrivano al punto che per mantenere l'ordinamento sociale, dobbiamo stabilire coercizioni artificiali, e forme organizzate di tirannide, e tollerare in mezzo a noi istituzioni infernali che disonorono l'umanità".

La volontà che l'io manifesta è apparenza della libertà. Dobbiamo vedere la muraglia che l'io costruisce attorno a sé come i due argini di un fiume che scende tranquillo verso l'oceano. Se allarghiamo a dismisura tali argini per costringere la Forza Universale nel nostro alveo andiamo incontro a sicura rovina. Anziché abbandonarsi alla bellezza di ogni cosa, l'uomo cerca solo di possedere le cose. Un fiore è come un ponte verso l'infinito che Dio appronta per noi. La sua bellezza è la bellezza di Dio, è amore. Ma l'ego guarda altrove.

Nel capitolo V dedicato alla "comprensione dell'amore", il nostro grande poeta, dicendo che "La verità finale è solo conseguita da chi arriva a conoscere che l'intero universo è una creazione della gioia", comincia a rivelarci una delle essenze della sua poesia: la gioia che riesce a vedere e sentire in ogni cosa del creato. Più avanti, quando cominceremo ad entrare nel suo mondo poetico, ci accorgeremo di come, nelle sue  poesie riesca a far sì che la natura si canti da sé. Se è vero, come è vero, che l'Essere Immortale si manifesta in forma di gioia, è facile capire come per Tagore tale gioia non sia altro che amore, e come essa, nel musicista prenda forma di melodia, e nel poeta prenda forma di poesia, e come infine tali melodie e poesie debbano venire tradotte in gioia dall'uditore. L'amore non è altro che "la splendida luce della conscienza pura che emana da Brahma" (id. pag. 107). Ma l'uomo è impegnato in tutt'altre faccende, e l'amore non viene nemmeno sfiorato; la gioia che si sprigiona dall'universo non viene neanche avvertita, ed il senso ultimo delle cose gli sfugge: è troppo impegnato a rincorrere i propri desideri e non s'accorge che essi sono la principale causa che impedisce la conoscenza di noi a noi stessi perché frena l'ampliarsi della nostra coscienza e produce il cosiddetto peccato, un muro che ci separa da Dio. E le civiltà vanno inesorabilmente al tramonto: "Il primo e l'ultimo quesito a cui una civiltà deve rispondere è questo: riconosce essa, e fino a qual punto, che l'uomo è uno spirito e non una semplice macchina? Ogni volta che un'antica civiltà è andata in decadenza e si è perduta, è dipeso da cause che avevano prodotto l'indurimento dei cuori e il dispregio degli esseri umani". Diciamo fra parentesi che, nel suo ultimo libro (L'ospite inquietante) il prof. Galimberti ripete quanto Tagore ci aveva detto qualche decennio fa. Adonai ( che vuol dire "il Signore") ha fatto di tutto  per "attirare a Sé il nostro cuore" tramite la bellezza del creato, ma l'uomo è distratto, e più che coglierla in un fiore pensa a ben altri raccolti. E c'è persino chi fa l'apologia del desiderio, come se ci volesse la mente di Einstein per capire che appena esaudito l'ultimo, di desideri ne nascono altri mille, e poi ancora mille, e poi… Tutto questo mentre la bellezza si perde nel nulla dei desideri: "v'è nel mondo una bellezza che non offfende mai la nostra libertà, e non compie mai neanche il più piccolo atto per farci riconoscere il suo dominio" (Id. pag. 117). E intanto noi allentiamo i freni, facciamo sì che regni capriccio e licenza, e perdiamo la libertà dell'anima. Sono in molti, secondo Tagore, a confondere la gioia con l'ebrezza. Ecco quindi che l' attività di tanti, che dovrebbe far sì che le loro anime mostrino qualche forma di bellezza, viene sprecata per piantare erbacce: "Quando un uomo, rompendo un tratto di terreno  nella giungla malsana, lo trasforma in un bel giardino, la bellezza che egli fa così sprigionare dallo squallore ov' era rinchiusa, non è che la bellezza stessa dell'anima sua".

Quanti giardini ha saputo ri-creare Tagore riproponendoci un qualche bell'aspetto della natura che al nostro occhio distratto, che al nostro cuore insensibile era sfuggito: ogni poesia è un bellissimo giardino: la bellezza straripa da ogni verso, da ogni canto, da ogni virgola, da ogni melodiosa e armoniosa frase. Mai dissonanze, mai esagerazioni, ma quanta potenza, quanto amore! Tutto questo mentre noi, distratti da altro, ci lasciamo sfuggire una bellezza sempre presente, ovunque godibile, dilagante da ogni essere e cosa. Il brutto è solo l'espressione pervertita della bellezza, non esiste in sé - ci dice Tagore - ed ha perfettamente ragione: esso è causa - dice ancora - della nostra imperfetta conoscenza del Vero. Ne sappiamo qualcosa noi occidentali, che abbiamo elevato il brutto a verità. Le nostre arti sono davvero pervertite (ovviamente fatte salve le dovute eccezioni, per fortuna) e si fa a gara a chi la spara più grossa. L'universo intero ci canta la sua bellezza manifestandoci il suo Creatore, e noi siamo sordi. La Sua gioia ci invita attraverso il bello delle cose, e noi siamo ciechi.

Vogliamo concludere questa breve introduzione aTagore, prima di godere dei suoi versi, riportando la preghiera che pone a conclusione del capitolo "la realizzazione del lavoro":"O Lavoratore dell'universo! Noi Ti preghiamo, irrompa la corrente irresistibile della Tua energia universale, come l'impetuoso vento del sud in primavera, e si getti sul vasto campo della vita umana, e vi apporti il profumo dei fiori, il mormorio dei boschi; e converta in un inno glorioso la mortale inerzia della nostra inaridita esistenza spirituale. Che le nostre vitali energie, novellamente ridestate, reclamino a gran voce una sovrabbondante produzione di foglie, di fiori e di frutti" (Id. pag. 135).

 

      Leggendo le poesie di Tagore si viene subito colti da qualcosa di positivo che raramente ormai si sente nella letteratura mondiale. La natura, quando oggi viene cantata e celebrata, rimane sempre sullo sfondo mentre il poeta, in primo piano, si abbandona ad un protagonismo che toglie ogni sale ai suoi versi. L'amore oggi non sa più cantarlo nessuno: il suo posto è stato preso dal sesso. Il vincolo fra due persone, il patto d'unione, non esiste più, perché l'ego di ognuno non vuole rinunciare alle proprie abitudini ed alle proprie preferenze. Il noi è riscontrabile solo nel branco, cioè nel gruppo che vede riunite le bestialità, le animalità dei singoli. I figli, quando per loro sfortuna nascono da coppie  unite nel nome della provvisorietà e della precarietà, vengono considerati come cose, ed al momento "giusto" vengono abbandonati a se stessi e al proprio destino. Nessun padre oggi potrebbe scrivere versi dedicati a un bambino come ha saputo fare Tagore, perché la figura del padre, il valore del padre, non esistono più, sono stati cancellati dalla furia nichilista: metti al mondo e fuggi, scappa per i fatti tuoi. Non sono nemmeno coerenti i signori del nulla: non dovrebbero mettere al mondo figli dal momento che la vita non ha senso per loro. Eppure lo fanno, e immaginate voi che razza di educazione può dare a suo figlio un individuo che non crede in Dio e reputa morti, col Padreterno, anche tutti i valori. I nostri ragazzi sono stati ridotti da tale genia a gusci d'uomini e grazie ad una tecnica che mira a governarli come robot stanno per varcare tutti la soglia dell'idiozia. Non sanno più ascoltare la natura e perciò vengono esclusi dalla gioia della vita vera: vagano, con la mente prigioniera, per realtà virtuali orribili e violente; nutrono i loro sentimenti di arti decomposte e fetide; seguono falsi guru che un tempo a mala pena potevano rivestire le vesti dello scemo del villaggio; si lasciano andare a sguaiate risate prodotte da ridicole, volgari, violente, sgradevoli battute di comici da strapazzo; rimangono chiusi nel proprio guscio anche in compagnia di un milione di loro simili; ecc. Vivere, per tali giovani, vuol dire ignorare la vita. Quello che un tempo era il campo dei fiori dell'umanità (la gioventù), oggi è un cimitero di fiori di carta; quelli che erano i germogli di fiori bellissimi, oggi sono erbacce urticanti. E non è vero che la colpa è solo di quei falsi maestri che hanno loro insegnato il nulla: la colpa è anche di tutti coloro che, nemici del nulla, non si sono uniti per combattere la marea nichilistica. Come? Facendo sentire la propria voce. Certo è difficile dialogare con chi crede d'essere depositario della verità ultima, con chi costruisce le proprie ragioni a suon di grida e insulti, con chi ha il sostegno di cultura e istituzioni prostituite al caos vantaggioso. Noi cerchiamo, riproponendo qualche verso di Tagore, di contrastare per quel che possiamo questo dilagare di assoluta inconsistenza, e invitiamo tutti i giovani che ci leggono a immergersi nella positività della poesia di questo grande poeta, affinché si ristabilisca il contatto col Divino, con la natura e con i valori.

     "La codardia del debole, l'arroganza del forte, la grassa ingordigia dell'opulento, il rancor dell'oppresso, l'orgoglio di razza, l'oltraggio all'uomo, hanno infranto la pace di Dio" (Tagore - Canti mistici - Melita editori, pag. 125). Questa melma di pessimismo, incomprensibile al buon senso, come nere nubi  ha oscurato le stelle ed ha quasi completamente coperto di fango le ultime dita che indicano il cielo. La notte è fitta, ma è fatta di chiacchiere folli: il sole risplende come sempre e la Vita si vive in ogni essere che crede di essere soltanto corpo. L'amore che muove il sole e le stelle  è sempre lì immanente. Ma non tutte le dita che indicano il cielo possono essere mozzati: Tagore ha puntato i suoi versi verso l'alto come dita di luce: essi come lampi improvvisi squarciano l'abisso virtuale creato dai figli di Nietzsche e indicano ciò che non può mai morire perché ha nome VITA. Dovremmo unirci in coro al nostro poeta quando canta: "Son franti i miei ceppi, soddisfatti i miei / debiti, la mia porta è stata aperta, io vo / per ogni dove. / Essi strisciano al bivio e tessono le loro / trame di pallide ore, essi contano le loro / monete seduti sull'arena e mi chiamano / indietro. / Ma io ho sguainato la spada, ho vestito / l'armatura; il mio destriero è impaziente / di lanciarsi. / Io guadagnerò il mio regno" (Id. pag. 109).

Finnalmente respiriamo un'aria più pulita. Ma non vi rendete conto che, quello proposto dai nichilisti, è un mondo virtuale? Vi hanno costretti a pensarla in un certo modo facendovi mettere gli occhiali di Netzsche; vi hanno sotratto le coscienze; hanno reso inoffensivo il vostro senso critico. Ma non vedete che il mondo in cui vivete è falso, virtuale? Non capite che, senza regole, il gran bel gioco della vita non è possibile giocarlo? Non sentite l'odore cattivo del marcio?

Senza amore non si va da nessuna parte. Ma non un amore superficiale come quello delle false unioni, delle false amicizie, dei falsi sentimenti di compassione, delle false adunate. L'amore vero rende liberi, felici, moderati, ottimisti, amanti dei valori. Respiriamone un po', entrando ancora di più nel mondo di Tagore. Amore per la natura: "La primavera festosa, che nella mia vita  tutta esultanza entrava un giorno con le ore colme d'innumerevoli rose, infiammando il cielo con baci vermigli delle novelle fronde d'ashoka, or s'accosta pian piano alla mia solitudine… e siede tacita al mio balcone, guardando attraverso i campi dove il verde della terra vanisce all'estremo pallore del cielo" (Op. cit. pag. 179). Nonostante il Nostro stia attraversando un momento difficilissimo per gravi lutti familiari, riesce ad essere carezzevole con tutto quanto lo circonda nella sua mai disperata solitudine. L'amore che egli ha sempre nutrito per il creato è intatto. Il suo canto si leva aldisopra di ogni pensiero: "Il mio pensiero è assente, perché io canto" dirà in un'altra poesia (Id. pag. 166).

Ma l'amore per la natura è manifestato in tantissimi versi. Se potessimo, li copieremmo tutti. Ma ci accontenteremo di qualche citazione: "Nel mio orto le farfalle battono le ali al sole, frusciano le fronde, i frutti invocano il loro rigoglio"  oppure "L'amor che sento per lei é la mia vita che fluttui al sommo, come fiume in piena autunnale, che scorra in sereno abbandono. I miei canti sono, una cosa sola con l'amor mio, quale murmure di ruscello che canti insieme con le sue onde e correnti"(Id. pag. 155). O ancora "Oh l'onde, l'onde che divorano il cielo, che scintillan di luce, che fremon danzanti di vita: l'onde turbinanti di gioia,  precipiti sempre" (Id. 105).

Che canti la "notte velata" il "fiore in germoglio", un "mattino che getta l'ancora sul confine d'oriente", una tempesta brontolante, un fulmine, un fiume, l'erba dei prati, un tramonto, il "mare avvelenato da cupo spavento"; che canti un barcaiolo, il manto tenero delle tenebre, il "bagliore d'un mattino" - qualunque cosa della natura canti, questo poeta riesce a trasmettere amore senza limiti. Un fodersi con essa ci viene porto su un vassoio di versi vivi, veri, altissimi.

     Ma Tagore non canta solo la natura, il creato, canta anche il Creatore, riuscendo a trasformare le sue poesie in Salmi. A tal proposito, non condividiamo quanto dice di lui Marino Rigon "Tagore non ha mai incontrato Dio come i mistici: l'ha chiamato, l'ha desiderato, l'ha sognato da grande poeta qual era" (prefazione a Ghitangioli - Guanda editore, pag. XXII) - non siamo d'accordo, perché chi riesce ad amare tanto ogni cosa, chi riesce a vivere la propria vita cantando la natura come opera di un Creatore, chi riesce a vivere un mondo reale e non virtuale come sa fare Tagore, deve per forza essere stato toccato dal Divino. Forse è stato sfiorato dalle sue vesti, oppure ne ha sentito il "profumo", l'alito, l'armonia, la melodia, il canto. Senza contare che secondo il Nostro si giunge al Divino attraverso la bellezza. E cos'è il suo verseggiare se non manifestazione della bellezza sua interiore, se non voglia di renderci partecipi della bellezza che riesce a vedere in ogni cosa ("E dove volgo gli occhi / tutto è bello, tutto è bello" dirà in una sua poesia), se non estasi di (da) bellezza? Chi può dire di avere incontrato l'Infinito? Nessuno che non sia un folle. E tutta questa bellezza riusciamo a cogliere nonostante alcune traduzioni dei suoi versi riescano a tarparne le ali, com'è il caso di alcune traduzioni del Rigon che comunque ringraziamo per avere tradotto un così grande poeta. A tal proposito vogliamo sottolineare le ottime traduzioni di Girolamo Mancuso per la Newton e di Taglialatela per Melita. Ma del Rigon vogliamo riportare un'ottima traduzione da Ghitangioli ed. Guanda, pag. 119. Si tratta di una poesia che ci aiuta a comprendere in che direzione volgeva lo sguardo Tagore allorché cercava il Divino: "Lascia le preghiere, / le adorazioni e le meditazioni. / Perché stai a porte chiuse nel tempio… chi adori nell'oscurità? / Apri gli occhi e guarda: / Egli è andato dove l'agricoltore / ara la terra, / dove il lavoratore spezza / le pietre della strada / … Lascia le vesti di festa / e vieni con Lui nella terra". Dunque è sulla terra che è possibile trovare Dio, perché lì "lo stesso Signore con i legami del creato / è legato alle creature". Nella estatica danza della natura e delle sue bellezze è possibile cogliere i passi del Danzatore. L'invito sembra, apparentemente, simile a quello nietzschiano (il paradiso è in terra), solo che Tagore non ha tagliato i ponti col Cielo.

Ma torniamo alle poesie. Tagore manifesta il suo amore anche verso la donna che ha amato e verso i bambini (è stato un ottimo padre e sposo). A testimonianza del suo amore verso sua moglie (così prematuramente scomparsa) riportiamo alcuni versi di una poesia in cui il poeta beatifica i luoghi in cui ha abitato la donna che amava: "Molte barche a vela passano  accanto a questo villaggio; / molti viandanti si fermano / a riposare sotto quel baniano ; / molti traghetti vanno all'altra riva / con gente che si reca al mercato; / ma non notano mai questo posto / sulla strada del villaggio, / accanto allo stagno / dai gradini d'approdo in rovina, dove abitava la donna che amo" (Poesie d'amore - a cura di Girolamo Mancuso - Newton, pag. 114). Quel posto, là ove abitava la donna che ama, grazie all'amore che unisce moglie e marito che è riflesso di un più grande Amore, diventa speciale; quella strada e persino i gradini d'approdo in rovina diventano testimoni d'amore. Lo stesso amore che - questa volta venato di grandissima ma composta malinconia e solitudine (la moglie era morta da poco) - straripa da ogni verso di quella meravigliosa poesia che è La Fuggitiva: "Oscuramente t'aggiri, Eterna fuggitiva / il cui stagnante spazio si consuma / in turbinanti bolle di luce. E' il tuo cuore insensibile all'Amante / che ti chiama / dalla sua infinita solitudine? / La dolorosa urgenza che t'affretta / è la sola ragione per cui le tue chiome / aggrovigliate prorompono in tumulto / tempestoso, e perle di fuoco / rotolano lungo il tuo cammino / come da una collana spezzata? … / Odo la marea tonante che getta la mia vita / di mondo in mondo e di forma in forma, / spargendo il mio essere in uno spruzzo infinito di doni, / in lamenti e canzoni… / Mio cuore! / Lascia il tesoro sulla spiaggia e salpa / sopra l'oscurità insondabile / verso la luce infinita".  Credo che commentare questa musica, questa forza, questo Amore, questo dolore composto, sarebbe proprio fuori luogo. Anche nella più assoluta delle solitudini, nel più grande dolore, Tagore attinge alla bellezza, e lo dice chiaramente in un'altra poesia della stessa raccolta curata dal Mancuso (cfr pag. 87): "Il dolore fu grande quando le corde / vennero accordate, mio Signore! / Inizia la tua musica, /Fammi scordare il dolore; / fammi sentire nella bellezza / ciò che avevi in mente in quei giorni crudeli".  La notte, il buio più fitto, non riescono a far precipitare il cielo sul mare, ma questa immagine è dello stesso Tagore che in un'altra sua poesia aveva cantato proprio così: "Morso dal dente della notte / il cielo cade sul mare" (Id. 81).

Altro grande amore è quello che Tagore ha verso i bambini, quegli stessi bambini che s'incontrano sulla spiaggia di mondi senza fine. Ma non possiamo approfittare oltre della pazienza di valenti traduttori ed editori. Rinviamo pertanto a leggere, studiare col cuore tutte le bellissime poesie di Tagore, l'Everest della poesia e dell' Amore.                 

 Grazie, Natale Missale

 

Testi consigliati e testi citati:

-          Tagore - Poesie d'amore a cura di G. Mancuso - ed. Newton;

-               "      - Canti mistici - ed. Melita;

-               "      - Sadhana - Ed. Sarva; oppure Sadhana - ed. bibl. Della Fenice;

-               "      -  Balaka - ed. bibl. Della Fenice;

-              "      - Sissu - Guanda;

-               "      - Canti e poesie - ed. Newton;

-              "      - Ghitangioli - Guanda ed;

-               "      - Sfulingo - Ed. Guanda;

-               "      - Il Giardiniere - Guanda ed.;

-               "      - Fogli strappati - Ed. Guanda;

-               "      - Ali della morte - Ed. Guanda.

 



Indietro