Capitolo 1

 

La cosmogonia con cui Mosé apre Genesi spinge la mente verso i confini di se stessa e costringe la ragione e l'immaginazione fino alle soglie dell'intuizione. Essa impone all'amante della Torah una resa incondizionata: gli fa toccare con mano la propria piccolezza nel momento in cui si apre il sipario sull'impensabile, l'inimmaginabile: "In principio". Questa paroletta è paralizzante, perché annulla d'un sol colpo tutto il creato: nulla ancora esiste, io non esisto. Ed ecco che l'unica cosa viva è la Torah, grazie alla quale sta per nascere qualcosa,  essendo essa parola creante. Il Libro era chiuso ed il Silenzio era sovrano.  Improvvisamente l'ho aperto, ed ecco Berescit, in principio". In queste due parole è contenuta tutta intera la scrittura e con essa la creazione, allo stesso modo in cui in un punto è contenuto tutta la geometria e tutta la saggezza manifesta. Ma esso è una massa sconfinata di buio, di nero, di insondabile, di mistero, in cui è possibile solo annientarsi. E' un tutto indifferenziato, un Assoluto dormente. "In principio" è un presente fuori dallo spazio tempo, è un paradosso, un "adesso" che non può mai finire perché non nato. "Nel Principio" è  qualcosa che sta fra l'essere e il non essere, è un luogo di Dio, sia Egli benedetto in eterno, una parte dell'infinità immanifesta (!). E' un "luogo" oscuro ("Le tenebre ricoprivano l'abisso") in cui il Creatore, senza proferire verbo, dà vita Al Cielo e alla Terra.  E' una creazione che Egli attua all'interno di Sé e che rimarrà interiore fino ai secoli dei secoli, perché nulla esiste se non Lui. "E lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque" mentre "le tenebre ricoprivano l'abisso".  Lo Spirito di Dio sta "fecondando" le acque primordiali affinché avvenga la prima nascita: il Verbo sta per esplodere: "E Dio disse:  'sia la luce!' E la luce fu". La parola divina scuote le acque con la sua luminosità, la luce è il veicolo di essa. Perché dico queste cose? Perché amo la Torah, perché leggendola ne sento la voce che mi fa vibrare, cantare. Nessuno può commentare l'inizio del Genesi, perché nessuno può spingersi fin là…Il mistico è un cantore, un amante, un pazzo che dice le cose più insensate. E' un folle che si annienta nelle sue canzoni; un bambino che gioca alla vita, uno spirito alieno che brucia i suoi giorni cercando, un cuore avvolto da corpo e da mente, un tizio che pone domande all'ignoto, una burla al buon senso, una beffa al dogmatico, un'artista che non è mai cresciuto perché è rimasto "nel principio". Il mistico è un nemico del tempo, un poliziotto che insegue il suo ladro, un derviscio danzante. "E dio disse" per lui è musica, arte, é Dio in azione.

"Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre…primo giorno". La creazione è per lui una bella canzone, ed è vera perché "testimonianza" d'un mistico antico, di uno che è come lui. Messo da parte il Dio con la barba seduto sulla nuvoletta, come ci si può avvicinare a questa cosmogonia se non con la disperazione di chi non può comprendere ciò in cui fermamente crede?  Chi sa di essere un contenitore di Vita Onnipervadente, un vaso di terracotta che di per sé non vale niente o quasi?  Ma ecco che mentre la creazione continua ad ubbidire al Verbo, improvvisamente, la Torah ci riporta a noi stessi, all'uomo: siamo al sesto giorno della creazione. "Dio creò l'uomo a sua immagine".  Ed eccoci al dunque del mistico. Egli cerca disperatamente quella sua primitiva "immagine", quella sua parte nascosta che sta sotto la pelle con cui l'adirato Padreterno vestì l'uomo mentre lo scacciava dall' Eden. E scava così nella sua interiorità, vedendone di tutti i colori: il suo ego è riuscito a 'creare'  di tutto:  i giardini dell' anima sono infestati da erbacce. Il solo prenderne visione dà sofferenza. La loro estirpazione è dolorosa. Diffidate di chi parla male del prossimo. Chi lo fa vede erbacce solo sul campo altrui, anzi, assomiglia molto a colui che butta i propri rifiuti oltre il muro del vicino, e poi dalla terrazza(!) mostra agli amici l'altrui sporcizia. Chi agisce così ha ancora molto da lavorare. Come abbiamo visto, la Torah ci ha fatto fare un bel giro sulle massime 'cose' per poi lasciarci ripiombare miseramente su noi stessi, sulla nostra triste realtà di inesperti o miopi giardinieri. La maggior parte delle persone, dopo avere letto la frase " Dio creò l'uomo a sua immagine" , si guarda allo specchio e si ammira; pensa alle sue doti mentali, e si gonfia come un rospo. Quella frase vuole solo ricordarci di essere portatori di un soffio divino, di essere l'occhio attraverso cui la Coscienza 'osserva' se stessa nel mondo. Che essa sia una monade, individuale, o che sia una per tutti, ha poca importanza. Quel che conta è di esserla, ma un conto è parlarne, un conto è realizzare ciò.  Il lavoro di giardinaggio consiste proprio in questo, nel tenere pulito il campo. Le erbacce sono l'ignoranza e i suoi frutti. Il campo può essere arato e preparato per la semina del frumento o della vite, solo dopo averlo liberato dalle erbe infestanti, e dopo avere seminato occorrerà continuare nell'opera di pulizia. L'ignoranza è la principessa di questo mondo. "E fu sera e fu mattina: sesto giorno". Con questo primo capitolo siamo stati accompagnati dal caos all'ordine, dal buio alla luce. Abbiamo posto le basi teoriche del lavoro che faremo giorno per giorno. Possa ognuno, attraverso la propria religione  e la propria fede, divenire saggio.



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