Genesi 10
C'è un
momento, nella storia di ogni uomo, in cui la folla di ego è talmente
cresciuta, da poter essere paragonata ad un vero e proprio popolo, che
parla una sola lingua e che vorrebbe conquistare il "cielo", il
"Cristo", il Buddha, presente in ognuno, attraverso la Torre di Babele.
La lingua di questo popolo è unica, e contempla un solo pronome, "io".
Ovviamente, l'ego, il dragone dell'Apocalisse, la bestia, il 666, non
potrà mai raggiungere il cielo, può dominare sul passato e sul futuro,
giammai sul presente, sull'Io Sono Colui che Sono, perché la mente
egoica sa muoversi solamente sul terreno dell'illusorio (un passato che
non c'è più, un futuro che non esiste); posta davanti al senza tempo,
prima annaspa e poi collassa in un vuoto che tutto comprende, in un Tao
che è madre dei diecimila esseri, in un Dio che è Colui che sta essendo.
E' una folla patetica questa, una schiera di fantasmi che vive
nell'ombra, e che proietta la storia di se stassa nella sala
cinematografica della mente, utilizzando la luce della coscienza come
proiettore. Ogni fantasma sa di essere irreale, inconsistente, ma tutti
insieme, a Babele, gridando a gran voce il pronome-cuore dell'idioma
("io"), cerca di dare spessore a se stesso. Quando Abramo nascerà, ogni
uomo comincerà a scorgere, prima questa luce coscienziale, e poi lo
schermo, quel vuoto senza limiti che tutto accoglie. Ma per "uccidere"
l'io bisogna avere la forza ed il coraggio di un eroe, e non è impresa
da poco, ed anche quando ci siamo armati e siamo scesi sul campo di
Battaglia, può accaderci quel che accadde ad Arjuna, che di fronte ai
suoi "nemici-parenti" venne preso dallo sconforto e decise di non più
combatterli. Jakob Bohme, siamo agli inizi del 600, dopo le sue
illuminazioni, divulgando i suoi libri, in pratica offre il percorso di
autoconoscenza che aveva sperimentato su di sé. "La condizione posta da
Bohme per iniziare il percorso è in apparenza semplicissima: chiede al
Lettore di fare sul serio, e la serietà richiesta è un impegno di
radicale penitenza intesa come un'aspirazione fortissima e
indefettibile alla Grazia divina " (Flavio Cuniberto - Jakob Bohme -
Morcelliana, pag. 70). "Fare sul serio" vuol dire essere totali, non
divisi, ed "una aspirazione fortissima alla Grazia", vuol dire
direzionare la totalità di sé in tale aspirazione.
Grazie. Nat |