Genesi 13
"La fame che è in te deve
essere placata mangiando la tua paura della morte. Devi divorarla
ininterrrottamente finché la fame sarà scomparsa. La tua paura è causata
dall'avidità di essere, dal desiderio di prolungare questo prezioso
privilegio: esistere. Chi lo chiama privilegio? La coscienza corporea.
Non sarai libero finché la tua fame non si sarà placata, consumando la
paura della morte. L'essenza di questa paura è: prolungare l'io sono".
(Nisargadatta Maharaj - Alla
sorgente dell' Essere - Aequilibrium, pag. 21)
Ha ragione questo umile grande
maestro, ognuno di noi è avido di esistenza. La nostra coscienza
corporea desidera talmente prolungare il prezioso privilegio di
esistere, che è disposta a tutto. E' dunque la paura della morte che
provoca fame d'esistenza. Ma come mangiare tale paura? Il corpo, è
certo, morirà e sarà cibo per i vermi. Forse la profonda comprensione di
ciò potrebbe farci inghiottire d'un sol boccone l'intero problema, ma la
coscienza corporea che ha schiavizzato la mente, l'ego, ci mette i
paraocchi, ed anziché consegnarci all'oceano di Vita che anima tutti
questi corpi passeggeri; anziché arrendersi di fronte alla forza di tale
immenso mare, ha inventato la paura della Vita, impedendo al
corpo-cuore-mente quel totale abbandono, quel finale rilassamento, che
consegnando il corpo alla morte per qualche istante, potrebbe farci
consumare l'ambito pasto.
Questo nostro tentativo di commentare Genesi è solo un pretesto, un
accorgimento, un trucco per immergersi in questo mare attraverso la
trasformazione delle vicende bibliche in metafore capaci di suggerire
"tecniche di tuffo", oppure metafore capaci di suggerirci il modo di
inghiottire la paura della morte attraverso espedienti simili a quelli
inventati dalla madre per far aprire la bocca al bambino e costringerlo
a mangiare. Ma quanti sono coloro che vogliono veramente cibarsi di tale
paura? Sono pochissimi. La maggior parte di noi gioca l'assurdo gioco
dell'ego che vorebbe conseguire la liberazione dall'ignoranza. Ma l'ego
è l'ignoranza, ed il paradosso è evidente.
Premesso tutto quanto sopra chiediamoci ora: cosa vuole suggerirci tale
capitolo? I mandriani di Abramo e i mandriani di Lot litigano, ed ecco
che il patriarca propone di andare uno a sinistra e uno a destra, di
dividersi cioè la terra che sta davanti a loro. Abramo sceglie il paese
di Canaan e Lot la valle del Giordano. Chi sono Abramo e Lot a questo
punto del nostro "viaggio"? Abramo è la nostra coscienza psichica, Lot
la nostra coscienza corporea. E' necessario, affinché possa essere
sentita la voce di Dio, cioè affinché possa essere avvertita la potenza
della Vita Universale che tutto sostiene, che la coscienza corporea
venga allontanata amorevolmente, senza violenza. Perché non
dimentichiamo che il corpo è il tempio e che nulla ha di sbagliato.
L'unico suo errore è quello di pensare di poter comandare alla mente e
al cuore tutte quelle volte che l'istinto non è necessario per prendere
una decisione. Questo credersi capitano lo spinge in braccio a quella
paura di morte.
Solo nel silenzio e nella solitudine può essere avvertita la danza della
Vita. E' una danza che è anche danzatore e che è anche danzare, è un
universo in fermento che canta la Sorgente dell'Essere.
Abramo sente la voce di tale Sorgente ed erige altari in tutti quei
luoghi in cui, morto al suo corpo, è riuscito a cibarsi della paura
della morte, placando la sua fame di esistere. Abramo è prima di essere
Abramo: non nato. Abramo sara dopo essere stato Abramo: non morto.
Ma diciamoci la verità. Basta una leggera indisposizione, una febbre, un
malore, una malattia, e riconsegnamo subito lo scettro del comando al
corpo. Ma comunque la si metta, alla fine il corpo dovrà arrendersi alla
Vita che per anni lo ha animato. A quel punto si presenterà davanti
all'individuo l'ultimo bivio: da un lato la Vita che è sempre stata e
sempre sarà, dall'altro la morte, l'ignoranza. Sì, l'ignoranza: persino
il corpo, se riuscirà ad abbandonarsi a madre terra, non conoscerà la
morte. Ma un conto sono le chiacchiere, ed un conto sono i fatti. Io
spero di riuscire a consumare in questa vita la paura della morte e di
riuscire a placare la fame d'esistenza fisica. Se non dovessi farcela,
l'esame verrebbe semplicemente rinviato al momento del distacco. In
ogni caso, la mia convinzione di essere un pesce immerso in un oceano di
Vita, e di essere pesce e Vita è talmente forte che spero almeno, di
quella paura, di assaggiarne almeno un boccone.
Grazie Nat |