Genesi 15 Il
nostro ricercatore, a questo punto, ha raggiunto quella fase del
suo percorso in cui sente chiara
e forte la voce del Divino, ed avverte la possibilità di poter
colloquiare con Lui. La Voce può essere udita sia tramite l'orecchio
interiore, ed allora Essa risuonerà chiara e limpida (vedi Francesco
d'Assisi ed altri santi chiamati), sia tramite metafore, simboli o
incontri particolari. In questo secondo caso, il mondo, a
chi ormai può essere considerato un mistico o un innamorato di
Dio, appare non più come un oggetto, ma come un soggetto, come una
mappa, come un libro di saggezza da leggere. In effetti, lo era sempre
stato, ma le lenti deformanti che l'ego gli aveva posto davanti agli
occhi, impedivano la chiara visione. Per il nostro patriarca la voce è
un fatto interiore, e questo perché ormai lui è in confidenza con Dio:
non muove passo se non nel Suo Nome, non attribuisce ad altri che a Lui
ogni cosa, non può fare a meno di vivere in costante riconoscenza per
il dono della Vita dato ad un ammasso di fango attraverso le perfette
leggi della Natura, non può sottrarsi a quella forza esaltante che lo
spinge a cantare i nomi dell'Altissimo: i suoi occhi, oramai privi di
quegli orribili occhiali, sono diventati come un Gral capace di
contenere l'intero universo attraverso l'Amore; il suo guardare è un
esser lì dove lo sguardo arriva, un essere il luogo che contiene la
cosa, un essere la cosa. Abram non
è più nulla per sé, ecco perché può colloquiare col tutto; la sua
umiltà, facendo tacere ogni suo senso esteriore ed aprendogli sensi
interiori, lo pone nella incredibile condizione di potere sentire la
Voce in qualunque essere vivente, in qualunque sasso, in qualunque
silenzio. La forza di Abram sta nella sua totale disponibilità al mondo
che sa essere in Dio insieme con lui. Anche parlando a a se stesso
riesce a collegarsi col Cielo. E siamo così arrivati al punto vero del
capitolo. Esso è una lunga preghiera al Padreterno, ma non nel senso di
una richiesta che sottintende esaudimento, non nel senso di una
supplica, ma nel senso dell'ascolto del canto che il Santo, benedetto
Egli sia nei secoli dei secoli, canta a Se stesso attraverso il grande
patriarca. Abram non chiede niente, le parole gli fluiscono dal cuore e
dalle labbra, e lui si limita ad ascoltarle. Da tale canzone apprende
cose della sua vita sia fisica che spirituale, perché quando la canzone
parla di discendenza, non si riferisce solo a figli nati dalla sua
carne, ma anche a figli spirituali; quando essa parla di alleanza, si
riferisce sia alla fisicità che alla spiritualità: nel momento in cui
lo Spirito di Dio diventa uno con lo Spirito di Abram, l'alleanza non può
che essere totale, a 360°. Quanto
al sacrificio richiesto dall'Altissimo, esso rappresenta l'invito a non
più nutrirsi per sé, ma a nutrire in sé il Divino: quando il cibo
viene offerto al Cielo, in esso si precipita tutto il Calore (Forno
fumante) e tutta la Luce (la fiaccola) dello Spirito Santissimo.
Melchisedek "offrì
pane e vino" insegnando ad Abram codesto sacrificio, ed il nostro
patriarca, da allora non può più fare a meno di dividere in due ogni
boccone di cibo, affinché il Fumo e la Fiaccola passando fra le due
parti rendano il cibo sacro.
Grazie Nat. |